Ringrazio di cuore Mattia Rossi per questa sapiente sottolineatura delle ricchezze del gregoriano, che ci introduce sempre più nella conoscenza della ricchezza e delle dinamiche altamente spirituali della "musica sacra", così osteggiata, non a caso, da coloro che - per ignoranza o per mala fede che sia - non possiamo chiamare in altro modo che profanatori.
Un’analisi, sia pure macroscopica, del repertorio gregoriano – alla ricerca di un qualche fil rouge che possa collegare i brani di ispirazione battesimale – non sarebbe sufficientemente accettabile qualora si limitasse solamente al contenuto del Graduale riformato dal Concilio Vaticano II. Per comprendere appieno, infatti, la natura e le circostanze liturgiche che hanno visto la nascita di tali brani, occorre fare riferimento al capitale Antiphonale Missarum Sextuplex. Si tratta di un fondamentale volume, pubblicato nel 1935 dal monaco solesmense dom René-Jean Hesbert, che riporta sinotticamente i più antichi manoscritti liturgici, risalenti al IX secolo, contenenti i testi dei canti della messa. I sei codici (M: Cantatorium di Monza; R: Graduale di Rheinau; B: Graduale di Mont-Blandin; C: Graduale di Compiègne; K: Graduale di Corbie; S: Graduale di Senlis) sono, dunque, solamente testuali e non musicali, ma, come già notava dom Hesbert nella prefazione dell’opera, lungi dall’essere privi di interesse, oltre che per la storia della liturgia, anche per la gregorianistica. Essi, infatti, fornendoci una precisa descrizione del repertorio primitivo (il cosiddetto “fondo autentico”), ci permettono di ricostruire la storia di ogni brano all’interno della liturgia romana: quei testi erano, inevitabilmente, già da tempo legati a precise melodie.
In questo nostro singolare itinerario, sarà opportuno partire dalla Pasqua e, più precisamente, dalla Veglia pasquale. La parte più antica della ‘Madre di tutte le veglie’ è la Liturgia della Parola dell’Antico Testamento. In questa sezione della liturgia è contenuto il brano dal quale prenderemo piede, il cantico Sicut cervus, l’ultimo cantico della Veglia. La sua forma musicale, il tractus, è il residuo dell’antica forma responsoriale in directum, la prassi, cioè, di cantare ininterrottamente un salmo al termine della lettura. Pur essendo dei tratti, quelli pasquali vengono denominati cantici solamente per una convenzione terminologica: essi, infatti, a differenza dei tractus che conservano testi salmici, hanno un testo veterotestamentario non salmico.
Un’ulteriore osservazione di carattere storico: il gregorianista Alberto Turco ha dimostrato come il repertorio primitivo formatosi attorno alla Pasqua (la quaresima e il tempo pasquale), fornì il modello per la creazione dell’altro ciclo liturgico “forte”: sulla Quaresima si modellò Avvento; dalla Pasqua e tempo pasquale quello di Natale fino all’Epifania; l’Ascensione/Pentecoste la Presentazione al tempio. Attorno a questi grandi cicli si modellò il repertorio per il tempo ordinario.
Tornando ai cantici della Veglia pasquale, il Graduale riformato ne conta sette, ma, nella primitiva Veglia, essi erano solamente tre (Cantemus Domino, Vinea facta est e Attende caelum): il Sicut cervus, ora incluso tra i cantici, fungeva da canto processionale al fonte battesimale e da introduzione alla Liturgia di iniziazione. Il suo testo, tratto dal salmo 41, si prestava ottimamente: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così la mia anima desidera Te, o Dio. La mia anima ha sete del Dio vivente, quando verrò e starò alla presenza di Dio?”. Come la cerva assetata, anche il popolo dei battezzandi è pervaso dalla fidei sitis, la sete della fede, che può essere saziata solamente dalla salvifica sorgente che sgorga dal battistero.
E quando questa sete sarà soddisfatta i nuovi cristiani potranno esultare e cantare con giubilo: «… et omnes ad quos pervenit aqua ista salvi facti sunt», a quanti giungerà quest’acqua porterà salvezza. È un versetto del Vidi aquam, il canto che accompagna, per tutto il tempo pasquale, l’aspersione con l’acqua benedetta. Ezechiele, nel cap. 47 del suo Libro, narra la visione di acque abbondanti uscire dal lato destro del tempio che purificavano la terra. Così, ogni battezzato è stato purificato dall’acqua sgorgata dal lato destro del costato di Cristo trafitto in croce.
Sempre collegato alla Pasqua è il communio tratto dalla Lettera ai Galati di san Paolo «Omnes qui in Christo baptizati estis, Christum induistis, alleluia» (3, 27), ora riproposto per la solennità del Battesimo di Gesù. Il brano, in realtà, nacque come communio del Sabato dell’ottava di Pasqua. La sua funzione, in tal senso, è chiara: fare memoria, a distanza di una settimana, del battesimo celebrato nella Veglia pasquale del Sabato Santo servendosi del testo paolino nel quale si paragona la rinascita nell’acqua ad un vestirsi di Cristo. La composizione musicale del brano, come sempre avviene nel gregoriano, segue procedimenti retorici per esaltare il profondo significato che il testo trasmette. L’attacco su «omnes» è fortemente allargato, quasi a sottolineare la necessaria “personalità” dell’evento battesimale. Sul termine «Christo» vi è un rallentamento finale sull’ultima sillaba che musicalmente chiude la semifrase: questo procedimento isola, in qualche modo, il termine «Christo» creando un clima di forte attesa per la parola che segue, di fondamentale rilievo, «baptizati». Anche qui, sulla sillaba pretonica vi è una forte sottolineatura che rileva, qualora ce ne fosse ancora bisogno, il termine. La parola «induistis» viene, poi, sottolineata dal compositore con lo stesso metodo utilizzato per «baptizati»; del resto, è esattamente questo il senso del testo paolino: al battesimo corrisponde la rinascita.
Un altro riferimento musicale all’acqua battesimale è presente nel communio della III domenica di quaresima (ciclo A) detta “della Samaritana” «Qui biberit aquam quam ego do, dicit Dominus Samaritanae, fiet in eo fons aquae salientis in vitam aeternam» (“Chi beve l’acqua che io gli darò, dice il Signore, diventerà in lui sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”). L’esistenza di una “domenica della Samaritana”, come emerge chiaramente sempre dagli studi di Turco, è attestata almeno dalla prima metà del IV secolo: a quest’altezza cronologica, la quaresima, è ancora formata da tre settimane che comprendono due domeniche (della samaritana e del cieco nato, sulla quale tornerò più avanti), con due settimane, alle quali si sommava la domenica di Passione con la Settimana Santa. Non esistendo ancora le antifone di comunione su testo evangelico – come il caso, appunto, del Qui biberit –, il communio era il salmo 33. Verso la metà del V secolo si arriva all’estensione della quaresima da tre a sei settimane con le domeniche caratterizzate ciascuna da un tema specifico: le tentazioni, la samaritana, il cieco nato, la resurrezione di Lazzaro, Abramo, la Passione. Il canto di comunione è ancora il salmo 33 che venne, però, probabilmente intercalato al ritornello Gustate et videte. Tra la fine del V secolo e l’inizio del VI si assiste alla composizione delle antifone di comunione su testi evangelici e, dunque, al completamento dei canti del Proprium. Le domeniche quaresimali, inoltre, subiranno un ulteriore rimaneggiamento che vedrà lo spostamento in avanti della II domenica (samaritana), della III (cieco) e della IV (Lazzaro) che diventeranno, com’è tuttora, III, IV e V.
Come ultima tappa di questo insolito itinerario, si potrebbe citare il communio Lutum fecit della IV domenica di quaresima (anticamente era la III), detta “del cieco nato”.
La lettura evangelica narra del miracolo di Gesù che, grazie al fango ottenuto con la sua saliva e all’acqua della piscina di Siloe, ridona la vista ad un cieco: «Lutum fecit ex sputo Dominus, et linivit oculos meos: et abii, et lavi, et vidi, et credidi Deo» (“Il Signore fece del fango con la saliva e lo spalmò sui miei occhi: sono andato, mi sono lavato, ho veduto e ho creduto in Dio”). L’acqua dell’antica fonte miracolosa è, in questa pagina, una componente messianica: per questo, la liturgia antica ha sempre letto questo brano in chiave battesimale come una preparazione all’iniziazione cristiana. Ecco, dunque, che, nella primitiva strutturazione della quaresima a tre settimane, le due antiche domeniche prima della Pasqua, nella loro simbologia (la sete della samaritana e il desiderio di fede incarnato dal cieco), costituivano una perfetta preparazione alla Pasqua e alla rinascita nel nuovo lavacro.
Questo desiderio di maturazione e crescita nella fede, incarnato dal cieco, è reso perfettamente dal crescendo narrativo: «et abii, et lavi, et vidi, et credidi Deo» (“sono venuto, mi sono lavato, ho visto e ho creduto in Dio”).
In conclusione, dal presente “viaggio” è emerso come, nella concezione della liturgia romana, l’intero tempo forte costituito dalla Quaresima e la Pasqua abbia quasi unicamente una prospettiva battesimale: in epoca primitiva, infatti, la Veglia pasquale (nella quale si celebravano i battesimi) e l’Ottava di pasqua (nella quale si faceva memoria del battesimo appena ricevuto) erano precedute da due domeniche quaresimali (‘della samaritana’ e ‘del cieco nato’) totalmente simboleggianti il percorso di preparazione alla rinascita a vita nuova operata nel battesimo.
Mattia Rossi
Twitter @mattiarossi_cg
2 commenti:
Romano dice,
Ritengo che la richezza di verità nella liturgia antica romana ci insegna di non stupirsi dei fallimenti dei modernisti ma di riagire con un atteggimento e con una practica della vera Fede tradizionale...
mi sembra che il Signore ha permesso l'elezione di Francesco per farci capire che si tutti noi non facciamo il nostro dovere di promovere la Fede vera e tramandarla in parole e nell'azione alla prossima generazione...la Chiesa sarà perduta...
Per me, la assurdità di cio che ha fatto Francesco a Lampedusa è stata la cosa migliore per tutta Italia, per far tutti capire che la religione del aggiornamento ha fallito Dio e ha fallito Italia e ha fallito l'Europa...
Quindi, ritorniamo alla vera Religione che è l'unica che puè salvarci...in eternità e in tempo
C'è solo da ringraziare il Signore perché attraverso persone appassionate, competenti e impegnate come Mattia Rossi, non si estingue anche il grande tesoro della mudica sacra.
Posta un commento