In una recentissima intervista all'agenzia Reuters, Bergoglio ha smentito le voci ricorrenti sulle sue dimissioni. Ha parlato anche del Concistoro per la creazione di nuovi cardinali, della riunione di tutti i porporati dopo tanti anni e della visita pastorale a L'Aquila dove si trova la tomba di Celestino V che, memori del precedente di Benedetto XVI [qui - qui]. erano stati interpretati come segnali in vista di un eventuale cessazione del pontificato. Di seguito ricordiamo come si sia giunti al gran rifiuto di dantesca memoria, dopo l'elezione del 5 luglio.
Al “gran rifiuto” di dantesca memoria
si giunse partendo il 5 luglio del 1294.
si giunse partendo il 5 luglio del 1294.
Dopo la morte di Niccolò IV, al Sacro Collegio formato da undici Cardinali riuniti in conclave occorsero ben ventisette mesi di dispute, inframezzati da una pestilenza, per eleggere il nuovo pontefice.
Decisivo per convincere anche i più dubbiosi fu il racconto di una visione apocalittica avuta in sogno dal Cardinale Malabranca, in cui lo Spirito Santo annunziò ad un eremita che il giudizio universale si sarebbe abbattuto sul mondo intero qualora entro quattro mesi i principi della Chiesa non si fossero decisi ad eleggere il nuovo papa.
Sempre con la battuta pronta, il Card. Caetani gli chiese sorridendo se per caso l'eremita della visione non rispondesse al nome di "Pietro, che la voce popolare chiama da Morrone”.
All'udire ciò, il nome del monaco aquilano Pietro Angeleri, per l’appunto detto “da Morrone”, iniziò a prendere quota, perché stimato da tutti come uomo pio, devoto e meritevole di rivestire la dignità pontificia nonostante avesse già passato la soglia degli 80 anni d'età.
Così, proprio il 5 luglio del 1294 i Cardinali elessero all'unanimità proprio quell'umile eremita, che seppe d’essere diventato papa soltanto dopo un mese circa, quando alcuni messi riuscirono a raggiungerlo nel suo rifugio sperduto sui monti d'Abruzzo.
Dopo un lungo raccoglimento in preghiera, Pietro accettò di portare il pesante fardello propostogli dichiarando che si sarebbe chiamato Celestivo V.
Una delle sue prime decisioni fu quella di trasferirsi insieme a tutta la curia a Napoli, presso il suo protettore re Carlo II d'Angiò, che lo sistemò in quello che allora era davvero il “Castelnuovo”, troppo sfarzoso però per il povero Celestino che chiese gli fosse costruita una piccola cella in legno dove ritirarsi in meditazione.
Catapultato dal suo eremo alla “Babele” della Corte Pontificia, subissato da una miriade di postulanti alla ricerca di prebende, privilegi e grazie di ogni genere, il povero Pietro-Celestino presto non seppe più come venirne fuori e rimpianse l'antica quiete.
Si rese anche conto che lui, uomo di cultura modesta, nei Concistori e nelle pubbliche udienze non sapeva tenere discorsi in latino, potendosi esprimere facilmente solo in lingua volgare.
Iniziò a combinare anche qualche pasticcio, come quando concesse più volte a persone diverse gli stessi benefici oppure firmò pergamene in bianco, che poi ognuno poteva riempire come meglio credeva.
Così già all'inizio dell'Avvento del 1294 iniziò a riflettere seriamente sul “peso che portava sulle spalle” e sul come sgravarsene "senza pericolo per l'anima sua”.
Si consultò in primis con l'amico Card. Caetani, uomo ben più navigato di lui ed grande esperto di diritto canonico, chiedendogli se "ci è permesso di scendere da quel trono a cui rende onore tutto il mondo".
La risposta fu prudente, nel senso che la cosa si poteva fare se esistevano validi motivi, con l'aggiunta della lista dei papi che, in tempi antichi, avevano adottato quella decisione.
Sentiti altri pareri, Celestino ruppe gli indugi e il 13 dicembre convocò i Cardinali nella sala grande di Castelnuovo per leggere un'allocuzione in cui affermava che: "Io Celestino papa, considerandomi incapace di questa carica a causa della mia ignoranza, vecchiaia e debolezza dichiaro di voler abbandonare questo mio incarico".
Subito dopo, con un'azzeccata messa in scena, si tolse la tiara e le insegne pontificali ritirandosi nella sua celletta, dopo aver invitato i Cardinali ad eleggere presto il suo successore, venendo esaudito perché a distanza di soli undici giorni "l'amico” Benedetto Card. Caetani veniva eletto papa col nome di Bonifacio VIII, per iniziare un pontificato tanto contrastato e discusso, quanto ricco di momenti drammatici.
Una delle prime decisioni del nuovo pontefice, oltre alla revoca immediata di tutte le nomine decise da Celestino, fu quella di porre quest'ultimo sotto stretta sorveglianza, nel timore che alcuni prelati potessero sceglierlo come antipapa.
Il povero vecchio fu incarcerato nella rocca di Fumone, dove si sarebbe spento un paio d'anni dopo per la durezza della detenzione e gli acciacchi dell'età avanzata.
La sua vita fu tutta all'insegna dell'umiltà, della modestia e della consapevolezza dei propri limiti, tanto che per una volta possiamo forse dissentire dal Sommo Poeta che invece lo collocò nell'Antinferno, luogo dove sostano gli ignavi fra i quali "...l'ombra di colui / che fece per viltade il gran rifiuto…".
Accompagna questo scritto un particolare del trittico “Le storie di Papa Celestino V”, affresco di Niccolò di Tommaso, XV secolo, Maschio Angioino, Napoli.
(Testo di Anselmo Pagani)
4 commenti:
Come già disse Ignazio Silone, l'anonimo dantesco che fece il gran rifiuto non può assolutamente essere Celestino V. Nessun contemporaneo lo considerò ignavo. Piuttosto è da ritenere che fosse il giovane ricco del vangelo, che si rifiutò di seguire Gesù: anonimo, appunto, e gravemente ignavo.
Oppure Pilato, l' unico "attore" della Passione, assente nella Commedia.
Colui che rifiutò fu, con ogni probabilità, il card. Matteo Rosso Orsini, che dopo la rinuncia di Celestino V fu eletto papa, ma appunto rifiutò. Da qui l'elezione dell'odiato – da Dante – Bonifacio VIII. Celestino V non “rifiutò”, ma “rinunciò".
Questa ricostruzione, poi, ripete i soliti cliché riguardo al personaggio: eremita ignorante, limitato, pasticcione. Esistono pubblicazioni specifiche, di cui sono autori studiosi di fama, edite dal Centro di Studi Celestiniani dell’Aquila, che li ribalta completamente. Aggiornarsi.
Un'antica tradizione, suffragata da ricostruzioni storiche anche moderne, ritiene che Pilato, dapprima destituito dall'imperatore Tiberio, si sia successivamente pentito della condanna di Gesù e quindi convertito. Se questa era l'opinione corrente già nel medioevo, giustamente Dante non lo ha messo all'inferno. E poi, perché lasciarlo anonimo? Non perché non potesse dire il nome, ma perché non lo poteva conoscere.
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