Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 27 dicembre 2025

Un canto misterioso: 'Adeste Fideles'

Val la pena soffermarsi sull'Adeste fideles (testo nella nota in calce); ma soprattutto ascoltarlo qui. Qui l'indice degli articoli sulla musica sacra.

Un canto misterioso: Adeste Fideles

Ho più volte accennato, parlando della liturgia, di come essa soffra di una crisi di identità che coinvolge anche la musica sacra. I testi forniti nel Messale sono spesso ignorati nel nome di canti non sempre di qualità adeguata. Questo riguarda anche le grandi feste, come il Natale, anche se c’è da dire che qui c’è un repertorio di canti che costituiscono un bagaglio importante per un repertorio comune nel segno della tradizione.

Un esempio in questo senso è Adeste Fideles, una bella melodia di origine incerta, con le parole di John Francis Wade (diciottesimo secolo). Di questo canto esistono molte traduzioni nelle lingue vernacolari, ma non c’è dubbio che la versione originale in latino ha tutto un altro fascino. Delle origini di questo canto non sappiamo molto. Un articolo che è apparso sul Blog della musica, lo definisce un “canto misterioso”. Certo non è semplice risalire all’autore principale, in effetti è stato attribuito a vari autori e per il testo si è anche parlato di san Bonaventura. La musica è stata attribuita a vari musicisti, tra cui Georg Friedrich Händel. Ma sembra che il compositore fu, appunto, John Francis Wade (1711-1786). Ma chi era Wade? Non ne sappiamo molto, alcuni lo dicono membro del clero, per altri era laico. Quello che sappiamo era che si trattava di un inglese e cattolico, ed essere cattolico non era semplice nell’Inghilterra del XVIII secolo. Egli era un copista di musica e la versione che conosciamo di Adeste Fideles ci è giunta attraverso di lui, datata tra il 1740 e il 1743 (blogdellamusica.eu). Dom Jean Stéphan In un suo libro del 1947 cercò di ricostruire le origini di questo canto (Adeste Fideles. A Study on Its Origin and Development. Buckfast Abbey, South Devon, 1947).

Sono rimasto lietamente sorpreso quando, curando il volume di Vittorio Messori La luce e le tenebre, ho potuto constatare come il noto scrittore avesse anche una predilezione per questo canto,
“il mio preferito è l’Adeste fideles che, come tutti sanno, ci invita ad accorrere a Betlemme per adorare in una grotta il Verbo incarnatosi in un bambino. È un canto di grande dolcezza e maestosità, ha parole la cui bellezza si può ammirare interamente solo nell’originale latino che, purtroppo, non è più possibile ascoltare nelle nostre parrocchie. in effetti è un grande classico, cantato da tutti i cantanti più importanti, armonizzato e riarrangiato in migliaia di modi differenti, dal più semplice al più sfarzoso con cori e orchestre a volontà”.
In effetti è vero che è un canto che ha conosciuto un successo straordinario in tutte le latitudini.

Credo che le parole di Messori, “grande dolcezza e maestosità” bene descrivano il carattere del canto. La melodia invita i fedeli quasi a mettersi in cammino lieti e trionfanti verso Betlemme, dove vedranno e adoreranno il Re degli angeli. Quel venite adoremus reiterato per tre volte in un crescendo enfatico che si scioglie sulla parola Dominus, bene ci conduce sulla scena umile ma grandiosa della natività del Salvatore di tutte le genti.

A Messori, fa eco l’apologeta cattolico Paolo Gulisano che dice:
“Il mio canto di Natale preferito è Adeste Fideles. Un canto dalla notevole solennità musicale, quasi una marcia reale. E in effetti le parole del testo richiamano al Re degli Angeli che si è chiamati ad adorare. “Vedremo celato sotto un corpo umano l’imperituro splendore dell’eterno Padre.” È il canto della manifestazione della Gloria di Dio in un bambino in fasce. C’è un altro aspetto per cui questo canto mi è tanto caro: l’autore era John Francis Wade, un cattolico inglese del XVIII secolo, un esule cacciato dal suo Paese a motivo della sua Fede. Il brano, musica e parole, fu redatto nel 1743, a Douai in Francia, dove esisteva una comunità di esiliati britannici. Sembra che Wade, che era un insegnante di musica, si fosse peraltro ispirato ad un motivo tradizionale irlandese. Un altro motivo che mi spinge ad amare questo canto è il fatto che fosse tanto caro ai Giacobiti, i cattolici di Inghilterra, Scozia e Irlanda che si battevano per la Restaurazione della dinastia degli Stuart. Una sorta di messaggio in codice che invitava a seguire il Rex Angelorum che in codice era il Rex Anglorum, cioè il vero sovrano di diritto delle Isole Britanniche, il Bonnie Prince Charlie. Insomma. Per chi mi conosce e conosce i miei interessi e le mie passioni, non è difficile capire perché la mia scelta cada su Adeste Fideles!”
La fortuna di questo canto è probabilmente anche dovuta alla nobile semplicità e bellezza della melodia, che procedendo quasi sempre per gradi congiunti riesce però con rari salti ben congegnati a trasportare l’anima del fedele ad unirsi al coro degli angeli per dare lode al Bambino che viene, in quel momento della storia in cui si riassumeva tutto il passato e scaturiva tutto il futuro. Anche noi ci avviciniamo gradualmente a questo sfolgorante evento e contempliamo con i pastori Colui che l’umanità aveva sempre atteso.
Aurelio Porfiri 
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Testo
Adeste, fideles, laeti, triumphantes,
venite, venite in Bethleem:
natum videte Regem angelorum.

Venite, adoremus, venite, adoremus,
venite adoremus, Dominum.

En grege relicto, humiles ad cunas
vocati pastores adproperant:
et nos ovanti gradu festinemus:

Venite, adoremus, venite, adoremus,
venite adoremus, Dominum.

Aeterni Parentis splendorem aeternum
velatum sub carne videbimus:
Deum infantem, pannis involutum.

Venite, adoremus, venite, adoremus,
venite adoremus, Dominum.

Pro nobis egenum et foeno cubantem
piis foveamus amplexibus:
sic nos amantem quis non redamaret?

Venite, adoremus, venite, adoremus,
venite adoremus, Dominum.
Venite, fedeli, lieti e trionfanti,
venite, venite a Betlemme.
Nasce per noi Cristo Salvatore.

Venite adoriamo (tre)
il Signore Gesù.

Abbandonato il gregge. all'umile culla
i pastori, chiamati, si avvicinano.
anche noi affrettiamoci con passo esultante.

Venite adoriamo (ter)
il Signore Gesù.

Lo splendore eterno dell'eterno Padre:
velato nella carne vedremo.
Dio bambino avvolto nelle fasce.

Venite adoriamo (tre)
il Signore Gesù.

Colui che per noi si è fatto bisognoso e giace nel fieno,
riscaldiamo in un devoto abbraccio.
chi non amerebbe colui che ci ama in tal modo?

Venite adoriamo (tre)
il Signore Gesù.


1 commento:

27 dicembre - San Giovanni Evangelista ha detto...

Il Teologo del Verbo Incarnato
La collocazione della festa di San Giovanni Apostolo ed Evangelista al 27 dicembre, immediatamente dopo il Natale e la celebrazione di Santo Stefano, risponde a una precisa logica teologica e liturgica elaborata dalla Chiesa antica, che esula dalla mera cronologia storica per abbracciare il concetto di "Comites Christi", ovvero i compagni di Cristo.

Nell'organizzazione del calendario liturgico, i giorni che seguono la Natività sono stati riservati alle figure che hanno reso la testimonianza più alta e vicina al mistero dell'Incarnazione. San Giovanni viene celebrato in questa data principalmente perché è considerato il teologo del Verbo Incarnato. Mentre i Vangeli sinottici iniziano con la genealogia umana o l'infanzia di Gesù, il prologo di Giovanni eleva il pensiero al Logos eterno che si fa carne. Celebrare Giovanni il 27 dicembre significa dunque onorare colui che meglio di chiunque altro ha spiegato il significato profondo di ciò che è avvenuto a Betlemme: la manifestazione della Luce nel mondo e la divinità del Bambino.
Inoltre, la tradizione liturgica ha voluto affiancare al presepe diverse tipologie di testimonianza. Se il 26 dicembre si celebra Santo Stefano come martire di fatto e di volontà (colui che ha dato la vita fisicamente), il 27 dicembre si onora San Giovanni come colui che fu martire per volontà ma non di fatto. Sebbene secondo la tradizione sia l'unico apostolo a non essere morto di morte violenta, la sua vita è stata considerata un "martirio bianco" per via delle sofferenze patite durante l'esilio a Patmos e la sua costante dedizione alla Verità. Egli rappresenta l'amore contemplativo e la fedeltà assoluta, essendo il discepolo che posò il capo sul petto di Cristo durante l'Ultima Cena e l'unico presente ai piedi della Croce.
Questa vicinanza fisica e spirituale a Gesù lo rende il testimone oculare d'eccellenza, colui che ha visto, udito e toccato il Verbo della vita. La sua festa funge quindi da ponte tra il mistero della nascita e quello della redenzione, ricordando ai fedeli che il Dio fattosi uomo nel Natale è lo stesso Logos che Giovanni annuncia nelle sue lettere e nel suo Vangelo. La scelta del 27 dicembre sottolinea che la sequela di Cristo richiede non solo il sacrificio del sangue, come per Stefano, ma anche la profondità della contemplazione e la testimonianza della carità, di cui Giovanni è il massimo esponente.

Dante, attingendo da passi della Scrittura così lo presenta:

«Questi è colui che giacque sopra ’l petto del nostro pellicano, e questi fue
di su la croce al grande officio eletto».

Paradiso XXV 112 - 114

In particolare il passo è riferito a due episodi: all'ultima cena, Gv 13, 25, quando l'apostolo chiede a Gesù chi è che lo tradirà: "Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone" e alla crocifissione Gv 19:25-42 : "Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.