Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 21 dicembre 2012

Pensieri di un giovane cattolico sui cattolici

Quei cattolici di una volta, quelli che erano cattolici e basta, senza dover aggiungere nessun aggettivo che li qualificasse come ‘progressisti’, ‘tradizionalisti’, ‘neoqualcosa’, eccetera, sapevano come stavano le cose e, in ambito liturgico, avevano le idee ben chiare di cosa in una liturgia accadeva. 

Certamente non tutti erano dotti liturgisti, capaci di spiegare il mistero che si cela dietro tanti segni e riti (oggi ridicolizzati o eliminati), ma proprio perché non erano così presuntuosi da dover spiegare tutto, contemplavano e adoravano. Pratiche oggi andate in disuso e bistrattate dai sapienti ecclesiastici nostrani. 

Quei cattolici di una volta avevano preparato un breve, ma chiaro, Galateo con Dio (reperibile nel Catechismo di San Pio X, Salpan Editore). In questo galateo si esordiva dicendo: “Le donne abbiano sempre il capo coperto e siano vestite senza scollacciature o sbracciature o con la gonna troppo corta”. Per noi moderni questa cosa pare puro bigottismo. La pratica è diventata tanto disattesa che nelle grandi chiese italiane molto spesso si distribuiscono foulard o copri spalle per coprire appunto ciò che il pudore dovrebbe già di per sé richiamare a nascondere. 

Il galateo prosegue raccomandando la genuflessione al Santissimo Sacramento (ove ovviamente presente). Per noi moderni tale pratica è diventata impossibile. O perché il Santissimo Sacramento è stato nascosto in un angolo buio della chiesa o in una cappella laterale (certamente non sull’altare maggiore – ah già, non ci sono più nemmeno gli altari -) o perché il Santissimo Sacramento è stato ridotto a semplice cibo di cui nutrirsi (niente Presenza Reale) e giustamente non ci si genuflette davanti a qualcosa che è stato reso simile alla pastasciutta o al tiramisù. 

Il galateo definisce “imperdonabile sgarberia” quella di chi entra in chiesa senza salutare il Padrone di casa e corre davanti alla statua di qualche santo. Noi moderni abbiamo risolto il problema: per evitare codeste sgarberie abbiamo direttamente rimosso le statue dei santi; tanto che le nostre chiese sono più tristi e vuote di un garage. 

Terza raccomandazione: “Evita in chiesa ogni singolarità nel vestire, nel genuflettere, nel modulare la voce nella preghiera o nel canto”. Ma che rottura questi cattolici antichi! meno male che c’è stato il Concilio (quello della fantasia ideologica, non quello reale) che ha spazzato via tutte queste pratiche farisaiche: in chiesa e nella liturgia vige la dittatura dello spontaneismo (per dirla con Mario delli Ponti). Ognuno fa quel che si sente, ciò che gli è più naturale. Sei capace a strimpellare? Suona la chitarra. Sei capace a battere le mani? Sei il ben accetto! Ti promuoviamo se le batti sul bongo, così siamo tutti più felici! Sai ballare? Danziamo intorno all’altare! E via discorrendo. Tutto è permesso in chiesa, non mi stancherò mai di dirlo, (finché qualcuno non si preoccuperà di spiegarmi l’arcano o di eliminare ogni abuso) tranne ciò che è prettamente cattolico. 

Ancora il galateo: “Sta in ginocchio quanto più puoi, almeno alla Consacrazione e alla Comunione. La Comunione va fatta in ginocchio e presa, prudentemente, sulla lingua”. Questo è troppo! Inginocchiarsi è da bigotti retrogradi tridentini. Inginocchiarsi non è, per i moderni, da cattolici adulti, e da un indulto all’altro, si è concesso di riceverla in mano. Con la conseguenza che inventori di liturgie impongono e praticano la prassi di riceverla da seduti. Se la si considera un cibo, da consumare in compagnia intorno ad un tavolo, tutto torna. 

Infine il galateo conclude raccomandando “Raccoglimento e silenzio”. Nelle liturgie di oggi il silenzio è diventato uno spazio pericoloso, da evitare a tutti i costi, non sia mai che i fedeli pensino a Dio e gli rivolgano delle preghiere. La liturgia, essendo vista in una mera prospettiva antropologica, dove tutto è rivolto all’uomo e in sua funzione, non c’è posto per la meditazione e il raccoglimento. L’intrattenimento non conosce il silenzio. Ogni spazio vuoto, tra un rito e un altro, tra una cosa e l’altra da fare, si riempie con qualche strimpellata o con qualche chiacchiera pastorale. 

Non indugio sul “in chiesa non si fanno presentazioni e NON SI BATTONO LE MANI a nessuno e per nessun motivo: LA CHIESA NON È UN TEATRO!”, perché sarebbe gioco facile notare la prassi moderna e rodersi l’anima (e corrodersi la fede).
____________________________________

giovedì 20 dicembre 2012

Il Papa scrive sul Financial Times: Tempo di impegno nel mondo per i cristiani

Riprendo da Paparatzinger blog. La notizia ha fatto già il giro del Web:

L’articolo del Papa per il "Financial Times" (20 dicembre 2012) nasce da una richiesta venuta dalla redazione del "Financial Times" stesso, che, prendendo spunto dalla pubblicazione dell’ultimo libro del Papa sull’infanzia di Gesù, ha chiesto un suo commento in occasione del Natale. Nonostante si trattasse di una richiesta insolita, il Santo Padre ha accettato con disponibilità.
Forse è giusto ricordare la disponibilità con cui il Papa aveva risposto anche in passato ad alcune richieste fuori del comune, ad esempio la richiesta di intervento alla BBC, proprio in occasione del Natale alcuni mesi dopo il viaggio nel Regno Unito, o la richiesta di intervista televisiva per il programma "A sua immagine" della RAI, rispondendo a domande in occasione del Venerdì Santo.
Si è trattato anche allora di occasioni per parlare di Gesù e del suo messaggio ad un ampio uditorio, nei momenti salienti dell’anno liturgico cristiano.
"Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio" fu la risposta di Gesù quando gli fu chiesto ciò che pensava sul pagamento delle tasse. Quelli che lo interrogavano, ovviamente, volevano tendergli una trappola. Volevano costringerlo a prendere posizione nel dibattito politico infuocato sulla dominazione romana nella terra di Israele. E tuttavia c’era in gioco ancora di più: se Gesù era realmente il Messia atteso, allora sicuramente si sarebbe opposto ai dominatori romani. Pertanto la domanda era calcolata per smascherarlo o come una minaccia per il regime o come un impostore.

La risposta di Gesù porta abilmente la questione ad un livello superiore, mettendo con finezza in guardia nei confronti sia della politicizzazione della religione sia della deificazione del potere temporale, come pure dell’instancabile ricerca della ricchezza. I suoi ascoltatori dovevano capire che il Messia non era Cesare, e che Cesare non era Dio. Il regno che Gesù veniva ad instaurare era di una dimensione assolutamente superiore. Come rispose a Ponzio Pilato: "Il mio regno non è di questo mondo".

I racconti di Natale del Nuovo Testamento hanno lo scopo di esprimere un messaggio simile. Gesù nacque durante un "censimento del mondo intero", voluto da Cesare Augusto, l’imperatore famoso per aver portato la Pax Romana in tutte le terre sottoposte al dominio romano. Eppure questo bambino, nato in un oscuro e distante angolo dell’impero, stava per offrire al mondo una pace molto più grande, veramente universale nei suoi scopi e trascendente ogni limite di spazio e di tempo.

Gesù ci viene presentato come erede del re Davide, ma la liberazione che egli portò alla propria gente non riguardava il tenere a bada eserciti nemici; si trattava, invece, di vincere per sempre il peccato e la morte.

La nascita di Cristo ci sfida a ripensare le nostre priorità, i nostri valori, il nostro stesso modo di vivere. E mentre il Natale è senza dubbio un tempo di gioia grande, è anche un’occasione di profonda riflessione, anzi un esame di coscienza. Alla fine di un anno che ha significato privazioni economiche per molti, che cosa possiamo apprendere dall’umiltà, dalla povertà, dalla semplicità della scena del presepe?

Il Natale può essere il tempo nel quale impariamo a leggere il Vangelo, a conoscere Gesù non soltanto come il Bimbo della mangiatoia, ma come colui nel quale riconosciamo il Dio fatto Uomo.

È nel Vangelo che i cristiani trovano ispirazione per la vita quotidiana e per il loro coinvolgimento negli affari del mondo – sia che ciò avvenga nel Parlamento o nella Borsa. I cristiani non dovrebbero sfuggire il mondo; al contrario, dovrebbero impegnarsi in esso. Ma il loro coinvolgimento nella politica e nell’economia dovrebbe trascendere ogni forma di ideologia.

I cristiani combattono la povertà perché riconoscono la dignità suprema di ogni essere umano, creato a immagine di Dio e destinato alla vita eterna. I cristiani operano per una condivisione equa delle risorse della terra perché sono convinti che, quali amministratori della creazione di Dio, noi abbiamo il dovere di prendersi cura dei più deboli e dei più vulnerabili. I cristiani si oppongono all’avidità e allo sfruttamento nel convincimento che la generosità e un amore dimentico di sé, insegnati e vissuti da Gesù di Nazareth, sono la via che conduce alla pienezza della vita. La fede cristiana nel destino trascendente di ogni essere umano implica l’urgenza del compito di promuovere la pace e la giustizia per tutti.

Poiché tali fini vengono condivisi da molti, è possibile una grande e fruttuosa collaborazione fra i cristiani e gli altri. E tuttavia i cristiani danno a Cesare soltanto quello che è di Cesare, ma non ciò che appartiene a Dio. Talvolta lungo la storia i cristiani non hanno potuto accondiscendere alle richieste fatte da Cesare. Dal culto dell’imperatore dell’antica Roma ai regimi totalitari del secolo appena trascorso, Cesare ha cercato di prendere il posto di Dio. Quando i cristiani rifiutano di inchinarsi davanti ai falsi dèi proposti nei nostri tempi non è perché hanno una visione antiquata del mondo. Al contrario, ciò avviene perché sono liberi dai legami dell’ideologia e animati da una visione così nobile del destino umano, che non possono accettare compromessi con nulla che lo possa insidiare.

In Italia, molte scene di presepi sono adornate di rovine degli antichi edifici romani sullo sfondo. Ciò dimostra che la nascita del bambino Gesù segna la fine dell’antico ordine, il mondo pagano, nel quale le rivendicazioni di Cesare apparivano impossibili da sfidare. Adesso vi è un nuovo re, il quale non confida nella forza delle armi, ma nella potenza dell’amore. Egli porta speranza a tutti coloro che, come lui stesso, vivono ai margini della società. Porta speranza a quanti sono vulnerabili nelle mutevoli fortune di un mondo precario. Dalla mangiatoia, Cristo ci chiama a vivere da cittadini del suo regno celeste, un regno che ogni persona di buona volontà può aiutare a costruire qui sulla terra.
_______________________________________
© Copyright Financial Times, 20 dicembre 2012

Il nuovo vescovo d'Ivrea e la Messa tradizionale

Riprendo da Riposte Catholique di oggi: un altro spiraglio di luce nella nebbia fitta. Peccato dover segnalare questi episodi come delle eccezioni. Non si può che gioirne, ma purtroppo sono ancora pur sempre eccezioni, la regola è ben altra!

Appena installato nella sua diocesi d’Ivrea, Mons. Edoardo Cerrato, precedentemente procuratore generale degli Oratoriani di San Filippo Neri,  testimonia la sua fedeltà al Santo Padre e la sua apertura nei confronti della messa tradizionale : l'11 gennaio prossimo egli infatti assisterà ad una messa celebrata secondo la forma extraordinaria  del rito romano nella Chiesa di Rivarolo Canavese, comune situato ai piedi del massiccio del Gran Paradiso (Piemonte). La messa sarà celebrata da quell'attivissimo promotore del motu proprio Summorum Pontificum che è don Nicola Bux nel contesto di una serata intitolata « I diritti di Dio e la Liturgia Cattolica ». Nel corso della serata, don Bux introdurrà una conferenza di Daniele Nigro, giovane autore di un libro recentemente pobblicato in Italia, dal titolo I diritti di Dio : la liturgia dopo il Vaticano II. L'opera, con prefazione del cardinal Raymond Burke, si situa, da un punto di vista canonico, sul fallimento della riforma liturgica conciliare e l'instaurarsi di una cultura dell'abuso liturgico che nessuna istruzione romana sembra riuscire a correggere. Segnaliamo che, durante il suo mandato alla testa degli Oratoriani Mons. Cerrato ha presieduto all'apertura di due dei tre oratori di Francia : a Digione nel 2011 e a Hyères nel 2012 (il terzo oratorio è a Nancy).

Tre ore di castigo a chi avesse fatto il segno di croce nella cattedrale!

L’agenzia Novopress informa di esser stata contattata dal genitore di un alunno il cui figlio frequenta la quinta classe nel collegio Cité de Narbonne (Aude). Mentre stamattina la sua classe doveva visitare la cattedrale di Saint-Just dell'antica città romana, situata non lontana dalla scuola, il professore di storia che accompagnava i giovani « ieri ha loro detto che se uno di essi avesse fatto il segno di croce entrando nella cattedrale, si sarebbe beccato tre ore di castigo ».

« È penoso ! » reagisce il genitore il cui « figlio è battezzato come la maggior parte dei francesi », « credente » ma « poco praticante ».

mercoledì 19 dicembre 2012

Il Prefetto della Dottrina della Fede esorta i cattolici ad accogliere gli Ordinariati convertiti (e non lesina nuove esternazioni sulla FSSPX)

Le Forum Catholique cita questo articolo del Catholic Herald britannico. Una ennesima performance, sempre attraverso una tribuna mediatica, del Prefetto della CDF. Vogliamo, con un eufemismo, definirlo pretestuoso?

I Cattolici in Inghilterra e nel Galles dovrebbero accogliere favorevolmente i membri dell'Ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham, ha detto il nuovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF).

In un'intervista a The Catholic Herald, Mons. Gerhard Müller ha detto: "Molti di quelli che sono entrati in piena comunione attraverso gli ordinariati hanno sacrificato molto per essere fedeli alla loro coscienza. Essi devono essere accolti senza riserve dalla comunità cattolica, non come figli prodighi, ma come fratelli e sorelle in Cristo, che portano con sé nella Chiesa un degno patrimonio di adorazione e di spiritualità ".

Mons. Müller, che è stato nominato prefetto nel luglio di quest'anno, nel suo nuovo ruolo sovrintende al dialogo per la riconciliazione con la Fraternità di San Pio X. Ha detto all' Herald che "la Fraternità San Pio X deve accettare la pienezza della fede cattolica e della sua pratica" perché "la mancanza di unità danneggia sempre l'annuncio del Vangelo, oscurando la testimonianza di Gesù Cristo".

Egli ha detto: "La Fraternità San Pio X dovrà distinguere tra il vero insegnamento del Concilio Vaticano II e gli abusi specifici che si sono verificati dopo il Concilio, ma che non sono fondati sui documenti conciliari."

Ha poi proseguito: "Chiunque è cattolico deve chiedersi se non sia pretestuoso andare a spigolare negli insegnamenti della Chiesa solo per sostenere una ideologia. Che cosa è più importante: una ideologia o la fede? Voglio dire a chi segue gruppi estremisti di mettere da parte la loro ideologia e venire a Gesù Cristo. "

Mons. Müller ha anche affermato di essere stato un ammiratore dell'attuale Papa da quando era in seminario e che durante la sua formazione era solito leggere il libro del Papa Introduzione al cristianesimo. Egli ha detto: "A suo tempo è stato una novità e le dense intuizioni teologiche che contiene sono oggi sempre presenti nella mia mente."

Nella sua nuova posizione, come prefetto della CDF ha una riunione settimanale di un'ora con il Papa. Egli ha detto: "In privato, parliamo nella nostra lingua madre, il tedesco, ma in un contesto ufficiale dobbiamo parlare in italiano."

Benvenuti nel Gulag: il seminario diocesano di Verona

Cosa si sente chiedere un giovane appena entrato nel seminario vescovile maggiore di Verona?
Prima richiesta: devi darci l'elenco completo di tutti i libri che hai letto in vita tua, precisando quelli a carattere religioso.
Seconda richiesta: ecco un elenco di libri che devi leggere (una dozzina circa, per gran parte di Carlo Maria Martini ed Enzo Bianchi).
Non avremmo voluto pubblicare questa notizia per non deprimere i cattolici; ma purtroppo è la verità.

martedì 18 dicembre 2012

L'ottimismo conciliare può cambiare la realtà dei fatti?

Riprendo questo testo dal sito DICI, rimarcando la coincidenza del sottolineato ottimismo conciliare, con l'ottimismo come atto di volontà tratteggiato con molta efficacia anche dal Prof. Bernard Dumont nel suo articolo Il conflitto irrisolto.

Don Christian Thouvenot - 7 dicembre 2012

Cinquant'anni fa si apriva il 21° concilio ecumenico della Chiesa, il più importante di tutta la sua storia per il numero dei partecipanti ed anche il più atipico, se non altro per la volontà di « apertura al mondo » che ostentava nella sua seduta inaugurale (11 ottobre 1962).

Un nuovo umanesimo

Una delle caratteristiche del Vaticano II risiede nell'ottimismo radicale e fontale con cui ormai la Chiesa intendeva portare il suo sguardo sull'umanità. Un mese prima dell'apertura, papa Giovanni XXIII aveva assegnato a questo « incontro mondiale » lo scopo di « rendere per tutti l'esistenza terrena più nobile, più giusta, più meritoria  » esaltando « le applicazioni più profonde della fraternità e dell'amore » (messaggio Ecclesia Christi lumen gentium, 11 settembre 1962). Più celebre è la fascinazione del papa nella sua allocuzione d'apertura Gaudet Mater Ecclesia, che segna il suo disaccordo di fronte  « ai profeti di sventura » per farsi lirico : « Il Concilio che inizia sorge nella Chiesa come un giorno fulgente di luce splendidissima. È appena l’aurora: ma come già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole sorgente! Tutto qui spira santità, suscita esultanza ». Il discorso di chiusura del Concilio, pronunciato da Paolo VI il 7 dicembre 1965, volle tradurre questo formidabile slancio di simpatia della Chiesa rinnovata nei confronti del mondo laico e profano : « ... e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo. » Ormai, « Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. »

Il fumo di Satana

Fu presto necessario disilludersi! L'annunciata primavera di una nuova Pentecoste non ebbe luogo. Meno di dieci anni dopo l'apertura del Vaticano II, papa Paolo VI partecipava il suo smarrimento. Il 29 giugno 1972, nella sua omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo dichiarava : « Davanti alla situazione della Chiesa di oggi, abbiamo la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. Vediamo il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto.(…)  È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce.  Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli. Come è potuto accadere questo? È intervenuto un potere avverso il cui nome è il diavolo… ». Tuttavia, Paolo VI non voleva vedere in questa drammatica situazione la conseguenza delle riforme e delle novità distruttrici  della vita cattolica introdotte dal Vaticano II, ma al contrario : « Noi crediamo all'azione di Satana che oggi si esercita nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio ecumenico, e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno della gioia di aver riavuto in pienezza la coscienza di sé. » Si continuò dunque ad applicare il Concilio, malgrado la crisi senza precedenti che scuoteva tutti i lembi della Chiesa : caduta delle vocazioni, rivoluzione liturgica, crisi degli ordini religiosi…

Il Sinodo del 1985

Vent'anni dopo la chiusura del concilio Giovanni Paolo II riunì un Sinodo per valutarne tutte le conseguenze. E questa fu la conferma di tutte le riforme, di tutte le nuove dottrine alle quali il papa volle dare la loro autentica dimensione. Si trattava di farle penetrare in tutto il popolo cristiano, da cui l'iniziativa di un nuovo Catechismo. Occorreva inoltre imprimere loro un nuovo dinamismo, da cui l'incontro interreligioso di Assisi, fatto inaudito che doveva essere « visto e interpretato da tutti i figli della Chiesa alla luce del concilio Vaticano II e dei suoi insegnamenti» (udienza generale del 22 ottobre 1986). Chi vuol comprendere la vera portata del Vaticano II e della trasformazione che esso ha operato nella religione cattolica deve, secondo il papa, riferirsi a questa riunione, la prima di molte altre: « L’evento di Assisi può così essere considerato come un’illustrazione visibile, una lezione dei fatti, una catechesi a tutti intelligibile, di ciò che presuppone e significa l’impegno ecumenico e l’impegno per il dialogo interreligioso raccomandato e promosso dal concilio Vaticano II ». (Giovanni Paolo II ai cardinali, 22 dicembre 1986).

L'apostasia silenziosa

Ahimè! Malgrado « la nuova evangelizzazione » evocata fin dall'inizio del suo pontificato, malgrado le molteplici Giornate Mondiali della Gioventù e il Giubileo dell'anno 2000, Giovanni Paolo II alla fine della sua vita doveva riconoscere l’esistenza d'una reale « apostasia silenziosa » all'opera in mezzo ai cattolici, soprattutto in Occidente. Non soltanto il mondo non aveva risposto alla corrente « d’affetto e d'ammirazione » traboccante dal Concilio, ma le conseguenze dell'apertura al mondo si rivelavano sempre più amare e sconcertanti. Poco prima che si spegnesse Giovanni Paolo II, colui che doveva succedergli descriveva la Chiesa come « una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti », e di cui Satana gioisce di veder prossima la caduta (cardinal Joseph Ratzinger, Via Crucis del Venerdì Santo 2005, 9a stazione). La nuova Pentecoste somiglierebbe ad un naufragio ?

Oggi

Ennesimo rilancio, il cinquantesimo anniversario dell'apertura del Vaticano II vuol ricollocare i suoi insegnamenti e le sue riforme nel cuore della vita della Chiesa, in occasione dell'Anno della Fede. Quest'ultima è presentata come una necessità urgente : « Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità (…), tutte le altre riforme rimarranno inefficaci», dichiara Papa Benedetto XVI (discorso ai cardinali, 22 dicembre 2011). Curiosamente, ciò significa che la fede deve « essere ripensata e vissuta in maniera nuova », – fede nuova della quale papa Giovanni XXIII voleva fosse quella del concilio che convocava cinquant'anni fa !  In effetti, egli « prospettava un balzo in avanti verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze », così come « la nuova evangelizzazione è iniziata proprio con il Concilio, che il Beato Giovanni XXIII vedeva come una nuova Pentecoste che avrebbe fatto fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell'umana attività » (discorso del 20 settembre 2012). Ritorno al punto di partenza…

Cinquant'anni dopo, « l'oggi della Chiesa » sembra essersi inesorabilmente fossilizzato sul concilio Vaticano II, orizzonte ineludibile, unica bussola d'una Chiesa in piena crisi, incapace di uscire da una nuova Pentecoste che nei fatti si rivela essere un disastroso crollo.  Dai « fumi di Satana » all’« apostasia silenziosa », nulla sembra doverne turbare l'ottimismo ostentato, sempre in voga. E se, in occasione di questo anniversario, ci si ricordasse della richiesta di un arcivescovo missionario, che non smise di reclamare che lo si lasciasse « fare l'esperienza della Tradizione » ? Non una ulteriore avventurosa esperienza, ma un'esperienza collaudata, perché è stata provata da 2000 anni.
Don Christian Thouvenot [Segretario generale della FSSPX]
Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio

lunedì 17 dicembre 2012

Tur Abdin: la terra perduta degli Aramei

La storia eroica è quella di un popolo cristiano antichissimo, che parla l’aramaico, la lingua diffusa in tutta la Terrasanta ai tempi di Gesù. - [Fonte]

Due giornalisti italiani, Stefano Rogliatti e Matteo Spicuglia, hanno raccontato con estrema sobrietà e rispetto una storia eroica nel loro documentario: “Shlomo. La terra perduta”. La storia eroica è quella di un popolo, gli Aramei, un popolo cristiano antichissimo, che parla l’aramaico, la lingua diffusa in tutta la Terrasanta ai tempi di Gesù, che tenta di restare aggrappato a quella che era, è la sua terra. Come gli armeni, i greci e i siriaci anche gli Aramei sono rimasti coinvolti nel genocidio cristiano iniziato dai triumviri turchi nel 1915 e continuato negli anni successivi. A Tur Abdin, nel sud est della Turchia, ormai zona a maggioranza curda, quasi ai confini con la Siria, all’inizio del 1900 gli Aramei erano oltre 500mila. Oggi sono 2500, e per loro la persecuzione, violenta talvolta, più spesso una pressione continua e pesante, non è ancora finita.

Stefano Rogliatti e Matteo Spicuglia, gli autori di questo film-inchiesta, che sarà presentato in anteprima martedì 18 dicembre, alle ore 20,45, all’Arsenale della Pace, piazza Borgo Dora, 61, Torino ( e a cui speriamo faranno seguito numerosi altri eventi in tutta Italia) sono andati a cercare i protagonisti di questa epopea in  Turchia e in Germania per raccontare le ferite di ieri e di oggi; un dramma troppo comune a tutte le minoranze della regione. Hanno visitato villaggi abbandonati e monasteri antichissimi, oggi in pericolo, hanno intervistato decine di persone di tutte le età: il risultato è un affresco di testimonianze inedite per il pubblico italiano.

Ci sono storie di un dolore profondo. Nura Ardin, 85 anni, viveva nella fattoria di famiglia insieme al marito e ai figli. In una notte del giugno del 1986, estremisti fecero irruzione in casa e uccisero il primogenito Aho. “Volevano che anche noi lasciassimo le case e fuggissimo come tutti gli altri, – racconta Nura – ma mio figlio aveva dato la sua parola al vescovo. Finché tu rimarrai qui, gli disse, io non andrò da nessuna parte. Resterò. Questa è la nostra terra. Qualcuno deve aver sentito e riferito tutto. Sono arrivati a casa di notte, l'hanno ammazzato e poi sono andati via”. Da allora, la famiglia Ardin vive all’estero. È quello che hanno fatto anche migliaia di altri Aramei, come testimoniano decine di villaggi cristiani, monasteri e chiese rimasti oggi senza popolo.

La famiglia Ardin ha conosciuto nella sua carne il volto violento dell’intolleranza religiosa. Il vescovo di Mor Gabriel, forse uno dei monasteri più antichi della cristianità, racconta invece il volto burocratico, ostile e prevaricatore dell’islam che non tollera presenze estranee. Il monastero è da anni al centro di un contenzioso legale su cui dovrà giudicare la Corte europea dei diritti dell’uomo. E la speranza è che come in altri casi analoghi, accaduti in Turchia, il verdetto riconosca il diritto. La comunità dei monaci è accusata da anni di proselitismo e appropriazione indebita delle terre; addirittura di aver costruito sul sito di una moschea. Il vescovo mor Samuel Aktas per la prima volta parla davanti alle telecamere per rispondere punto su punto e denunciare il rischio di estinzione di una presenza di oltre 1600 anni.

“Siamo arrivati in Turchia con l'idea di raccogliere semplicemente delle storie; - spiegano gli autori - le abbiamo presentate senza filtri, così come le abbiamo ascoltate”. “Shlomo. La terra perduta” spiegano gli autori, abbraccia le mille pieghe della vita degli Aramei: le radici di Tur Abdin, la vita di chi ha trovato riparo in una grande metropoli come Istanbul, le attese di un popolo della diaspora, presente oggi in tutto il mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, passando per l’Australia. E ancora: il problema dell’occupazione delle terre da parte della maggioranza curda, la speranza dell’emigrazione; ma ci sono anche rifugiati in Europa che hanno deciso di tornare a casa, le motivazioni dei giovani che hanno scelto di rimanere a Tur Abdin.

“Aver raccontato la fatica degli Aramei, - concludono gli autori - è stato un modo per dare voce al destino di tutte le minoranze del Medio Oriente, dall'Iran all'Egitto, dall'Iraq alla Terra Santa. Il copione è quello di sempre: difficoltà quotidiane, discriminazione spesso sottile, diritti non sempre riconosciuti, dialogo impossibile da vivere. La fuga a volte è considerata l'unica scelta”.
Marco Tosatti

Messa Tridentina all'Università Cattolica di Milano



Mercoledì 19 dicembre alle ore 18.00

don Konrad zu Loewenstein della Fraternità Sacerdotale San Pietro, celebrerà una santa Messa cantata presso la Cappella san Francesco ( al primo piano dell'Ateneo, sopra al Rettorato). 

Giovedì 20 dicembre, alle ore 9.45
 

sarà celebrata un'altra santa Messa. In mattinata don Konrad dovrebbe essere disponibile per le confessioni e la direzione spirituale.


I semi della rinascita

Una osservazione di Costanza Miriano che non esito a far mia e penso valga per tutti noi.

Io sono contenta di vivere in questo tempo. Vedo il disastro generale, ma vedo i semi di una rinascita culturale e spirituale di cui, come in tante stagioni della storia, ci faremo carico noi cattolici, con il nostro piccolo esercito, sparuto, silenzioso forse, ma armato di cuore e intelligenza e soprattutto di preghiera. E chissà che anche questa crisi non venga per aiutarci: perché fino a che si ha la pancia piena ( e la strada spianata, aggiungo) non si ha tempo né voglia di alzarsi, e andare ad aprire a Colui che sta alla porta e bussa.