Riporto il trafiletto di poche righe con il quale Avvenire del 21 luglio scorso, liquida sommariamente ma anche con evidenti inesattezze il testo e le questioni di cui si parla poi più diffusamente.
«Romano Amerio inedito "Zibaldone" per la Tradizione»
"Si rifà al celebre volume di Giacomo Leopardi questo "Zibaldone" del pensatore Luganese Romano Amerio (1905-1997), che ora le Edizioni Lindau portano in libreria (pp.618, Euro 32). In questo volume - pubblicato per la prima volta - Amerio già noto per "Iota unum", ha condensato circa 700 pensieri appuntati dagli anni Trenta fino agli anni Novanta. Ma le posizioni più tradizionalistiche di Amerio non hanno trovato il favore del Vaticanista Sandro Magister, resposabile del sito www.chiesa. Il quale ha evidenziato come le affermazioni anti-conciliari di Amerio non abbiano riscontro in Benedetto XVI, propugnatore invece del Concilio Vaticano II nella sua verità di evento riformatore nella continuità della Tradizione della Chiesa. Il volume di chiude con un testo di Enrico Maria Radaelli, discepolo di Amerio."
Sono parole che vanno smontate una per una, nel rammarico di constatare come il giornale dei vescovi italiani, oltre a neppure prendere in considerazione con la serietà che merita un Autore e i suoi contenuti così basilari per decriptare quanto è successo negli ultimi 50 anni e purtroppo continua a succedere nella e alla Chiesa, li liquidi con sommaria e per di più erronea sufficienza. Considerato modestamente da Amerio «soltanto un centone di cose disparate, incoerenti e improvvise», lo Zibaldone costituisce in realtà una sorta di autobiografia intellettuale dell’autore di
Iota unum. La sua pubblicazione mette a disposizione dei lettori il laboratorio speculativo quotidiano nel quale il grande studioso cattolico si confronta con le tematiche più diverse, dalla storia alla letteratura, dalla filosofia alla cronaca, dal costume alla vita della Chiesa.
1. Romano Amerio non è "anticonciliare" - Innanzitutto Romano Amerio NON E' autore di affermazioni anti-conciliari. Dal succo dei suoi studi seri e appassionati, oltre ad emergere la globalità e la serietà della crisi che ha investito la Chiesa, si evidenziano le ragioni prossime e remote delle varie tendenze e pensieri dominanti che l'hanno innescata e poi anche innervata anche attraverso le ambiguità presenti in alcuni documenti conciliari. Egli afferma che il Magistero è stato abbandonato dai vertici della Chiesa per lasciarlo in mano ai teologi. E purtroppo la cultura divenuta egemone è forgiata da teologi che si definiscono cattolici e che di fatto insegnano l'opposto di quello che la Chiesa insegna (o forse insegnava?).
Piuttosto la questione, alla stato attuale, sta in questi termini. L'obbedienza è una virtù, ma non può diventare deresponsabilizzazione. Si obbedisce, attivando l'uso di ragione illuminata dalla fede, al Magistero che richiede assoluto consenso in quanto in sintonia con la Tradizione, al resto si può prestare rispetto ma non obbedienza assoluta.
Un concilio eminentemente pastorale è finalizzato ad esprimere nel modo più efficacemente pastorale possibile la dottrina immutata ed immutabile: cioè a dire, ad indicare le vie ed i modi per meglio trasmettere la Verità in un determinato contesto storico-culturale. In modo nuovo (Nove) e non con contenuti nuovi (nova)...
Il problema nasce quando, proprio perché dottrina e pastorale non sono o non dovrebbero essere in sé in contrasto, ma l'una al servizio dell'altra, i documenti usano - come su molti aspetti usano ed è su ciò che si basa lo studio di Amerio - un linguaggio equivoco, variamente interpretabile, perché non normativo ma discorsivo-teologico. Un linguaggio che, di conseguenza, rende ambigui e variamente interpretabili i punti dottrinali toccati, soprattutto quando i documenti delineano dottrine o formulano anche singole affermazioni (che però gettano la loro ombra sull'intero impianto del documento), che sono o appaiono non incanalabili nell'insegnamento costante della Chiesa.
Risulta ormai dato storico acquisito che quando si aprivano le discussioni tra i Padri conciliari e le posizioni erano divergenti, i novatores opponevano ad ogni contestazione secondo la Tradizione: no, lasciamo il documento o le singole affermazioni così come sono, tanto siamo in ambito pastorale! Poi non hanno fatto altro che trarne le basi per un insegnamento pericoloso per l'ortodossia o addirittura contrario ad essa, del quale ora stiamo vedendo i frutti deleteri.
Perciò diventa ineludibile la necessità dell'interpretazione autentica di certi documenti conciliari. Sono quasi 50 anni che questa interpretazione autentica viene richiesta dalle 'sentinelle' più attente ed ora molte voci consapevoli si vanno levando. Tuttavia, le scarne risposte intervenute fino ad oggi hanno chiarito poco o nulla e se, a tanti anni di distanza ancora si discute sul valore da dare ai singoli documenti e sul modo per conciliarli col magistero precedente, il motivo non può che essere la loro problematicità.
La Santa Sede non s'è impegnata fino in fondo a rispondere alle obbiezioni anche seriamente motivate provenienti da più parti ed ha lasciato che i testi venissero tirati a destra e a manca, cullandosi nell'illusione che l'invocare l'ermeneutica della continuità, senza proclamarla solennemente nei punti controversi, bastasse a dissolvere i dubbi e a risolvere i problemi.
Solo ora il nocciolo della questione viene affrontato attraverso i colloqui con la Fraternità San Pio X; ed è proprio dal risultato di questi che ci si attende una chiarificazione tale da sollevare le nostre coscienze dalla condizione d'opzione, che molti angoscia e molti altri disorienta.
2. Romano Amerio non ha mai scritto che il magistero pontificio insegna cose scorrette.
Egli afferma, e giustamente, secondo le sue impeccabili analisi e sintesi, che una delle pecche del magistero è quella di non correggere più l'errore. O se il magistero insegna, e Papa Benedetto lo fa, poi è ignorato, contestato. Purtroppo di solito, piuttosto che insegnare con autorità o sanzionare, si preferisce indicare, mostrare... E allora accade che le eventuali prescrizioni contro abusi, errate applicazioni, quando ci sono, non sono seguite da nessun effetto concreto perchè nessuno sorveglia la loro esecuzione e restano lettera morta. Questa diluita attività di governo, questo snervamento della potestà, che ha origine nel concilio, nasce anche dall'indole e da atti conseguenti di Papa Montini, dalla inadempiutezza della sua funzione di 'reggimento', cioè di governo, attraverso l'uso di un metodo oratorio e monitorio che indica, richiama e non condanna, cui assistiamo ancora oggi: fenomeno anomalo e forse patologico, non proprio della religione autentica...
Oggi di fatto il governo della Chiesa è 'dimidiato' e, per dirla biblicamente, "rimane abbreviata la mano di Dio" "breviatio manus Domini" (Is 59,1- "ecco non è troppo corta la mano del Signore da non poter salvare"), che si determina a causa:
- conoscenza imperfetta dei mali
- mancanza di forza morale
- calcolo di prudenza che non pone rimedio ai mali veduti perché stima che così aggraverebbe i mali anziché guarirli
Sostanzialmente si deduce dagli scritti di Romano Amerio che di due cose c'è bisogno per custodire la Verità. Primo: rimuovere l'errore dalla sfera dottrinale; il che avviene rifiutando gli argomenti erronei e mostrando che essi non sono convincenti. Secondo: rimuovere la persona in errore, depondendola dalla sua funzione, il che vien fatto con un atto di autorità della Chiesa. Se questo servizio papale non è esercitato, sembrerebbe ingiustificato dire che è stato usato ogni mezzo per custodire la dottrina della Chiesa: siamo in presenza della "breviatio manus Domini".
3. Il mancato favore di Sandro Magister da dove si deduce?
Nessun commento sfavorevole sembra cogliersi nell' interessante ed esaustivo articolo di Magister, anzi! Anche se si può esprimere qualche riserva sulle considerazioni circa Benedetto XVI, per le quali certamente è improprio parlare di "assoluto non riscontro" e comunque vedi punto 4.
Viene riportato di seguito un essenziale estratto di quanto Magister pubblica su www. chiesa, ampliando il discorso su Amerio alle tesi di mons. Gherardini ed alle conclusioni di Enrico Maria Radaelli, che le accoglie e sembra andare più in là, perché pone con vigore l'accento sulla conclusione già prefigurata da mons. Gherardini della necessità di una autorevole pronuncia veritativa del Trono più alto sulle questioni da troppo tempo controverse, invocando anche un cambio di stile da propositivo a impositivo. Piuttosto sulla saporosa e sapienziale post-fazione di Radaelli sarà necessario un articolo a parte, perché l'approfondimento si fa non solo interessante ma anche vitale.
(Inizio citazione Magister):
"Con i suoi oltre settecento pensieri, "Zibaldone" forma una specie di autobiografia intellettuale dell'autore. Nella quale le questioni sollevate in "Iota unum" sono naturalmente presenti.
Come, ad esempio, in questa paginetta datata 2 maggio 1995:
"La autodemolizione della Chiesa deprecata da Paolo VI nel famoso discorso al Seminario Lombardo dell’11 settembre 1974 diviene ogni giorno più palese. Già nel Concilio il cardinale Heenan (Primate d’Inghilterra) lamentava che i vescovi avessero cessato di esercitare l’officio del Magistero, ma si confortava osservando che tale ufficio si era conservato pienamente nel Pontificato Romano. L’osservazione era ed è falsa. Oggi il Magistero episcopale è cessato e quello papale anche. Oggi il Magistero è esercitato dai teologi che hanno ormai improntato tutte le opinioni del popolo cristiano e squalificato il dogma della fede. Ne ho avuto una dimostrazione impressionante ascoltando ieri sera il teologo di Radio Maria. Egli negava impavidamente e tranquillissimamente articoli di fede. Insegnava [...] che i Pagani, cui non è annunciato il Vangelo, se seguono il dettame della giustizia naturale e si studiano di cercare Dio con sincerità, vanno alla visione beatifica. Questa dottrina dei moderni è antichissima nella Chiesa ma fu sempre condannata come errore. Ma i teologi antichi, mentre tenevano fermo il dogma di fede, sentivano però tutta la difficoltà che il dogma incontra e si studiavano di vincerla con escogitazioni profonde. I teologi moderni invece non avvertono le difficoltà intrinseche del dogma, ma corrono diritti alla 'lectio facilior' mettendo in soffitta tutti i decreti dottrinali del Magistero. E non si accorgono di negare così il valore del battesimo e tutto l’ordine soprannaturale, cioè tutta la nostra religione. Anche in altri punti il rifiuto del Magistero è diffuso. L’inferno, l’immortalità dell’anima, la risurrezione dei corpi, l’immutabilità di Dio, la storicità di Cristo, la reità della sodomia, il carattere sacro e indissolubile del matrimonio, la legge naturale, il primato del divino sono altrettanti argomenti in cui il Magistero dei teologi ha eliminato il Magistero della Chiesa. Questa arroganza dei teologi è il fenomeno più manifesto dell’autodemolizione".
Ma era convinzione di Amerio – e Radaelli lo spiega bene nella sua ampia postfazione a "Zibaldone" – che tale riparo assicurato da Cristo alla sua Chiesa vale solo per le definizioni dogmatiche "ex cathedra" del magistero, non per gli insegnamenti incerti, sfuggenti, opinabili, "pastorali" del Concilio Vaticano II e dei decenni successivi.
Proprio questa, infatti, a giudizio di Amerio e Radaelli, è la causa della crisi della Chiesa conciliare e postconciliare, una crisi che l'ha portata vicinissima alla sua "impossibile ma anche quasi avvenuta" perdizione: l'aver voluto rinunciare a un magistero imperativo, a definizioni dogmatiche "inequivoche nel linguaggio, certe nel contenuto, obbliganti nella forma, come ci si aspetta siano almeno gli insegnamenti di un Concilio".
La conseguenza, secondo Amerio e Radaelli, è che il Concilio Vaticano II è pieno di asserzioni vaghe, equivoche, interpretabili in modi difformi, alcune delle quali, anzi, in sicuro contrasto col precedente magistero della Chiesa.
E questo ambiguo linguaggio pastorale avrebbe aperto la strada a una Chiesa oggi "percorsa da mille dottrine e centomila nefandi costumi". Anche nell'arte, nella musica, nella liturgia.
Che fare per porre rimedio a questo dissesto? La proposta che fa Radaelli va oltre quella fatta di recente – a partire da giudizi critici altrettanto duri – da un altro stimato cultore della tradizione cattolica, il teologo tomista Brunero Gherardini, 85 anni, canonico della basilica di San Pietro, professore emerito della Pontificia Università Lateranense e direttore della rivista "Divinitas".
Monsignor Gherardini ha avanzato la sua proposta in un libro uscito a Roma lo scorso anno dal titolo: "Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare".
Il libro si conclude con una "Supplica al Santo Padre". Al quale viene chiesto di sottoporre a riesame i documenti del Concilio, per chiarire una volta per tutte "se, in che senso e fino a che punto" il Vaticano II sia o no in continuità con il precedente magistero della Chiesa.
Il libro di Gherardini è introdotto da due prefazioni: una di Albert Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo ed ex segretario della congregazione vaticana per il culto divino, e l'altra di Mario Olivieri, vescovo di Savona. Quest'ultimo scrive di unirsi "toto corde" alla supplica al Santo Padre.
Ebbene, nella sua postfazione a "Zibaldone" di Romano Amerio, il professor Radaelli accoglie la proposta di monsignor Gherardini, ma "solo come un utile primo gradino per ripulire l'aia da molti, da troppi fraintendimenti".
Chiarire il senso dei documenti conciliari, infatti, a giudizio di Radaelli non basta, se tale chiarimento viene poi anch'esso offerto alla Chiesa con il medesimo, inefficace stile d'insegnamento "pastorale" entrato in uso con il Concilio, propositivo invece che impositivo.
Se l'abbandono del principio di autorità e il "discussionismo" sono la malattia della Chiesa conciliare e postconciliare, per uscire da lì – scrive Radaelli – è necessario agire all'opposto. La somma gerarchia della Chiesa deve chiudere la discussione con un pronunciamento dogmatico "ex cathedra", infallibile e obbligante. Deve colpire con l'anatema chi non obbedisce e benedire chi obbedisce.
E Radaelli cosa si aspetta che decreti la suprema cattedra della Chiesa? Alla pari di Amerio, egli è convinto che in almeno tre casi vi sia stata "un'abissale rottura di continuità" tra il Vaticano II e il precedente magistero: là dove il Concilio afferma che la Chiesa di Cristo "sussiste nella" Chiesa cattolica invece di dire che "è" la Chiesa cattolica; là dove asserisce che "i cristiani adorano lo stesso Dio adorato da ebrei ed islamici"; e nella dichiarazione "Dignitatis humanæ" sulla libertà religiosa.
Papa Ratzinger non ha finora convinto i lefebvriani, che proprio su questo punto cruciale si mantengono in stato di scisma.
[Da rettificare questa affermazione di Magister: Benedetto XVI ha parlato di una comunità sacerdotale in pericolo di separazione. Quindi lo scisma per il papa regnante (che si vocifera nei sacri palazzi non avrebbe voluto a suo tempo la scomunica) non è stato consumato. Tanti cardinali hanno via via sostenuto tale posizione, non solo Castrillon Hoyos, ma anche, fra i molti, l'allora Presidente del Consiglio per l'interpretazione dei testi legislativi, Castillo LLara. Anche Cassidy sosteneva che i lefebvriani erano in una situazione di irregolarità ma erano nella Chiesa. - ndR]
Ma non ha convinto – a quanto scrivono Radaelli e Gherardini – nemmeno alcuni suoi figli "obbedientissimi in Cristo".
(Fine citazione Magister)
4. La riflessione della Redazione di Messa in Latino.
Non saremmo così categorici circa il futuro rifiuto di Benedetto XVI di accogliere la domanda di chiarimenti avanzata da mons. Gherardini e, ora, da Radaelli. Anzi: i colloqui dottrinali con i lefebvriani potrebbero esserne l'occasione. Certamente, il Papa deve preparare gradualmente gli spiriti (come ha cominciato del resto a fare con la Dominus Iesus, contro cui si scatenò quasi tutta la Chiesa), né può ovviamente sconfessare apertamente i testi conciliari, pena non solo un'opposizione invincibile, ma ancor più una contraddizione magisteriale ancor più grave, forse, di quella tra i documenti del Concilio e il magistero precedente. Di qui la sua esigenza di tenere insieme tutti i pezzi del puzzle. Ma la dichiarazione del Sant'Uffizio sul 'subsistit' è già un passo estremamente importante, anche se certo deve essere rafforzato sotto il profilo della cogenza magisteriale, nonché mediante l'abbandono di certe residue ambiguità di discorso che sono, come nota Radaelli, la cifra espressiva caratteristica degli ultimi 40 anni.
Circa la libertà religiosa, il Papa, nell'importantissima allocuzione del 22 dicembre 2005, distinse tra i princìpi, rimasti immutati, e la loro applicazione concreta che ha portato nell'Ottocento al Sillabo, e nel Novecento alla Dignitatis Humanae (che lo stesso giovane Ratzinger definì l'antisillabo). Benedetto XVI si accorge che il filo del suo discorso, volto a tenere insieme quanto appare inconciliabile, è arduo da seguire - per non dire tenue! - e lo ammette scrivendo: "È chiaro che in tutti questi settori, che nel loro insieme formano un unico problema, poteva emergere una qualche forma di discontinuità e che, in un certo senso, si era manifestata di fatto una discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava non abbandonata la continuità nei principi – fatto questo che facilmente sfugge alla prima percezione". Vogliamo però aggiungere che il tentativo di compromesso (compromesso, si ripete, inevitabile, non potendosi purtroppo considerare il Concilio tamquam non esset) ci sembra avere una sua plausibilità, oltre che un'indubbia necessità. Scendendo da un piano astratto ad uno molto concreto, che ci è più congeniale, ci permettiamo inoltre di aggiungere una considerazione, anche per stimolare la discussione e, perché no, la correzione da parte dei lettori. Eccola: se il Sillabo si inseriva in un contesto storico nel quale vi erano ancora Stati almeno formalmente confessionali, che si potevano quindi richiamare al dovere di difendere la Fede, ha senso controvertere oggi sulla questione se lo Stato debba restringere la libertà dei culti acattolici, quando la realtà evolve sempre più verso un laicismo apertamente anticristiano, o peggio ancora verso la conquista islamica, sicché teorizzare divieti e censure statali in favore della vera religione è completamente velleitario, mentre invocare libertà religiosa per tutti appare come una forma di garanzia per i cattolici perseguitati di oggi e di domani?
Enrico (Messa in Latino) 13 luglio 2010
Conclusioni
Non mancano le obiezioni, in campo progressista, nell'accogliere con difficoltà l'affermazione di Amerio che le assicurazioni di Nostro Signore valgono solo per quelle definizioni che sono ex cathedra. Si sostiene che, se così fosse, il Magistero Vivente [conosciamo purtroppo il senso storicistico dato a questo termine] della Chiesa sembrerebbe del tutto superfluo dato che di definizioni ex cathedra ce n'è una ogni 2 secoli. I novatori ritengono del tutto ingiustificate le posizioni di dissenso - o per lo meno le questioni aperte con perplessità e interrogativi - con alcuni tratti di Magistero postconciliare
Resta assodato che si dà infallibilità quando in modo esplicito si afferma una dottrina che si impone come verità che tutta la Chiesa deve professare perché contenuta nella Rivelazione, o si ribadiscono verità già definite. La Chiesa deve restare fedele ai princìpi della dottrina sempre insegnata e continuare ad insegnarli e custodirli. Poi, nella prassi, necessariamente essa si piega a salvare il salvabile. Resta comunque indubitabile che la Chiesa non può - non deve - riconoscere il diritto all'errore sia all'interno (eresie che diventano 'pastorale diocesana') che all'esterno (le false religioni, che non possono né devono essere incoraggiate in alcun modo). E quanti vescovi, in nome dell'uguaglianza delle religioni incoraggiano l'Islam o in nome di un falso ecumenismo offrono luoghi di culto ai protestanti e praticano una indebita "communicatio in sacris", mentre per contro boicottano le celebrazioni delle Messe Gregoriane, di fatto disattendendo il motu proprio del Papa e discriminando proprio i cattolici?
Se la Dignitatis Humanae fosse soltanto un doumento di indicazione puramente pastorale, non ci sarebbero problemi. Sarebbe un modo più arzigogolato di esprimere il concetto di tolleranza necessaria in determinate situazioni storiche. Ma il tono del documento è alquanto diverso. Il Magistero sull'argomento non si ferma a Pio IX: dobbiamo ricordare le encicliche Immortale Dei, Libertas e Rerum Novarum di Leone XIII, la Quadragesimo anno e la Quas primas sulla regalità di Cristo di Pio XI, i vari discorsi di grave carattere dottrinale di Pio XII.
La Regalità di Cristo è esercitata dalla potestà della Chiesa direttamente sulle cose spirituali, indirettamente attraverso lo Stato. Se lo Stato è cattolico l'esercizio di questa potestà è attuale, se laico o agnostico l'esercizio è virtuale. In quest'ultima circostanza lo strumento principale a tutela dei diritti della Chiesa è il concordato. Tuttavia è bene sottolineare la differenza tra "libertà religiosa per tutti" e "uguaglianza di tutte le religioni", che rischia di espungere, se già non l'ha fatto in gran parte, l'unicum costituito dal Signore Gesù che non può mai essere scisso dalla Sua Chiesa, Suo Corpo Mistico: Incarnazione, Vita, Morte di Croce [espiatrice e Redentrice, non 'per grande solidarietà', come asserito da più di un vescovo(!?)], Risurrezione, Ascensione, Invio dello Spirito, che continua a ri-generare e rendere Bella la Sposa.