Ecco che cosa fa del canto gregoriano quella definizione di “canto della Chiesa”. Se, da questa primissima e ovvia definizione, saliamo di un gradino ci accorgiamo immediatamente che esso, paradossalmente, non è canto, non è musica. È sottomesso ad altri scopi; non conosce canoni musicali e ritmici fissi applicabili indifferentemente a formule melodiche prestabilite. Ogni brano conserva caratteristiche retoriche specifiche che mettono musicalmente in luce determinate parole piuttosto che altre, un fraseggio piuttosto che un altro, ritmi scorrevoli piuttosto che un andamento allargato: tutto questo serve per sottolineare, attraverso il suono, quella particolare parola e ottenere, così, quel preciso significato che si inserisce in quel determinato contesto liturgico. Ecco il vero fascino del canto gregoriano: non è un semplice pronunciamento del testo, ma una spiegazione, è la lectio divina della Chiesa, è la Parola che si fa suono. Ogni brano, anzi ogni neuma, è frutto di una lenta maturazione il cui fine è, attraverso finissimi artifici retorici, proporre la Parola nella sua autentica interpretazione. E la Parola non è posta nella liturgia, ma è essa stessa liturgia: il canto, in quanto manifestazione sonora della Parola divina, è liturgia [qui].
Ed ecco cosa ci dice in questo tempo di Avvento
Ed ecco cosa ci dice in questo tempo di Avvento
«Noi annunziamo che Cristo verrà. Infatti non è unica la sua venuta, ma ve n’è una seconda, la quale sarà molto più gloriosa della precedente. La prima, infatti, ebbe il sigillo della sofferenza, l’altra porterà una corona di divina regalità. […] Due sono anche le sue discese nella storia. Una prima volta è venuto in modo oscuro e silenzioso, come la pioggia sul vello. Una seconda volta verrà nel futuro in splendore e chiarezza davanti agli occhi di tutti. Nella sua prima venuta fu avvolto in fasce e posto in una stalla, nella seconda si vestirà di luce come di un manto. Nella prima accettò la croce senza rifiutare il disonore, nell’altra avanzerà scortato dalle schiere degli angeli e sarà pieno di gloria. Perciò non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda».
Queste parole di Cirillo di Gerusalemme inquadrano perfettamente quella che è la caratterizzazione liturgica cattolica del tempo di Avvento. Esso, non appartenendo alla tradizione liturgica romana, si presenta come piuttosto “anomalo”: oltre che attesa per l’imminente nascita del Salvatore (l’adventus in carne), l’Avvento è anche l’attesa della parousìa, la seconda venuta del Signore, quella finale e gloriosa (l’adventus in maiestate), come testimoniano innumerevoli testimonianze patristiche.
Certo, questo difficilmente lo si potrà dedurre dalle liturgie della neo-Chiesa postconciliare che, dell’Avvento, ha fatto solamente una zuccherosa e puerile attesa del bambino che, come insegna Bergoglio, «si è incarnato per infondere nell’anima degli uomini il sentimento della fratellanza» [vedi nel blog]. Dell’Avvento, ormai, si è innegabilmente persa la concezione di tempo escatologico quando, il canto gregoriano, questo lo veicolava perfettamente.
Nei vangeli del tempo di Avvento, ad esempio, non mancano le fonti: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21, 25). O ancora: «Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (Lc 21, 36).
E tutto questo bagaglio della Rivelazione, giacché la Tradizione, con la Sacra Scrittura, ne è la sua seconda faccia, è ben presente nel canto gregoriano. La I domenica d’Avvento, ad esempio, ci ha offerto, nei testi della messa, anche questa lettura escatologica dell’attesa: l’Avvento è, sì, l’attesa di un bambino, ma è anche l’attesa dei servi che non sanno quando arriverà il padrone (cfr Mc 13, 33-37), è l’attesa di noi che non immaginiamo quando «il Figlio dell’uomo verrà» (Mt 24, 44). Il tema del Giudizio, teologicamente fondamentale, ispirò, per questa domenica, addirittura una sequenza propria: il Dies irae, uno dei brani più noti e associato a manifesto del funereo. Essa, invece, grazie al suo testo apocalittico, parrebbe essere nata proprio come sequenza di apertura dell’Avvento. Il Dies irae ricorda, nel momento in cui si attende la venuta terrena dell’Emmanuele, che Egli ritornerà una seconda volta come Giudice glorioso.
E su questo stesso tenore, quasi, il tempo d’Avvento volgerà alla sua conclusione. Basti osservare il communio Ecce Dominus veniet della feria II “in ultimis feriis”: «Ecce Dominus veniet, et omnes sancti eius cum eo, et erit in die illa lux magna» (Ecco, il Signore verrà, e con lui tutti i suoi santi, e in quel giorno ci sarà una grande luce). La venuta “con tutti i suoi santi” è, evidentemente, la seconda, quella ultima. E che sia il secondo avvento quello su cui questo brano intende porre la sua attenzione ci è indicato da un altro preciso elemento. Il rapido andamento iniziale, dopo un provvisorio indugio su «veniet», comincia ad allargare massicciamente proprio sulla frase «omnes sancti eius cum eo» per poi raggiungere la culminanza melodica su «die», il giorno, quel giorno. Ma il “secondo”, non il primo come saremmo portati a pensare a sentire certe esegesi postconciliari. Per il cantore medievale che intonava, in Avvento, l’Ecce Dominus veniet, diventava così del tutto naturale proiettarsi all’Adventus in maiestate.
Il rimando musicale al “secondo avvento” che il gregoriano instaurava, riusciva, così, a richiamare facilmente alla mente dei fedeli anche il teologicamente complesso significato ultimo del tempo d’Avvento.
Mattia Rossi
su Radio Spada
4 commenti:
Pur nella mai cultura media compreso da sempre che il canto gregoriano è innanzitutto preghiera e catechesi.
Oggi è diventato spettacolo, nelle nostre chiese di giorno si celebra una liturgia spesso piatta e banale, e la sera si organizzano concerti di gregoriano, anche splendidi, e la gente ci va come a teatro.
Guido
"nelle nostre chiese di giorno si celebra una liturgia spesso piatta e banale, e la sera si organizzano concerti di gregoriano, anche splendidi, e la gente ci va come a teatro."
vero.
Di più, il cambio di prospettiva che noti è sigillato anche dal fatto che quando la gente assiste a un canto gregoriano serale, a mo' di concerto, spesso applaude.
Applaude cioè alla maestria, all'uomo...ma come a un'esecuzione, non come che le persone abbiano preso parte a un momento di preghiera, lode, liturgia, teologia vive....
la deriva in questo senso è una strada che sembra ormai tracciata anche quando vedo applaudire davanti a qualche semplice momento (al di fuori della S. Messa ma pur sempre in chiesa, in contesti ben precisi) di spiegazione della storia sacra, o di passi della S.Scrittura...come fossero eccezioni, o premi da tributare agli uomini in momenti del tutto eccezionali...e non un essere parte integrante della vita di fede
In realtà tutti questi atteggiamenti nascondono un'inversione dei veri significati, degli scopi, dei fini... triste
Incredibile!
La linamenta per Sinodo 15 sembra affermare la famiglia alternativa in n. 22
« come la cellula basilare necessaria e feconda della convivenza umana. »
Trascrivo qui, quanto il lettore Renzo T. ha scritto nella discussione di cui al primo link ad un precedente articolo di Mattia Rossi:
Posso concordare con quanto precedentemente espresso, in linea generale, sulla questione dei concerti in chiesa di canto gregoriano. A volte, però, si riscontra una maggior spiritualità in questi concerti, dove gli ascoltatori vengono preventivamente invitati a non applaudire, piuttosto che in molte messe domenicali, dove si applaude, dove suonano le chitarre ad alto volume, dove si sente il fracasso delle batterie e dei bonghi, dove si danza attorno al "vitello d'oro", dove, in estrema sintesi, si celebra ed esalta l'uomo. Come bene riportava Mattia Rossi: "liturgie antropocentriche" in luogo di quelle "teocentriche" di un tempo.
Questi gruppi che eseguono il canto gregoriano, composti quasi esclusivamente da laici e guardati con sospetto, quando non addirittura con disprezzo, dalla neo-chiesa, pur con tutte le loro miserie umane, non ultime quelle piacevoli e gratificanti sensazioni che ne derivano dall'applauso finale delle loro esibizioni, hanno il compito di "conservare la semente" del canto gregoriano, semente che questa neo-chiesa in questi ultimi dieci lustri avrebbe certamente disperso. Non sappiamo quando la Chiesa si riconcilierà con la propria Tradizione e la spiritualità diverrà ancora elemento centrale ed identificativo del Santo Sacrificio Eucaristico, ma quando verrà quel tempo, se la semente del canto gregoriano si sarà conservata, dovremo ringraziare anche questi gruppi che fanno concerti. Gruppi disprezzati sia dalla neo-chiesa sia dai tradizionalisti.
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