Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 12 febbraio 2014

Altare e mensa nella riforma liturgica

L'Altare di S. Clemente al Laterano
Romano Amerio, nel suo Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel XX secolo ha dedicato un capitolo specificamente all'Eucaristia, la cui lettura (che diventa studio e meditazione) vi propongo qui.

Nello stesso testo egli dedica un intero Capitolo alla Riforma liturgica, nel quale mette il luce numerosi punti e luoghi di quella che chiama la sottigliezza bicipite dei redattori, cui ha fatto seguito quella degli applicatori. Tra questi estraggo un testo chiave: Altare e mensa nelle riforma liturgica.

290. Altare e mensa nella riforma liturgica. – Le mutazioni avvenute nella struttura e nel sito dell’altare in seguito alla riforma liturgica arguiscono le variazioni avvenute nella mentalità ecclesiale, consapute o inconsapevoli che esse sieno. Le idee (lo abbiamo notato tante volte) si muovono infatti secondo una loro interna meccanica irrepugnabile.

Una prima idea che andò smarrita è quella dell’altare come base massiccia, inconcutibile [garantito da una stabilità o validità perenne, inamovibile] ed eccelsa sulla quale immolare il sacrificio. L’altare simboleggiava il «monte di visione» su cui Abramo si disponeva a sacrificare il figlio in obbedienza al Signore e figurava altresì l’altura del Calvario dell’uomo-Dio. All’altare era connessa l’idea della stabilità ed eternità e celsitudine del Nume. Non diversamente in Omero al talamo di Ulisse, lavorato dentro il ceppo vivo di un ulivo, era connessa quella della perpetuità delle nozze. L’altare dunque stava in excelsis, era, il sito del sacrificio, recava i segni dell’immutabilità di Dio. Siccome poi era il luogo dell’eucaristia gli spettava la posizione più degna, più eminente e più visibile di tutto il tempio.
Io so bene che la struttura e il sito dell’altare variarono nei secoli e che l’attuale assetto risale sostanzialmente al Tridentino, ma non credo che il solo essersi provato che una persuasione o un costume, successivamente perenti, sono preesistiti nella Chiesa, sia motivo per tornare a quelle modalità che già furono. Per risuscitare una forma che fu occorre che quella forma, quando fosse risuscitata, realizzasse più pienamente che le attuali il senso della fede e le credenze della Chiesa. Infatti molte forme di vita della Chiesa storica rappresentano un grado inferiore di quella cognizione della fede e di quel sensus Christi che si sviluppa progressivamente nella Chiesa. Tornare ad esse implicherebbe un passo retrogrado. Basti pensare al culto e ai dogmi mariali, alla coscienza medesima del dogma teandrico e in genere alla superiorità di cognizione delle verità rivelate quale è nel presente confrontata al passato della Chiesa (§ 269). Ora, la perfetta consapevolezza del dogma eucaristico e la necessità di venerare, adorare, custodire con somma cura il Sacramento è certamente meno presente nella riforma conciliare.

In primo luogo va smarrita l’idea dell’inconcutibilità [stabilità o validità perenne, inamovibile] dell’altare, giacché essendo prevalso al carattere sacrificale il significato simposiale[1] della Messa, la gracile e disadorna ed amovibile mensa ha eliminato il massiccio, monumentale e immobile altare. Questo viene abbattuto (se le autorità civili non lo difendono per ragioni artistiche) oppure mozzato della mensa e ridotto a dossale oppure conservato ma annullato funzionalmente dietro al nuovo.
In secondo luogo anziché in sito elevato e dominante l’altare è posto nel fondo dell’aula e lo sovrastano, come in un teatro sovrastano la scena, le gradinate della cavea destinata al popolo.
In terzo luogo il Sacramento, un tempo serbato in tabernacolo sopra l’altare, ha perduto il sito centrale, che è il degnissimo, e viene collocato a lato della mensa o in un sacello secondario non immediatamente riconoscibile oppure lasciato nel tabernacolo centrale antico che però viene adesso a trovarsi a tergo del celebrante.

291. L’altare facciale. – L’altare facciale è la variazione più importante intervenuta dopo il Concilio. La riforma stessa lo dichiarava «non indispensabile», e ordinava la conservazione dell’altare prisco quando ragioni storiche o artistiche o religiose la raccomandavano; vietava infine di costituire due altari, uno davanti all’altro, in un medesimo presbiterio. 

Tuttavia quasi dappertutto, ove l’autorità civile non ostasse, si demolirono gli antichi altari o quanto meno si duplicarono nel medesimo presbiterio, piantandovi la mensa, affinché si potesse celebrare con la faccia al popolo.

L’altare versus populum era ammesso dalla liturgia anche prima della riforma, ma sembra che fosse subordinato all’orientazione dell’edificio, giacché le rubriche dicono: «Si altare sit ad orientem versus populum». Ma la posizione del celebrante deve rispettare la preminenza assoluta del Sacramento, tanto se l’assemblea si raccoglie tutt’attorno al sacerdote come fu in antico (ed è adombrato ancora dal termine omnium circumstantium del canone), quanto se il popolo di Dio gli si addensa dietro o davanti.

L’altare facciale presenta gravi inconvenienti. Se, come spessissimo avviene, esso è piantato davanti all’altare antico contenente il tabernacolo, è indecente che il celebrante volga le spalle al Sacramento per volgere la faccia al popolo. Si verifica allora la «abominazione» esecrata in Ezech., 8, 16 quando i sacerdoti sacrificano voltando la schiena al Sancta Sanctorum. L’indecenza appare più manifesta se si rifletta che nella Vecchia Legge v’era un Sancta Sanctorum prefigurato e qui il Santissimo reale. L’indecenza risulta più manifesta, se si rammenti che per non volgere il tergo al Santissimo i pulpiti si costruivano nel fianco della nave e che durante l’esposizione del Santissimo, mentre si predicava, l’ostensorio veniva velato, reputandosi irriverenza il solo stare al cospetto del Sacramento senza attendervi.

Ma prescindendo dall’irriverenza al Sacramento, una celebrazione versus populum patisce altri inconvenienti. Gli spazi nei quali noi ci moviamo sono anche spazi di emozioni e di valori, perché lo spazio universale, base di tutti gli enti corporei, è differenziato oltre che dai suoi termini fisici da significati ultrafisici che sono il fondamento del simbolismo che è a sua volta la faccia intelligibile del sacro. Il davanti per esempio è speranza e il di dietro sospetto; la destra favore, la sinistra sventura; l’alto il divino, il basso il male; il dritto la verità, l’obliquo l’incertezza ecc. Così nella liturgia posizioni e disposizioni, tanto degli oggetti quanto delle persone, portano significati profondi che convengono o disconvengono alla realtà del sacro. Che il prete volga la faccia verso il popolo e il popolo verso il prete crea una situazione tutta diversa da quando avevano entrambi l’identica orientazione. La celebrazione facciale rompe l’unanimità dell’assemblea. Nel rito preconciliare della Messa prete e fedeli sono rivolti tutti insieme verso Dio che antistà e sovrastà a tutti. Essi stanno in disposizione gerarchica ed hanno mira teotropica [luogo semantico riferito a Dio].

Nella nuova Messa «à l’envers», come diceva Claudel, è verso l’uomo e la faccia dell’uomo che si volge l’assemblea e che si volge il sacerdote. Si corrompe l’unanimità della Chiesa, perché il Dio cui si volge il popolo sta per così dire a rovescio di quello cui si volge il prete. La destra del sacerdote è la sinistra del popolo. Il celebrante è al cospetto di un Dio a cui il popolo volge il dorso e il popolo viceversa è al cospetto di un Dio cui volge il dorso il celebrante. Certo, si può prescindere da questa figurazione e accentrare i pensieri nell’ostia del sacrificio, ma la naturale pietà umana procede per figurazioni e immagina persone.

Si corrompe, dissi, l’unanimità della Chiesa che non è la considerazione reciproca dei suoi membri, ma il guardare a Dio tutti insieme. Si riduce la Chiesa a comunità di concentrazione, mentre essa è comunità di proiezione verso un unico punto trascendente.

[Fonte Romano Amerio, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Lindau. Torino 2009, pp. 572-575]
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Nota di Chiesa e post-concilio
[1] È vero che la Messa nasce nell'Ultima Cena, come ci viene ricordato anche di recente, ma non riproduce la Cena: porta direttamente sul Calvario, dove si compie il Sacrificio [nella stessa formula consacratoria Calix Sanguinis mei... qui effundetur = sarà versato - e non versato], che è nominato certamente anche nel riferimento di cui al link, ma non è più significato pienamente nella liturgia, Actio del Signore divenuta rappresentazione, se non narrazione, con evidente diminutio dell'esplicitazione dell'azione di Cristo. Pur non potendosi disconoscere che il rito riformato, nella sua parte cerimoniale, conserva validità, che risiede nelle indicazioni più che nelle rubriche del Messale di Paolo VI, esso produce nel tempo un difetto del contenuto della confessione della fede proprio nel suo punto centrale, cruciale, appunto, senza il quale non c'è Risurrezione.

7 commenti:

mic ha detto...

L'idea che il sacerdote stia di fronte alla comunità risale senza dubbio a Martin Lutero. […] Prima di Lutero l'idea che il sacerdote quando celebra la messa stia di fronte alla comunità non si trova in nessun testo letterario, né è possibile utilizzare per suffragarla i risultati della ricerca archeologica. […] Dal punto di vista cattolico, invero, carattere sacrificale e conviviale della messa non sono mai stati in contrasto. Cena e sacrificio sono due elementi della medesima celebrazione. Certo col mutare dei tempi non sempre essi sono stati espressi con pari forza. […] Se al giorno d'oggi si desidera dare un rilievo maggiore al carattere di convito della celebrazione eucaristica, va detto che nella celebrazione versus populum questo non è che appaia con la forza che spesso si crede e si vorrebbe. Infatti soltanto il "presidente" della cena sta effettivamente al tavolo, mentre tutti gli altri convitati siedono giù nella navata, nei posti destinati agli "spettatori", senza poter avere alcun rapporto diretto col tavolo della Cena. Il modo migliore per rivendicare il carattere sacrificale della messa è dato dall'atto di volgersi tutti insieme col sacerdote (verso oriente, vale a dire) nella medesima direzione durante la preghiera eucaristica, nel corso della quale viene offerto realmente il santo sacrificio. Il carattere conviviale potrebbe essere invece sottolineato maggiormente nel rito della comunione […]. Secondo la concezione cattolica la messa è ben di più di una comunità riunita per la cena in memoria di Gesù di Nazareth: ciò che è determinante non è realizzare l'esperienza comunitaria, sebbene anche questa non sia da trascurare (cfr. 1Cor 10,17), ma è invece il culto che la comunità rende a Dio. Il punto di riferimento deve essere sempre Dio e non l'uomo, e per questa ragione fin dalle origini nella preghiera cristiana tutti si rivolgono verso di Lui, sacerdote e comunità non possono stare di fronte. Da tutto ciò dobbiamo trarre le dovute conseguenze: la celebrazione versus populum va considerata per quello che in realtà è, una novità, una invenzione di Martin Lutero. (Mons. Klaus Gamber, in "Instaurare omnia in Christo", 2/1990)

postratzinger ha detto...

Notizie per pochi noti, visto che la Chiesa ha voltato pagina e si rinnova..

Anonimo ha detto...

Non ha voltato pagina, ha chiuso il libro e l'ha buttato via....

Anonimo ha detto...

"...soltanto il "presidente" della cena sta effettivamente al tavolo, mentre tutti gli altri convitati siedono giù nella navata, nei posti destinati agli "spettatori", senza poter avere alcun rapporto diretto col tavolo della Cena."

Ormai in molti casi si è oltrepassato questo "step". Siamo già al successivo (invasione del presbiterio, e non solo N.C.!), nell'attesa di collocare il "laico" al posto del celebrante. Con questo la "riforma" può dirsi finalmente compiuta.

Jacobus ha detto...

I "pochi noti" ringraziano di questo cibo solido che sta diventando introvabile.

bernardino ha detto...

Anonimo, credi che ci manchi molto che si faccia notte? - cioe' che il laico prenda il posto del Ministro? -
Gia' ora il ministro con la m minuscola non e' piu' Ministro, ma presidente di assemblea.

mic ha detto...

Sai, Jacobus, credo che invece di pochi noti ci siano tanti che attingono, anche se restano sconosciuti.

Ti ringrazio del file. Lo pubblicherò.