Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 14 luglio 2022

In Vaticano è gara tra chi è più filocinese. In testa c’è Sant’Egidio

L'articolo che segue è ripreso da Settimo cielo. Qui l'indice dei precedenti sulla questione Sino/Vaticana. Qui - qui - qui precedenti sulla Sant'Egidio, protagonista anche nei cosiddetti corridoi umanitari [qui] che favoriscono l'invasione dei musulmani.

Nella foto qui sopra, il cardinale Giuseppe Zen Zekiun alza un cartello con la richiesta di liberare il vescovo di Xuanhua Agostino Cui Tai, 72 anni, più volte finito in prigione dal 2007 per periodi più o meno lunghi, e ora di nuovo agli arresti in una località sconosciuta.
Tai non è il solo tra i vescovi della Cina finiti dietro le sbarre o agli arresti domiciliari. Il vescovo di Xinxiang Giuseppe Zhang Weizhu è stato imprigionato il 21 maggio 2021 e da allora è detenuto chissà dove. Il vescovo di Wenzhou Pietro Shao Zumin è stato arrestato lo scorso 21 aprile. Quello di Zhengding Giulio Jia Zhiguo il 15 agosto del 2020. Il vescovo ausiliare di Xiapu-Mindong Vincenzo Guo Xijin è stato sottoposto a domicilio coatto e ha dovuto dimettersi da ogni carica.
Ancor più clamorosa è la privazione della libertà inflitta al vescovo di Shanghai Taddeo Ma Daqin, destituito dalle autorità cinesi il giorno stesso della sua ordinazione episcopale nel 2012 per essersi dissociato dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, il principale strumento con cui il regime irreggimenta la Chiesa, e da allora ininterrottamente agli arresti domiciliari, nonostante l’atto pubblico di sottomissione dal lui sottoscritto nel 2015.

Per non dire della sorte toccata allo stesso cardinale Zen, vescovo di Hong Kong dal 2002 al 2009, arrestato l’11 maggio di quest’anno [qui - qui - quiqui], rilasciato dietro pagamento di una cauzione e in attesa di processo per offesa alla sicurezza nazionale e collusione con forze straniere.

Durante il pontificato di Francesco, non una sola parola pubblica è stata mai spesa da lui o dalle autorità vaticane perché siano sciolte le restrizioni a questi vescovi, oltre che ai tanti sacerdoti e fedeli che in Cina e a Hong Kong subiscono la stessa sorte.

Eppure tra la Cina e la Santa Sede intercorre dal 22 ottobre 2018 un accordo “provvisorio e segreto” sulla nomina dei vescovi, della durata di due anni, rinnovato il 22 ottobre 2020 e ora di nuovo prossimo alla scadenza. Con papa Francesco che dice di volerlo rinnovare un’altra volta così com’è, perché “davanti a una situazione chiusa bisogna cercare la strada possibile, non ideale”.

Le clausole dell’accordo non sono pubbliche, ma da quel che s’intuisce la scelta del nuovo vescovo spetta alle autorità cinesi tramite organi similecclesiastici sotto il loro totale controllo, con la facoltà del papa di accettare o respingere il designato.

All’atto della stipula, nel 2018, la Santa Sede revocò le scomuniche a sette vescovi insediati unilateralmente dal regime, assegnando a loro le diocesi in cui risiedevano. Uno di questi, Paolo Lei Shiyin, ha celebrato con grande pompa lo scorso 29 giugno, nella cattedrale della sua diocesi di Leshan, l’anniversario della fondazione del Partito comunista cinese, esortando i suoi fedeli ad “ascoltare la parola del Partito, sentire la grazia del Partito e seguire il Partito”.

Ma in cambio la Santa Sede non ottenne alcun benevolo corrispettivo dalle autorità cinesi, per quel paio di decine di vescovi nominati da Roma ma non riconosciuti da Pechino.

Anzi, è proprio contro questi vescovi “sotterranei” che le autorità cinesi si sono particolarmente accanite, anche dopo la stipula dell’accordo. A parte il cardinale Zen, tutti i vescovi finiti agli arresti appartengono a questa categoria di resistenti.

Quanto alla nomina di nuovi vescovi approvati da entrambe le parti, che l’accordo avrebbe dovuto facilitare, il consuntivo è magrissimo. Dopo quasi quattro anni, in Cina le diocesi prive di vescovo continuano ad essere più di un terzo delle 97 del totale, per l’esattezza 36, indicate una per una da “Asia News” il 10 luglio. Le nuove nomine sono state in tutto soltanto sei: nel 2019 a Jining e a Hanzhong (ma in questi due casi i candidati erano stati già concordati anni prima, rispettivamente nel 2010 e nel 2016); nel 2020 a Qingdao e a Hongdong; nel 2021 a Pingliang e a Hankou-Wuhan.

Non stupisce, quindi, che il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, abbia auspicato che nella trattativa per il rinnovo dell’accordo si rifletta “sulla necessità di fare precisazioni o rivedere alcuni punti”.

Nell’intervista del 2 luglio a Phil Pullella della “Reuters”, papa Francesco ha sciolto un inno al cardinale Parolin, “uomo di alto livello diplomatico”. Ma andando al sodo ha detto, nella stessa intervista, che per lui “l’accordo va bene” così e spera che “a ottobre si possa rinnovare”. Ed è verosimilmente questa la consegna che ha affidato all’arcivescovo Claudio Maria Celli, capo della delegazione vaticana nei negoziati per il rinnovo dell’accordo, ricevuto in udienza due giorni dopo. Da Pechino, il 6 luglio, il portavoce del ministero degli esteri Zhao Lijian ha assicurato che anche per la Cina l’accordo si è rivelato “un successo”.

“Si va lento, come dico io, ‘alla cinese’ – ha chiosato il papa –, perché i cinesi hanno quel senso del tempo che nessuno li affretta”.

Intanto a Hong Kong
Intanto, però, a Hong Kong si sono fatte sempre più incalzanti le misure di privazione delle libertà, a 25 anni dal ritorno della città alla madre patria.

Il nuovo capo esecutivo di questa “zona ad amministrazione speciale”, John Lee, eletto lo scorso 8 maggio dal 99 per cento dei membri del comitato elettorale controllato da Pechino, è cattolico e ha studiato in una scuola cattolica, come già la sua predecessore Carrie Lam. Ma è stato anche il capo del dipartimento per la sicurezza che nel 2019 ha pesantemente soppresso le proteste popolari per la libertà, anche le più pacifiche, che avevano tra i loro animatori personalità cattoliche di grande rilievo.

Lo scorso 16 aprile cinque di questi eminenti cattolici furono condannati e messi in prigione. “Sono i ‘confessori’, i profeti dei nostri giorni”, scrisse di loro il missionario italiano Gianni Criveller, che li conosceva di persona.

Poi, l’11 maggio, fu la volta del cardinale Zen, 90 anni, altro indomito “confessore” della fede e della libertà, oltre che critico severo dell’accordo tra il Vaticano e la Cina.

Alla notizia del suo arresto seguì il totale silenzio di Francesco, che già si era mostrato spietato con Zen rifiutando di riceverlo quando da Hong Kong il cardinale si era recato a Roma nel settembre del 2020, bussando invano per quattro giorni alla porta del papa.

Il cardinale Parolin si è detto “molto dispiaciuto” e ha espresso la sua “vicinanza” al cardinale “che è stato liberato e trattato bene”. Ma soprattutto si è premurato di assicurare che il suo arresto non andava letto come “una sconfessione” dell’accordo con la Cina.

Ma che “Hong Kong non è più oggi la grande testa di ponte cattolica che è stata” in passato, per la missione della Chiesa nella Cina continentale, è ormai un dato di fatto accettato anche dai diplomatici vaticani operanti nella città.

È quanto ha spiegato uno di questi diplomatici, il messicano Javier Herrera Corona, in una serie di quattro colloqui a porte chiuse tra l’ottobre del 2021 e la primavera di quest’anno con missionari cattolici della città, riferiti il 5 luglio in un servizio esclusivo della “Reuters” sulla base dei resoconti di alcuni dei presenti, non smentiti né dal Vaticano né dalla diocesi di Hong Kong.

L’arcivescovo Herrera Corona è stato nominato il 5 febbraio di quest’anno nunzio in Congo e Gabon, ma è stato dal 2016 uno dei due diplomatici vaticani, dal 2020 con il ruolo di capomissione, della cosiddetta “missione di studio” a Hong Kong, formalmente collegata alla nunziatura delle Filippine ma di fatto stabilmente presente nella metropoli cinese.

Non si ha notizia che Herrera Corona sia stato sostituito. Sul posto è rimasto il numero due della missione, qualificato come “segretario”, Alvaro Ernesto Izurieta y Sea, argentino dell’arcidiocesi di Buenos Aires, a Hong Kong dal 2020.

Ai suoi interlocutori, Herrera Corona ha prospettato un futuro per Hong Kong segnato da una limitazione sempre più forte delle libertà civili e religiose, al pari di quanto già avviene in Cina. Una stretta alla quale alcuni istituti missionari si preparano trasferendo all’estero le documentazioni riservate in loro possesso, specie quelle riguardanti i rapporti con i cinesi del continente.

Uno studio curato da Chen Jingguo della governativa Accademia delle scienze sociali e da Zhang Bin dell’università di Jinan, citato da Herrera Corona come prova del suo allarme, individua proprio nei cattolici di Hong Kong, e in particolare nel cardinale Zen, gli avversari più risoluti e influenti alla stretta operata dal regime, e quindi i primi da colpire.

L’eminenza grigia
Eppure, nonostante tutto, papa Francesco non si trova solo nel difendere a ogni costo la sua politica di “appeasement” con la Cina.
Se in segreteria di Stato qualche dubbio sulla bontà dell’accordo del 2018 timidamente trapela, a lato della diplomazia vaticana e in concorrenza con la stessa c’è chi lo sostiene con determinazione sfrenata.
A esercitare questa spinta marcatamente filocinese c’è una lobby e c’è un esperto. La lobby è la Comunità di Sant’Egidio e l’esperto è il professor Agostino Giovagnoli.

Giovagnoli è da decenni eminenza grigia della Comunità, in anni lontani in temporanea rivalità [vedi] con l’onnipotente fondatore Andrea Riccardi ma poi rappacificato. Abita a Roma, è sposato con la pedagogista Milena Santerini e assieme sono vicepresidi del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per il matrimonio e la famiglia. Insegna storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano ed è il commentatore principe delle questioni tra il Vaticano e la Cina – oltre che di geopolitica a più ampio raggio – per il quotidiano della conferenza episcopale italiana “Avvenire”.

La competenza che gli è riconosciuta sulla Cina è legata anche al fatto che Giovagnoli è membro del comitato scientifico dell’Istituto Confucio dell’Università Cattolica di Milano, uno dei numerosi Istituti Confucio promossi da Pechino in tutto il mondo per la diffusione della lingua e della cultura cinese.

Dirigono questo Istituto la cinese Liang Qing e l’italiana Elisa Giunipero, docente di storia della Cina contemporanea all’Università Cattolica di Milano e anch’essa vicina alla Comunità di Sant’Egidio, autrice di numerosi libri tra i quali uno curato assieme a Giovagnoli e dedicato proprio a “L’accordo tra Santa Sede e Cina. I cattolici cinesi tra passato e futuro” [vedi].

Come è noto, il cardinale attualmente in testa alla classifica degli ipotetici successori di papa Francesco è l’arcivescovo di Bologna e presidente della conferenza episcopale italiana Matteo Zuppi, anche lui membro storico della Comunità di Sant’Egidio.
Tra i cardinali c’è chi conosce talmente bene la Comunità da avvertire che eleggendo Zuppi il vero papa sarà Riccardi.
E perché no? Con Giovagnoli segretario di Stato. - Fonte

16 commenti:

Anonimo ha detto...

Che maneggioni!
Bisognerebbe avere una panoramica dello stato di salute dei movimenti nati a cavallo del CVII. Ho l'impressione che non navighino in buone acque.

Busiride ha detto...

Lo ripeto da anni. Se io dovessi arrivare al potere i miei primi due atti sarebbero:
- messa fuori legge dell'islam
- messa fuori legge della comunità di sant'egidio.

mic ha detto...

Draghi si è dimesso. Vedremo cosa succede...

Anonimo ha detto...

Il clima da funerale in cui sono sprofondati TG, approfondimenti e maratone varie, dimostra il fatto che nessuno si aspettasse le dimissioni del discepolo.

L'unica azione di rispetto verso la Costituzione che Draghi ha compiuto in oltre un anno e mezzo da Presidente del Consiglio, è l'aver presentato oggi le sue dimissioni. Erano obbligatorie? No!
È un comportamento politico rispettabile? Assolutamente Si!

Lo è perché oggi la maggioranza che lo ha sostenuto durante il suo governo, in parte è venuta meno, altrimenti per niente al mondo Draghi si sarebbe sognato di mettersi in discussione.
Di questo va dato merito a chi ha deciso di rompere quel clima da regime autoritario che si era creato.

Draghi ha governato sentendosi al di sopra della Costituzione, mettendo alle corde il Parlamento e portando avanti una politica di beneficio verso gli interessi finanziari, interessi che hanno permesso la sua ascesa politica alla guida dell'Italia creando un falso consenso attraverso quel braccio armato che si chiama stampa.

Si è attribuito un potere assoluto usando una maggioranza larghissima mai vista prima, e che gli ha permesso di portare avanti una politica neoliberista stile anni 90. Ovviamente grazie a delle nullità politiche come Letta, Renzi, Salvini e di Maio su tutti.

Per quanto riguarda Conte, gli attribuisco una colpa in particolare, quella di non aver staccato prima. L'avesse fatto sull'invio di armi all'Ucraina, parleremmo di altro e magari ci sarebbe qualche spiraglio di pace in più all'orizzonte. Ma sul fatto dei 5S ha giocato un ruolo fondamentale anche Grillo.

Comunque, assistere allo spettacolo di come si stanno stracciando le vesti tutti quelli che vedono queste dimissioni come fumo negli occhi (Letta, Di Maio, Renzi, Calenda, Tajani ecc), dimostra che l'ostacolo per ritorno alla democrazia non dipende solo da Draghi, ma anche di una classe dirigente ignorante culturalmente, scarsa intellettualmente ed incapace politicamente.

Molti di loro avranno seri problemi nel presentarsi davanti agli elettori per chiedere consenso elettorale, poiché verrebbero presi a colpi di uova come se non ci fosse un domani.

Ed è anche per questo che sperano che Draghi possa tornare sui suoi passi per permettere loro il prolungamento di qualche mese nel palazzo del potere. Con le dimissioni di Draghi i primi a prenderlo in quel posto sono proprio quelli che hanno deciso di piegarsi senza fiatare davanti alle pretese del Messia.

In ogni caso non è ancora finita. Tra questa classe politica che non è stata capace di eleggere un nuovo Presidente della Repubblica per mantenersi la poltrona, e gli interessi economico-finanziari che spingeranno per tenere Draghi a Chigi ne vedremo delle belle.

Personalmente se non vedo Mattarella sciogliere le camere o dare l'incarico da Premier ad un altro, non ci credo ad un tramonto di Draghi con una maggioranza pronta a piegarsi come prima , più di prima!

Intanto la strada è stata segnata attraverso il respingimento delle dimissioni!
Chi vivrà vedrà...

(Giuseppe Salamone)

Anonimo ha detto...

Concordo su tutto.
Di mio aggiungo che Draghi resterà e tutto continuerà come prima, peggio di prima.

Anonimo ha detto...

Draghi non si è dimesso, si è auto dimesso.

Aveva davanti a sé provvedimenti difficili da far ingoiare per il prossimo autunno, per i quali, tra l’altro, nessun partito desidera assumere la paternità di primogenitura di impopolarità.
Enormi voragini di bilancio, di cui nessuno parla, a causa di misure per acquisti dissennati di milioni di dosi da inoculare, acquisti dissennati di attrezzature da buttare e miliardi di euro spesi per l’Ucraina in chiave militare per obbedire al diktat di Biden e Nato: le falle vanno coperte e con cosa?
In vista la “pandemia” energetica (secondo la definizione scellerata del pidiota Bonaccini a ricordare che non si esce più dall’emergenza): bollette oltre ogni sopportabilità e razionamenti in vista, sempre per seguire la follia di auto castrazione dell’UE e l’incremento della forza degli USA in campo economico.
L’inflazione tra non molto salirà a livelli di 30 anni fa.
Il prossimo presidente del consiglio sarà ogni giorno al centro di polemiche, insulti e assalti a tal punto che quanto già avvenuto sembrerà a noi di aver visto rose e fiori. Draghi che interesse ha a restare nel prossimo pandemonio?

Che dire di più? La cura Draghi, dopo quella di Conte, ha ridotto l’Italia allo sfacelo giuridico, culturale, economico, politico e per ultimo (ma è il primo) etico. La Costituzione da cui poter ripartire è carta straccia: inutile appellarsi ad essa. Semplicemente non esiste più.

Le finte opposizioni sono consapevoli che non potranno mantenere una sola delle promesse di fronte alla voragine di bilancio e a un’Italia divisa in ogni settore, avvilita, umiliata.
La decadenza è stata già servita, apparecchiata: deve essere soltanto consumata fino in fondo. Agli Italiani tocca bere il calice amaro versato negli ultimi trent’anni. Sapranno gettarne il contenuto con un sussulto di dignità, “buttando a mare” una classe politica e culturale di potere (ivi incluse le false opposizioni guerrafondaie)?

mic ha detto...

Ma se Draghi davvero se ne va, chi verrà potrà fare davvero gli interessi degli italiani e non quelli USA o dell'UE?

Anonimo ha detto...

AVREMO IL NOSTRO DAVIDE.

Tutti i governi UE sono in crisi o stanno per esserlo. E tutti contemporaneamente. I casi sono tre: o sanno di non poter reggere la guerra e cercano di sfilarsi prima di fuggire con l’elicottero o stanno per rinnovarsi evolvendo in dittature conclamate o hanno raggiunto il loro obiettivo. Quale? Chi deve capire capisce non serve specificare. L’ipotesi più probabile per me è la prima: le guerra sparigliano, sconvolgono gli schemi politici, rovesciano governi. A causa delle guerre crollarono imperi ben più saldi di questa scimmiottatura d’impero che è solo un ologramma privo di realtà, una proiezione cinematografica fondato sull’ipnosi ai titoli di coda. Il vero problema dell’Italia è che non ha alternative: la sx è bellicista, mondialista e scientista. La destra idem. Chiunque sarà al posto di Draghi sarà come lui. O forse no: poiché credo nell’imponderabile e credo nell’eternita’ di fondamenti millenari stabiliti una volta per sempre inevitabilmente credo anche alle svolte epocali che DEVONO accadere quando la misura è colma. Dunque mi aspetto che dall’oggi al domani emerga un outsider, un parvenu, un “underdog”. Una personalità assolutamente sconosciuta o marginalissima, da tutti ignorato, deriso o sottovalutato. Avremo il nostro Davide.

Anonimo ha detto...

Come sia, sia.
Quello che è accaduto riveste un'importanza vitale:
*La mossa di Conte ha dimostrato che 'si può fare' e come l'ha fatto lui qualche altro potrebbe farlo nel futuro prossimo;
*Il rifiutare le dimissioni da parte di Mattarella è stata un'altra mossa provvidenziale, perché offre agli Italiani, che hanno compreso, il tempo necessario per preparare, sul serio, il 'da farsi prossimo venturo';
*Draghi ha più volte spiegato sinceramente il suo più profondo sentire: tutelare l'onore della sua immagine pubblica; eseguire quei compiti che sono stati a lui assegnati dalla ue. Quindi l'Italia e gli Italiani non rientrano nel suo raggio di pensiero e di azione.

Ora agli Italiani, che hanno compreso, spetta il compito di rendersi disponibili per l'attraversata del Mar Rosso, per amor di Patria e degli Italiani, senza aspettarsi nessun riconoscimento, nessun vantaggio materiale, nessuna gloria né ora né mai. Devono solo scolpire nel loro cuore che senza NSGC loro ed ognuno di noi nulla possiamo senza di Lui.

Anonimo ha detto...

Paura eh! Siete tutti vili affaristi, usurai e ricattato
L'allarme rosso a Bruxelles è scattato subito. Nei Palazzi dell'Unione europea e anche nella sede della Nato. Le dimissioni di Mario Draghi rappresentano il più grande ostacolo che l'Unione potesse incontrare in queste fase. Dal punto di vista politico, dal punto di vista economico e dal punto di vista militare. Von der Leyen evidenzia la stretta collaborazione con il presidente del Consiglio. Preoccupazione per i 200 miliardi concessi con il Recovery Fund, il governo ne era garanzia

Anonimo ha detto...

Cari amici del blog, il teatro delle marionette ha terminato lo spettacolo e chiuso il teatrino, scordatevi elezioni anche a marzo 2023, a meno di insurrezioni popolari violente che in Italia neanche si possono ipotizzare, andrà avanti la solita penosa scena di servi dei servi dei valletti dei grandi poteri, si tira fuori la palla del RF, la seconda rata, ma dai, se manco la prima è arrivata, dato che il governo non ha presentato il numero minimo dei progetti attuabili in breve tempo, la pagliacciata è solo una lite da bambini dell'asilo tipo : presidente lui mi da fastidio e io me ne vado, ma resto se lui va via, gli altri bambini stanno seduti ai loro posti, ligi, ordinati e fedeli come barboncini, compresi gli impresentabili ministri di Esteri, Interni, e Sanità, de che vogliamo parlà de Ilary e Totti?

Elettra ha detto...

Temo fortemente che non vi sarà nessun Davide. Non sono più i tempi in cui Gabriele D'Annunzio, in Elettra (1904), nei Canti della ricordanza e dell'aspettazione invocava l'"Eroe necessario".
Trascrivo l'ultima strofa, prima di apprestarmi a richiedere alcuni libri - sicuramente deliziosi - al Centro Nazionale di Studi Dannunziani.

È figlia del silenzio la più bella sorte, /Verrà dal silenzio, vincendo la morte, /l'Eroe necessario. Tu veglia alle porte, /ricordati e aspetta.

Anonimo ha detto...

Chi festeggia le “dimissioni” di Draghi temo rimarrà deluso.

Primo perché il problema in Italia non é Mario Draghi in sé, bensì il sistema lobbystico non democratico - sostenuto in primis dalla sinistra radicalchic - che da più di un decennio sta tenendo in ostaggio la nostra nazione.

Perché prima fu Monti, poi Letta, poi Renzi, poi Gentiloni, poi Conte e ora lui: tutti in qualche modo acclamati come dei “salvatori della patria”: rivelatisi poi, alla prova dei fatti, delle semplici foglie di fico in grado di coprire temporaneamente la “sede vacante” che dovrebbe spettare - in una democrazia - a governi legittimati davvero del consenso popolare, tramite un rapporto fiduciario di carattere politico con il parlamento.

In Italia, invece, tutti i governi che si sono succeduti dal 2011 in poi - siano essi definiti come “tecnici” che come “politici” - hanno avuto almeno due caratteristiche comuni: un abuso strutturale del voto di fiducia su quasi tutti i provvedimenti importanti (distorcendo nell’essenza quindi l’equilibrio tra la funzione del governo e quella del parlamento) e la maniacale necessità di essere in qualche modo esecutori di potenze straniere (Monti con il suo “ce lo dice l’Europa”, Letta e Renzi con il loro asservimento alla folle geopolitica francese, Gentiloni che doveva accreditarsi per il suo successivo lavoro europeo, Conte e compagnia imbarazzante che tramite la “via della seta” ci hanno cinesizzato un po’ di più e, poi lui, SuperMario che ci ha reso tra i migliori clienti fissi di BigPharma e tra i più imbarazzanti yesmen di Joe Biden).

Il secondo motivo per sogghignare con insopprimibile soddisfazione per le “dimissioni” di Draghi, ma per non cantare in alcun modo vittoria, risiede proprio nella forza antidemocratica insita in questo sistema che sta tenendo in ostaggio l’Italia. Perché si tratta di un sistema complesso ed ermafrodita: che non ha bisogno di nessun uomo specifico per perpetuarsi ed é in grado di sostituire i suoi esecutori con un cinismo impressionante.

mic ha detto...

...segue
La strategia di questo sistema tentacolare è quello di favorire il caos, elevare un personaggio ad indiscutibile “salvatore della patria” (uno o più, vedesi il recente e pietoso parterre di “esperti” virologi) imporre una serie di atti definiti di volta in volta come “inevitabili”, “tecnici”, “emergenziali”, ecc., impedendo di fatto un confronto, un dibattito, una conta vera sui temi specifici. E poi liberarsi, una volta raggiunti gli obiettivi prefissi, degli attori (attori, non autori) della farsa.

Di fatto si tratta dello scontro tra “tecnica” e “politica”: dove oggi, anche tra i partiti politici, la prima la fa nettamente da padrona rispetto alla seconda.

Ecco perché, anche al di là di come la si pensi in termini di preferenze politiche, le uniche parole sensate continua a dirle - come un leitmotiv da qualche anno - Giorgia Meloni: tornare al voto, semplicemente.

Perché una democrazia si fonda su quello, sul voto dei propri rappresentanti. I quali a loro volta, nel caso della Costituzione italiana (che risulterebbe tuttora in vigore, lo sapete?), hanno l’onere - oltre che di legiferare - di cercare formule di equilibrio e di sintesi in grado di supportare un governo della nazione che si fondi su un rapporto di fiducia autentica (non estorta continuativamente) del parlamento.

E non c’è esperto che tenga, non c’è tecnico che tenga, non c’è “salvatore della patria” che tenga: o una democrazia si fonda sull’esito del voto popolare o non è una democrazia. Punto, non c’è molto da discutere.

Alla luce di questo, le “dimissioni” di Mario Draghi sarebbero una mezza buona notizia (anche perché con lui andrebbe a casa l’orrido ministro Speranza) solo se non ci fossero altri giochini di palazzo ammantati da “senso di responsabilità” ipocrita e fasullo.

Si vada al #voto, appena possibile.
E si preghi che gli italiani abbiano memoria.
Perché il decennio dei “fenomeni al potere” ci ha ridotto male.
Al posto dei volantini e dei manifesti, per la prossima campagna elettorale, dovremmo pensare di distribuire confezioni di fosforo per aiutare a ricordare cosa hanno fatto dell’Italia e chi sono tutti i responsabili.

Il voto, in questo caso, dovrebbe venire di conseguenza

Anonimo ha detto...

“L’Europa è nata dal monachesimo. Dopo il crollo dell’impero romano eravamo una terra di selve impenetrabili e lupi. Poi sono arrivati i monaci. Un uomo solo davanti a una selva può solo arretrare. Una squadra di uomini compatti, disciplinati, motivati avanza e dissoda il terreno: semina il grano, pianta gli ulivi, costruisce ponti e chiese e ostelli. E la vita ricomincia. Il riso, la birra, il Dom Perignon, il parmigiano, un’intera civiltà: dobbiamo tutto ai monaci. Il motto era Ora et labora. Prima prega, concentrato e attento, inginocchiato per terra, e poi lavora e ti verrà benissimo. E poi prega di nuovo, all’ora terza, alla sesta, alla nona e un’Europa di boschi impenetrabili e lupi diventerà un giardino fiorito all’ombra di abbazie di una bellezza commovente.”
Silvana De Mari Blog

Anonimo ha detto...


"Dopo il crollo dell'impero romano eravamo una terra di selve impenetrabili.."

Per esser più precisi, tornammo ad essere terra di selve dopo il crollo dello Stato retto dai Goti, in seguito alla Guerra Gotica di Giustiniano per recuperare anche l'Italia a tutto l'impero. La guerra durò dal 535 al 553, diciotto anni, alla fine dei quali l'Italia ne uscì completamente devastata, ridotta a mal difeso avanposto occidentale dell'impero romano di nome ma nei fatti bizantino, anche se il latino era ancora la lingua ufficiale dell'esercito. Sotto i goti l'Italia si era ripresa abbastanza bene dalle invasioni barbariche. Era unita, teneva le isole, la Provenza e più o meno l'attuale Slovenia. I goti erano ariani ma la Chiesa li avrebbe col tempo convertiti al cattolicesimo. I rapporti con le classi dirigenti civili, romane, non erano facili ma il tempo avrebbe permesso sicuramente un'integrazione. L'ambizione megalomane di Giustiniano rovinò tutto.
Ma la rovina peggiore fu l'arrivo in Italia dei Longobardi, che si insediarono pochi anni dopo la fine della guerra (nel 568, cito a memoria) facilmente in un territorio spopolato, devastato, mal difeso. Cominciò allora la divisione dell'Italia, con i bizantini sulle coste e nelle isole, i longobardi sulla dorsale appenninica e nella pianura padana. I duchi longobardi non fecero mai nazione e inaugurarono l'abitudine di appoggiarsi allo straniero per esser indipendenti.

Tornammo ad essere selva e rovine. Cominciò in quest'epoca a brillare dapprima fiocamente la luce accesa dall'ora et labora dei monaci.
Il nostro tracollo, che ha segnato pesantemente tutta la storia successiva, fu dovuto non tanto alle invasioni barbariche quanto ad una guerra regolare tra Stati: un impero contro una nazione in formazione, che ne uscì distrutta. Senza quella guerra, l'Italia, unita sotto i Goti, avrebbe avuto quasi sicuramente uno sviluppo simile a quello della Gallia, unita sotto i Franchi.
H.