La Redazione della Rivista quindicinale antimodernista ‘sì sì no no’ (sisino@tiscali.it) ci ha concesso gentilmente di pubblicare in formato elettronico sul nostro sito quest’articolo, che apparirà in forma cartacea e con qualche aggiunta nel numero del 15 gennaio 2012 dell’omonima Rivista. Sperando di far chiarezza sul tema dei rapporti tra Tradizione e Magistero lo metto a disposizione dei nostri lettori.
Il documento è lungo e impegnativo, ma chiaro ed esaustivo e val la pena prenderne atto.
Il documento è lungo e impegnativo, ma chiaro ed esaustivo e val la pena prenderne atto.
IDEE CHIARE SUL MAGISTERO
*Attualità della questione: Tradizione/Magistero
Recentemente sono apparsi articoli e libri, che, per difendere la Tradizione e la Chiesa, o hanno esagerato la portata del Magistero, facendone un Assoluto oppure lo hanno minimizzato e quasi annichilito, negandone la funzione di interpretare la Tradizione e la S. Scrittura. Onde evitare gli errori per eccesso (che assolutizza il Magistero) e per difetto (che minimizza la sua realtà) riassumiamo sull’argomento quanto ha scritto in passato[1] e recentemente mons. BRUNERO GHERARDINI (vedi) e quanto si trova nei migliori manuali di ecclesiologia.
Occorre evitare la premessa erronea che fa del Magistero un Assoluto e non un ‘ente creato’, un Fine e non un mezzo, un Soggetto indipendente (absolutus = sciolto) da tutto e da tutti. Niente al mondo ha la dote dell’Assoluto. La Chiesa non fa eccezione, non la sua Tradizione, non il suo Magistero e neppure la Gerarchia, Papa compreso. Si tratta di realtà sublimi, ai vertici della scala di tutti i valori creaturali, ma sempre di realtà penultime, finite, create dipendenti da Dio, l’unica realtà ultima o assoluta, infinita ed increata.
Sulla Tradizione la Chiesa esercita un discernimento che distingue l’autentico dal non autentico. Lo fa mediante uno strumento che è il Magistero. Il Magistero è un ‘servizio’, ma è anche un ‘compito’, un munus, appunto il munus docendi, che non può né deve sovrapporsi alla Chiesa, dalla quale e per la quale esso nasce ed opera. Dal punto di vista soggettivo, il Magistero coincide con la Chiesa docente Papa e Vescovi in unione col Papa. Dal punto di vista operativo, il Magistero è lo strumento mediante il quale viene svolta la funzione di proporre agli uomini la divina Rivelazione con autorità.
Troppo spesso, però, si fa di questo strumento un valore a sé (absolutus) e si fa appello ad esso per troncare sul nascere ogni discussione, come se il Magistero fosse al di sopra della Chiesa e come se davanti a sé non avesse la mole enorme della Tradizione da accoglier interpretare e ritrasmettere nella sua integrità e fedeltà.
Il procedimento sbrigativo oggi invalso è più o meno il seguente: Cristo promise agli Apostoli, e quindi ai loro successori, vale a dire alla Chiesa docente, l’invio dello Spirito Santo e la sua assistenza per un esercizio nella verità del munus docendi e dunque l’errore è scongiurato in partenza, senza condizioni, le quali invece sono richieste e definite dal Concilio Vaticano I, come vedremo oltre. Un altro procedimento più che sbrigativo consiste nel negare al Magistero ogni munus docendi et interpretandi le due fonti della Rivelazione (Tradizione e S. Scrittura).
* Il metodo della Sacra Teologia
* Il metodo della Sacra Teologia
In Teologia innanzitutto si enuncia la “Tesi”, per esempio “Il Papa è infallibile”. Poi si espone lo “Status Quaestionis”, ossia il significato di ogni parola della Tesi esposta, nel caso nostro cosa significa ‘Papa’ e cosa si intende per ‘infallibilità’. Inoltre si trattano le varie ‘Opinioni’ e gli ‘Errori’ eventuali che sono sorti nel corso dei secoli a riguardo della Tesi. Quindi viene data una “Nota Teologica” che determini il grado di certezza di cui gode la Tesi[2]. Infine si delucida teologicamente la Tesi alla luce della Dottrina della Chiesa (Simboli di Fede, la Tradizione, il Magistero ecclesiastico, la S. Scrittura, I Padri della Chiesa), e, per ultimo si approfondisce la Tesi speculativamente o se ne dà la “Ragione teologica” (“Fides queaerens intellectum”), tramite un sillogismo la cui premessa ‘minore’ va dimostrata con un altro sillogismo.
Come si vede il metodo classico della Teologia dogmatica privilegia la dottrina della Chiesa, la quale attraverso il suo Magistero interpreta la Tradizione e la S. Scrittura. Perciò il primo elemento per provare la Tesi è il Magistero, poiché la Chiesa ha ricevuto da Cristo il mandato di insegnare e dare l’esatta interpretazione delle cose predicate da Lui, trasmesse agli Apostoli o messe per iscritto nei Libri Sacri. Quindi il Magistero si basa essenzialmente sulla S. Scrittura e la Tradizione apostolica per ottemperare il mandato conferito alla Chiesa da Cristo. La Rivelazione divina fu affidata all’interpretazione, alla custodia, alla diffusione e alla difesa del Magistero della Chiesa, che è fondata su Pietro e i suoi successori: i romani Pontefici. Tramite il Magistero ecclesiastico la Rivelazione viene trasmessa. Infatti il Magistero della Chiesa è lo strumento di cui Cristo si serve per trasmettere la sua Rivelazione inalterata, ogni giorno, sino alla fine del mondo. Attenzione! La Ragione teologica non fonda la Verità rivelata, che è oltre la ragione, ma ne sviscera la convenienza, ne tira le conclusioni, ne approfondisce il significato e confuta coloro che la impugnano.
DOPO IL CONCILIO VATICANO II la metodologia della Teologia dogmatica è cambiata, si parte dalla Scrittura, dalla quale si origina la Tesi. Il tutto “in lumine Fidei et sub Ecclesiae Magisterii ductu; alla luce della Fede e sotto la direzione del Magistero della Chiesa” (Optatam totius, § 16/a). Quindi anche col Concilio Vaticano II e dopo il Concilio ciò che garantisce la luce della Fede è la direzione del Magistero. Però mentre prima del Vaticano II la Scrittura veniva dopo il Magistero e alla luce del Magistero, a partire dal Vaticano II si è posto in secondo luogo il Magistero e in primo luogo la Scrittura ed inoltre si tende a far coincidere Tradizione e Magistero con la Scrittura, surclassando la dottrina della “due Fonti” della Rivelazione (Tradizione e Scrittura), per ridurre tutto alla Scrittura che contiene Tradizione e Magistero, come se fossero una sola cosa. Per cui difendere la Tradizione annichilando o diminuendo al minimo il valore del Magistero è erroneo. È un paradosso che per fare l’apologia della Tradizione si minimizzi il Magistero quasi distruggendolo, ancor più di quanto non abbia fatto il Vaticano II.
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Il Magistero della Chiesa
Il Magistero si divide in Solenne e Ordinario. Quello Solenne si suddivide in Conciliare e Pontificio; quello Ordinario in Universale o Papale.
MAGISTERO SOLENNE STRAORDINARIO CONCILIARE è l’insegnamento di “tutti” (totalità morale non matematica o assoluta) i Vescovi del mondo riuniti fisicamente – in maniera non abituale o non permanente e non stabile e quindi “stra-ordinaria” – in Concilio Ecumenico sotto il Papa.
MAGISTERO SOLENNE PERSONALE PONTIFICIO: il Papa che in quanto Papa (o seduto sulla cattedra di Pietro, “ex cathedra Petri”) definisce come divinamente rivelata una dottrina riguardante la Fede e la Morale ed obbliga a crederla come assolutamente necessaria alla salvezza.
Il Magistero Ordinario si divide in Universale o Pontificio. Innanzitutto ORDINARIO significa che quanto al modo di esercizio è comune, non è solenne, non è eccezionale o extra-ordinario, ma è solo normale, abituale. Quindi non è l’insieme dei Vescovi riuniti stra-ordinariamente in Concilio sotto il Papa, poiché il Concilio Ecumenico è un avvenimento non ordinario, non abituale, non in pianta stabile, ma eccezionale nel corso della storia della Chiesa (Concilio di Trento, 1563; Concilio Vaticano I, 1870). Non è neppure il Papa che definisce in maniera solenne o straordinaria una verità di Fede, ma in quanto trasmette la Rivelazione, che è contenuta nella Tradizione e nella Scrittura, in maniera non solenne, non cattedratica. Ciò non vuol dire che non sia Magistero vero, autentico, ufficiale, e, persino infallibile se vuole adempiere alle condizioni per essere assistito infallibilmente da Dio, ossia definire e obbligare a credere, anche se in maniera comune, ordinaria o semplice quanto al modo di insegnare. Esso in questo ultimo caso trasmette realmente il Deposito della Rivelazione e in ciò non può errare, pur non impiegando la pompa magna o la forma straordinaria e solenne in tale trasmissione della Rivelazione.
MAGISTERO ORDINARIO UNIVERSALE: la trasmissione delle verità divinamente rivelate viene fatta dai Vescovi sparsi fisicamente nel mondo ossia residenti nelle loro Diocesi, ma in comunione col Papa e uniti intenzionalmente o in accordo tra loro e con Lui nell’insegnare una verità.
MAGISTERO ORDINARIO PAPALE: la trasmissione viene fatta dal Papa in quanto tale e in maniera ordinaria. Inoltre il Papa è infallibile se da solo definisce ed obbliga a credere ed anche se riprende, ripete ed enuncia una Verità di Fede o Morale, costantemente e universalmente tenuta da tutta la Chiesa (“quod sempre, ubique et ab omnibus creditum est”).
Il teologo tedesco ALBERT LANG spiega bene che «non riveste neppure importanza essenziale il fatto che i Vescovi esercitino il loro Magistero ‘in modo Ordinario e Universale’, oppure esercitino il loro Magistero ‘in modo Solenne’ riuniti in un Concilio Ecumenico convocato dal Papa. In entrambi i casi sono infallibili solo se, in accordo tra di loro e con il Papa, annunziano una dottrina in modo definitivo e obbligatorio»[3]. Ossia, per l’infallibilità il modo di insegnamento ordinario o straordinario è secondario e accidentale; ciò che è principale è la volontà di definire e obbligare a credere una verità di Fede e Morale, sia in maniera solenne sia in maniera comune o ordinaria.
Il Magistero è la ‘regola prossima’ della Fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la ‘regola remota’. Infatti, è il Magistero della Chiesa che interpreta la Rivelazione e propone a credere con obbligatorietà, ciò che è contenuto in essa come oggetto di Fede, per la salvezza eterna.
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Terminologia appropriata
Il ‘DOGMA’ è una verità rivelata da Dio e contenuta nel Depositum Fidei: Tradizione e S. Scrittura (dogma materiale) e poi proposta a credere come necessaria per la salvezza eterna, quale divinamente rivelata o di fede (dogma formale), dal Magistero ecclesiastico con l’obbligo di credervi (Vaticano I, DB, 1800)[4] . Pertanto chi nega o rifiuta l’assenso a una verità di Fede definita dal Magistero è eretico e incorre ipso facto nella scomunica o anatema.[5]
La ‘DEFINIZIONE DOGMATICA’ è la dichiarazione obbligante della Chiesa su una verità rivelata e proposta obbligatoriamente a credere ai fedeli. Tale definizione può essere fatta sia dal Magistero ordinario (Papa che insegna in maniera ordinaria o non solenne ‘quanto al modo’, ma obbligante ‘quanto alla sostanza’ a credere una verità come rivelata da Dio e definita dalla Chiesa[6]; sia dal Magistero straordinario o solenne quanto al modo (una dichiarazione solenne o ‘extra-ordinaria’ del Papa o del Concilio[7]. Tale definizione dommatica si chiama pure dogma formale o verità di fede divino-cattolica o divino-definita. «Generalmente basta la funzione del Magistero ordinario a costituire una verità di Fede divino-cattolica, vedi Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3, DB, 1792 » (P. PARENTE, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, 4° ed., 1957, voce “Definizione dommatica”). Attenzione però, se il Magistero ordinario può definire infallibilmente un dogma formale, non significa che esso sia sempre infallibile e che ogni suo pronunciamento sia una definizione dommatica; lo è solo se il Papa vuole definire una verità come di fede rivelata e obbligare a crederla per la salvezza eterna. (Cfr. “Enciclopedia Cattolica”, IV, col. 1792 [8]).
‘L’INFALLIBILITÀ’[9] presuppone, infatti, da parte del Magistero la volontà di obbligare, definire, proporre obbligatoriamente a credere come dogma, una verità contenuta nel Deposito della Rivelazione scritta o orale. Per cui il Magistero è la ‘regola prossima’ della fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la ‘regola remota’. Infatti, è il Magistero della Chiesa , che interpreta la Rivelazione e propone a credere con obbligatorietà, ciò che è contenuto in essa come oggetto di fede, per la salvezza eterna.
I ‘LUOGHI TEOLOGICI’ sono «la sede di tutti gli argomenti della ‘Scienza Sacra’ a partire dai quali i teologi traggono le loro argomentazioni sia per dimostrare una verità sia per confutare un errore» (M. CANO, De Locis tehologicis, Roma, ed. T. Cucchi, 1900, Lib. 1, cap. 3). Monsignor ANTONIO PIOLANTI scrive: «La Teologia è fondata su Verità rivelate, le quali sono contenute nella Scrittura e nella Tradizione, la cui interpretazione è affidata al vivo Magistero della Chiesa[10], il quale a sua volta si manifesta attraverso le definizioni dei Concili, le decisioni dei Papi, l’insegnamento comune dei Padri e dei Teologi scolastici» (Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 246). Perciò erra gravemente chi vuole ridurre il Magistero ad un accidente contingente, nato con la crisi neomodernista alla quale PIO XII avrebbe risposto con l’enciclica Humani generis (1950) lanciando l’idea di Magistero come baluardo contro la nouvelle théologie. No! il Magistero è un Luogo teologico, che interpreta realmente la Scrittura e la Tradizione, altrimenti basterebbero la Bibbia e il Denzinger, mentre Cristo ha detto ai suoi Apostoli: “Andate e insegnate a tutti i popoli” (Mt., XXVIII, 18). Quindi il mezzo stabilito da Cristo per la diffusione della dottrina evangelica non è la sola Scrittura o la sola Tradizione orale, ma il Magistero vivo, cui Egli assicura (a certe condizioni) un’assistenza (infallibile) sino alla fine del mondo. Il cardinal PIETRO PARENTE scrive che il Magistero è perciò: “il potere conferito da Cristo alla sua Chiesa, in virtù del quale la Chiesa docente è costituita unica depositaria e autentica interprete della Rivelazione divina. [...]. Secondo la dottrina cattolica la S. Scrittura e la Tradizione non sono che la fonte e la ‘regola remota’ della Fede, mentre la ‘regola prossima’ è il Magistero vivo della Chiesa” (Dizionario di Teologia dommatica, cit., pp. 249-250).
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Schema riassuntivo sul Magistero
* Il Magistero conciliare è straordinario, ma non è sempre infallibile
- papale: del solo Pontefice romano;
a) straordinario: pronunciamento solenne o ‘non-comune’ sia quanto al modo (proclamazione in pompa magna) sia quanto alla sostanza (definizione di un dogma di fede divino-cattolica con obbligo di credervi; p. es. l’Immacolata o l’Assunta solennemente proclamate da Pio IX e XII come verità divinamente rivelate e proposte a credere obbligatoriamente in ordine alla salvezza eterna). È infallibile di per se stesso (DB, 1839).
b) ordinario: comune o ‘non-solenne’ quanto al modo di insegnare. Quanto alla sostanza della verità proposta è infallibile solo se il Papa vuole definire e obbligare a credere come divinamente rivelato ciò che insegna, in maniera ordinaria, ‘non-solenne’ o comune; oppure se enuncia una verità di fede o di morale costantemente e universalmente tenuta nella Chiesa (p. es. Giovanni Paolo II sull’inammissibilità del sacerdozio femminile e Paolo VI sulla contraccezione). - universale: dei Vescovi assieme al Papa;
c) straordinario: Papa e vescovi uniti fisicamente nello stesso luogo (in Concilio Ecumenico a Firenze, Trento o Roma), insegnano solennemente o in maniera ‘non-comune’ quanto al modo (essendo uniti eccezionalmente nello stesso luogo e non sparsi abitualmente nel mondo). È infallibile, quanto alla sostanza della verità insegnata, se vuole definire e obbligare a credere come divinamente rivelata una dottrina per la salvezza eterna.
d) ordinario: insegnamento comune, ‘non-solenne’ dei Vescovi abitualmente sparsi fisicamente nel mondo nelle loro rispettive Diocesi, ma uniti intenzionalmente al Papa nel proporre un insegnamento. È infallibile se tale insegnamento è impartito, quanto alla sostanza della verità proposta, come definitivo e obbligatorio a credersi per la salvezza dell’anima
Il Concilio è Magistero straordinario ‘quanto al modo’, nel senso che non è abitualmente o permanentemente riunito, ma straordinariamente o solennemente; tuttavia il suo insegnamento è infallibile soltanto se definisce una verità di Fede come da credersi obbligatoriamente. Quindi il Magistero sia ordinario che straordinario è infallibile solo se ha la ‘volontà di definire e obbligare a credere’. In breve per esercitare l’infallibilità l’essenziale è obbligare i fedeli a credere come divinamente rivelato ciò che si definisce, sia in ‘maniera ordinaria’ sia in ‘maniera solenne o straordinaria’ (il modo è elemento accidentale dell’infallibilità). La forma esterna solenne o straordinaria ‘quanto al modo’ di pronunciarsi non è per sé indice di infallibilità; l’essenziale è imporre ‘quanto alla sostanza’, in ‘maniera ordinaria o straordinaria’, la dottrina annunziata definitivamente e obbligatoriamente per la salvezza. Onde non tutto ciò che è Magistero straordinario quanto alla forma esterna e ‘non comune’ o ‘non ordinaria’ di pronunciarsi con formule solenni è infallibile. Per esempio il Concilio Ecumenico Vaticano II è Magistero straordinario quanto al modo ma non infallibile, poiché non ha voluto definire né obbligare a credere.
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Le quattro condizioni dell’infallibilità
La costituzione ‘Pastor Aeternus’ del CONCILIO VATICANO I stabilisce le condizioni necessarie per l’infallibilità delle definizioni pontificie straordinarie o ordinarie[11]. Essa insegna che il Papa è infallibile «quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la Fede ed i Costumi, che deve tenersi da tutta la Chiesa» . I teologi sono unanimi nel vedervi la soluzione del problema delle condizioni dell’infallibilità pontificia[ii]. Pertanto; le condizioni necessarie perché si abbia un pronunciamento infallibile del Magistero pontificio straordinario o ordinario sono quattro:
- che il Papa parli come Dottore e Pastore universale;
- che usi della pienezza della sua autorità apostolica;
- che manifesti chiaramente la volontà di definire e di obbligare a credere;
- che tratti di fede o di morale.
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La ‘voluntas definiendi’
- Il Papa
Il punto cruciale del problema è nella terza condizione, e cioè che vi sia intenzione di definire ed obbligare a credere. Come si manifesta questa intenzione? È fondamentale che sia chiaro, in un modo o nell’altro, che il Papa vuole definire (in maniera ‘ordinaria’ o ‘straordinaria’) una verità da credere obbligatoriamente in quanto divinamente rivelata. - Il Concilio Ecumenico
Il CONCILIO VATICANO I non ha dichiarato in che condizioni un Concilio ecumenico è infallibile. Ma, per analogia con il Magistero pontificio, si può affermare che le condizioni sono le stesse. Come il Papa, anche il Concilio ha la facoltà di essere infallibile, ma può usarne o no, a sua volontà. Molti cattolici male informati potrebbero a questo punto obiettarci di avere sempre sentito dire che ogni Concilio ecumenico è necessariamente infallibile. Questo non è però quanto dicono i teologi: “a posse ad esse non valet illatio”, ossia “il passaggio da poter essere infallibilmente assistito ed esserlo de facto non è valido”. SAN ROBERTO BELLARMINO afferma che solo dalle parole del Concilio si può sapere se i suoi decreti sono proposti come infallibili e conclude che, quando le espressioni al riguardo non sono chiare, non è certo che la dottrina enunciata sia di Fede[iii] . E, se non è certo, non c’è neppure l’obbligo di credere, perché, secondo il CODICE DI DIRITTO CANONICO, «nessuna verità deve essere considerata come dichiarata o definita come da credere, a meno che questo consti in modo manifesto»[iv] .
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Anche la costanza dell’insegnamento lo rende infallibile
Padre J. A. ALDAMA scrive: «Benché il Magistero ordinario del Pontefice Romano non sia di per sé infallibile, se però [anche senza manifestare la voluntas definiendi] insegna costantemente e per un lungo periodo di tempo una certa dottrina a tutta la Chiesa, si deve assolutamente ammettere la sua infallibilità; in caso contrario, la Chiesa indurrebbe in errore»[v]. In questo caso ci troviamo di fronte all’infallibilità del Magistero ordinario per la continuità di uno stesso insegnamento. Il fondamento dottrinale di quest’infallibilità è quello indicato dal padre Aldama: se in una lunga e ininterrotta serie di documenti ordinari su uno stesso punto i Papi e la Chiesa universale potessero ingannarsi, le porte dell’inferno avrebbero prevalso contro la Sposa di Cristo. Essa si sarebbe trasformata in maestra di errori, alla cui influenza pericolosa e perfino nefasta i fedeli non avrebbero modo di sfuggire. Evidentemente il fattore tempo non è l’unico di cui si debba tenere conto. Ve ne sono numerosi altri. Secondo la classica formula di SAN VINCENZO DI LERINO, dobbiamo credere a quanto è stato insegnato ‘sempre, ovunque e da tutti’, «quod semper, quod ubique, quod ab omnibus». Infatti l’assistenza dello Spirito Santo sarebbe manchevole se una dottrina insegnata “sempre, ovunque e da tutti” potesse essere falsa.
PIO IX nella Lettera “Tuas libenter” del 21 dicembre 1863 insegna: «qualora si trattasse della sottomissione dovuta alla Fede divina, non la si potrebbe restringere ai soli punti definiti con decreti emanati dai Concili Ecumenici, o dai Romani Pontefici; ma bisognerebbe anche estenderla a tutto ciò che è trasmesso, come divinamente rivelato, dal Magistero ordinario universale di tutta la Chiesa sparsa nell’universo». Tuttavia è necessario non intendere l’adagio in senso esclusivo, cioè come se l’infallibilità per la continuità di uno stesso insegnamento esistesse soltanto quando si verificassero queste tre condizioni[vi]. Vi può essere anche solo con la voluntas definiendi in maniera ordinaria.
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Vaticano II e infallibilità
Il Concilio Vaticano II ha usato la prerogativa della infallibilità? La risposta è semplice e categorica: no. In nessuna occasione i Padri conciliari hanno avuto la voluntas definiendi et obligandi, cioè in nessuna occasione hanno osservato la terza condizione d’infallibilità sopra indicata. Solo dove ha ripetuto ciò che la Chiesa aveva insegnato costantemente e infallibilmente il Vaticano II è stato infallibile de facto. Già nella fase preparatoria del Concilio GIOVANNI XXIII aveva dichiarato che esso non avrebbe definito verità da credere, ma avrebbe avuto soltanto un carattere pastorale. Si veda inoltre in proposito la “DICHIARAZIONE DEL 6 MARZO 1964 DELLA COMMISSIONE DOTTRINALE”[vii]. Questa dichiarazione ha un’enorme importanza, non solo per essere stata ripetuta posteriormente dalla stessa commissione[viii] , e applicata ufficialmente a più di uno schema[ix], ma soprattutto perché PAOLO VI l’ha indicata come norma di interpretazione di tutto il Concilio[x] .
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Possibilità ‘eccezionale’ di errore in atti del Magistero
Possiamo dire che il semplice fatto secondo cui i documenti del Magistero si dividono in infallibili e in ‘non infallibili’ lascia aperta, in tesi, la possibilità di errore in qualcuno di quelli ‘non infallibili’, i quali per definizione possono eccezionalmente “fallire” essendo ‘non-infallibili’. Questa conclusione si impone in base al principio metafisico enunciato da SAN TOMMASO D’AQUINO: «quod possibile est non esse, quandoque non est», ossia «ciò che può non essere [infallibile], talora non è [infallibile]»[xi]. Se, in via di principio, in un documento pontificio vi può essere errore per il fatto che non vi sono osservate le quattro condizioni dell’infallibilità, lo stesso si deve dire a proposito dei documenti conciliari, quando non osservino le stesse condizioni. In altri termini, quando un Concilio non intende definire con voluntas obligandi verità di Fede come divinamente rivelate, a rigore può cadere eccezionalmente in errore. Questa conclusione deriva dalla simmetria esistente tra la infallibilità pontificia e quella della Chiesa messa in evidenza dallo stesso Concilio Vaticano I[xii] .
i) DB, 1839.
ii) Cfr. F. DIEKAMP, Theologiae Dogmaticae Manuale, Desclée, Parigi-Tours-Roma, 1933, vol. I, p. 71; L. BILLOT, Tractatus de Ecclesia Christi, Iochetti, Prato, 1909, tomo I, pp. 639 ss.; L. CHOUPIN, Valeur des décisions doctrianales et dísciplinaires du Saint-Siège, Beauchesne, Parigi, 1928, p. 6; J. M. HERVÉ, Manuale Theologiae Dogmaticae, Berche, Parigi, 1952, vol. I, pp. 473 ss.; C. JOURNET, op. cit., vol. I, p. 569; P. NAU, El magisterio pontificio ordinario, lugar teologico, cit., p. 43; I. SALAVERRI., op. cit., p. 697; S. CARTECHINI., op. cit., p. 40.
iii) Cfr. R. BELLARMINO, De Conciliis, 2, 12, in Opera omnia, Natale Battezzati, Milano, 1858, vol. II.
iv) Codex Iurís Canonici (1917), can. 1323, § 2. Nello stesso senso, cfr. S. CARTECHINI, op. cit., p. 26.
v) J. A. DE ALDAMA, Mariologia, in Sacrae Theologiae Summa, BAC, Madrid, 1961, vol. III, p.418.
vi) Cfr. F. DIEKAMP, op. cit. p. 68.
vii) Cfr. L’Osservatore Romano, edizione in francese, 18-12-1964, p. 10.
viii) ibidem.
ix) Cfr. L’Osservatore Romano, edizione in francese, 26-11-1965, p. 3.
x) Cfr. PAOLO VI, Discorso del 12-l-1966, in Insegnamenti di Paolo VI, cit., vol VI, Roma, 1967, p. 700.
i) DB, 1839.
ii) Cfr. F. DIEKAMP, Theologiae Dogmaticae Manuale, Desclée, Parigi-Tours-Roma, 1933, vol. I, p. 71; L. BILLOT, Tractatus de Ecclesia Christi, Iochetti, Prato, 1909, tomo I, pp. 639 ss.; L. CHOUPIN, Valeur des décisions doctrianales et dísciplinaires du Saint-Siège, Beauchesne, Parigi, 1928, p. 6; J. M. HERVÉ, Manuale Theologiae Dogmaticae, Berche, Parigi, 1952, vol. I, pp. 473 ss.; C. JOURNET, op. cit., vol. I, p. 569; P. NAU, El magisterio pontificio ordinario, lugar teologico, cit., p. 43; I. SALAVERRI., op. cit., p. 697; S. CARTECHINI., op. cit., p. 40.
iii) Cfr. R. BELLARMINO, De Conciliis, 2, 12, in Opera omnia, Natale Battezzati, Milano, 1858, vol. II.
iv) Codex Iurís Canonici (1917), can. 1323, § 2. Nello stesso senso, cfr. S. CARTECHINI, op. cit., p. 26.
v) J. A. DE ALDAMA, Mariologia, in Sacrae Theologiae Summa, BAC, Madrid, 1961, vol. III, p.418.
vi) Cfr. F. DIEKAMP, op. cit. p. 68.
vii) Cfr. L’Osservatore Romano, edizione in francese, 18-12-1964, p. 10.
viii) ibidem.
ix) Cfr. L’Osservatore Romano, edizione in francese, 26-11-1965, p. 3.
x) Cfr. PAOLO VI, Discorso del 12-l-1966, in Insegnamenti di Paolo VI, cit., vol VI, Roma, 1967, p. 700.
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La sospensione dell’assenso ad un atto magisteriale difforme dalla Tradizione apostolica è lecita in alcuni casi eccezionali
Fuori dell’infallibilità quando vi sia «un’opposizione precisa tra il testo di enciclica e le altre testimonianze della Tradizione apostolica»[xiii], allora sarà lecito al fedele dotto e che abbia studiato accuratamente la questione, sospendere o negare il suo assenso al documento papale. Questa dottrina si trova in teologi più autorevoli. Ne citiamo alcuni.
Padre DIEKAMP: «Gli atti non infallibili del Magistero del Romano Pontefice non obbligano a credere e non postulano una sottomissione assoluta e definitiva. Tuttavia bisogna aderire con un assenso religioso e interno a tali decisioni, dal momento che costituiscono atti del supremo Magistero della Chiesa, e che si fondano su solide ragioni naturali e soprannaturali. L’obbligo di aderire ad esse può cominciare a cessare solo nel caso, che si dà soltanto rarissimamente, in cui un uomo idoneo a giudicare l’argomento in questione, dopo una diligente e ripetuta analisi di tutte le ragioni, giunga alla convinzione che nella decisione si è introdotto l’errore»[xiv] .
Padre MERKELBACH: «Finché la Chiesa non insegna con autorità infallibile, la dottrina proposta non è di per sé irreformabile; perciò se per accidens, ossia eccezionalmente, in un’ipotesi per altro rarissima, dopo un esame assai accurato a qualcuno sembra che esistano ragioni gravissime contro la dottrina così proposta, sarà lecito senza temerarietà ‘sospendere l’assenso interno’»[xv]. La «sospensione dell’assenso interno», di cui parlano i teologi, ha maggiore ampiezza della semplice «sospensione del giudizio» del linguaggio corrente. Infatti, a seconda del caso, il diritto di «sospendere l’assenso interno›› comporterà, oltre al non giudicare, il diritto di temere che vi sia errore nel documento del Magistero, o quello di dubitare dell’insegnamento in esso contenuto, o anche quello di respingerlo.
Da tutto quanto esposto si deduce che, in via di principio, l’esistenza di errori in documenti ‘non infallibili’ del Magistero anche pontificio e conciliare non ripugna. Indubbiamente tali errori non possono essere durevolmente e costantemente proposti nella Santa Chiesa, al punto da mettere le anime nel dilemma di accettare l’insegnamento falso oppure di rompere con la Chiesa. Tuttavia è possibile, in via di principio ed eccezionalmente, che per qualche tempo, soprattutto in periodi di crisi e di grandi eresie, si trovi qualche errore in documenti del Magistero. Facciamo queste osservazioni senza alcun obbiettivo demolitore del Magistero. Non miriamo, cioè, a fondare le «contestazioni» ereticali con cui i progressisti o i conciliaristi gallicani cercano, in ogni momento, di scuotere il principio di autorità papale nella Chiesa. Quello a cui miriamo, richiamando la possibilità di errore in documenti magisteriali non infallibili è offrire un aiuto per illuminare i problemi di coscienza e gli studi di molti antiprogressisti di fronte alle novità introdotte dal Vaticano II e dal post-concilio, perché essi, per il fatto d’ignorare tale possibilità, si trovano spesso in condizione di perplessità per quanto riguarda il Concilio Vaticano II e le riforme da esso scaturite.
* Rapporto tra Tradizione e Magistero
* Rapporto tra Tradizione e Magistero
La Tradizione assieme alla Bibbia è una delle due “fonti” della divina Rivelazione (Tradizione passiva e oggettiva). Essa è anche la “trasmissione” (dal latino tradere, trasmettere) orale di tutte le verità rivelate da Cristo agli Apostoli o suggerite loro dallo Spirito Santo, e giunte a noi mediante il Magistero sempre vivo della Chiesa, assistita da Dio sino alla fine del mondo (Tradizione passiva e oggettiva). La Tradizione assieme alla S. Scrittura è il “canale contenitore (Tradizione passiva) e veicolo trasmettitore (Tradizione attiva)” della Parola divinamente rivelata. Il Magistero ecclesiastico è “l’organo” della Tradizione. Mentre gli “strumenti” in cui si è conservata sono i Simboli di fede, gli scritti dei Padri, la liturgia, la pratica della Chiesa, gli Atti dei martiri e i monumenti archeologici.
La Tradizione si può considerare sotto due aspetti:
- in senso attivo (soggettivo o formale), essa è l’organo vivo o il soggetto (persone o istituzioni/Papa e Chiesa) il quale funge da canale di trasmissione;
- in senso passivo (oggettivo o materiale) è l’oggetto o deposito trasmesso (Dottrina e Costumi)[12].
La Tradizione di cui ci occupiamo in questo articolo è quella sacra o cristiana e non quella profana. La Tradizione cristiana si divide in
- Tradizione divina (insegnata direttamente da Cristo agli Apostoli);
- Tradizione divino-apostolica (gli Apostoli non la ascoltarono dalla bocca di Cristo, ma la ebbero per ispirazione dello Spirito Santo). Essa consiste in quelle verità o precetti morali, disciplinari e liturgici, i quali derivano direttamente da Cristo o dagli Apostoli, in quanto promulgatori della Rivelazione, illuminati dallo Spirito Santo, trasmesse agli uomini incorrotte sino alla fine del mondo, esse sono oggetto di Fede divina.
I primi ‘Discepoli’ degli Apostoli ricevettero in maniera diretta e immediata la Tradizione dalla bocca dei Dodici, mentre i posteri la ricevono in maniere indiretta e mediata, tramite l’insegnamento dei successori di Pietro (i Papi) e degli Apostoli (i Vescovi) cum Petro et sub Petro, il Magistero è l’organo della trasmissione ininterrotta della medesima eredità ricevuta dagli Apostoli da parte di Cristo o dello Spirito Santo. Questa è la funzione del Magistero: mediare, interpretare e attualizzare o trasmettere l’insegnamento divino, ma sempre agganciandosi alla Tradizione ricevuta e quindi già trasmessa. Non si tratta di far vivere una Fede nuova (“nova”), ma di tramandare e far ricevere o rivivere continuamente e nuovamente (“nove”) l’unica Fede predicata da Cristo e dagli Apostoli, sino alla fine del mondo. Tale funzione non contiene e non propone nessuna novità sostanziale, ma solo ribadisce in maniera nuova e approfondita o esplicitata la stessa verità contenuta nella Scrittura e nella Tradizione. Da questa trasmissione della Fede è totalmente assente ogni ombra di contraddizione tra verità antiche e nuove e lo sviluppo o approfondimento deve avvenire “nello stesso senso e nello stesso significato” (S. VINCENZO DA LERINO, Commonitorium, XXIII). Solo in tale senso si può parlare anche di Tradizione “viva”, non in quanto “cangiante”, ma “omogeneamente crescente”[13]. Non vi è Tradizione, non sussiste verità cattolica dove si trova contraddizione, contrarietà o concorrenza tra “nova et vetera”. Il card. PIETRO PARENTE su L’Osservatore Romano del 9-10 febbraio 1942 già scriveva: «c’è da deplorare [...] la strana identificazione della Tradizione (fonte della Rivelazione) col Magistero vivo della Chiesa (custode ed interprete della divina Parola)». In breve vi è una distinzione tra Tradizione e Magistero nel senso che il secondo custodisce, spiega e propone a credere le verità contenute nella Tradizione ed è molto pericoloso identificare la Tradizione col Magistero vivente, perché si finisce col dare alla prima un carattere intrinsecamente evolutivo o al contrario relativizzare talmente il Magistero rispetto alla Tradizione sino a minimizzarlo o quasi annichilarlo. Sono i due errori, per eccesso e per difetto, che si riaffacciano oggi.
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Ermeneutica della continuità
La continuità tra due dottrine per essere reale e non solo verbale deve comportare una continuità omogenea, che esclude ogni alterazione sostanziale o intrinseca, ogni diversità o novità eterogenea, anche solo parziale. Il Magistero è vivente in quanto ad un Papa morto ne segue uno vivo e in atto sino alla consumazione del mondo; invece, per quanto riguarda la Tradizione, bisogna fare attenzione a non parlare di Tradizione vivente se non si esplicita il vero e unico significato di tale vitalità, come condizionata dalla continuità con la dottrina ricevuta dagli Apostoli e trasmessa senza alterazioni sostanziali. La Tradizione è immutabile (da non confondere con mummificazione) come la verità divina (“Ego sum Dominus et non mutor”), che il Magistero ha ricevuto da Gesù e dagli Apostoli e che ripropone in quanto tale intrinsecamente ed è approfondita solo estrinsecamente, per rendere più esplicita una verità o per superare e confutare gli errori ad essa contrapposti[14]. La Tradizione è veramente viva solo se mantiene la sua natura come un bambino che cresce restando sempre se stesso. La Tradizione “vivente” in senso modernistico, quale evoluzione eterogenea ed intrinseca di essa, è una conciliazione dell’inconciliabile, un assurdo, una contraddizione. Il Magistero per essere in continuità con la Tradizione deve “trasmettere ciò che ha ricevuto” (“tradidi quod et accepi”) dagli Apostoli, senza novità sostanziali, intrinseche ed eterogenee; altrimenti non vi è continuità, ma difformità e deformità reale anche se nominalmente ci si richiama alla “Tradizione” vivente, deformandone, così, il significato, sottolineando l’aggettivo “vivente” a scapito della Tradizione.
* Tradizione scritta e orale
* Tradizione scritta e orale
La Tradizione orale non esclude che venga poi messa per iscritto, ma non sotto la “divina Ispirazione”[15], che appartiene alla S. Scrittura, in quanto, col passare del tempo, la trasmissione a voce viene fissata in documenti scritti o epigrafi. Per esempio la validità del Battesimo dei neonati è Tradizione, poiché è parola di Dio non scritta sotto divina ispirazione, ma attestata unanimemente da quasi tutti gli antichi scrittori ecclesiastici. Tuttavia lo scritto è solo un sussidio della Tradizione orale. Onde vi possono essere Tradizioni o insegnamenti divino-apostolici di cui nulla è stato scritto. Sarà la voce del Pastore o della Chiesa, ossia il Magistero vivente nella persona del Papa attualmente regnante (eventualmente assieme ai Vescovi, se il Papa lo desidera senza esservi obbligato) a garantire che tali verità sono di origine divina o divino-apostolica. Solo in questo senso soggettivo si può parlare di Tradizione “vivente”, in quanto l’insegnamento divino o apostolico, oggetto della Tradizione, viene trasmesso ininterrottamente dalla catena dei Papi vivi.
* Tradizione e S. Scrittura
* Tradizione e S. Scrittura
Confrontando Tradizione e Scrittura si dice che la Tradizione è
- “inesiva”, se la stessa verità è contenuta sia nella Scrittura che nella Tradizione;
- “dichiarativa”, se una verità attestata dalla Scrittura viene chiarita meglio dalla Tradizione;
- “completiva” se trasmette verità non contenute nella Bibbia, ad esempio la pratica di battezzare i neonati. Perciò è dottrina comunemente insegnata che la Tradizione è più ricca della sola Scrittura. Più ricca in antichità (anche la Scrittura prima di essere messa per iscritto è stata Tradizione, in quanto trasmissione a voce della divina Rivelazione, in pienezza (in quanto la Tradizione contiene tutte le verità rivelate mentre la Scrittura no) e in sufficienza (poiché la Scrittura ha bisogno della Tradizione per stabilire la sua autorità).[16]
Per il protestantesimo, invece, l’unica fonte della Rivelazione è la S. Scrittura, onde la sola nozione di Tradizione orale e di Magistero quale canale trasmettitore di essa è inconcepibile. Invece la Chiesa ha definito infallibilmente nel Concilio di Trento (sessione IV del 6 aprile 1546; DB, 783) e nel Concilio Vaticano I (DB, 1787)
- che esistono insegnamenti o Tradizioni divino-apostoliche aventi relazione con la Fede e la Morale
- trasmesse ininterrottamente tramite il Magistero della Chiesa
- assistita da Dio.
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Esistenza della Tradizione nella Bibbia
L’errore luterano è smentito dalla stessa Scrittura: “Andate, dunque, ammaestrate tutte le genti […] insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato” (Mt. XXVIII, 19-20). Gesù non ha scritto nulla né ha comandato di scrivere, ma di insegnare; perciò, gli Apostoli hanno prima predicato e solo dopo hanno messo per iscritto parte dell’insegnamento orale di Cristo.
a) La Tradizione e i Padri
Col III secolo (PAPIA + 130; S. CLEMENTE ROMANO + 101; S. IRENEO DA LIONE + 202 e TERTULLIANO + 222) i Padri ecclesiastici iniziarono a distinguere nettamente S. Scrittura e Tradizione come due fonti distinte della Rivelazione, dando una certa preferenza alla Tradizione. Nel IV-V secolo con i Cappadoci in oriente (S. BASILIO + 379, S. GREGORIO NAZIANZENO + 390 e NISSENO + 394) e S. AGOSTINO (+ 430) in occidente si approfondì il significato di Tradizione specialmente in rapporto ai suoi organi di trasmissione (Papi, Concili, Padri ecclesiastici). S. VINCENZO DA LERINO, infine, ha formulato la regola più nota e comune per discernere la Tradizione divino-apostolica: “Quod ubique [universalità], quod semper [antichità], quod ab omnibus [conenso generale] creditum est” (Commonitorium, II). Questa regola è stata fatta propria dal Concilio Vaticano I.
b) Tradizione, Assistenza divina e Magistero
Come si vede, sia nella Scrittura che nei Padri il concetto di Tradizione è sempre collegato
- all’Assistenza di Dio, poiché senza l’aiuto dello Spirito di Verità la purezza dell’insegnamento orale non potrebbe conservarsi senza mescolanza di errori;
- al Magistero, che, pur non essendo la Tradizione stessa, è l’organo tramite il quale essa viene trasmessa, il senso pieno di Tradizione si può avere solo a condizione di tenere uniti i due suoi aspetti: l’aspetto passivo, che è il Deposito della Fede, e l’aspetto attivo che coincide con il Magistero. Il secondo aspetto è il più importante, così che una “tradizione”, anche se del I secolo, ma non attestata dal Magistero della Chiesa non costituisce una ‘vera’ Tradizione divino-apostolica; al massimo avrebbe il valore di documentazione storica, ma non sarebbe una Tradizione di Fede divina. Tra Magistero e Tradizione vi è distinzione ma non separazione totale, ossia la Chiesa è come un Maestro (Magistero) che contiene e trasmette la Scrittura (Bibbia) e la Tradizione (Denzinger), il quale ha un Libro di testo ufficiale (Bibbia + Denzinger) e ne spiega il vero significato ai discenti; se un allievo non capisce bene il significato del Libro può chiedere spiegazione al Maestro ed egli lo illuminerà. Da tutto ciò risulta la parte essenziale e non minimale o addirittura contingente, che svolge il Magistero nel dare, “tutti i giorni sino alla fine del mondo”, la retta interpretazione soggettivo/formale del contenuto dommatico-morale della Tradizione, avendone garantito ieri la veridicità del contenuto passivo o oggettivo/materiale .
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Riassumendo
Il Magistero custodisce, interpreta e spiega realmente la Parola di Dio scritta o orale (“Verbum Dei scriptum vel traditum”). Quindi questi tre termini non sono identici. Il Magistero non è fonte di Rivelazione, la Scrittura e Tradizione sì. Perciò il Magistero presuppone le due fonti della Rivelazione, le custodisce e le spiega, onde in senso stretto non coincide con la Tradizione. Tuttavia se si considera il Magistero nei suoi documenti o oggettivamente, allora si può dire che in essi si ritrova la fonte o luogo in cui vi è la Rivelazione .
Il Magistero è assistito da Dio. Tuttavia quest’assistenza non è assoluta, ma limitata alla trasmissione della Rivelazione. Dunque, lungi dal costituire la dottrina o la Verità divina, l’atto del Magistero la conserva e la dichiara: il Magistero si definisce come tale in dipendenza oggettiva dalla Rivelazione divina, di cui deve assicurare la trasmissione.
L’assistenza è data al Papa perché egli possa preservare la Fede della Chiesa. Se si perde di vista il giusto rapporto che fa dipendere il Magistero dalla Tradizione oggettiva, il Dio rivelatore rischia di passare in secondo piano a vantaggio del Magistero custode ed interprete, ossia il Creatore cederebbe il passo alla creatura, il Fine al mezzo.
sì sì no no
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2) Per esempio una verità divinamente e ‘formalmente rivelata’ è una Verità di Fede o di Fede-rivelata o Dogma materiale, se poi la Chiesa ha definito che tale verità è rivelata e obbliga a crederlo è una Verità di Fede rivelata e definita, o Dogma formale oppure di Fede divino-cattolica o anche di Fede divino-definita, la loro negazione è ‘eresia’. Una verità non ancora definita è Prossima alla Fede, la sua negazione è ‘prossima all’eresia’. Invece ciò che è ‘virtualmente rivelato’, ossia deducibile tramite sillogismo da una Maggiore di Fede, è una Conclusione teologica, la sua impugnazione è un ‘errore teologico’.
3) Compendio di Apologetica, tr. it. Torino, Marietti, 1960, p. 461.
4) Cfr. Cipriano Vagaggini, voce “Dogma”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, col. 1792-1804; Giacinto Ameri, voce “Definizione dogmatica”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 1306-1307.
5) Cfr. G. Zannoni, voce “Eresia”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. V, coll. 487-492.
6) Per es. Giovanni Paolo II sulla impossibilità del sacerdozio femminile; oppure i Vescovi sparsi nel mondo assieme al Papa. Per es. Pio XII che chiede ai Vescovi di tutto il mondo se reputano rivelata e definibile l’Assunzione di Maria SS. in Cielo.
7) Per esempio Pio IX, che definisce da solo l’Immacolata Concezione o il Concilio Vaticano I, che definisce l’Infallibilità pontificia.
8) «Sono da credersi di fede divino-cattolica tutte le cose che sono contenute nella Parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte a credere dalla Chiesa, sia con Giudizio solenne sia col Magistero ordinario, come divinamente rivelate».
9) Cfr. Federico dell’Immacolata, voce “Infallibilità”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, coll. 1920-1924.
10) Cfr. M. Cordovani, voce “Chiesa”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1949, vol. III, coll. 1443-1466; Antonio Piolanti, voce “Primato di San Pietro e del Romano Pontefice”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1953, vol. X, coll. 6-19; Giuseppe Damizia, voce “Concilio”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 167-172.
11) Il Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3, DB, 1792 insegna infallibilmente: “Sono da credersi di fede divino-cattolica tutte le cose che sono contenute nella Parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte a credere dalla Chiesa come divinamente rivelate [elemento essenziale], sia con giudizio solenne sia col Magistero ordinario [elemento accidentale modale]”. Come si vede il Magistero ordinario consta di un giudizio non solenne ‘quanto al modo’ di esprimersi, ma se manifesta la voluntas definiendi anche in maniera ordinaria, comune o non solenne, è egualmente infallibile.
12) Cfr. G. Mattiussi, L’immutabilità del dogma, in “La Scuola cattolica”, marzo 1903.
13) Cfr. A. Marìn Sola, L’evolution homogène du dogme, Friburgo, 1924.
14) S. Th., II-II, q. 1, a. 9, ad 2.
15) Impulso o mozione divina che spinge l’agiografo a scrivere quanto Dio vuole che sia comunicato. S. Paolo scrive che “tutta la Scrittura è ispirata da Dio” (II Tim. III, 16-17). Leone XIII nell’enciclica Providentissimus del 1893 ha definito così la ispirazione agiografica biblica o divina: “azione soprannaturale tramite la quale Dio eccitò e mosse gli scrittori sacri a scrivere, li assistette nello scrivere di modo che essi concepissero rettamente col pensiero, volessero fedelmente scrivere ed esprimessero correttamente con infallibile verità tutto quello che Egli voleva che esprimessero”. Dio è l’autore principale del Libro sacro; l’agiografo l’autore secondario e strumentale, ma cosciente e libero, per cui Dio 1°) illumina la mente dell’agiografo per fargli capire perfettamente ciò che deve scrivere e discernerne infallibilmente la verità dalla falsità; 2°) muove la volontà dell’agiografo perché si decida a scrivere quel che ha capito e giudicato vero; 3°) assiste le facoltà esecutive affinché nella scelta delle parole non vi siano errori o deviazioni che comprometterebbero la manifestazione del pensiero divino. (Cfr. Ch. Pesch, De Inspiratione Scripturae, Friburgo, 1906; E. Florit, Ispirazione biblica, Roma, 1951).
16) M. Cano, De locis theologicis lib XII, Venezia, 1799, p. 4.
17) Cfr. J. B. Franzelin, De divina traditione et Scriptura., Roma, 1870; L. Billot, De immutabilitate traditionis, Roma, 1904; S. G. Van Noort, Tractatus de fontibus Revelationis necnon de fide divina, 3a ed., Bussum, 1920; S. Cipriani, Le fonti della Rivelazione, Firenze, 1953; A. Michel, voce “Tradition”, in DThC, XV, coll., 1252-1350; G. Filograssi, La Tradizione divino-apostolica e il magistero ecclesiastico, in “La Civiltà Cattolica”, 1951, III, pp. 137-501; G. Proulx, Tradition et Protestantisme, Parigi, 1924; S. Tommaso d’Aquino, S. Th., III, q. 64, a. 2, ad 2; B. Gherardini, Divinitas 1, 2, 3/ 2010, Città del Vaticano, S. Cartechini, Dall’opinione al domma, Roma, Civiltà Cattolica, 1953, M. Schmaus, tr. it., La Chiesa, Casale Monferrato, Marietti, 1973. Cfr. J. Salaverri, De Ecclesia Christi, Madrid, BAC, 1958, n° 805 ss.
30 commenti:
Mi sembra un ottimo compendio della retta teologia cattolica sul delicato tema affrontato e che noi, senza ricorrere a trattazioni sistematiche, ma a "spizzichi e bocconi", come s'addice ai commenti d'un blog, qui e altrove abbiamo sempre sostenuto.
Eccezionale! Documento di grande qualità teologica e di ferma chiarezza divulgativa.... e poi sono assolutamente contento di vedere che Sì Sì No No, abbia proposto questo articolo "uscendo" un po' da quell'apostolato cartaceo che seppur tradizionale rimane sempre più limitato.
Domanda per Dante e don Camillo:
si si no no, scrive: "Tradizione divino-apostolica (gli Apostoli non la ascoltarono dalla bocca di Cristo, ma la ebbero per ispirazione dello Spirito Santo)".
Ma l'ispirazione dello Spirito Santo data infallibilmente ai 12 Apostoli + San Paolo, non consisteva SOLO "nel far ricordare" le parole del Signore Gesù?
Anonimo legga bene:
I primi ‘Discepoli’ degli Apostoli ricevettero in maniera diretta e immediata la Tradizione dalla bocca dei Dodici, mentre i posteri la ricevono in maniere indiretta e mediata, tramite l’insegnamento dei successori di Pietro (i Papi) e degli Apostoli (i Vescovi) cum Petro et sub Petro, il Magistero è l’organo della trasmissione ininterrotta della medesima eredità ricevuta dagli Apostoli da parte di Cristo o dello Spirito Santo.
Parla dei primi discepoli degli Apostoli, che diventeranno a loro volta Apostoli (cioè 'mandati'), ma per esserlo, occorre aver ricevuto e trasmettere fedelmente (nove e non nova), non cadendo nell'errore di identificare la Tradizione col Magistero vivente, che fa correre il rischio oggi molto diffuso di riconoscere un carattere intrinsecamente evolutivo alla Tradizione.
I Dodici più San Paolo, ricevettero TUTTO da Gesù! Dopo al sua Ascensione Gesù non li ha abbandonati, gli ha lasciato lo Spirito Santo con questa promessa che Lui, lo Spirito Santo "prenderà" del mio (dalle parole di Gesù) e ve lo annunzierà". Lo Spirito Santo: lo Spirito di Gesù (ricordiamoci lo studio di Amerio sulle "Processione divine") era presente agli Apostoli certamente in un modo assolutamente unico nella Storia del Cristianesimo.
Infatti lo Spirito Santo è un, anzi, è il protagonista attivo nelle varia attività e nelle singolari esperienze dei Santi Apostoli, con i quali Egli prende delle decisioni, organizzando in prima persona il ministero (il Culto) ed i ruoli degli Apostoli e prendendo ripetutamente soluzioni decisionali:
"Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi..." (At 15,28);
"E lo Spirito disse a Filippo: Accostati, e raggiungi quel carro" (At 8,29);
"E mentre Pietro rifletteva su quella visione, lo Spirito gli disse: Ecco tre uomini che ti cercano. Alzati dunque, scendi, e va' con loro, senza fartene scrupolo, perché sono io che li ho mandati" (At 10,19-20);
"E mentre celebravano il culto del Signore e digiunavano, lo Spirito Santo disse: Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati" (At 13,2).
Allo Spirito Santo bisogna rendere conto come si dovrebbe al Padre e al Figlio, come nel caso di Anania e Saffira (At 5,1-10).
Insomma, ciò che dice lo Spirito Santo e quel che dice il LOGOS, il Verbo: Gesù! Sicuramente una cosa è certa: questa modalità di comunicazione e Assistenza divina o "dono" straordinario finisce con la morte dell'Ultimo Apostolo, secondo la Tradizione San Giovanni Evangelista morto ad Efeso alla fine del I secolo, di cui oggi ricorre la Memoria.
Ecco spiegato, spero, la differenza tra la TRADIZIONE Divina, e quella Divina-Apostolica.
Leggo solo ora la domanda. Mi sembra che si sia già risposto.
E, me lo si faccia dire, è questo il don Camillo che mi piace.
Buon riassunto della retta teologia cattolica molto più vicina alle affermazioni di Mons Ocariz che a quelle di Don Gleize.
Studio decisamente chiaro e molto opportunamente ribadito.
E noto che anche qui, come in diversi altri lavori che in questi tempi sto considerando, non compare la nozione di inerranza, che è spesso cavallo di battaglia di chi dice: non infallibile non significa "errabile", per escludere la possibilità di errore dal magistero non-infallibile.
Se qualcuno di voi avesse della bibliografia da suggerire su cui approfondire suddetta nozione, lo prego di indicarla. Ciò che sino ad oggi ho trovato in merito ad essa spiega che l'infallibilità è un caso più specifico dell'inerranza, che in principio si riferiva per lo più al solo dettato scritturale, nulla però a che vedere con l'applicazione che ne vedo fare oggi, contro la logica stringente dell'Aquinate, pertintemente richiamata nell'articolo.
Caro Giampaolo,
trovo un interessante riferimento all'inerranza, riferita alla sola Sacra Scrittura e nel caso di specie esaminata nella Dei Verbum - anche in ragione dell'evoluzione della elaborazione del testo con interventi del Biblico, di Paolo VI & C - nelle pagg. 160-170 de "La nuova esegesi", di mons. Francesco Spadafora, un testo del 1950 pubblicato da Les Amis de Saint François de Sales.
Non credo il testo facilmente reperibile. Ne pubblicherò l'interessante documentato contenuto in un prossimo articolo.
Inoltre ci sono questi riferimenti di Mons. Gherardini nell'articolo "Sugli ebrei così serenamente"
...Per non incorrere nel pericolo d'interpretazioni soggettive ai danni della Sacra Scrittura che, proprio perché tale e come tale affidata alla Chiesa, sfugge nettamente ai limiti del soggetto, m'affido ai criteri più volte determinati dal Magistero ecclesiastico, nonché alla sua dottrina. Ciò non comporta un'adesione indiscussa a tutto quanto si legge nella Dei Verbum del Vaticano II, sia perché ciò che di dogmatico il Vaticano II espose, appartiene per sua stessa confessione al magistero precedente, sia perché alcune novità della Dei Verbum lascian alquanto insoddisfatti. Essa, pur senza dichiararlo esplicitamente, rinunzia di fatto alla dottrina classica dell'assoluta inerranza biblica e limita l'inerranza stessa alla sola "verità salutare"18.
Se si pensa che l'inerranza assoluta della Sacra Scrittura non è soltanto una tra le varie premesse d'ogni lavoro esegetico, ma è anche una verità della fede cattolica, a più riprese almeno implicitamente confermata dal Magistero ecclesiastico e dalla tradizione scolastica19, s'intravede per quale motivo abbia poco sopra definito non soddisfacenti alcune novità della Dei Verbum; esse suscitano - a dir il vero - non poche perplessità. Per uscire dalle quali, sarà bene che l'esegeta cattolico si lasci guidare dai capisaldi del Magistero, in special modo dalla "Providentissimus Deus" di Leone XIII e dalla "Divino afflante Spiritu" di Pio XII: l'una infatti stabilisce un'esatta nozione d'ispirazione biblica, nozione che chiamerei teologica in quanto ripugna alla dissociazione della fede dall'ispirazione stessa e dall'inerranza; l'altra mette in evidenza e richiama la varietà dei generi letterari presenti nella Scrittura, le regole per la loro interpretazione ed il senso letterale che ne discende20.
La tendenza odierna è, invece, per il superamento dei due accennati capisaldi, dando, proprio per questo, la fondata impressione di staccarsi direttamente dall'ambito autenticamente cattolico. Si tratta d'un ambito determinato non da scelte soggettive, ma dalla fedeltà alla linea segnalata dal Magistero. A tale linea è certamente fedele il Vaticano II, specie con la sua formulazione d'un criterio indiscutibile: "in lumine fidei - sub Ecclesiae Magisterii ductu"21. Questo, e non la tendenza sopra accennata, sarà dunque anche il mio criterio.
Nota 18. Dei Verbum 12: "...Scripturae libri veritatem, quam Deus nostrae salutis causa Litteris Sacris consignari voluit, firmiter, fideliter et sine errore profitendi sunt". Il testo, quarto e definitivo lungo l'iter della sua formulazione, s'appoggia all'autorità di Sant'Agostino, di San Tommaso, del Tridentino, di Leone XIII e di Pio XII. Sarebbe certo interessante una verifica a tale riguardo, ma difficilmente contenibile in poco spazio. È significativo ricordare che la quarta stesura della Dei Verbum soppresse ogni riferimento all'inerranza biblica, per poter sostenere che esente da errore nella Bibbia, e specificamente nel Nuovo Testamento, è tutto ciò che riguarda il messaggio della salvezza. Cf. DACQUINO P., L'ispirazione dei libri sacri e la loro interpretazione, in AA.VV. La Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, 3. vol collana "Magistero Conciliare", Torino-Leuman 19673, p. 297-304.
Nota 19. 19 CONC. OECUM. VATIC. I, Constit. Dogm. "Dei Filius", 3: De Fide, can. 4, DS 3029; Cf. NICOLAU V. M., Sacrae Theologiae Summa, Madrid 1962, p. 1064ss.; J. RENIÈ, Manuel d'Exégèse Biblique, 1.Lione-Parigi 19496, p. 58-61; G. PERRELLA - L. VAGAGGINI, Introduzione generale, 1.Torino 19603, p. 10-72; A. ROMEO, Ispirazione biblica, in AA.W., Il Libro Sacro; Padova 1958, p. 55-189; H. HOEPFL, Introductio generalis in Sacram Scripturam, Roma-Napoli 19586, p. 19-118.
Grazie per questi riferimenti.
Nel testo Quaecumque dixero vobis Mons. Gherardini argomenta articolatamente le sue perplessità rispetto alle "novità" contenute nella costituzione dogmatica Dei Verbum e l'inversione dell'ordine Magistero-Scrittura nelle fonti della Rivelazione. Questo per dire anche la DV è un testo da prendere con qualche precauzione.
E comunque noto che anche lì, pur se in termini non del tutto tradizionali, di inerranza si parla sempre in riferimento al testo biblico, non al Magistero tout court, che è invece la tesi che spesso mi si rivolge contro, allorché argomento il grado magisteriale non-infallibile del CVII.
Il problema è logico, prima che teologico. Se non è infallibile, è fallibile, tertium non datur. Come ricorda l'articolo. Dire non infallibile, ma comunque inerrabile, a me suona piuttosto contraddittorio, a meno di trovare una definizione di inerranza ad hoc, che ammetta una fallibilità inerrante... insomma un ferro di legno, bizantinismi che mascherano la contraddizione al fondo.
@ Giampaolo
L'inerranza della Chiesa è un concetto antichissimo da non confondere con quello di infallibilità.
Dal giuramento antimodernista Acta Apostolicæ Sedis, 1910, pp. 669-672
:
"Ego N. firmiter amplector ac recipio omnia et singula, quae ab inerranti Ecclesiae magisterio definita, adserta ac dedarata sunt,..."
Mentre nella professio fidei tridentina troviamo:
"Cetera item omnia a sacris canonibus et oecumenicis conciliis, ac praecipue a sacrosaneta Tridentina synodo [et ab oecumenico concilio Vaticano, tradita, definita ac declarata, praesertim de Romani pontificis primatu et infallibili magisterio], indubitanter recipio atque profiteor;..."
Ringrazio l'anonimo per le ulteriori delucidazioni.
In effetti trovano riscontro in quello che lessi giorni addietro nel testo di Ardusso, la fede provata, disponibile parzialmente su google libri. (Sul cui grado di fedeltà alla Tradizione però non mi saprei esprimere)
Lì si spiega come l'infallibilità sia un genere ristretto dell'inerranza, affermatosi a partire dal Vaticano I, laddove prima la nozione propria era appunto quella di inerranza.
Noto che la definizione di Pio X mette l'inerrantia Ecclesiae in relazione all'oggetto del Magistero inteso come: "definita, adserta, ac declarata". Tutti caratteri questi che costituiscono i pronunciamenti infallibili.
Vale a dire che la Chiesa è inerrante quando decide di esserlo nei termini suddetti, e non in ogni dove. Questo almeno quel che capisco.
Esatto, la nozione d'inerranza è antichissima mentre quella d'infallibilità legata al primo concilio Vaticano.
L'infallibilità è un caso particolare d'inerranza dove si devono realizzare esplicitamente le quattro condizioni della Pastor Aeternus.
Riporto tra virgolette l’introduzione alle OBIEZIONI CONTRO L’INFALLIBILITÀ tratto dall’ultima opera monumentale di Apologetica redatta prima del Concilio Vaticano II: “Enciclopedia di Apologetica” del 1953, opera con Imprimatur e nullaOsta e benedizione del Papa Pio XII.
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“Introduzione.
Assieme all'incarico di custodire il sacro deposito della rivelazione e di comunicarlo agli uomini, la Chiesa ricevette dal suo divino fondatore l'assicurazione che Egli sarebbe rimasto con lei fino alla fine dei secoli e che essa insegnando non avrebbe commesso errori. Ecco la prerogativa dell'infallibilità. Essa appartiene alla Chiesa intera, di modo che se questa con la vote dell' insieme dei suoi vescovi e dei suoi dottori insegna una dottrina riguardante la fede e i costumi, tale dottrina, prima ancora di essere solennemente definita, va accettata dai fedeli come rivelata. È questo il cosiddetto magistero ordinario della Chiesa. Ma l'infallibilità risiede in modo più facilmente verificabile nel corpo rappresentativo di tutta la Chiesa, cioè nel Concilio ecumenico e nel capo della Chiesa, cioè nel Sommo Pontefice. Per delimitare esattamente il campo di quest'infallibilità bisogna prima di tutto notare che essa riguarda solo la fede e i costumi non già le questioni disciplinari e tanto meno le dottrine filosofiche e scientifiche, a meno che non siano cosi intimamente connesse con le verità rivelate che negarle equivarrebbe a mettere in dubbio la stessa verità rivelata. In secondo luogo occorre notare che per godere effettivamente della prerogativa dell'infallibilità, il concilio o il papa devono parlare in determinate condizioni. Non tutto ciò che viene enunciato in un concilio è infallibile, poiché godono dell' infallibilità solo le dichiarazioni che i Padri considerano e approvano come tali [ricordo che è stato scritto nel 1954]. Allo stesso modo non tutto ciò che enuncia un papa, anche in materia di fede e di morale, è infallibile, ma solo quello che egli enuncia ex cathedra, «cioè quando nel compiere l'officio di pastore e di dottore di tutti i cristiani, secondo la sua suprema autorità apostolica, definisce che una dottrina intorno alla fede e alla morale si deve tenere dalla Chiesa universale» (Concilio Vaticano, Sess. IV, c. 4; Denz. 1839). In terzo luogo notiamo che, anche fuori di questi momenti solenni in cui il concilio e il Papa impegnano tutto il peso della loro autorità, essi possono egualmente insegnare sia direttamente e sia attraverso le Congregazioni romane, senza tuttavia impegnare la loro infallibile autorità; questo non significa che in tali casi non si debbano accettare le loro decisioni, ma solo che esse non sono infallibili. Cosi quando si tratta di decreti disciplinari, non si può parlare di verità o d' errore, ma d'opportunità o inopportunità, di prudenza o d'inettitudine « Errori » di governo non sono errori dogmatici; e solo per evitare questi ultimi la Chiesa ha ricevuto l'infallibilità, mentre non le fu mai promesso che i suoi atti di governo sarebbero tutti perfetti. Era necessario ricordare brevemente questi principi prima di affrontare le singole obiezioni.
Tutte le difficoltà che si muovono contro l'infallibilità della Chiesa e del Papa nascono dall'ignoranza o trascuranza di qualcuno dei principi sopra enunciati. Alle volte il Papa non aveva parlato ex cathedra; altre
Volte non si tratta d’un concilio munito dell'infallibilità; in altri casi si tratta soltanto d’un decreto disciplinare altre volte la cosa è ancor più semplice, poiché quel tal concilio non disse nulla di quanto gli si fa dire.” G. Vieujean, Storia della Chiesa, pp. 1232 e ss.
Un caro saluto a tutti.
Per quanto riguarda il Magistero o e' infallibile, oppure e' solo autentico non infallibile. Nel primo caso si ha un insegnamento definitivo che richiede l'assenso di Fede di tutti i fedeli, in quanto siamo in presenza di una dottrina rivelata.
Per quanto riguarda il Magistero solo autentico e non infallibile e' richiesto l'ossequio della volonta' e dell'intelletto per rispetto all'autorita' che insegna. Il peccato di non ossequio e' temerarieta' e non peccato contro la Fede. L'autorita' riceve un'assistenza anche nell'esercizio del suo Magistero solo autentico, ma a differenza del primo caso, non e' infallibile. Dire che non e' infallibile significa che in circostanze rare ed eccezionali ci puo' essere l'errore, non solo ambiguita', sprecisione o superficialita'. Quando l'errore e' evidente e' chiaro che non c'e' piu' peccato di temerarieta'.
Non capisco quando si parla di Magistero inerrabile cosa vuol dire. In tutti i libri di teologia si distingue tra Magistero infallibile e non infallibile.
Per quanto riguarda il Concilio Vaticano Secondo a mio avviso mi pare strano che possano esserci in maniera evidente dei veri e propri errori, ma sicuramente sono presenti ambiguita', espressioni sprecise. Come e' possibile che personalita' del tutto estranee al progressismo abbiano potuto firmare documenti con evidenti errori? Ora solo l'autorita' suprema, il Papa, puo' dare l'interpretaziione corretta delle espressioni ambigue ed imprecise.
Saluti.
Grazie di cuore a tutti - anche all'Anonimo che ha colto e chiarito il nucleo del problema - per queste presenze attente e partecipative, dense di interrogativi e risposte che aiutano a fare chiarezza, mentre sembra ci si voglia invischiare in gineprai illogici e inestricabili, ai quali il nostro 'sensus fidei' e la nostra coscienza illuminata e formata dalla Fede non può che opporsi, nonostante la difficoltà dell'autorevolezza spesso aggressiva delle nuove formulazioni.
Per quanto mi riguarda cerco di arrivare fin dove posso ed ogni tanto riesco a fare, col vostro aiuto, qualche passo ulteriore.
Per il resto, mi affido e vado avanti.
Ci è stato dato questo tempo ed è qui che dobbiamo destreggiarci, ma sempre fortemente ancorati a Colui che è lo stesso ieri oggi e sempre, che fa nuove tutte le cose, ma sono rinnovate "in Lui": "lo Spirito Santo prenderà del mio...". Questo è promesso e dato ad un "voi", che richiede fedeltà e non avventurismo, nella Chiesa UNA SANTA CATTOLICA APOSTOLICA sempre viva nel mistero e che in qualche modo si rende visibile.
Un caro saluto a Lei, gentile Marco,
il tema dell'inerranza è il genere di cui l'infallibità può dirsi essere la differenza specifica, ovvero l'ultima è una specificazione della prima a date condizioni, come si diceva nei commenti precedenti.
Il problema nasce allorché si dice, come alcuni fanno, che il Magistero autentico, pur se non infallibile, è comunque inerrabile, così che di fatto lo si deve recepire come immune da errore, promuovendolo ad un livello che non gli è proprio, e identificando nei fatti il religioso ossequio con l'adesione di fede, non consentendo critica alcuna.
Si ha cioè il paradosso di un Magistero che si volle pastorale, e non Dogmatico, dunque non infallibile, che alla fine trasforma in infallibile ogni virgola.
Nel libro sulla storia del CVII di De Mattei sono spiegati i diversi retroscena che portarono un clero ancora non del tutto modernista ad avallare testi quanto meno ambigui, che si sarebbero poi prestati alla deformazione spirito-(del)-conciliare successiva.
Resta vero che il nodo potrebbe essere sciolto solo dalla S. Sede, laddove Questa però abbandonasse lo stile pastorale che ha assunto da un cinquantennio, e tornasse ad esercitare il proprio Munus Docendi in senso pieno, ovvero Dogmatico e definitorio, che è poi quello che ci si attende da anni.
Cordialità
Campa cavallo.
Segnalo per chi volesse approfondire nella rivista sì sì no no temi di apologetica il nuovo sito internet dove si possono scaricare in PDF intere annate! http://www.sisinono.org .
Ps1 Giampaolo ti è arrivata la mia risposta per email?
Ps2 .... Che l'erba cresce...
Sono completamente d'accordo con Lei
Giampaolo.
Giustamente l'inerranza riguarda la Sacra Scrittura ed e' connessa con il tema dell'ispirazione. Si tratta dell'esclusione di ogni errore dal testo sacro per il positivo intervento di Dio che e' autore principale della Scrittura.
L'inerranza si riferisce solo ad atti di Magistero a determinate condizioni. E' un'assitenza puramente negativa in quando garantisce che il testo di Magistero non contenga errori, tuttavia l'autore del testo di Magistero non e' Dio.
Il punto 24 della DONUM VERITATIS afferma che il Magistero non infallibile puo' contenere carenze insieme a dati certi.
Il n°24 della Donum Veritatis NON si applica agli insegnamenti del terzo comma che sono, invece, descritti al n°23 assieme a quelli del primo e secondo comma.
Qundi i commi della Professione di Fede fanno riferimento solo a sentenze di Magistero infallibile, dato che il Magistero solo autentico non rientrerebbe nei tre commi citati.
Il Magistero Autentico rientra nel caso del terzo comma.
Lo esprime molto chiaramente il can 752 ("Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell'intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli perciò procurino di evitare quello che con essa non concorda");
questo tipo di ossequio è, appunto, lo stesso di quello descritto nel terzo comma ("Tali insegnamenti sono comunque espressione autentica del magistero ordinario del Romano Pontefice o del Collegio Episcopale e richiedono, pertanto, l'ossequio religioso della volontà e dell'intelletto")
Quindi riassumendo il terzo comma della Professione di Fede riguarda l'esercizio del Magistero autentico non infallibile. Ora non infallibile significa che puo' andare soggetto ad errori. Su questo concordano tutti i testi di teologia dogmatica che si preoccupano di ben delimitare le condizioni dell'infallibilita' del Magistero e della definizione esatta di infallibilita'. Un atto di Magistero fallibile ed immune da errori e' una pura contraddizione.
Rileggendo la Donum Veritatis, l'inizio del punto 24 esplica meglio cosa si intenda per Magistero autentico non infallibile richiamato alla fine del punto 23. I primi due brani del punto 23 riguardano solo il Magistero infallibile.
Un altro problema. Non capisco come una sentenza non definitiva possa essere un atto di Magistero infallibile, che e' del tutto immune da errori. Solo le sentenze definitive possono essere infallibile e del tutto immuni da errori. Per lo meno e' quello che insegnano tutti i testi di teologia che ho sottimano, come l'ottimo Compendio di apologetica del Lang.
Saluti.
L'inizio del punto 24 NON si riferisce alla fine del punto 23.
Se gentilmente postate i testi anziché i numeri, così, nel caso, si potrebbe intervenire....
Ha ragione Don Camillo, posto di seguito i punti citati:
http://www.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19900524_theologian-vocation_it.html
23.
Quando il Magistero della Chiesa si pronuncia infallibilmente dichiarando solennemente che una dottrina è contenuta nella Rivelazione, l’adesione richiesta è quella della fede teologale. Questa adesione si estende all’insegnamento del Magistero ordinario ed universale quando propone una dottrina di fede come divinamente rivelata.
Quando esso propone «in modo definitivo» delle verità riguardanti la fede ed i costumi, che, anche se non divinamente rivelate, sono tuttavia strettamente e intimamente connesse con la Rivelazione, queste devono essere fermamente accettate e ritenute[22].
Quando il Magistero, anche senza l’intenzione di porre un atto «definitivo», insegna una dottrina per aiutare ad un’intelligenza più profonda della Rivelazione e di ciò che ne esplicita il contenuto, ovvero per richiamare la conformità di una dottrina con le verità di fede, o infine per metter in guardia contro concezioni incompatibili con queste stesse verità, è richiesto un religioso ossequio della volontà e dell’intelligenza[23]. Questo non può essere puramente esteriore e disciplinare, ma deve collocarsi nella logica e sotto la spinta dell’obbedienza della fede.
24.
Infine il Magistero, allo scopo di servire nel miglior modo possibile il Popolo di Dio, e in particolare per metterlo in guardia nei confronti di opinioni pericolose che possono portare all’errore, può intervenire su questioni dibattute nelle quali sono implicati, insieme ai principi fermi, elementi congetturali e contingenti. E spesso è solo a distanza di un certo tempo che diviene possibile operare una distinzione fra ciò che è necessario e ciò che è contingente.
La volontà di ossequio leale a questo insegnamento del Magistero in materia per sé non irreformabile deve essere la regola. Può tuttavia accadere che il teologo si ponga degli interrogativi concernenti, a secondo dei casi, l’opportunità, la forma o anche il contenuto di un intervento. Il che lo spingerà innanzitutto a verificare accuratamente quale è l’autorevolezza di questi interventi, così come essa risulta dalla natura dei documenti, dall’insistenza nel riproporre una dottrina e dal modo stesso di esprimersi[24].
In questo ambito degli interventi di ordine prudenziale, è accaduto che dei documenti magisteriali non fossero privi di carenze. I Pastori non hanno sempre colto subito tutti gli aspetti o tutta la complessità di una questione. Ma sarebbe contrario alla verità se, a partire da alcuni determinati casi, si concludesse che il Magistero della Chiesa possa ingannarsi abitualmente nei suoi giudizi prudenziali, o non goda dell’assistenza divina nell’esercizio integrale della sua missione. Di fatto il teologo, che non può esercitare bene la sua disciplina senza una certa competenza storica, è cosciente della decantazione che si opera con il tempo. Ciò non deve essere inteso nel senso di una relativizzazione degli enunciati della fede. Egli sa che alcuni giudizi del Magistero potevano essere giustificati al tempo in cui furono pronunciati, perché le affermazioni prese in considerazione contenevano in modo inestricabile asserzioni vere e altre che non erano sicure. Soltanto il tempo ha permesso di compiere un discernimento e, a seguito di studi approfonditi, di giungere ad un vero progresso dottrinale.
Praticamente il punto e' se tutte le sentenze di Magistero analizzate dalla Professione di Fede sono infallibili, immuni da errori.
A quanto ho capito secondo Anonimo la risposta a questa domanda e' affermativa. Inoltre sempre secondo Anonimo le sentenze di Magistero, che secondo la Donum Veritatis possono avere delle carenze, non rientrano in nessuno dei casi analizzati dalla Professione di Fede.
A mio avviso invece solo le sentenze appartenenti ai punti uno e due della Professione di Fede sono infallibili, immuni da errori, in quanto si parla di sentenze definitive. Le sentenze del terzo comma della Professione di Fede per il loro carattere non definitivo non possono essere infallibili, immuni da errori. Per questo mi sembra che quando Donum Veritatis parla di atti di Magistero con carenze si riferisca alle senteze del terzo comma della Professione di Fede.
Sia chiaro non intendo affermare che le sentenze del terzo comma contengano abitualmente errori. Anzi, a queste sentenze deve essere tributato l'ossequio dovuto. Tuttavia a quanto ho letto in testi di teologia approvati solo le sentenze definitive possano essere del tutto a riparo da errori.
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