Il Papa ha recentemente istituito una commissione per rivedere l'Istruzione Liturgiam Authenticam, col compito di affrontare due questioni considerate gemelle: l'inculturazione e il decentramento in materia liturgica.
La notizia era stata data puntualmente da Sandro Magister ed era tra i miei segnalibri, avendone già scorto la gravità e i rischi, ma finora sono rimasta sommersa dalla cronaca incalzante. Qui nel blog non se n'è discusso, mentre il mio approfondimento è ora spronato dagli allarmi che vengono da diversi osservatori esteri, sia sul fronte anglofono che su quello francofono, che approfondiremo quando avrò pronte le traduzioni in corso. Ѐ arrivato dunque il momento di occuparcene, anche se ho la sensazione di scrivere sull'acqua. Tuttavia non demordo e non dispero che possa servire e anche che il Cielo ci aiuti.
La prima osservazione è che la revisione delle traduzioni appare contraria rispetto ai tentativi di Benedetto XVI di eliminare alcune scorie ereticali evidenziatesi dopo la Riforma di Paolo VI ristabilendo un linguaggio più conforme all'originale latino. Un esempio: ripianare il dissenso tra i vescovi dell'area di lingua tedesca sul "pro multis" nella preghiera del canone della Messa. Non è mancata, purtroppo, la resistenza da parte del clero progressista di tutto il mondo, con la scusa pretestuosa che le nuove traduzioni sono incomprensibili per il popolo. In ogni caso è un ennesimo punto importante su cui Bergoglio sconfessa l'opera del suo predecessore.
La notizia era stata data puntualmente da Sandro Magister ed era tra i miei segnalibri, avendone già scorto la gravità e i rischi, ma finora sono rimasta sommersa dalla cronaca incalzante. Qui nel blog non se n'è discusso, mentre il mio approfondimento è ora spronato dagli allarmi che vengono da diversi osservatori esteri, sia sul fronte anglofono che su quello francofono, che approfondiremo quando avrò pronte le traduzioni in corso. Ѐ arrivato dunque il momento di occuparcene, anche se ho la sensazione di scrivere sull'acqua. Tuttavia non demordo e non dispero che possa servire e anche che il Cielo ci aiuti.
La prima osservazione è che la revisione delle traduzioni appare contraria rispetto ai tentativi di Benedetto XVI di eliminare alcune scorie ereticali evidenziatesi dopo la Riforma di Paolo VI ristabilendo un linguaggio più conforme all'originale latino. Un esempio: ripianare il dissenso tra i vescovi dell'area di lingua tedesca sul "pro multis" nella preghiera del canone della Messa. Non è mancata, purtroppo, la resistenza da parte del clero progressista di tutto il mondo, con la scusa pretestuosa che le nuove traduzioni sono incomprensibili per il popolo. In ogni caso è un ennesimo punto importante su cui Bergoglio sconfessa l'opera del suo predecessore.
Premessa
La Liturgiam authenticam regola la traduzione dei libri liturgici alle diverse lingue parlate. Ha visto la luce nel 2001 e sostituisce tutte le Istruzioni pubblicate in precedenza, tranne quelle del documento anteriore, la Varietates legitimae, che tratta specificamente delle difficoltà da superare tra la Liturgia romana e l’inculturazione.
In questa analisi parto da una rapida sintesi dell'annoso 'processo' innescato dal Vaticano II, che ora affronta un giro di boa niente affatto innocuo né senza conseguenze per La Catholica nella sua componente attualmente più visibile e incisiva, costituita dalla pletora gerarchica che detiene il potere egemone ereditato da quell'assise ecumenica.
Successivamente sviluppo una riflessione sul rischio delle traduzioni, soprattutto quando sono affidate a soggetti eterogenei, oltre che diversamente-orientati rispetto alla tradizione perenne. E traggo le conclusioni che includono le cause prossime e remote dei rischi sia per l'unità della Chiesa che per lo sviluppo organico della Liturgia, come del resto ricordato dalla stessa Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia, senza tuttavia poter ignorare l'espressione "in qualche modo", che non incontriamo per la prima né unica volta (vedi Gaudium et Spes, 22), ad attenuare la portata dell'affermazione:
In questa analisi parto da una rapida sintesi dell'annoso 'processo' innescato dal Vaticano II, che ora affronta un giro di boa niente affatto innocuo né senza conseguenze per La Catholica nella sua componente attualmente più visibile e incisiva, costituita dalla pletora gerarchica che detiene il potere egemone ereditato da quell'assise ecumenica.
Successivamente sviluppo una riflessione sul rischio delle traduzioni, soprattutto quando sono affidate a soggetti eterogenei, oltre che diversamente-orientati rispetto alla tradizione perenne. E traggo le conclusioni che includono le cause prossime e remote dei rischi sia per l'unità della Chiesa che per lo sviluppo organico della Liturgia, come del resto ricordato dalla stessa Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia, senza tuttavia poter ignorare l'espressione "in qualche modo", che non incontriamo per la prima né unica volta (vedi Gaudium et Spes, 22), ad attenuare la portata dell'affermazione:
“... non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, con l’avvertenza che le nuove forme scaturiscano in maniera in qualche modo organica da quelle già esistenti.” (Sacrosanctum Concilium, n. 23)
La prudenza delle condizioni per uno sviluppo organico non dovrebbe consentire la sostituzione della voluntas dell'autorità alla immutabilità della Tradizione. Nella evoluzione omogenea, l'autorità, fosse pure quella del Papa, diviene un'istanza declaratoria - dall'implicito all'esplicito - del contenuto oggettivo della Tradizione, indissolubilmente legata alla tradizione dogmatica e non un’innovazione esasperata e, soprattutto, arbitraria. La liturgia non è una devozione privata nella quale ci si rivolge a Dio individualmente, ma è azione pubblica della Chiesa che ri-attualizza l'Actio di Cristo.
Per l'Occidente la lingua liturgica e sacra è il latino, non soltanto fattore di unità ecclesiale oltre che culturale ma soprattutto garanzia di ortodossia del linguaggio dottrinale e liturgico. Lo vedremo meglio più avanti, insieme all'excursus tra i riferimenti testuali e le relative implicazioni dottrinali e pastorali.
L’inculturazione e il decentramento - due termini solo apparentemente innocui nel nostro contesto [vedi] - costituiscono di fatto un avanzamento del graduale inesorabile processo di riforma sotto la veste di rinnovamento, nel quale vediamo il capovolgimento di molti capisaldi della lex orandi - lex credendi, come già ampiamente illustrato altrove, ma che qui sintetizzo in termini più essenziali.
C'è una sottigliezza, che non è un dettaglio trascurabile, che riguarda la parola divina su cui la fede cristiana riposa. Sappiamo, e la storia delle eresie e degli scismi lo mostra chiaramente, come un errore di interpretazione può allontanare dal senso dato da Dio stesso attraverso gli scritti biblici, che non sono altro che parole divine espresse nella forma scritta. La Bibbia è prima di tutto una sola Parola pronunciata da Dio attraverso il suo Verbo. Un discorso dato a un popolo eletto per accoglierlo (e diffonderlo) e che, pertanto, è stato ricevuto in una lingua, una cultura e una tradizione e, come ogni linguaggio, è portatore di una civiltà che è la chiave interpretativa che Dio ha detto al mondo.
Il linguaggio di Dio è Cristo, espresso in ebraico, aramaico, nel greco della Settanta e di alcuni scritti del Nuovo Testamento. Pensare greco e trascrivere in latino, pensare in aramaico e trascrivere in greco - è così che sono nati i vangeli - non è la stessa cosa che pensare e parlare aramaico o pensare e parlare greco o pensare e parlare nelle lingue attuali. Traduttore, traditore - secondo l'antico detto - perché tradurre significa fare delle scelte nel novero dei molteplici significati delle parole. Una traduzione non potrà mai rendere interamente il significato, lo spessore semantico ricco di sfumature, portato dalla parola originale.
Se è vero che la comunicazione di Dio all’uomo nella Scrittura, per essere meglio compresa, nella liturgia - nello specifico riguardo alle Letture - può avvenire anche in vernacolare come era previsto per il Messale tra il 1965 e il 1967/69, la comunicazione della Chiesa col Signore si esprime adeguatamente e soprattutto degnamente ‘una voce dicentes’. Principio, questo, conservato nei riti orientali che usano l’aramaico, il greco antico e lo slavo ecclesiastico.
Ci siamo dimenticati che il volgare non è una conquista. La lingua sacra, strutturata, in ogni espressione gesto e significato conserva il dogma, la fede degli Apostoli arrivata fino a noi attraverso i secoli, conserva il senso dell'indicibile e anche dell'intraducibile: ci sono parole che, è bene ribadirlo, hanno uno spessore di significato che qualunque traduzione tradirebbe e successive traduzioni rese necessarie dall’evolversi del linguaggio non farebbero che allontanare sempre di più dal loro senso originario. In più la lingua universale fa sentire tutti a casa ed ha la stabilità, la pregnanza che la traduzione appunto banalizza. Il volgare bastava introdurlo solo nelle Letture, come già si fa nelle celebrazioni Summorum Pontificum e come nella prima Riforma liturgica, quella del 1965, più vicina alla Sacrosanctum Concilium perché non ne aveva ancora attuato i famosi ma anche, che da una proposizione commestibile, fanno partire una pletora di eccezioni che, in definitiva, diluiscono l'affermazione iniziale e portano altrove.
Nella Veterum Sapientia di Giovanni XXIII (1962) non si manca di rammentare che il latino resta un lingua immutabile - e dunque fissata in registri ben definiti e sottratti alle evoluzioni nel tempo delle lingue nazionali - citando Pio XI, Lettera Apostolica Officiorum omnium: «Infatti la Chiesa, poiché tiene unite nel suo amplesso tutte le genti e durerà fino alla consumazione dei secoli... richiede per sua natura un linguaggio universale, immutabile, non volgare». Indispensabile per esprimere i concetti con chiarezza e solidità di pensiero. Ecco perché resta perennemente valido per comunicare il pensiero con certezza, forza, precisione, e ricchezza di sfumature. Per questo è tuttora insostituibile nell'esercizio del magistero, soprattutto nelle definizioni dogmatiche, per le quali non si ammettono ambiguità ed inoltre nelle parti principali della liturgia, nelle quali le res humanae, transeunti, sono immerse nel mistero ma anche nella fecondità delle res divinae, eterne ed immutabili.
Anche Benedetto XVI, col motu proprio Latina Lingua (2012), volle sostenere l’impegno per una maggiore conoscenza e un più competente uso del latino. Un altro tentativo senza esiti di concretezza.
Per l'Occidente la lingua liturgica e sacra è il latino, non soltanto fattore di unità ecclesiale oltre che culturale ma soprattutto garanzia di ortodossia del linguaggio dottrinale e liturgico. Lo vedremo meglio più avanti, insieme all'excursus tra i riferimenti testuali e le relative implicazioni dottrinali e pastorali.
L’inculturazione e il decentramento - due termini solo apparentemente innocui nel nostro contesto [vedi] - costituiscono di fatto un avanzamento del graduale inesorabile processo di riforma sotto la veste di rinnovamento, nel quale vediamo il capovolgimento di molti capisaldi della lex orandi - lex credendi, come già ampiamente illustrato altrove, ma che qui sintetizzo in termini più essenziali.
C'è una sottigliezza, che non è un dettaglio trascurabile, che riguarda la parola divina su cui la fede cristiana riposa. Sappiamo, e la storia delle eresie e degli scismi lo mostra chiaramente, come un errore di interpretazione può allontanare dal senso dato da Dio stesso attraverso gli scritti biblici, che non sono altro che parole divine espresse nella forma scritta. La Bibbia è prima di tutto una sola Parola pronunciata da Dio attraverso il suo Verbo. Un discorso dato a un popolo eletto per accoglierlo (e diffonderlo) e che, pertanto, è stato ricevuto in una lingua, una cultura e una tradizione e, come ogni linguaggio, è portatore di una civiltà che è la chiave interpretativa che Dio ha detto al mondo.
Il linguaggio di Dio è Cristo, espresso in ebraico, aramaico, nel greco della Settanta e di alcuni scritti del Nuovo Testamento. Pensare greco e trascrivere in latino, pensare in aramaico e trascrivere in greco - è così che sono nati i vangeli - non è la stessa cosa che pensare e parlare aramaico o pensare e parlare greco o pensare e parlare nelle lingue attuali. Traduttore, traditore - secondo l'antico detto - perché tradurre significa fare delle scelte nel novero dei molteplici significati delle parole. Una traduzione non potrà mai rendere interamente il significato, lo spessore semantico ricco di sfumature, portato dalla parola originale.
Se è vero che la comunicazione di Dio all’uomo nella Scrittura, per essere meglio compresa, nella liturgia - nello specifico riguardo alle Letture - può avvenire anche in vernacolare come era previsto per il Messale tra il 1965 e il 1967/69, la comunicazione della Chiesa col Signore si esprime adeguatamente e soprattutto degnamente ‘una voce dicentes’. Principio, questo, conservato nei riti orientali che usano l’aramaico, il greco antico e lo slavo ecclesiastico.
Anche Benedetto XVI, col motu proprio Latina Lingua (2012), volle sostenere l’impegno per una maggiore conoscenza e un più competente uso del latino. Un altro tentativo senza esiti di concretezza.
I prodromi della 'Riforma' liturgica
Il documento-base sulla Liturgia è la Sacrosanctum Concilium (1963), per la cui applicazione nel corso degli anni successivi sono stati pubblicati cinque documenti, ciascuno dei quali numerati in un’unica serie come “Istruzioni per la retta Applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II”:
- Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, contenente i principi generali di base per l’ordinata applicazione del rinnovamento liturgico.
- Tres abhinc annos, 4 maggio 1967, stabiliva ulteriori adattamenti all’Ordine della Messa
- Liturgicae instaurationes, 5 settembre 1970, contenente innanzitutto direttive sul ruolo centrale del Vescovo nel rinnovamento della liturgia in tutta la diocesi.
- Vicesimus quintus annus, Lettera Apostolica del 4 dicembre 1988 di Giovanni Paolo II, nel 25° anniversario della Costituzione Conciliare, dà inizio ad una nuova fase di completamento e consolidamento e coincide con il periodo in cui il rinnovamento liturgico andava sempre più incentrandosi sulla revisione delle edizioni in lingua latina dei libri liturgici e della loro traduzione nelle varie lingue moderne.
- Varietates legitimae, 25 gennaio 1994, tratta delle questioni difficili circa la Liturgia romana.
Secondo notizie attinte dalla Rivista gesuita America magazine del 17 gennaio 2017, la Commissione recentemente istituita è presieduta dal vescovo Arthur Roche, segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e dovrà decidere tra il preservare l'unità della liturgia nella Chiesa e il lasciare maggiore libertà alle Conferenze Episcopali locali, nella convinzione, espressa anche da molte di esse, che il processo di traduzione sia troppo centralizzato a Roma e troppo letterale. Viene citato l'esempio del Giappone, dove i vescovi sarebbero scontenti sia della traduzione che del livello di centralizzazione. La rivista sottolinea che il vescovo Roche già nel settembre 2014, dinanzi alla Conferenza dei Vescovi canadesi ha dichiarato che, con Liturgiam Authenticam, la Santa Sede era passata da una logica di traduzione di "equivalenza dinamica o funzionale" ad una logica di "equivalenza formale". Ѐ intuibile il cambiamento di paradigma che sottende anche il cambiamento di approccio col senso attribuito alla Parola. Con l'eccezione del Presidente, i membri della commissione non sono ancora noti. Si pensa che essa debba essere composta da vescovi di tutti i continenti.
Cito Magister: Un licenziamento, una demolizione: la nuova curia eccola qui
[...] Il secondo provvedimento attuato nell'ombra riguarda la congregazione per il culto divino di cui è prefetto il cardinale Robert Sarah, anche lui oggetto di ripetute umiliazioni pubbliche da parte del papa, e ormai condannato a presiedere degli uffici e degli uomini che gli remano contro.Diretta dal segretario della congregazione, l'arcivescovo inglese Arthur Roche, è stata istituita per volontà di Francesco all'interno del dicastero una commissione il cui obiettivo non è la correzione delle degenerazioni della riforma liturgica postconciliare – cioè quella "riforma della riforma" che è il sogno del cardinale Sarah – ma è proprio il contrario: la demolizione di uno dei muri di resistenza agli eccessi dei liturgisti postconciliari, l'istruzione "Liturgiam authenticam" emessa nel 2001 che fissa i criteri per la traduzione dei testi liturgici dal latino alle lingue moderne.Con Benedetto XVI questi criteri erano stati ulteriormente rafforzati, in particolare per la volontà di quel papa di tener fermo il "pro multis" del Vangelo e del messale latino nelle parole della consacrazione del sangue di Cristo, contro il "per tutti" di molte traduzioni correnti.Ma Francesco ha fatto capire da subito che la cosa lo lasciava indifferente. E ora, con l'istituzione di questa commissione, va incontro alle idee di modernizzazione del linguaggio liturgico caldeggiate, ad esempio, dal liturgista Andrea Grillo, professore al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo e molto apprezzato a Casa Santa Marta:C'è chi teme che dopo la demolizione di "Liturgiam authenticam" il prossimo obiettivo, di questa o di un'altra commissione, sia la correzione di "Summorum pontificum", il documento con cui Benedetto XVI liberalizzò la celebrazione della messa in rito antico.
Situazione della Congregazione per il culto divino
Di pari passo con il progetto di ulteriore liberalizzazione della Liturgia, registriamo la concomitante trasformazione in senso liberale della Congregazione per il culto divino [qui]. Se ne ricava che sono nove i cardinali non riconfermati, tra cui il card. Burke. Drastica invece l'epurazione tra i vecchi membri non cardinali dei quali sono stati riconfermati soltanto due. Nelle nuove nomine nei ranghi inferiori spicca l'orientamento ben rappresentato dall'arcivescovo Piero Marini, noto liturgista postconciliare allievo del famigerato Annibale Bugnini e dal cardinale Beniamino Stella, noto più che come esperto di liturgia come intimo di papa Francesco e fedele esecutore dei suoi voleri.
Al cardinale prefetto Sarah dunque sono stati sottratti non pochi sostenitori della sua ventilata "riforma della riforma", auspicabile per una ri-sacralizzazione del Novus Ordo ma che presenterebbe dei rischi se si dovesse pensare anche ad una ibridazione del Rito Antiquior. L'unico possibile sostenitore rimastogli è il cardinale arcivescovo di Colombo Ranjith Patabendige Don, già segretario della congregazione per il culto divino con Benedetto XVI.
Peraltro già nel 2014, prima prima che gli fosse affidato l'incarico di prefetto, c'era già stato il pressoché totale ricambio dei quadri intermedi del dicastero, dalla segreteria in giù: fuori i fautori della "riforma della riforma" e dentro i liturgisti alla Piero Marini. E dunque il risultato di fatto è che il cardinale Sarah si trova a governare uffici che gli remano contro.
Senza contare le ripetute bordate pubbliche dello stesso papa Francesco contro la "riforma della riforma" [qui] a riprova di una fase avanzata della guerra in corso anche sulla Liturgia [e anche qui - qui - qui] e non potrebbe essere diversamente, visto che è proprio la Liturgia Culmen et Fons della nostra Fede.
Non finirà dunque mai la nefasta stagione postconciliare dell’assorbimento acritico o passivo di scelte teo-ideo-logiche, imposte “in nome del Concilio” con l'autoritarismo delle avanguardie agguerrite che decenni fa hanno cominciato a enfatizzare la “comunità” e la “democrazia” nella Chiesa e che oggi si è trasformato in bieca tirannide ormai difficilmente estirpabile perché stiamo arrivando al punto di non ritorno?
Dalla situazione ai testi
Cito dal Documento programmatico dell'attuale pontificato che avalla questo processo, Evangelii Gaudium, n.32. Ricordo che l'EG parla perfino di "Conversione del Papato" (!?)
Il Papa Giovanni Paolo II chiese di essere aiutato a trovare «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova»[1]... Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono «portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente»[2]. Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale[3]. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria.
I riferimenti in ultima analisi sono:
- alla lettera enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint sull'impegno ecumenico nella quale il suo predecessore chiese di essere aiutato a trovare «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova» che fa riferimento a sua volta al Decreto conciliare sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio, n.14 che tuttavia è riferito specificamente al dialogo con le Chiese d'Oriente e solo successivamente è stato ripreso per analogia
- alla Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 23
- alla Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II Apostolos Suos, che afferma: «Il Sinodo, pertanto, ha avanzato la raccomandazione che venga più ampiamente e profondamente esplicitato lo studio dello status teologico e conseguentemente giuridico delle Conferenze dei Vescovi e soprattutto il problema della loro autorità dottrinale, tenendo presente il n. 38 del Decreto conciliare Christus Dominus»
- al Decreto conciliare sulla Missione pastorale dei vescovi nella Chiesa, Christus Dominus, n.38 dove leggiamo: «Le decisioni della conferenza episcopale, purché siano state prese legittimamente e con almeno due terzi dei suffragi dei presuli appartenenti alla conferenza con voto deliberativo e siano state sottoposte all'esame della santa Sede, obbligano giuridicamente, ma soltanto nei casi in cui ciò sia contenuto nel diritto comune, oppure ciò sia stabilito da una speciale prescrizione della santa Sede, impartita o per motu proprio o dietro domanda della stessa conferenza».
Sui poteri del Pontefice e sul suo rapportarsi alla collegialità dunque molto influisce l’ambiguità della Lumen Gentium alla quale Paolo VI, messo sull'avviso dai Padri del Coetus Internationalis Patrum, cercò di rimediare con la Nota Praevia[4] stesa sotto la supervisione del Cardinal Ottaviani. E tuttavia tale nota, con molta coerenza progressista posta in calce alla Costituzione, viene sistematicamente "saltata" essendo, appunto, "praevia"...
La Chiesa è per sua natura gerarchica. E il Papa (CIC, can.331), in virtù della sua funzione di Vicario di Cristo, ha nella Chiesa un potere ordinario supremo, pieno, immediato e universale, che può sempre esercitare liberamente. Il potere gli deriva dalla sua funzione e non da una sorta di presidenza del collegio episcopale.
La dottrina del Vaticano I e del Vaticano II nella Nota praevia definisce il Papa principio e fondamento dell’unità della Chiesa, giacché è conformandosi a lui che i vescovi si conformano tra di loro. Non è possibile poggino la loro autorità su un principio immediato che sarebbe comune alla loro potestà e a quella papale. Ora con l’istituzione delle Conferenze episcopali e con gli organismi Sinodali la Chiesa è un corpo policentrico a vari livelli nazionali o provincie locali. Conseguenza immediata è un allentamento del vincolo di unità che si manifesta con ingenti dissensi su punti gravissimi. Ne stiamo vedendo gli effetti con le interpretazioni difformi dell'AL.
La nuova ecclesiologia conciliare sancita da Lumen Gentium si armonizza con la “Pastor æternus” circa la giurisdizione universale del Romano Pontefice, però azzarda un avventuroso allargamento di questa mediante la dottrina della collegialità vescovile come organo di governo accanto e analogo a quello del Sommo Pontefice. Nonostante la “Nota esplicativa previa”, mons. Gherardini osserva che « dottrina della Chiesa è quanto la sua Tradizione, dagli Apostoli sino ad oggi, presenta e propone come tale: la collegialità non ne fa parte ».
Si pretende dunque che la visione Chiesa-comunione sia la scoperta del Vaticano II e vada a sostituirsi a quella di società perfetta ed oggi appare dominante in quanto più vicina alle assonanze bibliche specificamente neotestamentarie, come se potesse finalmente sintetizzare alla perfezione tutto il rapporto con Dio fino al concilio non esattamente compreso. Ma il rischio più grande è quello di ricondurre tutto ad un'interpretazione puramente psico-sociologica, ai bisogni e alle attese umane. Acquista valore la Chiesa locale, come se l’universalità della Chiesa e tutto il suo mistero prima del concilio non le appartenesse a pieno titolo.
Possibile che nessuno obietti che la Chiesa, fin dal suo nascere ad opera del Salvatore, se non fosse stata e rimasta innanzitutto “comunione” dei Suoi in Lui, non sarebbe mai stata La Chiesa? E che l'ordine gerarchico, lungi dal creare una visione rigida e statica della realtà, configura un dinamismo che non è alternativo alla comunione, intrinsecamente strutturale ad essa?
Conclusione
Secondo la dottrina de fide del Concilio Vaticano I (DB, 1823) Cristo ha dato a Pietro e ai Romani Pontefici suoi successori un Primato non semplicemente di onore, ma di giurisdizione: il potere di governo, di direzione, di guida, di coercizione e cioè di insegnare e governare la Chiesa.
L'analisi che precede dimostra invece che il centro del discorso è il passaggio da una visione giuridica della chiesa, basata sul criterio di giurisdizione, a una concezione sacramentale, basata sull’idea di comunione. Il nodo è, appunto, in Lumen Gentium n.22 nonostante la Nota praevia. Ne è scaturita la visione che i rapporti tra il Papa e i vescovi non sarebbero più improntati alla delega e alla subordinazione: il Papa non governa “dall’alto” la chiesa, ma la guida nell’ordine della comunione.
La logica applicata è che, se il suo potere di giurisdizione deriva dal sacramento, sotto l’aspetto sacramentale, il Papa non è superiore ai vescovi. E dunque il suo primato sulla chiesa universale non è di governo ma di amore, proprio perché, come vescovo, il Papa è sullo stesso piano degli altri vescovi. Da qui derivano i maggiori poteri attribuiti al collegio episcopale fino alla possibilità di legiferare autorevolmente. Per questo si può pensare che il Papa possa esercitare il suo primato in maniera nuova, associando al suo potere organi deliberativi o consultivi, come conferenze episcopali, sinodi, o comunque organismi permanenti, che lo coadiuvano nel governo della chiesa.
Al contrario, tutta la storia della Chiesa fino al Vaticano II non è altro che l’evoluzione omogenea di un principio di suprema giurisdizione presente nelle parole di Gesù Cristo che a san Pietro e a lui solo disse: Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia chiesa (Mt. 16, 14-18).
Per approfondire devo riproporvi la lettura dell'articolo: Collegialità episcopale o episcopato subordinato? Le implicazioni nell'Amoris Laetitia [qui], insieme a quella di tutti i precedenti che richiama, del quale ripeto la conclusione. E lo ripeterò ad nauseam finché non ci sarà chi di dovere che ne tragga le conseguenze pratiche per poter ripareggiare la verità..
Finché non si prenderà atto che questa eredità conciliare ribaltante è il vero nodo da sciogliere, il nostro impegno di riaffermazione della verità secondo il Magistero perenne sarà utile per le anime libere, potrà continuare a defluire come una vena aurea cui attinge chi la trova o come un canale carsico che potrà riaffiorare al termine di questa notte oscura, ma oggi non può avere alcuna efficacia su una realtà così deformata e deformante. E la stessa grave solennità di una possibile correzione canonica, - rischia di non ottenere i risultati voluti e sperati. A meno che non intervengano fattori o si destino altre rette volontà al momento impensabili.
(Maria Guarini)
______________________________________
1. Giovanni Paolo II, Ut unum sint, in riferimento al Decreto conciliare sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio, n.14
2. Lumen Gentium, 23
3. GPII, Apostolos suos, che a sua volta richiama il Decreto conciliare Christus Dominus
4. Nota di P. Pasqualucci: La Nota Praevia fu moralmente imposta a Paolo VI dalla componente "conservatrice" del Concilio, che contava ancora centinaia di vescovi. Non risolse il problema, nel senso che, come noto' Amerio (Iota Unum, par. 44), respingeva l'interpretazione rivoluzionaria che stava tentando di passare (il Papa come semplice capo del collegio dei vescovi, neo-conciliarismo, il Papa passacarte dei vescovi) ma non restaurò completamente quella tradizionale (summa potestas solo al Papa, per diritto divino). Non lo fece perché avrebbe altrimenti dovuto smentire l'art. 22 della Lumen Gentium, che attribuiva appunto la titolarità della suprema potestà di giurisdizione sulla Chiesa al Collegio con il Papa e non solo sotto il Papa. Al par. 3 la Nota Praevia ribadì che il collegio era sì (questa la novità) titolare anch'esso della potestas ma sempre sotto il Papa, il quale conservava il potere di esercitarla da solo, senza il collegio, mentre il collegio non poteva mai esercitarla senza il Papa. Diceva però la Nota : "E siccome il romano Pontefice è il "capo" del collegio, può da solo fare alcuni atti che non competono in nessun modo ai vescovi, come convocare e dirigere il collegio etc." (Quia vero Summus Pont. est Caput Collegii, ipse solus quosdam actus facere potest...). Mi sembra che questo sia errato: il Papa esercita da solo il potere di giurisdizione perché ha ricevuto uti singulus non appena eletto tale potere direttamente da Cristo (iure divino) non perché capo del collegio dei vescovi. La ratio di questo suo esercizio autonomo è nell'investitura divina in quanto successore di Pietro non in una delega di potere da parte dei cardinali che l'hanno eletto o idealmente da parte di tutti i vescovi. Non per nulla, questo fondamentale concetto, chiarissimo nel Codice di Diritto Canonico del 1917 c. 219. appare invece oscurato nel Codice del 1983, che ha lasciato cadere l'inciso "iure divino" (vedi gli ambigui cc. 330-333). Qui il Papa è presentato subito e sempre in unione con il Collegio dei Vescovi. Il Codice del 1917 invece lo definisce da solo, cc. 218-221. La differenza è impressionante.
La Chiesa è per sua natura gerarchica. E il Papa (CIC, can.331), in virtù della sua funzione di Vicario di Cristo, ha nella Chiesa un potere ordinario supremo, pieno, immediato e universale, che può sempre esercitare liberamente. Il potere gli deriva dalla sua funzione e non da una sorta di presidenza del collegio episcopale.
La dottrina del Vaticano I e del Vaticano II nella Nota praevia definisce il Papa principio e fondamento dell’unità della Chiesa, giacché è conformandosi a lui che i vescovi si conformano tra di loro. Non è possibile poggino la loro autorità su un principio immediato che sarebbe comune alla loro potestà e a quella papale. Ora con l’istituzione delle Conferenze episcopali e con gli organismi Sinodali la Chiesa è un corpo policentrico a vari livelli nazionali o provincie locali. Conseguenza immediata è un allentamento del vincolo di unità che si manifesta con ingenti dissensi su punti gravissimi. Ne stiamo vedendo gli effetti con le interpretazioni difformi dell'AL.
La nuova ecclesiologia conciliare sancita da Lumen Gentium si armonizza con la “Pastor æternus” circa la giurisdizione universale del Romano Pontefice, però azzarda un avventuroso allargamento di questa mediante la dottrina della collegialità vescovile come organo di governo accanto e analogo a quello del Sommo Pontefice. Nonostante la “Nota esplicativa previa”, mons. Gherardini osserva che « dottrina della Chiesa è quanto la sua Tradizione, dagli Apostoli sino ad oggi, presenta e propone come tale: la collegialità non ne fa parte ».
Si pretende dunque che la visione Chiesa-comunione sia la scoperta del Vaticano II e vada a sostituirsi a quella di società perfetta ed oggi appare dominante in quanto più vicina alle assonanze bibliche specificamente neotestamentarie, come se potesse finalmente sintetizzare alla perfezione tutto il rapporto con Dio fino al concilio non esattamente compreso. Ma il rischio più grande è quello di ricondurre tutto ad un'interpretazione puramente psico-sociologica, ai bisogni e alle attese umane. Acquista valore la Chiesa locale, come se l’universalità della Chiesa e tutto il suo mistero prima del concilio non le appartenesse a pieno titolo.
Possibile che nessuno obietti che la Chiesa, fin dal suo nascere ad opera del Salvatore, se non fosse stata e rimasta innanzitutto “comunione” dei Suoi in Lui, non sarebbe mai stata La Chiesa? E che l'ordine gerarchico, lungi dal creare una visione rigida e statica della realtà, configura un dinamismo che non è alternativo alla comunione, intrinsecamente strutturale ad essa?
Conclusione
Secondo la dottrina de fide del Concilio Vaticano I (DB, 1823) Cristo ha dato a Pietro e ai Romani Pontefici suoi successori un Primato non semplicemente di onore, ma di giurisdizione: il potere di governo, di direzione, di guida, di coercizione e cioè di insegnare e governare la Chiesa.
L'analisi che precede dimostra invece che il centro del discorso è il passaggio da una visione giuridica della chiesa, basata sul criterio di giurisdizione, a una concezione sacramentale, basata sull’idea di comunione. Il nodo è, appunto, in Lumen Gentium n.22 nonostante la Nota praevia. Ne è scaturita la visione che i rapporti tra il Papa e i vescovi non sarebbero più improntati alla delega e alla subordinazione: il Papa non governa “dall’alto” la chiesa, ma la guida nell’ordine della comunione.
La logica applicata è che, se il suo potere di giurisdizione deriva dal sacramento, sotto l’aspetto sacramentale, il Papa non è superiore ai vescovi. E dunque il suo primato sulla chiesa universale non è di governo ma di amore, proprio perché, come vescovo, il Papa è sullo stesso piano degli altri vescovi. Da qui derivano i maggiori poteri attribuiti al collegio episcopale fino alla possibilità di legiferare autorevolmente. Per questo si può pensare che il Papa possa esercitare il suo primato in maniera nuova, associando al suo potere organi deliberativi o consultivi, come conferenze episcopali, sinodi, o comunque organismi permanenti, che lo coadiuvano nel governo della chiesa.
Al contrario, tutta la storia della Chiesa fino al Vaticano II non è altro che l’evoluzione omogenea di un principio di suprema giurisdizione presente nelle parole di Gesù Cristo che a san Pietro e a lui solo disse: Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia chiesa (Mt. 16, 14-18).
Quando san Clemente (92-98 o 100), terzo successore di Pietro come vescovo di Roma, agli inizi dell’impero di Nerva (circa il 97), intervenne per ristabilire l’unità nella chiesa di Corinto, sconvolta da una violenta discordia, si richiamò al principio di successione stabilito da Cristo e dagli apostoli, esigendo obbedienza e minacciando persino sanzioni qualora le sue disposizioni non venissero eseguite (Lettera Propter subitas ai Corinzi, in Denz-H, nn. 101-102). Il tono autorevole della lettera e la venerazione con cui essa fu accolta sono una prova chiara del Primato del vescovo di Roma già alla fine del primo secolo. (Roberto de Mattei, Vicario di Cristo. Il primato di Pietro tra normalità ed eccezione, Fede & Cultura)Vedete bene che si parte da molto lontano. E difficilmente lettori coevi alle citazioni parziali sopra-riportate avrebbero potuto immaginare dove si sarebbe andati a parare. E altrettanto vale per lettori attuali meno capaci di approfondire. Tuttavia ormai appare ben chiaro come tutto l'impianto e l'apparato concettuale che lo sottende sia fondato su un'idea già in nuce rivoluzionaria di Chiesa, che non fa altro che citare all'infinito documenti conciliari e post-conciliari che si richiamano l'un l'altro legittimandosi a vicenda, le cui variazioni si fanno sempre più audaci ad ogni tappa successiva, in continuità esclusivamente all'interno del loro nuovo impianto paradigmatico, ma senz'alcun legame, e quindi in discontinuità, col magistero perenne ritenuto obsoleto per definizione. Nel contesto in esame l'innovazione non espressa nei testi citati, ma che è alla radice di tutto è collegialità...
Per approfondire devo riproporvi la lettura dell'articolo: Collegialità episcopale o episcopato subordinato? Le implicazioni nell'Amoris Laetitia [qui], insieme a quella di tutti i precedenti che richiama, del quale ripeto la conclusione. E lo ripeterò ad nauseam finché non ci sarà chi di dovere che ne tragga le conseguenze pratiche per poter ripareggiare la verità..
Finché non si prenderà atto che questa eredità conciliare ribaltante è il vero nodo da sciogliere, il nostro impegno di riaffermazione della verità secondo il Magistero perenne sarà utile per le anime libere, potrà continuare a defluire come una vena aurea cui attinge chi la trova o come un canale carsico che potrà riaffiorare al termine di questa notte oscura, ma oggi non può avere alcuna efficacia su una realtà così deformata e deformante. E la stessa grave solennità di una possibile correzione canonica, - rischia di non ottenere i risultati voluti e sperati. A meno che non intervengano fattori o si destino altre rette volontà al momento impensabili.
(Maria Guarini)
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1. Giovanni Paolo II, Ut unum sint, in riferimento al Decreto conciliare sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio, n.14
2. Lumen Gentium, 23
3. GPII, Apostolos suos, che a sua volta richiama il Decreto conciliare Christus Dominus
4. Nota di P. Pasqualucci: La Nota Praevia fu moralmente imposta a Paolo VI dalla componente "conservatrice" del Concilio, che contava ancora centinaia di vescovi. Non risolse il problema, nel senso che, come noto' Amerio (Iota Unum, par. 44), respingeva l'interpretazione rivoluzionaria che stava tentando di passare (il Papa come semplice capo del collegio dei vescovi, neo-conciliarismo, il Papa passacarte dei vescovi) ma non restaurò completamente quella tradizionale (summa potestas solo al Papa, per diritto divino). Non lo fece perché avrebbe altrimenti dovuto smentire l'art. 22 della Lumen Gentium, che attribuiva appunto la titolarità della suprema potestà di giurisdizione sulla Chiesa al Collegio con il Papa e non solo sotto il Papa. Al par. 3 la Nota Praevia ribadì che il collegio era sì (questa la novità) titolare anch'esso della potestas ma sempre sotto il Papa, il quale conservava il potere di esercitarla da solo, senza il collegio, mentre il collegio non poteva mai esercitarla senza il Papa. Diceva però la Nota : "E siccome il romano Pontefice è il "capo" del collegio, può da solo fare alcuni atti che non competono in nessun modo ai vescovi, come convocare e dirigere il collegio etc." (Quia vero Summus Pont. est Caput Collegii, ipse solus quosdam actus facere potest...). Mi sembra che questo sia errato: il Papa esercita da solo il potere di giurisdizione perché ha ricevuto uti singulus non appena eletto tale potere direttamente da Cristo (iure divino) non perché capo del collegio dei vescovi. La ratio di questo suo esercizio autonomo è nell'investitura divina in quanto successore di Pietro non in una delega di potere da parte dei cardinali che l'hanno eletto o idealmente da parte di tutti i vescovi. Non per nulla, questo fondamentale concetto, chiarissimo nel Codice di Diritto Canonico del 1917 c. 219. appare invece oscurato nel Codice del 1983, che ha lasciato cadere l'inciso "iure divino" (vedi gli ambigui cc. 330-333). Qui il Papa è presentato subito e sempre in unione con il Collegio dei Vescovi. Il Codice del 1917 invece lo definisce da solo, cc. 218-221. La differenza è impressionante.
30 commenti:
"Tuttavia ormai appare ben chiaro come tutto l'impianto e l'apparato concettuale che lo sottende sia fondato su un'idea già in nuce rivoluzionaria di Chiesa, che non fa altro che citare all'infinito documenti conciliari e post-conciliari che si richiamano l'un l'altro legittimandosi a vicenda, le cui variazioni si fanno sempre più audaci ad ogni tappa successiva, in continuità esclusivamente all'interno del loro nuovo impianto paradigmatico, ma senz'alcun legame, e quindi in discontinuità, col magistero perenne ritenuto obsoleto per definizione."
PERFETTO
Oggi, Antonio Socci, magnifico !
http://www.antoniosocci.com/loscuro-devastatore-sta-ancora-colpendo-la-chiesa-ora-non-piu-dalla-sua-limperatore-anticristiano-obama-anzi-deve-conti-col-filo-cristiano-trump-egli-odia/
Ho l'impressione che stiano colmando il ritardo , ( eravamo in una fase di stallo ), per la definitiva attuazione dello spirito del concilio vaticano2 . A corroborare questa sensazione e' tutto quello che e' succeso fin'ora fino alla recente manifestazione di Milano in cui si e' chiesto alle famiglie virtuose di non festeggiare gli anniversari riprendendo il famigerato termine " coscientizzazione "gia' trattato nel 1984 .
http://www.treccani.it/vocabolario/coscientizzazione_(Neologismi)/

Simone Silvagno
31 gennaio alle ore 9:50
Sta obbedendo punto per punto ai desiderata del liturgista Grillo... e punta al Summorum Pontificum
# Ottimo e tempestivo articolo, sul nuovo fronte che si apre
Vorrei fare solo alcune precisazioni, in via subordinata.
1. Giovanni XXIII difese il latino in generale prima del Concilio, ma poi durante il Concilio approvo' lo schema finale della Sacrosanctum Concilium che, pur mantenendo formalmente il latino, introduceva gia' numerose eccezioni a favore del volgare e soprattutto introduceva il principio della creativita' liturgica e dell'inculturamento locale della stessa, principi distruttivi di ogni vera liturgia cattolica, come si e' visto.
2. La Nota Praevia fu moralmente imposta a Paolo VI dalla componente "conservatrice" del Concilio, che contava ancora centinaia di vescovi. Non risolse il problema, nel senso che, come noto' Amerio (Iota Unum, par. 44), respingeva l'interpretazione rivoluzionaria che stava tentando di passare (il Papa come semplice capo del collegio dei vescovi, neo-conciliarismo, il Papa passacarte dei vescovi) ma non restauro' completamente quella tradizionale (summa potestas solo al Papa, per diritto divino). Non lo fece perche' avrebbe altrimenti dovuto smentire l'art. 22 della Lumen Gentium, che attribuiva appunto la titolarita' della suprema potesta' di giurisdizione sulla Chiesa al Collegio con il Papa e non solo sotto il Papa. Al par. 3 la Nota Praevia ribadi' che il collegio era si' (questa la novita') titolare anch'esso della potestas ma sempre sotto il Papa, il quale conservava il potere di esercitarla da solo, senza il collegio, mentre il collegio non poteva mai esercitarla senza il Papa. Diceve pero' la Nota : "E siccome il romano Pontefice e' il "capo" del collegio, puo' da solo fare alcuni atti che non competono in nessun modo ai vescovi, come convocare e dirigere il collegio etc." (Quia vero Summus Pont. est Caput Collegii, ipse solus quosdam actus facere potest...). Mi sembra che questo sia errato: il Papa esercita da solo il potere di giurisdizione perche' ha ricevuto uti singulus non appena eletto tale potere direttamente da Cristo (iure divino) non perche' capo del collegio dei vescovi. La ratio di questo suo esercizio autonomo e' nell'investitura divina in quanto successore di Pietro non in una delega di potere da parte dei cardinali che l'hanno eletto o idealmente da parte di tutti i vescovi. Non per nulla, questo fondamentale concetto, chiarissimo nel Codice di dir. can. del 1917 c. 219 appare invece oscurato nel Codice del 1983, che ha lasciato cadere l'inciso "iure divino" (vedi gli ambigui cc. 330-333). Qui il Papa e' presentato subito e sempre in unione con il Collegio dei Vescovi. Il Codice del 1917 invece lo definisce da solo, cc. 218-221. La differenza e' impressionante.
Paolo Pasqualucci
Una volta assodata la pericolosità della nuova messa che conduce lentamente ad un cristanesimo naturslista e una volta per tutte abvracciata la santa messa di sempre, è assolutamente inutile occuparsi di cosa fanno o non fanno circa la liturgia modernista: mi spiego.
Ormai dopo 50 anni dal Concilio Vaticano II è evidente come attraverso le riforme liturgiche sia stata completamente scardinata la fede nel popolo di Dio! Quindi la situazione non può ulteriormente peggiorare, la fede comunemente è già stata distrutta, non rimane altro da battere!
In merito a un eventuale attacco al motu proprio Summorum Pontificum credo sia una questione totalmente pleonastica! Prego la dott.ssa Guarini di dedicare uno spazio e una traduzione per chi non conosce il latino della bolla Quo pirimum tempore di PioV con la quale è evidente che in PERPETUO ed infallibilmente quel messale è
.scevro da errori
.canonizzato in senso stretto
.possibile a utilizzarsi da qualsiasi prete
E siccome tale bolla cade sotto il magistero infallibile dei sommi pontefici è dichiaratamente irriformabile
Il problema non è Summorum Pontificum, il problema è non aver recepito la grandezza teologica giuridica e liturgica della bolla di San Pio quinto a partire dagli anni 60!
Inviterei,piuttosto che passare ore ed ore ad occuparci di cosa fanno o non fanno in Vaticano per distruggere quel pochissimo che rimane della liturgia cattolica e della fede che in essa vi risiede, ad abbracciare piuttosto sempre ed integralmente la santa fede cattolica così come è stata espressa dalla tradizione liturgica quasi bimillenaria della Chiesa!
La Sapienza pratica dell' Alighieri può essere condensata in un solo verso che però ci mette al riparo da un sacco di grattacapi inutili e dannosi
Non ci curiam di lor ma guarda e passa
Stefano Toson
Riformuleranno ulteriormente le parole della consacrazione così da renderla ancor di più "racconto dell'istituzione"?
Steremo a vedere se oseranno, tra la cecità generale, rendere invalide le Messe .... Dio ce ne scampi
Complimenti vivissimi per questa analisi, definire drammatica è poco. e anche io ricopio quanto già ricopiato da Marius.
"Tuttavia ormai appare ben chiaro come tutto l'impianto e l'apparato concettuale che lo sottende sia fondato su un'idea già in nuce rivoluzionaria di Chiesa, che non fa altro che citare all'infinito documenti conciliari e post-conciliari che si richiamano l'un l'altro legittimandosi a vicenda, le cui variazioni si fanno sempre più audaci ad ogni tappa successiva, in continuità esclusivamente all'interno del loro nuovo impianto paradigmatico, ma senz'alcun legame, e quindi in discontinuità, col magistero perenne ritenuto obsoleto per definizione."
Un Paradigma che si evolve di volta in volta, pezzettino per pezzettino.
Rinnovo l'invito ad andare a leggere l'ultimo capitolo del libro il Cristianesimo di Kung, che vede la Storia del Cristianesimo come un susseguirsi di cambi di paradigma. Vi troverà esattamente quanto da lei scritto, il paradigma futuro a cui stiamo tendendo. Una traccia diabolica pedissequamente percorsa.
A lei Mic, e a tanti altri, spetta il compito di aiutarci ad aprire gli occhi.
Ci hanno immerso nell'acqua fredda e poi hanno acceso il fuoco, a poco a poco ci stanno lessando senza che ce ne accorgiamo.
"Non ci curiam di lor ma guarda e passa"
Giusto, ma questo vale per chi conosce la retta dottrina e pastorale. Purtroppo un sacco di gente viene ingannata e noi non possiamo far finta di niente: quello che fanno in Vaticano li ingannerà sempre di più. Per cui dobbiamo occuparci di quello che fanno e controbattere ove possibile. È parte del dovere di testimonianza.
--
Fabrizio Giudici
Lo dico da sempre, a costo di sembrare fissato monomaniacale, è tutto teso a sconfessare il precedente pontificato, con in più la perfidia sottile di farlo quando è ancora in vita, qui si tratta di regolamento di conti, vdr in testa, per tutti coloro che non hanno mai potuto sopportare Ratzinger né da cardinale e men che meno da Papa, e se volete un parere squalificato, scorretto e poco diplomatico a tutti i naviganti lefebvriani, io ci penserei 1.000.000. di volte prima di accettare le 'tampon' del misericordioso, lo dico spassionatamente e senza secondi scopi. Non posso negare che il tutto mi fa molto male, ormai sono 4 anni che ingoio anaconda.....Anonymous.
Ma il pilastro cattolico? È incerto. Barcollante. Sradicato. In effetti: non abbiamo radici. Le stiamo perdendo. L’Europa non ce le riconosce.
Il problema sta nel fatto che oggi è la Chiesa stessa a non riconoscerle. Tanto più se attenta alla sua funzione primaria: quella dell'autentico culto al Padre in Cristo, che è alla radice di qualunque altra cosa nel mondo terreno, di cui parliamo anche in questo articolo.
STAT CRUX DUM VOLVITUR ORBIS!
Anonymous. 14:47
E' tutto molto più complesso sia riguardo Benedetto XVI che la FSSPX.
@Mic
Certamente è tutto più complesso, ma loro (lui) vanno avanti a colpi di maglio a distruggere il poco rimasto, passano come panzer su tutto ciò che trovano per strada pur di raggiungere il loro scopo, annientare il papato istituzione e la CC di conseguenza per renderla insignificante ed irrilevante, una ong come tante, ho letto su blog ispanico che è giunta richiesta da parte protestante di sconfessare la Dominus Jesu e corre voce che le ultime suore FI saranno kommissariate, vedete voi cosa significa......Anonymous.
Dobbiamo meravigliarci del progetto del vdr? Mettiamo insieme alcuni elementi e vedremo che la sua idea guida e' "disintegrazione".
Ha scarnificato i FFI, ha brutalizzato lo SMOM, ha turlupinato ben tre capi dicastero (Pell, Burke, Sarah) per ragioni diverse, ha screditato urbi et orbi la curia romana che egli comunque presiede. Strano modo di essere capo. Sputtani i tuoi collaboratori e tu che ne sei a capo ti ritieni indenne dai difetti curiali? Quel che è peggio nella Amoris confusio ha fatto intendere che spesso l'adulterio e' peccato ma qualche volta non lo è. Non mi meraviglio che egli voglia disintegrare la liturgia NO. Proprio non mi meraviglio.
Mi meraviglio invece di una parola che mos. Fellay ha pronunciato nell'intervista data tre giorni fa ad un TV privata francese. Sempre che la traduzione sia corretta, reperibile su www.sanpiox.it, egli alla quarta o alla quinta risposta ha pronunciato la parola "sopravvivere" per la fsspx. Mi meraviglio. Dopo quaranta anni continuano a crescere come numero di preti e di priorati e mons. Fellay ha così poca fiducia nella Provvidenza? La Fsspx ha ormai sepolto tre Papi. La Fsspx ha la forza non già per sopravvivere ma per vivere ed espandersi ancora di più. Lo scrive uno che assiste al massimo due o tre volte l'anno pochissimo alle Messe dei preti della fraternità.
Dopo quaranta anni continuano a crescere come numero di preti e di priorati e mons. Fellay ha così poca fiducia nella Provvidenza? La Fsspx ha ormai sepolto tre Papi. La Fsspx ha la forza non già per sopravvivere ma per vivere ed espandersi ancora di più. Lo scrive uno che assiste al massimo due o tre volte l'anno pochissimo alle Messe dei preti della fraternità.
Non facciamo finta che non ci siano problemi a non avere il riconoscimento canonico...
E intanto:
http://www.marcotosatti.com/2017/01/31/francescane-immacolata-nuovo-decreto-di-commissariamento-roma-vorrebbe-chiudere-il-caso-dei-ffi-entro-lanno/
Lessi che in Francia pro multis, era stato reso, per le moltitudini.
A meno che non esca fuori un gigante, la situazione sembra di molto difficile soluzione. Ora inoltre cominciamo a vedere, dietro le quinte, veri, sostanziali, piani politici, volti all'annientamento di tutto quello che era e volti alla messa a punto del nuovo al passo con i tempi.
Per noi, la soluzione è trovare (stampare, fotocopiare, ricopiare a mano) i libri liturgici giusti, rifare al meglio le nostre biblioteche e cominciare a scendere nelle catacombe.
L'idea della parrocchia "diversa", va un pochino rivista, ma è sentiero da percorrere. Ieri sera ho letto un piccolo saggio di don Curzio Nitoglia che dava informazioni, spunti, mooolto interessanti.
http://www.iltimone.org/35648,News.html
Mi sembrano tutti in ritardo sulla storia .
http://querculanus.blogspot.it/2017/01/ritorno-al-passato.html
In Italia NON ho MAI sentito "per molto", ma sempre "per tutti".
Mentalmente correggo sempre.
E se in Italia è cosi, figuriamoci all'estero.
QUINTA ORAZIONE DI SANTA BRIGIDA
SOPRA LA PASSIONE
DI N.S. GESÙ CRISTO
Gesù, specchio di eterna chiarezza, ricordati dell’afflizione che hai provato quando, prevedendo la salvezza degli eletti mediante la tua passione hai visto anche che molti non l’avrebbero accolta.
"In merito a un eventuale attacco al motu proprio Summorum Pontificum credo sia una questione totalmente pleonastica!"
Effettivamente è proprio così.
La mia esperienza è che il SP mi ha fatto conoscere la Messa cattolica originale. Ma dal momento che l'ho conosciuta ho compreso che essa non era mai stata abolita, come affermato proprio da BXVI nel presentare il suo motu proprio.
Così mi sono reso conto che il SP ha la sua ragion d'essere principalmente quale mezzo di conoscenza della Messa stessa, la quale però dal fedele che ha scoperto la Tradizione può benissimo essere considerata semplicemente come "Messa di sempre", proprio in quanto mai abolita, senza la necessità di continuare a dar credito a quell'evidente forzatura del NO e VO quali due forme, ordinaria e straordinaria, dello stesso rito.
In pratica ora io mi appello semplicemente alla Messa di sempre. Per me il SP non è più essenziale; anche se venisse abolito per me non cambierebbe nulla. È appunto un pleonastico sovrappiù.
Il problema si pone invece per coloro che ancora non la conoscono, e sono la stragrande maggioranza. Per questo motivo certi ecclesiastici, presi da scrupoli di coscienza e dall'ansia pastorale di accompagnare le pecorelle inconsapevoli, educate malamente dal clero a suon di derive liturgiche (contenute nel Messale e frutto di creatività estemporanee), ritengono sia indispensabile perpetuare una forma ibrida di Messa tramite una graduale "riforma della riforma", che però ora risulta fortemente osteggiata dal trono massimo e dai suoi corifei. Questa strada si sta dunque chiudendo.
Se si chiuderà anche quella del SP non rimarrà (ma si può certamente fare già fin d'ora) che indirizzare i fedeli di buona volontà sic et simpliciter verso la "Messa di sempre" bypassando la mediazione funzionale del SP, che ormai appare storicamente superflua e sorpassata.
La Messa di sempre è osteggiata; il SP è osteggiato.
Se lo sono ambedue per lo stesso motivo, che senso ha sprecare energie nel salvare a tutti il costi il secondo, che serviva solo a collegarci alla prima, comportandoci come se il secondo avesse rilegalizzato la prima in seguito ad un'effettiva abolizione che però de jure non è mai avvenuta? L'abolizione di PVI era de facto, non de iure. Meglio quindi appellarsi direttamente alla fonte, nulla lo impedisce, né de iure, né de facto (per ora).
Non dimentichiamo che i vescovi bergogliani non si limitano a perseguitare e a destituire i preti tradizionalisti o cryptolefebvriani, ma anche quelli che si limitano a celebrare il NO rivolti ad Deum.
A che pro dunque farsi sacrificare per un'insoddisfacente soluzione mediana o di compromesso?
"A che pro dunque farsi sacrificare per un'insoddisfacente soluzione mediana o di compromesso?"
E chi dice che sia insoddisfacente, o un compromesso - intendo dire, che se si inizia a celebrare il VO ad orientem la cosa poi finisca necessariamente lì? Se il problema è - e concordo - la maggioranza delle persone che non conosce per niente il VO, be' l'orientamento "ad orientem" è un possibile modo per indirizzarli nella giusta direzione. Le finestre di Overton possono anche funzionare al contrario.
Che la riforma della riforma sia osteggiata dal Papa non vuol dire niente: perché se dovessimo concludere che tutto quello che Francesco osteggia è destinato a fallire, vorrebbe dire che siamo messi male. Invece io credo che fallirà quello che sostiene lui.
http://blog.messainlatino.it/2017/01/celebrazione-ad-orientem-come-sta.html
Dalla prossima settimana in poi, tutte le Messe saranno celebrate ad orientem”. Un altro amico, un laico, mi ha scritto negli stessi giorni per dirmi: “(nella nostra) parrocchia ... tutte le Messe saranno celebrate ad orientem durante l'Avvento. Questo è stato annunciato nel bollettino già da un mese, accompagnato da spiegazioni didattiche, e so che Padre X ha già subito alcune opposizioni nei suoi propositi”. Il prete da allora mi ha scritto per dire: “Vorrei ringraziarvi per le vostre preghiere per questo fine settimana. Direi che ho assistito ad una specie di ‘miracolo morale’ (in una delle sue parrocchie). Abbiamo avuto tutte le Messe Novus Ordo celebrate ad orientem, e non un solo parrocchiano ha criticato ciò o si è lamentato, qualcosa che certamente non mi sarei mai aspettato. Alcune persone erano persino soddisfatte di questo”.
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Fabrizio Giudici
Grande ruolo hanno sacerdoti con sacerdoti, in particolare i giovani non compromessi con la "primavera" cattolica (che alcuni ritengono essere iniziata dal conclave 1958), nè con la "junta" presente.
Il loro interesse per la Santa Messa, studiarla,approfondirla, praticarla è svuotar la barca di Pietro dell'acqua imbarcata.
Perchè stupirsi?
Dovremo bere il bicchiere sino all`ultima goccia e subire questa prova fino a che il Signore deciderà il suo termine.
Jorge Bergoglio, vescovo di Roma, ha già attaccato tre Sacramenti, Eucaristia, Penitenza e Matrimonio, quel che era certo con lui è diventato fumoso, ambiguo, soggetto a tutte le interpretazioni anche opposte fra di loro,
prossima tappa annunciata è il celibato sacerdotale che salterà dopo aver fatto entrare dei possibili che diventeranno la norma,
la poca cura che egli ha della Liturgia non è un segreto dunque anche quella che ci è stato detto essere fonte e culmine della nostra fede subirà l`affronto degli attacchi di chi vuole la trasformazione della Chiesa di Cristo, chiamata a salvaguardare, difendere e diffondere la Sua Parola SOLA via di salvezza, in un`organizzazione umanitaria fusa in una specie di sedicente fratellanza universale e cioè una delle tante marionette comandate da chi ha i fili nelle mani.
Anni fa lessi un libricino di Milton Friedman, mi piacque moltissimo, ogni pagina era un inno di libertà. Terminata la lettura, chiuso il libro, un pensiero si stampò nel mio cuore:" Ma, per fare questo, occorre una moralità altissima in ognuno." Questa moralità non c'è in alcuno. Ed ora è evidente su scala planetaria. E' evidente anche attraverso tutte le informazioni selezionate che a lor signori piace veicolarci. Questa considerazione non è lontana dall'ebbrezza della chiesa in uscita, con rito libero: lo vuoi d'antiquariato? vintage? happening? ebraico romano? yoga bose? No problem, make your choice! La manica larga, si è ormai scucita tutta.E' un pezzo di stoffa che andrà tra gli altri pezzi ed insieme formeranno la grande coperta patch-work, tutta umana, che scalderà chi, scambiando lucciole per lanterne, preferirà, per comodo, non scegliere la Verità. Il sale per restare sale deve rimanere nella saliera, al riparo. Altrimenti sarà calpestato. Polvere simile ad altra polvere. Vogliono fare i grandi sulla pelle degli altri. Cxglxxnx. Mentre proclamavamo la fine delle ideologie, entravamo cantando nella seguente. Cxglxxnx. E in questa ultima tragedia la chiesa si è fatta portabandiera. Cxglxxnx. Scambiando la libertà con la licenza.Una delle mie ultimissime riflessioni è che pochissimi, nella storia sono stati i veri discepoli di NSGC. Non è che stiamo ritornando al paganesimo, non ne siamo mai usciti. Quando la chiesa era Chiesa, e per tale era stimata da TUTTI, nemici compresi, detrattori, calunniatori e via ereticando ed ateizzando, tutti naturalmente si trattenevano un po'. Cioè trattenevano in sè la bestia furente. Ora in questo dissennato, fai come ti pare, il nemico esce fuori da ognuno con baldanza e noncuranza. E gli altri, quelli della bontà innata ( tra i quali purtroppo la sottoscritta per alcun tempo), rimangono stupiti. Come mai? Dov'è il buono? Non c'è. Meglio è stato soggiogato dal male con uno dei suoi strumenti: conformismo, paura, viltà, ignavia e via di mediocrità in mediocrità. Non grandi peccatori, no. Piccoli ma ben radicati. La maggioranza andrà con Francesco. In questa stretta politica, economica, culturale, si tocca anche con mano che tutte queste speranze, riposte nei laici,sono a parer mio, mal poste; perchè i laici hanno da guadagnarsi il pane, sudando, devono curare le nuove generazioni, devono curare le vecchie generazioni e materialmente non hanno tempo e forza restante per correggere chi dovrebbe insegnar loro, santificarli, guidarli. Come fanno questi poveri laici peccatori, come? Quindi siamo abbandonati. A tutti rimane la corona del rosario, recitiamolo a pezzi, per la via, al mercato, in metro. Alla fine saremo ascoltati anche se cenciaioli.
Pugnalata a Gesù Eucaristia
https://www.gloria.tv/text/j4MYLZeqXcLF32uqGXxpkoyhb
http://www.lanuovabq.it/mobile/articoli-autentica-liturgia-sgambetto-a-sarah-e-a-bxvi-18861.htm#.WJgN3YHclAg
http://querculanus.blogspot.it/2017/02/traduzioni-e-ideologia.html
Sul licenziamento dei tre addetti alla Dottrina della fede
http://www.marcotosatti.com/2017/05/27/il-papa-ha-licenziato-senza-motivo-tre-ufficiali-alla-dottrina-della-fede-lo-conferma-il-card-muller/
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