Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 14 luglio 2020

Paolo Pasqualucci Ancora infondate critiche alle tesi di mons. Carlo Maria Viganò sul Concilio

Sul diffuso blog statunitense Catholic Culture del 6 luglio scorso, il dr. Jeff Mirus ha attaccato le ormai famose, devastanti critiche al Vaticano II di S E l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, come risultano dall’intervista elettronica da lui rilasciata a Phil Lawler [qui], titolare di Catholic World News, ripresa da LifeSiteNews nonché da successive dichiarazioni [qui indice articoli] a LifeSiteNews e Chiesa e postconcilio.[1]

Critiche pesanti quelle del dr. Mirus e anche poco rispettose. Dopo averne elogiato le coraggiose denunce della “complicità della Chiesa nell’occultare gli abusi sessuali” (M, p. 1), il dr. Mirus giunge a considerare mons. Viganò addirittura “un uomo instabile” (a volatile man) sul piano intellettuale per via di queste sue critiche al Concilio, che sarebbero incoerenti e contraddittorie (M, p. 2). Ma, osservo, critiche assai simili al Concilio sono state avanzate ben prima degli attuali interventi di mons. Viganò, per esempio da autorevoli e rispettati autori laici e teologi cattolici come Romano Amerio e mons. Brunero Gherardini. Secondo il criterio enunciato dal dr. Mirus, dovremmo allora considerarli entrambi delle persone “instabili” a causa di queste loro critiche? Gli apprezzamenti del dr. Mirus trascendono la persona di mons. Viganò e investono tutti coloro che non accettano la vulgata pro-concilio, opponendovi peraltro argomenti ponderati, razionali, basati su una accurata analisi sistematica dei testi del Vaticano II, messi a confronto con l’insegnamento di sempre della Chiesa. Pertanto, va categoricamente respinto il tentativo (tipico di chi non ha veri argomenti da opporre nel merito) di far passare per mentalmente “instabile” chiunque osi infrangere il tabù rappresentato dal Vaticano II. Instabile anche sul piano logico perché il suo argomentare sarebbe dominato dall’incoerenza e dalla contraddizione. Ma valga il vero:

Cosa significa che mons. Viganò riconosce esser stato il Vaticano II un Concilio valido: che egli si contraddice nell’ammettere la liceità della sua “disapplicazione” da parte dei fedeli o la sua “cassazione” da parte di un Romano Pontefice? Ma non v’è nessuna contraddizione nelle sue dichiarazioni, al contrario di quanto cerca di sostenere il dr. Mirus, citando più volte questo “riconoscimento” come supposta prova di mancanza di chiarezza, indecisione, carattere ondivago dell’atteggiamento di mons. Viganò nei confronti del Concilio.
1.Una nozione di accettazione della validità di un Concilio inapplicabile al caso d’eccezione rappresentato dal Vaticano II, concilio ecumenico pastorale assolutamente atipico nei suoi contenuti.
Dal riconoscimento della validità del Concilio, mai peraltro negata dal presule, il dr. Mirus trae la conclusione che questa ammissione di validità deve implicare anche per mons. Viganò le stesse conseguenze che essa deve avere per ogni fedele. E cioè: “Ogni cattolico (a) deve accettare la validità di un concilio ecumenico, incluso tutto ciò che vi viene insegnato esplicitamente sulla fede o la morale; tuttavia (b) può mantenere la sua opinione personale sulla saggezza di specifiche iniziative pastorali e sui tentativi di realizzarle (cosa che, comunque, va ben oltre le capacità di controllo di un concilio).” (M, 1/5) 

Siamo perfettamente d’accordo. Da dove nascono i problemi, allora? Dal fatto che, come tutti sanno, il “postconcilio” del pastorale Vaticano II, tuttora perdurante, al contrario di quanto successo per i Concili dei secoli passati, è stato semplicemente disastroso per la Santa Chiesa. Inoltre, essendosi trattato di un Concilio che, per sua espressa volontà, ha voluto essere solo “pastorale”, senza definire dogmi né condannare solenne-mente errori e senza nemmeno spiegare cosa intendesse per “pastorale” ---- ma che ha ugualmente stabilito i princìpi e le direttive per riformare radicalmente l’intera Chiesa, dalla liturgia alla struttura istituzionale della Chiesa alla vita conventuale al modo di concepire la Chiesa ai rapporti con il mondo al Codice di Diritto Canonico, introducendo pertanto rilevanti novità nella dottrina e nell’impostazione della pastorale; questa straordinaria combinazione di elementi (pastoralità di nuovo tipo e novità dottrinali) autorizza i fedeli a confrontare i testi di un siffatto, del tutto inusuale Concilio con la dottrina perenne della Chiesa, per vedere se non vi siano discordanze e contraddizioni con il Deposito della Fede. 

Un insegnamento che proclami o ribadisca dogmi o condanne, il cattolico non ha la libertà di discuterlo. Ce l’ha, invece, di fronte ad un insegnamento pastorale (quindi, non dogmatico) che per di più si presenti con l’intenzione manifesta di riformare l’intera Chiesa introducendo nuovi criteri di valutazione del mondo e della stessa Chiesa. Di discuterlo non in relazione alle sue opinioni personali ma confrontandolo con l’insegnamento precedente, tramandato nei secoli dal Magistero e dalla Tradizione, che non può evidentemente subire innovazioni per ciò che riguarda la fede e i costumi.

L’obbedienza al concilio richiamata dal dr. Mirus vale in assoluto per le proclamazioni conciliari dogmatiche. Per l’insegnamento non dogmatico anche vale ma solamente sino a prova contraria. Che significa ciò? Che la validità dell’insegnamento di un Concilio ecumenico deve esser presunta per noi, dunque, anche quando tale Concilio sia solo “pastorale”; ma in questo caso, è perfettamente lecito confrontarlo con l’insegnamento precedente, per accertarne la continuità e la coerenza. Vale a dire: deve sempre riscontrarsi la continuità nella necessaria coerenza e purezza dottrinale, da verificare soprattutto nei confronti del Vaticano II, che (lo ripeto) ha voluto riformare la Chiesa nella sua totalità in base ai nuovi criteri del “dialogo” al posto della conversione e del “mettersi in ascolto del mondo”, mutando quindi radicalmente l’atteggiamento stesso dei cattolici nei confronti del mondo.
2. Una nozione esatta ma incompleta dell’ecumenicità di un concilio ecumenico.
Il dr. Mirus professa una nozione valida ma abbastanza ristretta della ecumenicità di un Concilio ecumenico. Prosegue egli, infatti: “Nel caso ci siano dubbi sull’oggetto del nostro assenso [al Concilio], occorre che io in primo luogo rammenti ai lettori [del blog] cos’è che rende un concilio “ecumenico”: è la promulgazione dei suoi atti (decreti, etc.) da parte del Papa. È il Papa che aggiunge agli atti conciliari l’autorità universale e magisteriale della Chiesa. Inoltre, si deve capire che la verità delle materie di fede e morale espressamente insegnate all’intera Chiesa grazie alla suprema autorità del Papa (da solo o in concilio) è garantita dallo Spirito Santo. Ma la saggezza e l’efficacia delle iniziative pastorali – [idee, programmi [etc.] – non sono garantite e sono sempre suscettibili di mutamenti da parte dell’autorità ecclesiastica” (op. cit., ivi).

Giustissimo. Se il Papa non approva gli atti di un Concilio Ecumenico, quest’ultimo non è valido e non può definirsi ecumenico. Per l’ecumenicità del concilio ecumenico (per la sua validità erga omnes) occorre quindi la promulgazione di esso da parte del Papa, cosa che, in linea di principio, implica di per sé la “garanzia dello Spirito Santo” agli atti promulgati. L’approvazione in aula, osservo, dovrebbe tuttavia esser già avvenuta con l’ assistenza dello Spirito Santo, se i documenti votati sono conformi al Deposito della Fede, come si suppone che sempre siano. Tuttavia, secondo la concezione tradizionale, l’approvazione data dai vescovi in concilio con il Papa non è ancora sufficiente: occorre la sanzione del Sommo Pontefice, cioè la sua specifica approvazione, testimoniata dalla sua promulgazione delle decisioni del Concilio. L’ecumenicità di un Concilio riposa dunque sulla sua promulgazione da parte del Papa, p r o v a dell’ approvazione del Papa ai documenti del Concilio.

La volontà espressa dai Padri Conciliari deve esser a sua volta approvata, il che è come dire fatta propria dal Romano Pontefice, se vuol esser considerata valida come volontà di tutta l’ecumene dei vescovi p e r l’ ecumene dei fedeli. Fatta propria dal Papa non in quanto capo del collegio dei vescovi, come se la legittimazione del suo atto di promulgazione venisse a lui dai vescovi straordinariamente riuniti in collegio sotto la sua autorità in un medesimo luogo, bensì in quanto Vicario di Cristo ossia capo per diritto divino della Chiesa universale (cattolica), la quale trascende la dimensione del “collegio” episcopale. Ciò lo si è sempre dedotto dalla Tradizione e dalla Scrittura. Nostro Signore ha conferito al solo Pietro il potere di “confermare nella fede i fratelli” (Lc 22, 32), ossia di essere maestro e custode della fede per tutta la Chiesa; e sempre al solo Pietro il sommo potere di governo su tutta la Chiesa (Gv 21, 15-17). È solo con Paolo VI, succube della confusa nozione di collegialità penetrata nel Concilio grazie a Karl Rahner & Co (Lumen Gentium, 22 e dipoi nel CIC del 1983 c. 341 § 1) che gli atti di promulgazione dei singoli documenti da parte del Papa sono stati fatti controfirmare ai Padri Conciliari, indipendentemente dalla loro votazione degli stessi, come se si fosse trattato di atti collegiali, emanati non tanto dal Papa i n concilio con tutti i vescovi, quanto dal Concilio come collegio composto dai vescovi e dal Papa, unificati da questa firma nel Soggetto-Concilio. Ma questo ambiguo modo di intendere la promulgazione pontificia non è la vera concezione cattolica, dal momento che presuppone contraddittoriamente (nello spirito appunto di LG 22) che la titolarità della summa potestas iurisdictionis su tutta la Chiesa sia stata conferita anche al collegio con il Papa oltre che al Papa uti singulus, pur non potendo i vescovi esercitarla senza l’autorizzazione del Papa.[2]

L’ ecumenicità si intreccia, dunque, alle condizioni di validità del Concilio. Essa coinvolge tuttavia anche altri elementi, i quali costituiscono anch’essi condizione di validità di un Concilio ecumenico, sia pure diversamente graduati rispetto alla condizione di validità rappresentata dall’approvazione pontificia. Questi altri elementi sono, secondo la Tradizione, l’accettazione dell’insegnamento del Concilio da parte di tutta la Chiesa; la coerenza e la conformità della dottrina insegnata con la dottrina di sempre della Chiesa. Riassumo qui le note dell’ecumenicità del concilio ecumenico, rispondenti ai requisiti di validità dello stesso.
3. I tradizionali requisiti di “ecumenicità” di un Concilio, coincidenti in pratica con i requisiti della sua validità.
I – L’iniziativa e la presenza del Sommo Pontefice. La presenza del Romano Pontefice, che solo ha il potere di decidere e convocare il Concilio, istituirne il regolamento, dirigere i lavori (i prelati che poi effettivamente li dirigono sono nominati da lui e agiscono in suo nome e sotto il suo controllo), promulgarne i decreti, eventualmente trasferirlo, so-spenderlo, scioglierlo, se del caso. Non è obbligato a parteciparvi di persona, può inviarvi i suoi rappresentanti (legati). È sempre sul Papa che grava la responsabilità della regolare convocazione e del regolare svolgimento del Concilio, sino alla sua conclusione.

II – L’accettazione pubblica da parte di tutta la Chiesa. Sin dall’epoca del Secondo Concilio di Nicea (AD 787), che invalidò il conciliabulum tenutosi a Costantinopoli nell’ AD 753, si precisarono le caratteristiche per l’autentico significato e la validità di un concilio ecumenico. Era l’epoca dell’iconoclastìa, iniziata dall’imperatore bizantino Leone III l’Isaurico, un grande soldato, che salvò Costantinopoli e l’Europa dall’invasione musulmana, cadendo però vittima dell’errore di proibire, nel 730, il culto delle sacre immagini. L’ imperatore Costantino V, morto nel 775, impose il divieto con violente persecuzioni. Il sinodo con pretese ecumeniche per dare un fondamento teologico a questa eresia fu effettuato per ordine di questo imperatore, a Hieria sul Bosforo. Ma erano assenti i legati del Papa, i maggiori Patriarchi e non pochi vescovi. Il Concilio di Nicea, organizzato dall’imperatrice Irene con l’appoggio del Patriarca di Costantinopoli, con la firma di trecento vescovi e due legati pontifici, annullò le decisioni iconoclaste del 753 e invalidò i loro argomenti pseudo-teologici.[3]

Durante questa tempesta si chiarì la presa di coscienza ecclesiale sul significato e sui requisiti di un Concilio veramente ecumenico.
“Le assemblee conciliari appaiono quindi come organismi divinamente ispirati e canonicamente organizzati, che hanno nell’economia spirituale ed ecclesiastica un ruolo precisato, singolare ed autorevole, di universale insegnamento rivolto alla edificazione di tutto il popolo cristiano. Due passi evangelici, tratti l’uno da san Paolo (Rom 10, 18), l’altro dai Vangeli sinottici (cfr. Mt 5, 15; Lc 11, 33; e anche 8, 16), sottolineano la necessaria sussistenza, perché possa dirsi fondata la ecumenicità di un concilio, di una diffusione e di un rispetto mondiale dei suoi decreti e di una conseguente universale ed effettiva illuminazione dottrinale che da essi promani.”[4]  Il passo paolino insegna che la fede non prende piede se non c’è la predicazione pubblica: “La fede dunque dipende dalla predicazione e la predicazione mediante la parola di Cristo. Or, io domando, i Giudei non hanno forse udito? Ma, sì! Poiché “la loro voce risuonò per tutta quanta la terra, le loro parole si udirono sino ai confini del mondo [Salmo 18, 5]””. Le voci dei Profeti e degli Apostoli sono pure risuonate “per tutta quanta la terra” eppure molti non hanno creduto. Ma qui interessa rilevare che la fede non è possibile senza la predicazione, l’insegnamento pubblico della Parola di Cristo.

I passi di Matteo e Luca sopra citati ci hanno conservato la metafora della fiaccola accesa che non si mette sotto il moggio ma si ripone nel portalucerne per poter rischiarare il buio della notte. E allora: se la dottrina di un Concilio ecumenico (pastorale) è come una fiaccola accesa che però ad un certo punto i fedeli cominciano a mettere sotto il moggio, tale dottrina diventa inefficace e finisce con l’essere di fatto invalida perché dimostra di non essere più ecumenica. Per la validità del Concilio occorre, quindi, che esso sia accettato da tutta la Chiesa, clero e fedeli, cosa che non è avvenuta con il Vaticano II, per quanto esiguo sia stato il numero di coloro che ne hanno sempre contestato la correttezza dottrinale, rifiutando le insensate riforme liturgiche da esso promosse e combattendo le sue proposizioni ammodernanti con una continua e pluridecennale controversia, condotta sia sul piano della ricostruzione storica e filologica, che su quello della critica teologica e filosofica.

III – L’omogeneità dottrinale con tutti i Concili ecumenici precedenti. Si tratta della purezza dottrinale di un concilio, il suo insegnamento deve ovviamente dimostrarsi sempre in armonia con la dottrina perenne della Chiesa. “Una ulteriore caratteristica del concilio ecumenico risulta infine l’omogeneità della dottrina insegnata e della materia affrontata e trattata – l’una e l’altra si debbono presumere di elevata e generale importanza per la Chiesa – con quelle dei concili precedenti ecclesiasticamente ritenuti e riconosciuti ecumenici.”[5] Nessun Concilio può contraddire il Deposito della Fede, la cosa è di per sé evidente. E proprio questo si contesta al “pastorale” Vaticano II: di contenere delle proposizioni che non si accordano con l’insegnamento della Chiesa, con il Deposito della Fede, o lo rendono ambiguo (a titolo di esempio: SC 22 § 2, 34, 37-40, 48, 106; LG, 1-4, 8, 10.2, 16, 22, 36.2; DV 8, 11.2; GS 3, 16, 21, 22, 24, 26, 29, 30, 32, 34-39, 48-50, 53, 57-58, 76, 78; UR 3, 4, 8, 11, 20, 23; NAet, tutti e cinque gli articoli; DH tutti e quindici gli articoli; ….).

Si vede, dunque, che l’ecumenicità di un Concilio ecumenico non dipende solamente dalla promulgazione che ne faccia il Papa, pur restando quest’ultima fondamentale per la sua validità. Quando mons. Viganò esorta i fedeli ad ignorare il Vaticano II, a metterlo da parte, diciamo pure a disapplicarlo, a farlo abrogare per desuetudine, li incita a far venir meno a questo concilio uno dei tradizionali requisiti per la sua validità.
 4. Mons. Viganò non si è affatto contraddetto nell’ammettere la valida istituzione del Vati-cano II, cui si sono sovrapposte le manipolazioni ereticali dei suoi testi.
Molti hanno creduto, evidentemente, che egli ritenesse il Vaticano II intrinsecamente invalido, a causa degli errori dottrinali in esso disseminati. Ma non spetta a lui dichiararlo invalido, né lui si è arrogato quest’autorità. Infatti, a quale “validità” ha fatto riferimento? Rileggiamo le sue dichiarazioni. 
“Io non ho mai pensato e tanto meno affermato che il Vaticano II sia stato un Concilio Ecumenico invalido: esso è stato convocato dall’autorità suprema, dal Sommo Pontefice, e ad esso hanno preso parte tutti i Vescovi del mondo. Il Vaticano II è un Concilio valido, sorretto dalla stessa autorità del Vaticano I e del Tridentino. Tuttavia, come ho già scritto, esso è stato fatto oggetto fin dal suo nascere di una grave manipolazione da parte di quinte colonne penetrate in seno alla Chiesa che ne hanno pervertito gli scopi, confermati dai risultati disastrosi che sono sotto gli occhi di tutti.”[6]
Si vede chiaramente che la validità cui si riferisce qui mons. Viganò è quella risultante dalla regolarità formale del Concilio, in quanto organo convocato e organizzato dal Papa del tempo in modo del tutto conforme alle norme allora vigenti. In questo senso, l’autorità istituzionale del Concilio (del Concilio in quanto organo del magistero straordinario, regolarmente istituito dal Papa) è la medesima dei dogmatici, decisivi grandi Concili Ecumenici del passato, il Tridentino e il Vaticano primo. Il problema posto dal Vaticano II non concerne pertanto la sua validità di concilio regolarmente istituito bensì il contenuto di certi suoi documenti, risultato di quelle che mons. Viganò, e non è il solo, chiama “manipolazioni”, tali da “pervertirne gli scopi”. E quali sono state le “manipolazioni”? Innanzitutto quelle decisive della fase iniziale, il brigantaggio procedurale, da anni messo in luce da storici e saggisti cattolici: con una serie di colpi di mano avallati da Giovanni XXIII, si venne al rigetto di tutti e venti gli schemi preparatori elaborati sotto la direzione del Sant’Uffizio e della Curia con la massima scrupolosità nei tre anni precedenti l’inizio dell’ Assise e approvati dallo stesso Giovanni XXIII. Colpi di mano conditi di illegalità, che consegnarono le Commissioni conciliari ai Novatori e permisero l’elaborazione di nuovi schemi, quelli appunto inquinati dagli errori della Nouvelle théologie, i cui assertori, censurati e silenziati sotto Pio XII, Giovanni XXIII fece invece ammettere (senza esigere da loro alcuna pubblica ritrattazione) come consultori nelle Commissioni, dominate dai Novatori loro amici.

Le iniziali illegalità procedurali e il susseguente sovrapporsi di modifiche al regolamento che portarono al prevalere dello sciatto e insicuro sistema delle Commissioni miste, oggettivamente favorì atteggiamenti arbitrari da parte di chi ora dirigeva i lavori e la possibilità di colpi di mano dottrinali. Tutti questi aspetti negativi non possono considerarsi tali da rendere invalido il Concilio. Possono però, con il mostrare il vero volto del Concilio, contribuire alla sua delegittimazione morale e dottrinale in quanto autentico Concilio della Santa Chiesa. Contribuire, quindi, alla sua ripulsa di fatto da parte dei fedeli e, auspicabilmente, ad un futuro intervento della legittima autorità della Chiesa, che ne condanni in modo articolato e sistematico gli errori. Ciò chiarito, possiamo vedere come, anche da questo punto di vista, le dichiarazioni di mons. Viganò siano perfettamente coerenti con l’ortodossia dottrinale e come egli non sia caduto in alcuna contraddizione. Egli infatti esorta i fedeli a prender coscienza del monstrum deuterovaticano al fine di decretarne l’oblío: incitamento perfettamente lecito, rientrante nel modo tradizionale di trattare i conciliabola da parte di sacerdoti e fedeli. Inoltre, condivide l’opinione secondo la quale il Sommo Pontefice, possedendo per diritto divino la summa potestas iurisdictionis su tutta la Chiesa, ha il potere di annullare un Concilio Ecumenico non dogmatico che, validamente convocato e istituito, sia poi degenerato in un conciliabolum : opinione perfettamente legittima e del tutto ortodossa, come ognun può vedere, non avendosi qui a che fare con un Concilio che abbia proclamato verità di fede divina e cattolica o condannato solennemente errori nella fede o nei costumi.

L’approvazione pontificia (mediante la promulgazione) di un Concilio ecumenico volutamente pastorale, che cioè non abbia voluto dotarsi del carisma dell’infallibilità intrinseco ad un Concilio ecumenico dal taglio dogmatico, non può di per sé sanare proposizioni contrarie o comunque non in accordo col Deposito della Fede, eventualmente contenute in qualche testo di quel Concilio. Vi osta il criterio della necessaria conformità della dottrina insegnata con l’immutabile Deposito della Fede (Mt 28, 20; 2 Tim 1, 13-14).

L’ineccepibile conclusione che si ricava dagli interventi di mons. Viganò è pertanto la seguente: il non dogmatico Vaticano II è un Concilio ecumenico formalmente valido ma legittimamente obliabile da parte dei fedeli e perfettamente invalidabile dall’autorità legittima (Romano Pontefice uti singulus o in concilio con tutti i vescovi) a causa delle manipolazioni che ne hanno alterato in senso ereticale l’impostazione originaria e delle pessime conseguenze che ne son seguite in tutta e per tutta la Chiesa: “Dai loro frutti li conoscerete […] Ogni pianta che non porti buon frutto vien tagliata e gettata nel fuoco.” (Mt 7, 16-20).
5. Secondo il dr. Mirus i vescovi, in pensione o non, devono starsene buoni e calmi nel loro ritiro, senza disturbare il Papa regnante con ripetuti interventi sui problemi della Chiesa.
Questa tesi viene così esposta. “Non è compito dei vescovi, in pensione o meno, eccezion fatta per l’attuale Vescovo di Roma, emettere continue dichiarazioni su difficili questioni del Cattolicesimo ad edificazione dell’intera Chiesa. Ciò costituisce, in effetti, un abuso dell’ufficio episcopale e del titolo episcopale.” (M, p. 5/5)

Quanto qui affermato, vale ovviamente per l’ordinaria amministrazione: c’è il Sommo Pontefice per governare la Chiesa, non occorre che il singolo vescovo ne intralci l’opera con continui interventi sul governo della Chiesa, del tutto al di fuori della sua competenza. Diverso è il discorso quando, come oggi, la Chiesa visibile è pervasa da una gravissima crisi morale e di fede, a cominciare dalle più alte gerarchie. Applicando il ragionamento del dr. Mirus, Sant’Atanasio, semplice vescovo, non avrebbe dovuto osare prender lui la difesa della fede, intaccata dall’eresia ariana, che il Pontefice al tempo regnante e la maggioranza dei vescovi non solo non contrastavano ma sembravano in un modo o nell’altro accettare! Questa semplice analogia già dimostra, a mio avviso, l’insostenibilità del ragionamento del dr. Mirus. Pensi dunque il vescovo alla sua diocesi o comunque ai casi suoi, alle cose di sua competenza e non si impicci di problemi riguardanti la Chiesa universale. Giusto. Ma quando un Papa non fa il suo dovere ed anzi si comporta come se volesse distruggere la Chiesa, seguíto dalla stragrande maggioranza dei chierici, delle suore, dei fedeli? Cosa deve fare un vescovo che abbia a cuore le sorti della Chiesa, il destino delle anime?

Riflettiamo attentamente sul significato profondo dell’istituzione episcopale: il suo specifico e caratteristico carisma viene dagli Apostoli. I vescovi sono i successori degli Apostoli, maestri come loro di dottrina e di morale. Hanno una competenza territorialmente delimitata, e così deve essere, sotto il potere di giurisdizione del Romano Pontefice, che ha anche potere disciplinare su di loro. Ma il Papa non ha un carisma sacerdotale superiore al loro. In nome del potere che conferisce loro l’Ordinazione essi sono autorizzati ad intervenire pubblicamente in casi eccezionali e per il bene dell’intera Chiesa anche su questioni che riguardino tutta la Chiesa. Come ha fatto a suo tempo san Paolo, che, pur essendo a lui gerarchicamente inferiore, ha rimproverato pubblicamente il Beato Pietro per il suo dissimularsi come Giudeo con atteggiamenti di pubblica purità rituale, nella quale più non credeva, occultando in tal modo la verità insegnata da Cristo, che aveva invece il dovere di predicare (c.d Incidente di Antiochia, Gal 2, 11 ss.). Come hanno fatto gli Apostoli, così devono dunque fare i vescovi, loro successori. San Paolo intervenne contro il primo Papa della Chiesa di Cristo, riprendendolo pubblicamente su una questione che riguardava tutta la Chiesa.

E in ogni caso, la Lettera Pastorale di un vescovo che ribadisca nella sua diocesi essenziali verità di fede, pur essendo giuridicamente limitata alla sua diocesi quanto alla sua validità formale, dal punto di vista teologico e morale vale anche per tutta la Chiesa, tant’è vero che può esser invocata da chiunque, in tutta la Cattolicità, a difesa del Deposito della Fede. Non per nulla, l’opinione teologica ortodossa manifestata ufficialmente da un vescovo nella sua diocesi concorre a costituire l’infallibilità del magistero ordinario, che è appunto quella dell’insegnamento ordinario del Santo Padre in armonia con quello dell’episcopato sparso su tutta la terra, protrattosi nel tempo. Il fatto che esista la figura del vescovo pensionato o emerito, in passato sconosciuta, cambia poco a quanto appena detto. Dal punto di vista teologico e morale un vescovo emerito conserva pienamente l’autorità per intervenire in gravi questioni che affliggano la Chiesa, di fronte alla latitanza o peggio della Prima Sedes.

Nessun “abuso del titolo episcopale”, dunque, da parte di mons. Viganò. Del resto, in qualunque istituzione, anche secolare, quando i vertici sembrano avere perso il ben dell’intelletto e appaiono immersi in una politica che conduce l’istituzione stessa alla rovina, semplici subordinati possono alzarsi in piedi e gridare allo scandalo, riprendere apertamente i colpevoli della politica suicida, senza che nessuna persona di buon senso si sogni di rimproverarli per una mera questione di competenza, perché le grandi questioni sarebbero loro vietate dall’ufficio subordinato o modesto che ricoprono.

La pastorale apertamente e lealmente critica della deriva dominante oggi nella Chiesa, inaugurata da mons. Viganò (e in modo simile da mons. Schneider), con motivazioni precise, documentate, razionali, è perfettamente giustificata dallo stato di gravissima necessità nel quale si trova immersa tutta la Chiesa, per colpa degli errori e delle eresie penetrati nell’azione del Magistero proprio a partire dal Vaticano II, del quale l’attuale Pontefice si considera pubblicamente erede ed esecutore ad amussim. Quel Concilio, che in troppi continuano a voler considerare ancor oggi alla stregua di un intoccabile tabù.
_______________________________________________
1. Dr. Jeff Mirus, Archbishop Viganò’s comments on Vatican II, www.catholicculture.org/commentary/archbishop-vigans-comments-on-vatican-ii/, pp. 1/5. D’ora in poi: M.
2. Si noti la differenza tra il CIC del 1917 e l’attuale, del 1983. Il c. 227 del primo spiega che : “I decreti del Concilio non hanno forza obbligante definitiva, se non siano stati confermati dal Romano Pontefice e promulgati su suo ordine”. All’opposto, il c. 341 § 1 del CIC attuale sembra includere anche i Padri conciliari nella approvazione degli atti, sullo stesso piano del Papa: “Non hanno forza obbligante se non quei decreti del Concilio Ecumenico che, insieme con i Padri del Concilio, siano stati approvati dal Romano Pontefice, da lui confermati e per suo comando promulgati”. Quest’interpretazione presuppone, ovviamente, che lo “una cum Concilii Patribus” si riferisca alla sola approvazione degli atti. La conferma e il comando di promulgare, il testo sembra riferirli al solo Pontefice. L’estensione dello “una cum” a questi due ulteriori atti, tipici della suprema potestas del Papa uti singulus, non è tuttavia da escludersi del tutto, in sede di semplice interpretazione.
3. Hubert Jedin, Breve storia dei Concili. I venti concili ecumenici nel quadro della storia della Chiesa, tr. it. di Nerina Beduschi, Herder, Roma, 1960, pp. 48-49.
4. Vittorio Peri, I concili e le chiese. Ricerca storica sulla tradizione d’universalità dei concili ecumenici, Studium, Roma, 1966, p. 27. Per i dettagli dell’elaborazione di questi requisiti, a partire per l’appunto dal Niceno secondo, vedi sempre il volume del Peri, con la traduzione del discorso del 6 ottobre 787 del Diacono Giovanni a nome dei Padri conciliari, previa lettura di un passo del conciliabolo del 753, fatta da un vescovo; discorso nel quale, con il linguaggio dell’epoca, vennero fissati i requisiti qui sopra riportati. Il Diacono Giovani insistette sulla necessità della presenza, diretta o indiretta, del Papa per la validità del Concilio Ecumenico, come “cooperatore” del Concilio, termine che non indica subordinazione ma attiva anche se non unica presenza direttrice (op. cit., pp. 24-25). È utile ricordare che nel Concilio (non ecumenico) di Sardica (Sofia) del 342, fu riconosciuto ad ogni vescovo condannato in qualsivoglia chiesa locale nell’Impero il diritto di appellarsi al Vescovo di Roma. Vedi, sul punto: Giuseppe Alberigo (a cura di), Decisioni dei Concili Ecumenici, tr. it. di Rodomontet Galligani, UTET, Torino, 1978, p. 17 nota n. 3 della Introduzione (pp. 9-89) dello stesso Alberigo.
5. Peri, op. cit., ivi.
6. Arcivescovo Viganò, Non credo che il Vaticano II fosse invalido, ma fu gravemente manipolato, post su Chiesa e postconcilio [qui], 1 luglio 2020, pp. 1/9, p. 

23 commenti:

Amici della Tradizione Cattolica - Forlì ha detto...

Premessa tutta la stima per mons. Viganò e la sostanziale condivisione delle sue riflessioni sul Vaticano Secondo, il dibattito in corso fra i paladini dell'accusa ed i portieri in difesa, ci sembra, ormai, una tenzone puramente accademica. Francamente noiosa. Col pontificato in corso siamo abbondantemente al Concilio Vaticano Quarto!

Anonimo ha detto...

Domanda:
Come si fa ad applicare un Concilio che dopo 60 anni ancora non si è capito cosa dica?

mic ha detto...

Penso che per chi ha orecchie per intendere il dibattito (finora escluso ma innescato da Viganò) può essere utile. È chiaro che non mancano gli interventi più accademici; ma ci sono (e ben vengano) quelli più divulgativi...

Anonimo ha detto...

Ho letto tutto ma, di corsa. Quindi rimango su un'impressione d'insieme, generale.

Assomiglia un po' al caso Magister, quindi sono interventi che dobbiamo attenderci. Sempre pelosi, anche questo l'abbiamo messo in conto.

Ringrazio il Professor P.Pasqualucci, da adesso in poi rimanga allertato. Ne usciranno dalle loro tane! Molto bene. Grazie.

Non dobbiamo avercene a male della piccineria, della meschinità che viene alla luce, sono anime anguste con nodi non sciolti al loro interno.

A Mons. Viganò, queste anime non aggiungono, né tolgono nulla. Aggiungono nodi e tolgono ampiezza a loro stesse. La Santa Vergine le aiuti a ritrovare il Vero e la Pace del cuore.

Mons. Viganò sappia che gode della fiducia e della stima di uomini e donne che ormai è molto difficile ingannare.

Anonimo ha detto...

Mons.Viganò ha innescato un processo di revisione del CVII, ed è ottima cosa voluta da Dio:nessuno ha il diritto di allontanarsi nella propria superba perfezione abbandonando ai lupi il Corpo mistico, il che è macabramente sotto gli occhi, si è in un deserto di fede e di cattolicità, di santità, e pure l'apostolicità è da rivedersi da un futuro Papa; ci avviciniamo alla fine luglio quando ci è stato annunciato un katecon, preghiamo. Nelle Sue mani è il futuro della Chiesa. San Paolo corregge san Pietro e Pietrosi lascia correggere e rinsavisce, questo non è successo oggi: il che pone un quesito che dovrà essere sciolto. Stesso quesito che si pone su GXXIII. Roncalli inaugurò un nuovo vangelo di una verità che si autoafferma ("se non la si annuncia come potranno credere?" "andate ed anunciate il Mio Vangelo, chi non crederà si danna") nonchè di una misericordia luciferiana, che colpisce il giusto ed il peccatore ponendoli in parità, contro la Giustizia: chiaramente contro la Sacra Scrittura. In applicazione di questo NUOVO vangelo viene applicata la NUOVA pastorale, conforme ad esso ma non già al Vangelo e quindi non già a Cristo stesso. Mons.Viganò afferma che il concilio fu validamente istituito? Sembrerebbe così ma nello stesso tempo la frase può significare altro, fino a che un papa non ne giudichi egli lo accetta come tale formalmente, o meglio in apparenza, ma nel contempo lo dichiara antievangelico e di conseguenza da cassare, non lo fa lui, ma lo farà un Papa. Diciamo che mancano 2 grosse caratteristiche indispensabili al vaticano secondo, la cattolicità e l'universale accettazione. Per l'ultima è evidente dalle scissioni lefebvriane e successive mentre la NON cattolicità evidente è documentata dalle affermazioni eretiche stesse dei documenti che si pongono in contraddizione con il Magistero e la Tradizione e col Vangelo stesso: la stessa fama di pastoralità è solo un concetto falso, di una pastorale infetta contro i dogmi di sempre. La pastorale infatti si collega in modo indissolubile al dogma nè può scindersi dal pre-concilio, quindi trattasi in modo lampante di falsa pastorale che si è voluto abusivamente sostituire alla vera pastorale che consta di Tradizione , Magistero, Vangelo. Evidentemente il nodo si pone al 1958 con una caduta libera dal dopo Pio X, come evidenzia don Morselli.

Catholicus ha detto...

Ottimo questo articolo di Michele Vallaro, che merita tutta la nostra attenzione e meditazione, trattandosi del 5° e ultimo dogma mariano di cui la Madonna in persona (presentatasi come Signora di tutti i Popoli) chiese la proclamazione, tramite le apparizioni e locuzioni a Ida Peeerdman, ad Amsterdam, a cavallo degli anni ’50-’60 del secolo scorso.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV3643_Vallaro_Corredentrice.html
Solo una piccola chiosa: per qualche recondito motivo, gli ultimi due paragrafi sono stati ripresi dalla chiusura del precedente articolo apparso su Una Vox, a firma del professor Luciano Pranzetti, cioè
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV3642_L-P_Sorella_morte.html
Quand’anche ciò fosse da attribuirsi ad un refuso tipografico, vi è solo motivo di rallegrarsene, poiché ci consente di fruire di un altro imperdibile saggio di difesa della vera dottrina cattolica da parte di un esponente di quella che amo definire Resistenza Cattolica Antimodernista.

mic ha detto...

Come si fa ad applicare un Concilio che dopo 60 anni ancora non si è capito cosa dica?

Chi lo ha applicato evidentemente sapeva... tant'è che chi ha capito in anticipo ha messo in guardia dalle derive prefigurate, temute e poi puntualmente realizzate; mentre chi lo constata oggi riesce a comprendere le ragioni della crisi e può pensare alle soluzioni adeguate...

Anonimo ha detto...

Cit. Piergiorgio Seveso:
"Spetterà alla Chiesa, tornata nella sua pienezza e nel suo ordine, rispondere infallibilmente agli interrogativi che questa crisi ha aperto, serrare per sempre quel Vaso di Pandora che questa rivoluzione ha dischiuso, disseminando di errori e di vizi vecchi e nuovi il Mondo.
Nostro compito è però custodire integralmente e senza manomissioni il suo glorioso passato e, superato l’osceno presente, condurlo verso un nuovo e glorioso futuro di Vittoria."

Anonimo ha detto...

In questa fase, per la verità, ci sarebbe da dubitare anche di certe approvazioni.
A me risulta che il Vescovo di Amsterdam non approvò l'apparizione ed in seguito, 17 anni dopo, se non ricordo male, anche la Santa sede fece la stessa cosa.
Solo successivamente un nuovo Vescovo approvò le suddette apparizioni.
Ci sono anche altre stranezze contenute dei messaggi.
Il solo criterio della richiesta di un nuovo e giusto dogma mariano non credo sia sufficiente perrendere credibili ed avallare tali apparizioni.
Personalmente ho seri dubbi.
Antonio

mic ha detto...

la Madonna in persona (presentatasi come Signora di tutti i Popoli) chiese la proclamazione, tramite le apparizioni e locuzioni a Ida Peeerdman, ad Amsterdam, a cavallo degli anni ’50-’60 del secolo scorso.

Ho detto e ripetuto più volte che preferisco non basare considerazioni su rivelazioni private delle quali non abbiamo bisogno perché, nella Rivelazione apostolica e nella tradizione millenaria già abbiamo il depositum fidei che racchiude tutte le verità necessarie alla salvezza. Tutt'al più possiamo tener presenti le più importanti e riconosciute (es. Fatima) per ravvivare l’adesione a una determinata verità o la nostra devozione.

In più sulla Corredentrice abbiamo pubblicato molti e importanti interventi di mons. Gheradini, Padre Mannelli e anche recentemente abbiamo esposto una dovizia di elementi fruttuosi per ravvivare e approfondire questo bellissimo attributo mariano...
https://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2020/04/bergoglio-recidivo-su-maria-semplice.html

Anonimo ha detto...


Continua la mania di ricorrere alla rivelazioni private, anche quelle meno sicure e più strane.
C'è stato un recente articolo di don Elia che metteva i puntini sugli i, in questo campo, ma evidentemente a poco è servito.
Pascersi di rivelazioni private fa alla fine cadere nella credulità e al limite nella superstizione, cose sempre e giustamente combattute dalla Chiesa. Inclina poi ad una concezione fantastica e fantasiosa dell'al di là, se ci si perde nelle descrizioni accurate che di esso (pe del Purgatorio) danno visionarie come la Emmerich, tanto per fare un nome tra i più noti.
Anche sulle poche rivelazioni private accettate e sicure, quanto alla loro origine sovrannaturale e benigna, non è bene soffermarsi di continuo, costruendoci sopra castelli interpretativi o filosofie della storia.
Restiamo alle cose semplici, nella Fede, come ci insegna Nostro Signore.

Anonimo ha detto...

"Ho detto e ripetuto più volte che preferisco non basare considerazioni su rivelazioni private delle quali non abbiamo bisogno perché, nella Rivelazione apostolica e nella tradizione millenaria già abbiamo il depositum fidei che racchiude tutte le verità necessarie alla salvezza."

Ciò vale anche per Civitavecchia?

Anonimo ha detto...


Fuori TEma

La vittora del conservatore Duda nelle elezioni presidenziali polacche. Contro l'ondata progressista, omofila e abortista. Però preoccupa che abbia vinto solo con il 51, 2 %, con uno scarto minimo sul fronte della dissoluzione. Per il quale sembra abbiano votato in massa quelli dai 18 ai 45 anni. I giovani nelle nostre società sembrano i più corrotti, moralmente parlando. Il partito di Duda non è omofilo ma nello stesso tempo nicchia, pare, su alcune cose.
Intanto sta arrivando alla Camera il progetto di legge contro la transomofobia. In sede di commmissione hanno votato contro la Lega, FdI, mentre il partito di Berlusconi si è astenuto.
Nota bene, le ambiguità di Berlusconi, che viene illuso con ammiccamenti a far parte domani della maggioranza.

Antonio ha detto...

Certamente, vale anche per Civitavecchia.

Maria, appunta: i troll se le segnano tutte. Si può imparare anche dagli avvoltoi agonizzanti come questo qui. Pensa quanto stava a soffrì se se la teneva preparata. Poveraccio.

Anonimo ha detto...

15 luglio - San Bonaventura da Bagnoregio

Cristo è la via e la porta.
Cristo è la scala e il veicolo.
È il propiziatorio collocato sopra l’arca di Dio (Es 26, 34).
È «il mistero nascosto da secoli» (Ef 3, 9).

Chi si rivolge a questo propiziatorio con dedizione assoluta, e fissa lo sguardo sul Crocifisso Signore mediante la fede, la speranza, la carità, la devozione, l’ammirazione, l’esultanza, la stima, la lode e il giubilo del cuore, fa con Lui la Pasqua, cioè il passaggio; attraversa con la verga della croce il Mare Rosso, uscendo dall’Egitto per inoltrarsi nel deserto. Qui gusta la manna nascosta, riposa con Cristo nella tomba come morto esteriormente, ma sente, tuttavia, per quanto lo consenta la condizione di viatori, ciò che in Croce fu detto al buon ladrone, tanto vicino a Cristo con l’amore:
«Oggi sarai con me nel paradiso!» (Lc 23, 43).
(San Bonaventura)

Anonimo ha detto...

http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2020/06/vigano-su-civitavecchia-e-fatima-chi.html?m=1

Anonimo ha detto...

Ribadisco il mio pensiero su Amsterdam in particolare e, in generale, sulla necessaria prudenza su questo tema delicato.
L'articolo di Don Elia é ottimo e istruttivo.
Devo dire anche che, in ambito tradizionale, c'è molto scetticismo, quasi che non si credesse alla possibilità stessa delle apparizioni,come se il cielo dovesse chiedere a noi l'approvazione.
Anche su Fatima c'è stata, a mio parere, qualcosa in più della semplice prudenza, infatti la richiesta di consacrare la Russia o non è stata accolta o solo parzialmente.
Equilibrio e prudenza, non scetticismo,per quanto mi riguarda.
Antonio

Anonimo ha detto...

"...Equilibrio e prudenza, non scetticismo,per quanto mi riguarda."

Giustissimo. Come scrivevo tempo fa nell'introduzione di un libro Roberto Calasso parla dei Santi come dei grandi schizofrenici. L'etimologia stretta parla di mente separata, divisa, poi vengono tutti gli altri allargamenti di significato che riguardano oltre l'aspetto cognitivo anche quello del comportamento. Nei fatti il Santo per Grazia vede ed ode e parla con qualcuno che non c'è sul piano fisico ma, anche il peccatore può essere messo in grado, per Grazia, di vedere, ascoltare, parlare con chi gli altri non vedono e non odono ed anche in punto di morte spesso si ha questa grande vasta percezione, visione. Quindi occorre equilibrio e prudenza. Spesso i messaggi celesti vengono affidati a fanciulli, a persone comunque rimaste pure, semplici non a quelle che la cultura ha reso scaltre, scettiche, ancor più superbe. Ma non è detto che sia così sempre, al grande incredulo occorre spesso restar cieco e cadere da cavallo per poter ascoltare la voce della Verità.

Anonimo ha detto...

La prima coppia umana godeva di un rapporto diretto con Dio, estasi e colloqui , come avviene per i santi, per i quali parlare di schizofrenia è un bestemmiare. Dovremmo ricuperare tutti il rapporto diretto con Dio, la Sacra Scrittura aperta dopo aver pregato risponde ad esempio, Dio non è muto e neppure sordo come non è cieco, e neppure deficiente o handicappato. E parla come vuole a chi vuole.

fabrizio giudici ha detto...

Varie cose.

Francamente noiosa. Col pontificato in corso siamo abbondantemente al Concilio Vaticano Quarto!

Arrivati al punto in cui siamo è evidente che la "revisione" del CVII non ci eviterà di cadere nell'abisso, perché ci siamo già caduti. Tuttavia, ad un certo punto qualcuno dovrà rimettere le cose a posto: tanto meglio se una parte del lavoro per capire come rimediare sarà già stata fatta.

Venendo ad Amsterdam (parlo solo delle apparizioni, teniamo da parte la richiesta del dogma), la situazione è riassunta sul sito ufficiale:

https://www.de-vrouwe.info/it/posizione-della-chiesa

Il primo vescovo non ha emesso un "constat de non" (che avrebbe chiuso il discorso), ma un "non constat de", che è interlocutorio e rimanda ad una decisione successiva. Il "non constat de" non può inficiare un pronunciamento successivo per definizione. E il pronunciamento dell'ordinario locale c'è stato in forma scritta; non è stato contraddetto da nessuna autorità superiore (CdF o Papa), dunque per quanto ne so la posizione del vescovo va considerata a tutti gli effetti come un riconoscimento ufficiale dell'intera Chiesa.

D'altronde, anche se non ho una copia in mio possesso (se qualcuno ce l'avesse gli chiedo gentilmente di verificare), mi consta che Laurentin incluse Amsterdam nell'elenco delle apparizioni mariane ufficialmente riconosciute dalla Chiesa nel suo "Dizionario delle apparizioni della vergine Maria". Così dice Cathopedia:

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In assenza di un elenco ufficiale da parte della Chiesa cattolica, che si limita a considerare separatamente i singoli casi, è possibile tentare un elenco dei casi riconosciuti, distinguendo opportunamente tra riconoscimento ufficiale e autorizzazione del culto. Un testo recente e dettagliato, il dizionario delle apparizioni del mariologo René Laurentin e di Patrick Sbalchiero, pur notando la varietà delle formule di riconoscimento, cita le seguenti apparizioni[6]:
****

https://it.cathopedia.org/wiki/Apparizioni_e_altre_manifestazioni_mariane

Notate l'enfasi sul "pur notando la varietà delle forme di riconoscimento". E varie riviste cattoliche che su questo tema non credo possano prendere un clamoroso granchio elencano Amsterdam:

https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/le-15-apparizioni-riconosciute-dalla-chiesa
https://it.aleteia.org/2016/03/07/le-15-apparizioni-della-madonna-riconosciute-dalla-chiesa/

Tornando al dogma, non si proclama certo un dogma sulla base di una rivelazione privata. La Madonna stessa, nei messaggi alla Peederman, disse che sarebbe stata necessaria una disputa teologica e che sarebbe stata complicata. Il titolo di "Corredentrice" è discusso da molti secoli, ben prima di Amsterdam (e qui Maria ha già richiamato gli articoli precedentemente pubblicati e non aggiungo altro). In sintesi, il senso del suo messaggio in questo ambito è la richiesta di pregare per il lavoro dei teologi.

Anonimo ha detto...

Fabrizio, formalmente avrai pure ragione ma, se la Chiesa prende tempo ed usa prudenza é un conto, se Vescovi diversi in tempi diversi hanno posizioni diametralmente opposte é un'altra.
In questa fase, che qualcuno definisce stato di eccezione, ho i miei dubbi sull'infallibilità dei giudizi, come emerge, se ho capito bene, anche dal succitato articolo di don Elia.
Comunque non era mia intenzione emettere un giudizio che, certamente, non mi compete, ma solo esprimere un mio personalissimo dubbio.
Antonio

Aloisius ha detto...

Le reazioni ostili a Viganò, da Magister a codesto de Mirus - per non parlare dei "fedeli" familiari e amici - soprattutto quando non entrano nel merito, dimostrano:
1) quanto sia forte l'attaccamento ad esso da parte dei vari sinistri e sinistroidi come Magister e, ovviamente, come icattocomunisti- progressisti-cattolici moderni e maturi.

2) di conseguenza, quanto sia stato importante sfondare questo muro del silenzio da parte di Viganò e Shneider, che hanno, finalmente, messo il dito nella piaga, anzi, nella causa di tutte le piaghe inferte al Corpo mistico di Cristo dall'infida eresia modernista.

Il parlarne logora chi lo ama.
Aloisius

fabrizio giudici ha detto...

Antonio, bisogna andarci cauti con lo stato di eccezione: ci devono essere motivi seri, altrimenti finisce che dubitiamo di tutto. Se uno mi dice che si può fare la Comunione in stato di peccato mortale, è roba seria. Se viene canonizzato un teologo della liberazione, è roba seria (un po' meno, ma sempre seria). Ma non possiamo iniziare a dubitare di tutto basandoci solo su dubbi personali. E poi lo stato di eccezione perché dovrebbe valere per un vescovo olandese del 2000 e non per uno del 1974? Abbiamo presente cos'era la Chiesa Cattolica in Olanda in quegli anni? Vedi che è del tutto arbitrario applicarlo all'uno o all'altro caso, se non per un pre-orientamento personale?