Nella nostra traduzione da Pelicanplus.com un altro articolo di Robert Keim da non perdere (precedente qui; oltre alle Lezioni sul latino liturgico qui). Il legame tra lingua cultura e religione è profondo e lo sarà sempre.
Intanto leggo proprio adesso [vedi] : "Il latino è la lingua ufficiale della Chiesa e chi non la conoscesse, anche tra i cardinali, da oggi in poi deve studiarlo perché Leone XIV lo ha sancito nel nuovo «Regolamento Generale della Curia Romana» emanato il 24 novembre.
Il latino è stato, ed è necessario che rimanga,
la lingua del cattolicesimo
di Robert Keim
Ferdinand de Saussure, studioso svizzero riconosciuto come il fondatore della linguistica moderna, disse che “nella vita degli individui e delle società, la lingua è un fattore di importanza maggiore di qualsiasi altro… Nella pratica, lo studio della lingua riguarda, in un modo o nell’altro, ciascuno”. [1] Una società soprannaturale, non meno di una società politica o etnica, ha bisogno di una lingua che le sia propria.
Benché Saussure sia stato il fondatore della linguistica moderna, la modernità non ha certo inventato l’idea che il linguaggio costituisca un elemento cruciale e assolutamente significativo della vita sociale. Questa è, piuttosto, un’idea pienamente e profondamente cristiana, che la Chiesa occidentale ha ereditato direttamente dalla cultura intellettuale dell’Antichità. Era già presente nella letteratura e nella liturgia degli antichi Ebrei. Scrive il grande studioso biblico Robert Alter: “I salmisti ci dicono ripetutamente che la vocazione ultima dell’uomo è usare le risorse del linguaggio umano per celebrare la grandezza di Dio ed esprimere gratitudine per i Suoi atti benefici”. [2] E sebbene l’antica Roma sia famosa per la sua abilità in attività pratiche come la costruzione di strutture monumentali, la conduzione di guerre e il governo di territori immensi, il sistema educativo romano era finalizzato alla formazione di oratori. Sia nei suoi aspetti pratici sia in quelli teorici, esso rifletteva un mondo in cui la parola e la sua presentazione erano centrali alla vita civica. [3]
Questa centralità si intensificò ulteriormente quando l’Impero Romano fu trasformato nella cristianità occidentale, in cui il re del cielo non era il dio del tuono ma il Verbo eterno, in cui le arti retoriche non erano necessarie soltanto per la politica, ma per predicare il Vangelo della salvezza, e dove la principale fonte di sapienza e verità era una raccolta di testi scritti di cui Dio Stesso è co-autore. Così, nel paradigma educativo che si sviluppò e fiorì sotto l’egida della Chiesa medievale, il linguaggio era il fondamento di ogni sapere e la chiave di una vera formazione cristiana della mente. I grandi filosofi, teologi, maestri ed esegeti del Medioevo iniziarono il loro percorso intellettuale con la grammatica (il linguaggio come sistema di regole e relazioni), la dialettica (il linguaggio come discorso che conduce alla vera conoscenza) e la retorica (il linguaggio come arte che persuade e ispira). [4]
Tuttavia, tutto questo parlare di “linguaggio” potrebbe far scivolare la parola nel campo delle astrazioni. Per alcuni teorici moderni, forse lo è ampiamente. Ma per il cristianesimo occidentale, dall’epoca patristica attraverso il periodo medievale e oltre, il linguaggio come concetto era legato in modo saldo e intimissimo alla realtà vissuta di una lingua specifica. E quella lingua – la parola difficilmente basta per nominare un’entità attorno alla quale è sorta la cultura di un’intera civiltà – era il latino.
L’arazzo delle parole nel pensiero cattolico
Gli studiosi che, di recente, hanno tradotto un’opera della prima erudizione medievale, hanno affermato che essa fu “probabilmente il libro più influente, dopo la Bibbia, nel mondo dotto dell’Occidente latino per quasi mille anni”. [5] Che cosa poteva mai meritare una valutazione tanto sorprendente? Il libro in questione non era un trattato teologico, né una traduzione della filosofia greca antica, né un commento alle Scritture; era invece un’opera enciclopedica basata sulle origini e le somiglianze delle parole. Intitolata Etymologiae e scritta da Sant’Isidoro di Siviglia nel VII secolo, l’opera è una testimonianza della lente linguistica attraverso cui i cristiani premoderni contemplavano le realtà diverse del cielo e della terra.
Ma, di nuovo, quest’opera fondamentale del pensiero occidentale, questa risorsa prodigiosamente influente per la cultura cattolica, non esplora le parole in senso astratto. Le parole di cui Isidoro scriveva erano, per lo più, parole latine. Anzi, l’impegno principale di Isidoro nella composizione di questo libro è stato descritto come un tentativo di “rivelare il significato interiore e autentico del lessico latino”. [6] Alcuni esempi bastano a mostrare come Isidoro, e tanti pensatori cattolici dopo di lui, studiassero la realtà stessa – non solo la liturgia o la teologia – attraverso la lingua latina.
Il mondo è costituito dal cielo e dalla terra, dal mare e dalle creature di Dio che vi abitano… “Mondo” (mundus) è chiamato così in latino dai filosofi, perché è in eterno movimento (motus), così come il cielo, il sole, la luna, l’aria e i mari. Perciò ai suoi elementi non è concesso alcun riposo; per questo è sempre in movimento. [7]Un giardino (hortus) è chiamato così perché qualcosa sempre “sorge” (oriri) in esso: infatti, in altri terreni la vegetazione cresce una volta all’anno, ma un giardino non è mai senza frutti. La parola “verdura” (holus) deriva da “nutrire” (alere), perché gli uomini furono nutriti dapprima dalle verdure, prima di mangiare cereali e carne. [8]La speranza (spes) è chiamata così perché è un piede per chi va avanti, come se fosse est pes (“c’è un piede”). La disperazione (desperatio) è il suo contrario, perché in quel termine “manca il piede” (deest… pes), e non c’è la capacità di proseguire, poiché finché qualcuno ama il peccato, non spera nella gloria futura. [9]
Va notato che Sant’Isidoro non considerava il latino la lingua originaria dell’umanità. Egli afferma chiaramente, all’inizio del nono libro, che prima della Torre di Babele e della conseguente confusione delle lingue, tutte le nazioni parlavano l’ebraico. Tuttavia, non esita minimamente a usare il latino come finestra principale sulla natura e sul significato di tutte le cose.
Quando la Bibbia era una
Così John Senior, in The Death of Christian Culture, rifletteva sull’educazione monastica:
Per l’allenamento del corpo c’è la vita ascetica — l’abito, il cibo, il lavoro manuale; e per l’anima, la liturgia, l’Opus Dei come lo chiamava san Benedetto, la continua immersione totale in pochissimi testi — il Salterio imparato a memoria nel primo anno di noviziato e infine l’intero Antico e Nuovo Testamento nel latino volgare di San Girolamo. [10]
Il “latino volgare di San Girolamo” — quella era la lingua dei monasteri, delle cattedrali, delle chiese di villaggio, degli oratori privati; la lingua dei messali, dei lezionari, dei libri di canto, dei libri di preghiere; la lingua, in breve, dell’Europa occidentale in un’epoca di fede. Non c’era bisogno, allora, di arricchire le citazioni bibliche con una sfilza di lettere maiuscole che i lettori avrebbero potuto tradurre in Revised Standard Version, o New Revised Standard Version, o New International Version, o New International Reader’s Version, o qualche altra versione che sarebbe comunque incapace di restaurare la vibrante, contemplativa cultura biblica del Medioevo — quando tutti leggevano o ascoltavano la stessa Bibbia nella stessa lingua.
Per grazia di Dio e grazie all’instancabile lavoro intellettuale di un santo, alla Chiesa fu data una traduzione della Scrittura che servì perfettamente alle sue necessità. Questo non significa che fosse una traduzione “perfetta” — perché nessuna traduzione lo è, e se dobbiamo giudicare dalla New American Bible, l’obiettivo della perfezione è più lontano che mai. Ma se la Vulgata era abbastanza buona per la vasta popolazione della cristianità medievale — gli studiosi che la studiavano, i monaci che la meditavano, i sacerdoti che la cantavano, e i laici devoti che riempivano le loro ore di preghiera con essa — allora, per citare un vecchio inno americano, va bene anche per me.
Le Bibbie in lingua volgare hanno certamente il loro posto, specialmente nel XXI secolo — perché le lingue non si imparano da un giorno all’altro, mentre il tempo per entrare più profondamente nelle storie, nei precetti, nelle poesie e nelle parabole di Dio è adesso. Tuttavia, ciò di cui il cattolicesimo moderno ha molto più bisogno rispetto alle mediocri nuove traduzioni della Scrittura è di cattolici che sappiano leggere il latino volgare di San Girolamo.
La lingua di una civiltà
Mi piace riferirmi alla Messa latina tradizionale come alla Liturgia Eucaristica Romano-Franca della Cristianità Occidentale.
Prima di tutto, l’espressione “Messa latina” ha solo cinque sillabe, e qualcosa di così sublimemente bello e monumentale merita molte più sillabe. Ma tale definizione è appropriata, perché ci ricorda che la lingua dell’Antico Rito non è semplicemente una lingua fra tante che per caso si chiama latino. Piuttosto, la lingua latina fu il modo fondamentale di comunicare di un’intera civiltà cristiana, e quando dico “comunicare”, lo intendo nel senso etimologico: communicatio, da communicare, “rendere comune, unire”.
La storia dell’Occidente premoderno è un’epopea di regioni, nazioni e classi sociali diverse unite — artisticamente, intellettualmente, spiritualmente, liturgicamente, teologicamente — dalla Chiesa cattolica e dalla lingua latina.
Elevato a preminenza ecclesiastica nel IV secolo da figure imponenti come Sant’Ambrogio, Sant’Agostino e San Girolamo, il latino fu materia prima indispensabile per costruire il magnifico edificio della cultura cristiana: “per secoli non fu soltanto la lingua dello studio biblico, della teologia e della liturgia; fu l’unica lingua dell’alfabetizzazione in gran parte dell’Europa occidentale”. [11] E benché fosse l’unica lingua dell’alfabetizzazione, non era limitata ad essa: la chiarezza, l’eleganza e la musicalità intrinseca del latino erano accessibili a chiunque, compresi coloro privi di istruzione formale, attraverso i canti della Messa e i Salmi dell’Ufficio Divino. Se in questi casi la comprensione si limitava a frasi liturgiche spesso ripetute come Dominus vobiscum, miserere mei o gloria in excelsis Deo, l’effetto era comunque salutare. Tuttavia, come ho sostenuto altrove, ci sono ragioni per credere che molti cattolici comuni — cioè membri del laicato con poca o nessuna istruzione formale — potessero comprendere il latino liturgico piuttosto bene. [12]
Nel settembre del 1947, C. S. Lewis scrisse una delle sue numerose lettere al sacerdote italiano — poi canonizzato — Don Giovanni Calabria. Lewis non conosceva l’italiano e Calabria non conosceva l’inglese. Così, comunicavano in latino. In quella lettera, Lewis osservava:
Se solo quella pestilenziale “Rinascenza” che gli Umanisti produssero non avesse distrutto il latino (proprio mentre si vantava di innalzarlo), potremmo ancora corrispondere con tutta l’Europa. [13]
Potremmo notare che anche la “Riforma” protestante — non un bersaglio così comodo per il tenacemente non cattolico Lewis — contribuì in modo poderoso alla distruzione del latino. Tuttavia, il punto rimane valido: il latino contribuì enormemente a legare le nazioni dell’Europa occidentale in quell’entità culturale e sociopolitica coerente chiamata Cristianità. In effetti, era parte integrante dell’universalità della Chiesa; molto più delle divaganti iniziative di “dialogo” ecumenico o di un sito web vaticano multilingue, il latino testimonia lo zelo con cui la Chiesa ha cercato di adempiere alle parole del suo Maestro: “Che tutti siano una sola cosa; come Tu, Padre, sei in Me e io in Te, siano anch’essi in Noi, perché il mondo creda che Tu Mi hai mandato”. [14]
La Chiesa deve tornare a parlare la sua lingua
È un giorno veramente triste quello in cui è Niccolò Machiavelli ad offrire consigli preziosi ai prìncipi della Chiesa, ma tale è il mundus inversus del cattolicesimo contemporaneo. Nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, egli scriveva:
I prìncipi devono imparare … che cominciano a perdere il loro Stato nel momento in cui iniziano a violare le leggi e a trascurare le antiche tradizioni e i costumi sotto i quali gli uomini hanno vissuto per lungo tempo. [15]
La lingua latina è assolutamente inseparabile dalle “antiche tradizioni e costumi” della religione cattolica, ed è stata trascurata per troppo tempo. Inoltre, nel nostro caso, la posta in gioco è molto più grave della perdita di uno Stato, poiché la rovina ecclesiastica conduce alla perdita della fede, e senza fede l’uomo è davvero perduto. Dobbiamo sperare e pregare che in qualche modo la Chiesa occidentale torni a fiorire. Allo stesso tempo, dobbiamo impegnarci a restaurare la lingua attraverso la quale ebbe inizio — e per mille anni stupefacenti — durò il suo primo periodo di splendore.
____[1] Ferdinand de Saussure, Course in General Linguistics. Traduzione di Roy Harris. Open Court, 2007, p. 7.
[2] Robert Alter, The Hebrew Bible: A Translation with Commentary, introduzione ai Salmi, § 2.
[3] Keith Sidwell, Reading Medieval Latin. Cambridge University Press, 2005, p. 7.
[4] Per un’ulteriore discussione di questo argomento, si veda il mio saggio intitolato “Human Words and the Divine Word: The Essence of Education.”
[5] The Etymologies of Isidore of Seville. Traduzione di Stephen A. Barney, W. J. Lewis, J. A. Beach e Oliver Berghof. Cambridge University Press, 2010, p. 3.
[6] Ibid., p. 23.
[7] Ibid., p. 271.
[8] Ibid., p. 355.
[9] Ibid., p. 173.
[10] John Senior, The Death of Christian Culture. IHS Press, 2008, pp. 169–70.
[11] “Latin”, in The Concise Oxford Dictionary of the Christian Church. A cura di Elizabeth A. Livingstone. Oxford University Press, 2013.
[12] Si veda “Did Medieval Christians Understand Their Latin Liturgy?”.
[13] C. S. Lewis e Giovanni Calabria, The Latin Letters of C. S. Lewis. Traduzione di Martin Moynihan. St. Augustine’s Press, 2009, p. 34. La versione inglese è tratta da questo libro, con alcune modifiche.
[14] Gv 17:21.
[15] I discorsi di Niccolò Machiavelli. Vol. 1. Traduzione di Leslie Walker. Routledge & Kegan Paul, 1950, p. 469 (III.5).
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]



4 commenti:
L'altro giorno ascoltando una trasmissione sulla Storia Romana il presentatore, in un inciso, ha detto, parlando della composizione del popolo e dell'esercito:"...sì, poi il Diritto fondato sulla Fides..." immediatamente mi è tornata alla mente la nascita del Signore quando l'impero era in pace, unito dal Diritto , dal Lingua latina e dalle strade convergenti verso Roma tanto che si dice che Gesù Cristo fu romano.
Come annunciato nell'incipit
https://www.iltempo.it/attualita/2025/11/25/news/papa-leone-xiv-latino-lingua-della-chiesa-cardinali-tornano-scuola-45134298/
PERCHÉ INIZIANO CON IL LATINO, SE GESÙ PREGAVA IN ARAMEO?
Da Pentecoste la Chiesa ha parlato e pregato in tutte le lingue degli uomini. Tuttavia, le comunità cristiane dei primi secoli utilizzarono ampiamente il greco e il latino, lingue di comunicazione universale del mondo in cui vivevano, grazie alle quali la novità della Parola di Cristo trovava l'eredità della cultura ellenistico-romana (1)
Dopo la scomparsa dell'Impero romano d'Occidente, la Chiesa di Roma non solo ha continuato ad avvalersi della lingua latina, ma ne è fatta in qualche modo custodia e promotrice, sia in campo teologico e liturgico, sia in quello della formazione e della trasmissione del sapere (2). E per una speciale provvidenza di Dio, questa lingua, che aveva raggruppato per molti secoli tanti popoli sotto l'autorità dell'impero romano, è diventata la lingua propria della Sede Apostolica (3).
La Chiesa cattolica, essendo fondata da Cristo, supera di gran lunga la dignità delle altre società umane, per questo è giusto che non si serva di una lingua popolare anche se nobile e augusta (4). La lingua latina, per sua natura, si adatta perfettamente a promuovere ogni forma di cultura in tutti i popoli: non suscita invidia, si mostra imparziale con tutti, non è privilegio di nessuno ed è ben accettata da tutti. Non si può dimenticare che la lingua latina ha una struttura nobile e caratteristica; uno stile conciso, vario, armonioso, pieno di maestà e dignità (5).
Per questi meriti la Chiesa l'ha sempre sostenuta e sostenuta (6). Per garantire la continuità con le nostre radici e rafforzare più che mai i legami di unità della fede nella comunione della Chiesa (7).
È così che si raccomanda che le preghiere più conosciute della tradizione della Chiesa siano recitate in latino e, se possibile, cantate frammenti di canto gregoriano. I futuri sacerdoti, fin dalla loro tappa in seminario, ricevano la preparazione necessaria per comprendere e celebrare la Messa in latino, nonché per utilizzare testi latini ed eseguire il canto gregoriano. Non dimentichiamo che si può insegnare ai fedeli a recitare le preghiere più comuni in latino e a cantare parti della liturgia in canto gregoriano (8).
Infine, l'odio della lingua latina è qualcosa di innato nel cuore di tutti i nemici di Roma (9).
A. M. D. G.
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(1) S.S. Benedetto XVI, Motu proprio Latina Lingua
(2). Idem 2.
(3) S.S. Pio XI Carta Apostolica
Offciorum omnium, 1 Agosto 1922
(4) S.S. Giovanni XXIII, Costituzione Apostolica Veterum Sapientia.
(5) S.S. Pio XI Carta Apostolica
Offciorum omnium.
(6). S.S. Giovanni XXIII, Costituzione Apostolica Veterum Sapientia
(7) S.S. Benedetto XVI, Presentazione del Compendio del Catechismo.
(8) S.S. Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis.
(9) Dom Prosper Guéranger OSB, Instituciones liturgiche.
"Il latino è la lingua ufficiale della Chiesa e chi non la conoscesse, anche tra i cardinali, da oggi in poi deve studiarlo perché Leone XIV lo ha sancito nel nuovo «Regolamento Generale della Curia Romana» emanato il 24 novembre."
Sì, ma non c'è scritto nel Regolamento "il latino o altre lingue"? Altre lingue è una innovazione rispetto al regolamento precedente, che prevedeva solo il latino. Non esultiamo dunque. È il solito cerchiobottismo di Leone, che introduce novità sapendo che il vecchio non viene cancellato ufficialmente (così inganniamo i conservatori, che devono stare boni) ma il nuovo sicuramente rimpiazzerà il vecchio nella pratica. E infine il vecchio sarà cancellato anche dalla teoria. Voilà, fregati tutti.
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