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giovedì 15 dicembre 2011

Cristina Siccardi recensisce per Chiesa e post Concilio Massoulié su Tommaso D'Aquino

Ricevo direttamente dall'autrice, Cristina Siccardi, la recensione di questo interessante testo recentemente edito dalla milanese Edizioni Ares: Massoulié Antonin, La preghiera & le virtù in san Tommaso d'Aquino, Pagine: 312, prezzo € 18.00

Questo libro che fu di grande aiuto in un momento di confusione dottrinale e spirituale, conserva in larga parte la sua attualità, perché attinge alla salda riflessione di Tommaso d’Aquino, del quale Massoulié (1632-1706) contribuì non poco a recuperare quel misticismo che, come osserva il curatore Carlo Bonfanti nella Presentazione, fu «spesso trascurato da molti commentatori che ne esaltavano soltanto l’immensa valenza intellettuale, contribuendo a diffondere l’immagine di un san Tommaso freddo ragionatore» e che invece «ogni volta che si apprestava a insegnare, scrivere o dettare, ricorreva innanzitutto all’orazione».


La recensione di Cristina Siccardi

Era esigente soprattutto con se stesso padre Antonin Massoulié O.p (1632-1706), filosofo, teologo e grande sostenitore di san Tommaso d’Aquino (1225- 1274). Visse in un tempo di vivaci e delicate controversie religiose e politiche sorte in Francia. Nato nella cattolica ed economicamente modesta famiglia del notaio Jean Massoulié e di Cécil de Celles, entrò nel convento domenicano di Tolosa nel 1647, quando aveva appena 15 anni.

Si trovò a navigare nelle derive del gallicanesimo, del giansenismo e del quietismo: eresie che contribuirono a creare un favorevole terreno agli ideologi della Rivoluzione Francese. Di grande valore risulta la sua opera Méditations de Sainth Thomas sur les trois vies purgative, illuminative et unitive pour les Exercices de dix jours avec la pratique des méditations du même Saint Thomas ou Traité des Vertus dans lequel les Actes des principales Vertus sont expliqués en particulier, oggi pubblicata in Italia dalle Edizioni Ares, con il titolo La preghiera & le virtù in San Tommaso d’Aquino (pp. 312, € 18). Un libro di alta spiritualità, che introduce e conduce alle vie della perfezione cristiana. Un libro che nacque in un contesto di grande agitazione per la Chiesa a causa delle dottrine che si andarono sviluppando a partire dal Seicento, a causa delle quali più generazioni furono mal dirette da un clero lontano da Roma.

Di segno contrario all’ultramontanismo, il gallicanesimo si pose come dottrina politico-religiosa incentrata sulla visione di una Chiesa cattolica nazionale, autonoma dal Sommo Pontefice; infatti, pur riconoscendo al Papa un primato d’onore e di giurisdizione se ne contestava il potere assoluto a favore dei Consigli generali della Chiesa e del Re di Francia.

Il gallicanesimo si sviluppò, soprattutto, nel XVII secolo, durante il regno di Luigi XIV con una dichiarazione dell’Università della Sorbona di Parigi contro l’infallibilità del Papa e contro ogni possibile autorità gerarchica di quest’ultimo sui sovrani francesi.

Le tensioni createsi nel 1682 fra Luigi XIV (1638-1715) e papa Innocenzo XI (1611-1689) diedero vita ai quattro articoli gallicani redatti dal Vescovo di Meaux, Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704), approvati da un’assemblea del clero francese. La crisi si risolse positivamente e la dichiarazione del 1682 non venne resa esecutiva. Lo spirito gallicano, come avverrà per lo spirito modernista, non sarà però soffocato e continuerà ad aleggiare fra il clero, riaffiorando prepotentemente nel 1713 in occasione della bolla Unigenitus, con la quale Clemente XI condannava le Reflexions morales del giansenista Pasquier Quesnel (1634-1719).

Il giansenismo sorse dalla mente del Vescovo fiammingo Ypres Cornelius Jansen o Giansenio (1585-1638), il quale, prendendo ispirazione da Michel de Bay (1513-1589), elaborò una dottrina pessimistica del Cattolicesimo secondo la quale l’uomo, essendo irrimediabilmente corrotto, non può far altro che vivere di penitenza. Da qui una severa e rigorosa moralità, che si opponeva al cosiddetto lassismo dei Gesuiti. Il Giansenismo si diffuse particolarmente in Francia con l’abate di Saint Cyran, Jean Du Vergier de Hauranne (1581-1643), che ebbe molto ascendente sulle monache cistercensi di Port-Royal. Il teologo di spicco di tale corrente fu il successore di Du Vergier, Antoine Arnaud (1612-1694), il quale ebbe successo nell’alta borghesia francese. Molti si lasciarono trascinare dalle idee fuorvianti di Giansenio e fra essi anche il filosofo e matematico Blaise Pascal (1623-1662). La crisi fu drammatica e la Chiesa condannò l’eresia con alcuni documenti. Nel 1665 il centro emanatore, Port-Royal, venne chiuso e le monache furono disperse in altri conventi. La condanna del Sommo Pontefice con il breve Universi dominici gregis del 1708 e la bolla Unigenitus del 1713 provocarono questa reazione: le dottrine gallicane si intrecciarono con quelle gianseniste. L’Arcivescovo di Parigi, il Cardinale Louis Antoine de Noailles (1651-1729), rifiutò la bolla papale, appoggiato da altri Vescovi e dalle Università di Parigi, Reims e Nantes; ma anche da moltissimi rappresentanti del clero e da religiosi. Si levò la richiesta di indire un Concilio universale. Ed ecco che giunse la scomunica di Clemente XI con la bolla Pastoralis officii del 1718. Il Cardinale de Noailles si piegò e il suo ravvedimento produsse il riassorbimento del giansenismo che si estinse completamente nel 1847 con il ritorno al Cattolicesimo romano delle Sorelle di Santa Marta. Il giansenismo si diffuse anche in Italia, in particolare nel Regno Sardo. Saranno Pio Brunone Lanteri (1759-1830), il teologo Luigi Guala (1775- 1848) e san Giuseppe Cafasso (1811-1860) a scardinare il giansenismo sul territorio.

Massoulié visse anche nell’epoca delle rapide del quietismo. Una dottrina mistica, sorta in reazione al giansenismo, che considerava la perfezione cristiana uno stato di quiete passiva e fiduciosa, uno stato di indifferenza mistica, arrivando, addirittura, a far a meno delle pratiche e delle liturgie. La dottrina si sviluppò sia in Francia che in Italia. Arrivò la condanna di Innocenzo XI con la bolla Coelestis Pastor del 1687. Tuttavia l’eresia riprese vigore per opera di Madame Jeanne Guyon (1648-1717) e del suo direttore spirituale, il barnabita François Lacombe (1643-1715). Nacque un aspro dibattito teologico nel quale si inserì il Vescovo di Cambrai, François de Salignac de la Mothe-Fénelon (1651-1715). Alla fine il Vescovo ritornò sui suoi passi con l’elogio di Innocenzo XII (1615-1700).

Ebbene, Antonin Massoulié fu direttamente coinvolto fra i protagonisti di quelle diatribe teologiche. Sostenuto dai suoi superiori, fu inviato a Roma come Assistente del Maestro generale dell’Ordine, padre Antonin Cloche (1686-1720), con il quale strinse una profonda amicizia, rinforzata dalla stima reciproca. Entrambi difendevano la teologia tomista ed entrambi fondevano nella loro vita preghiera e scienza. Nel 1686 padre Cloche nominò il suo assistente Visitatore nei conventi e nei monasteri dell’Alsazia con il preciso obiettivo di recuperare quelle comunità inquinate dal protestantesimo. Proprio in questi anni Massoulié venne direttamente coinvolto nella controversia quietista. Nel 1692 pubblicò, in due tomi, la sua opera più importante: Divus Thomas sui interpres de divina motione et libertate creata.

Nel 1695 padre Antonin riuscì a convertire un noto rabbino di Firenze. Profondamente umile, rifiutò una carica vescovile e nel 1696 fu nominato Inquisitore di Tolosa, ma anche Consultore del Sant’Uffizio. Nel 1697 Innocenzo XII chiamò Massoulié nella commissione straordinaria incaricata di esaminare le Maximes di Fénelon.

Il domenicano ebbe a combattere non soltanto le tesi del Vescovo, ma anche i Gesuiti, che guardavano benevolmente i quietisti. Il 22 luglio 1698 Massoulié fece uno straordinario discorso, nel quale «dimostrò che non si poteva introdurre nella Religione un dogma più pernicioso di quello dell’indifferenza per la salvezza; egli lo combatté per mezzo della scrittura e con solidi ragionamenti tratti e fondati su sant’Agostino e san Tommaso e concluse che la dottrina delle proposizioni [di Fénelon] era falsa, perniciosa, scandalosa, erronea...» . Il suo intervento fu basilare per l’esito del processo di Fénelon, conclusosi il 3 marzo 1699 con il Breve di condanna. Il quietismo era vinto, grazie anche all’opera intelligente di Massoulié.

Si spense umile e sereno, come era sempre stato, il 22 gennaio 1706 e sul suo corpo furono trovati un cilicio ed una catena di ferro. Riposa a Roma, nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva.

Il libro edito da Ares è di carattere mistico. Troviamo slanci appassionati e vibranti che non saranno presenti nei successivi trattati (Traité de la veritable oraison e Traité de l’amour de Dieu) che l’autore compose in maniera più misurata e più distaccata per non incorrere nelle accuse, strumentali, di quietismo.

San Tommaso d’Aquino sta alla base delle sue Méditations. L’autore, però, ce lo presenta non come teologo, bensì come maestro di vita spirituale. Infatti si «pensa che, trovandosi sempre in quelle grandi elevazioni e in più approfonditi ragionamenti di cui si servì per esprimere le verità della Fede, egli non si sia abbassato abbastanza da voler approfondire i segreti della vita unitiva. Si crede poi che, tutto preso dalle speculazioni della mente, egli non si sia particolarmente sforzato di eccitare i moti del cuore. Se però si leggessero le sue opere con maggiore attenzione, si constaterebbe con chiarezza che i suoi ardori sono pari ai lumi e che ha trattato della vita mistica e di quanto avviene di più sublime e divino nei cuori consacrati a Dio, con la stessa profondità raggiunta scrivendo testi grandi ed augusti sulle altre verità della Religione» . Quale splendida intuizione ebbe Massoulié... si legge, si studia san Tommaso come docente, non, però, come maestro di spiritualità. L’immagine del grande teologo è quella di un freddo studioso delle cose divine, che le illustra magistralmente con lucidità razionale, ma senza afflati interiori. E invece padre Antonin, pagina dopo pagina, ci dona l’anima del Dottor Angelico, dimostrandoci che in lui il mistico non si disgiunge dal teologo. Anzi, san Tommaso fu sublime teologo perché il suo spirito colloquiava con il soprannaturale, penetrandone logicamente, ma anche intuitivamente e misticamente, i segreti e le altezze. D’altro canto sappiamo per certo, da testimoni del tempo, che san Tommaso prima di insegnare o di studiare o di scrivere pregava e «spesso, prima di darsi allo studio delle cose divine, versava lacrime» .

Massoulié parte così dalla mistica tomista per indicare la strada verso Dio e lo fa presentando una serie di meditazioni tanto chiare quanto affascinanti, dove la profondità di sposa alla semplicità. Qui non c’è sentimentalismo fine a se stesso, bensì si respira la Fede unita alla Carità. Si tratta di una lettura quanto mai “contemporanea”: l’anima cattolica ben intenzionata, disorientata da un cristianesimo impuro, protestantizzato, materialistico, a volte disseminato di infatuazioni orientaleggianti, freudiane e psicologiche in genere, trova qui una via preziosa per la vita interiore secondo i dettami intramontabili di san Tommaso, attraverso anche una serie di pratiche di pietà, necessarie alla crescita spirituale. Insomma, come dice Carlo Bonfanti nella prefazione al testo, questo è un «libro da non leggere tutto di seguito, ma da meditare e “ruminare” poco per volta, alla maniera dei monaci, per interiorizzarne il contenuto e trasmutarlo in azione» .

Stare sempre alla presenza del Signore aiuta a rendersi perfetti. I gradini di questo libro possono, se presi seriamente in considerazione, portare in alto, molto in alto. Amare Dio significa operare per Lui. «Non si è mai visto che un amore vero sia ozioso; poiché, se è un amore autentico, deve agire, operare e compiere grandi cose; e se rifiuta di operare, non è amore (Opusc. 61), ma mollezza e indolenza» . Il vero amore non smette mai di operare e non misura la grandezza delle cose sulle difficoltà e i sacrifici incontrati, ma sulla grandezza dei desideri, «vorrebbe fare tutto, e niente può fermarlo» . Chi ama Dio fa cose grandi, considerandole piccole. E ne compie molte, credendo di farne poche, «operatur multa et reputat pauca» . E poi a colui «che ama, le sofferenze e i lavori più lunghi sembrano brevissimi» e, come affermava san Bernardo, «tutto il mio lavoro è solo il lavoro di un’ora, e se dura di più, l’amore mi impedisce di accorgermene. Che cosa può sembrare lungo all’amore? Esso sarebbe pronto a fare in eterno ciò che fa per Dio. Ma quale è stato l’amore di Dio per noi, e quanto è durato? Ab aeterno et usque in aeternum, dice il Profeta, dall’eternità e per l’eternità». Siamo di fronte all’amore così trasparente che porta la Croce con disinvoltura, meglio, con trasporto, imitando Cristo, che sul Golgota portò la Croce e vi si fece inchiodare con amore. Ed ecco che il vero amore di Dio, costante e immutabile, non procede per gradi, ma a passi giganti, «non cammina, ma vola con ali di fuoco (Ct 8,6). Chi potrebbe saziare il vero amore? Dio è amore […] e amare Dio è amare l’amore: in un cerchio d’amore senza fine» .

Massoulié paragona le creature umane come ruscelli che hanno la loro fonte in Dio, dalla quale, se vogliono, possono ricevere la perfezione, la vita, la bontà, la verità. L’anima che ha Fede è un’anima appagata: prende gli avvenimenti della vita direttamente dalla mano di Dio, certa di tre verità: nulla accade se non per espresso permesso dell’Altissimo; Dio non permette che capiti nulla se non attraverso il suo amore; tutto quanto il Signore permette è per il bene verso la creatura amatissima, alla condizione che quest’ultima corrisponda ai Suoi disegni e non desideri uno stato diverso da quello in cui Dio l’ha posta. Ma l’Onnipotente, proprio perché è amore infinito, non impone nulla.

Nella vastità della spiritualità esistono realtà che soltanto la carità, dunque l’amore, può penetrare, ecco perché Dio comunica i suoi segreti soltanto alle anime caritatevoli, alle anime mistiche, ovvero ai suoi amici: «secretum Domini timentibus eum revelatur» («Dio manifesta i suoi segreti solo a coloro che lo temono») e che sono puri di cuore, infatti avverte Massoulié: «La saggezza non entrerà mai in un’anima insudiciata dai vizi e dalle passioni» .
Cristina Siccardi

7 commenti:

Anonimo ha detto...

...a causa delle quali più generazioni furono mal dirette da un clero lontano da Roma.
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nihil sub sole novi

DANTE PASTORELLI ha detto...

Papa Clemente arginò con grande coraggio l'eresia.

Anonimo ha detto...

Papa Clemente arginò con grande coraggio l'eresia

coraggio della Verità:
cosa che, a partire dal mitico concilio 21.mo, i papi hanno deciso di non fare più, fin dall'inaugurazione, in nome della falsa misericordia, amica compiacente della menzogna e di tutte le eresie.
Hanno creduto di poter esser più buoni di Nostro Signore e del Magistero immutabile da Lui istituito con Pietro I ?
BUONISMO verso l'errore, e verso il peccato, (il cui nome è ormai obsoleto): terribile auto-inganno che lascia da mezzo secolo il Gregge allo sbaraglio di mille sentieri pervertiti, detti illusoriamente "diverse vie alla verità".
E così l'alluvione delle eresie ha rotto le antiche dighe e sta sommergendo la Chiesa.
Ester

Catholicus ha detto...

Segnalazione interessante.

Peccato che una lettura del genere rischia di essere per pochi intimi e magari prevalentemente laici.

Infatti difficilmente l'opera potrà essere scelta dl clero di oggi, salvo rare eccezioni decisamente modernista, funestamente alienato dalla filosofia e, purtroppo, dal pensiero e dalla logica strutturante del pensiero tomista e, quindi, anche dalla relativa spiritualità.

giovanna ha detto...

Nelle librerie, anche quelle enormi, trovi in bella vista Mancuso-Augias-Bianchi, e simili; lo stesso San Tommaso lo trovi negli scaffali più alti in tomi spesso scoraggianti. Dunque ben venga un testo come questo, purché venga!

don Camillo ha detto...

"La grande APOSTASIA"

Poteva essere diretta SOLO con la perversione della ragione. Leone XIII cercò (un po' timidamente, a dire il vero) di ribadire che l'unica filosofia che regge il Magistero e tutta la Chiesa Cattolica sarebbe stata (e quindi dovrebbe essere) il Tomismo, ma i risultati si sono visti e si vedo oggi.

Con Cartesio si è inoculato il MALE ASSOLUTO: il dubbio, l'incertezza, i filosofi modernisti (tedeschi e francesi) hanno dato il colpo di grazia alla Chiesa Cattolica.

La confusione è evidente. Quando ho avuto l'occasione di parlare personalmente con S.E. Mons. de Gallareta, mi ha confidato il suo sgomento (quello che del resto ho avuto io mettendo piede nell'Università Pontificia per il Seminario): "si parlavano degli stessi argomenti, ma non ci si comprendeva" ovviamente perchè la struttura filosofica che impostava il ragionamento era del tutto diversa.

Da questa perversione: il Modernismo con la sua filosofia che ha prodotto questa Grande Apostasia, si uscirà solo in un modo: riconoscendo ( il Papa) che prima del 1952 (ultimo confine liturgico-telogico prima della degenerazione completa), la Chiesa è perfettamente Cattolica, e dopo non c'è nulla di nuovo se non tanta confusione.

Anonimo ha detto...

Molto interessante anche la carrellata su giansenismo e quietismo e le controversie religiose di altri tempi, ben delineate e inserite nell'argomento sviluppato.

C'è chi ha scritto in apertura "nihil sub sole novi", ma io credo che ciò che viviamo oggi, se non è nuovo, ha una portata ben più dirompente perchè ha toccato i vertici della chiesa.