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giovedì 8 maggio 2014

Non c'è posto in chiesa per la 'pietas' delle Penne Nere

Segnalata da uno studioso di Storia degli Alpini e delle gloriose pagine da loro scritte su tanti fronti, anche su quello dell'impegno civile, pubblico la Lettera al Direttore apparsa sul n.4/Aprile 2014 de l'Alpino, la Rivista dell'Associazione Nazionale Alpini, con la risposta. E scopro che il fatto - che purtroppo sta diventando prassi consolidata - è riportato anche da Riscossa cristiana, come potete leggere di seguito.

Liturgia e Alpini

 Un recente articolo sulla Tribuna di Treviso ha riportato a galla la vecchia storia del divieto ecclesiastico ai canti alpini ed alla Preghiera dell'Alpino (versione ANA) a Messa o nelle esequie funebri. Ciò ha creato un certo scompiglio tra parecchi alpini. Mi puoi raccontare come stanno le cose in realtà?
A Trieste noi cantiamo regolarmente nelle “nostre Messe” e nelle esequie ai “nostri” morti canti come “Signore delle Cime”, “Ave Maria” di Bepi De Marzi, ma anche “Stelutis Alpinis”. Perché vietare questi canti in chiesa? Certo non cantiamo canti di caserma; ci mancherebbe altro!
Per la Preghiera dell'Alpino credo che la Curia permetta solo la versione “rendici forti” invece della nostra vecchia versione “rendi forti le nostre armi” e “millenaria civiltà cristiana” (ufficialmente adottata dall'ANA quando non ci sono reparti in armi). Perché non si vuole l'accenno alle armi nella preghiera? Gli alpini non sono Forze Armate? E cosa dovremmo portare se non le armi (sempre sperando di non doverle MAI usare)?
E la civiltà cristiana? Non dico di andare ad imporre il cristianesimo con gli auto da fé o con le armi come i conquistadores. Assolutamente no! Ma perché non difenderci? Perché addirittura vietarci di pregare di poter difendere la nostra quasi bi-millenaria civiltà cristiana? Soprattutto in un momento come quello che stiamo vivendo, in cui le persecuzioni nel mondo sono riprese peggio che sotto Diocleziano? Credo che salga più veloce al Cielo una preghiera “vietata” ma sentita, piuttosto che una “imposta” che esce dalla bocca senza passare dal cuore.
Sono confuso. Ti prego, chiariscimi le idee.    
Dario Burresi – Trieste

Risponde il Direttore:
Mi astengo, per ovvie ragioni, dall'entrare in polemica. Su questi temi dovremmo metterci serenamente intorno ad un tavolo con coloro che rifiutano le nostre “liturgie alpine”. In esse ci sono aspetti storici, morali, sociali ed anche, ovviamente, ecclesiali. Ma una cosa vorremmo che ci spiegassero i contrari ai nostri riti: le nostre preghiere impediscono di lodare Dio, di servire i fratelli, sono per caso contro lo spirito del Vangelo? E gli alpini sono amici della guerra, della fraternità universale? San Giacomo, nella Bibbia, ci mette in guardia da una fede senza le opere, ribadendo che sono quest'ultime a raccontare la vera fede. Se questo potesse bastare...

[Aggiungo qui una stupenda esecuzione del canto, che chi ama gli Alpini conosce e sa quanto presente nei loro cori e nel loro cuore. E soprattutto nel Veneto. Ma non nei nuovi censori, evidentemente.]

Scrive Giovanni Lugaresi su Riscossa cristiana


Si resta sempre più sconcertati, se non a volte scandalizzati, per i comportamenti di certi sacerdoti e certi parroci. Che vietano ciò che non dovrebbe essere vietato e concedono ciò che non dovrebbe essere concesso. A tutto dovrebbe esserci un limite, dettato dal senso del sacro, in primis, e da un minimo di intelligenza, secondariamente.

Certo che, in un clima di anarchia liturgica (e non soltanto liturgica) tutto può accadere, e cioè che taluni accettino, consentano, e altri no, pur parlando, trattando della stessa “materia”.

Ci riferiamo ai canti degli Alpini e in particolare a quel toccante, commovente, “Signore delle cime” che il maestro Giuseppe De Marzi scrisse e compose nel lontano 1958, quando aveva appena 23 anni, in memoria di un amico (Bepi Bertagnoli) scomparso in una escursione in montagna.

Si tratta di un canto pieno di sentimento, ricco di pietas, che innalza lo spirito, che riempie l’anima, diventato il canto religioso per eccellenza delle Penne Nere, ma che ha oltrepassato i confini nazionali ed è stato tradotto in tante lingue, nonché elaborato per diversi tipi di complessi musicali. E’ il canto, poi, che conclude la concelebrazione del sabato pomeriggio nelle adunate nazionali dell’Ana, officiate dall’Ordinario militare e/o dal vescovo della città dove l’adunata medesima ha svolgimento.

Anche nella basilica padovana di Sant’Antonio, quando gli Alpini di quella città si danno convegno per la tradizionale messa di Natale, alla fine della celebrazione si canta “Signore delle cime”, senza problemi, anzi, dal momento che il rettore del santuario, Enzo Poiana, prima di vestire il saio aveva prestato servizio militare nella Julia.

Ebbene, sta sempre più diffondendosi nel clero una sorta di fastidio, se non di avversione, per questo motivo musicale, al punto che taluni parroci lo vietano espressamente. È un no secco, il loro. Dicono che in chiesa non lo si può cantare. E magari si tratta di una chiesa dove è dato ascoltare quella sorta di canti (pseudo)sacri che il maestro Riccardo Muti ha in più occasioni definito “canzonette”… roba da mettersi le mani nei capelli – possiamo ben dirlo, avendole ascoltate più volte, quelle “canzonette”!

Sì: in chiesa si può fare di tutto, dagli applausi in un funerale, ai fervorini, discorsetti, recita di poesie nel funerale medesimo, scandire il Sanctus durante la messa con battimani, ma un coro che canti “Signore delle cime” in ottemperanza al desiderio della famiglia di un defunto, come accaduto di recente in una cittadina del Veneto, no.

Non ci si raccapezza più. Abbiamo parlato di “anarchia liturgica”, e non è una esagerazione. Ci chiediamo soltanto, a questo punto, che cosa aspettino vescovi di retta dottrina, di mente aperta nel verso giusto, e con un po’ di cuore, a richiamare quei tali tipi di parroci.
Già… Che cosa aspettano?

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella ciao sì e i canti alpini no? C'è qualcosa che non quadra, bisognerebbe chiedere a ciotti.....

Josh ha detto...

Viene da chiedersi se il divieto anche al Canto degli Alpini non dipenda da un altro atteggiamento ideologico ancora, che apertamente non ci dicono ma che è profondamente obbigante in tutti i settori.

La contemporaneità è apertamente nemica di ogni aspetto tradizionale, e, non va dimenticato, nemica del senso di Identità locale,
nemica del senso di appartenenza:

oggi "bisogna" essere nemici delle nostre radici territoriali con i propri usi e cosumi,
per tirar su i costumi d'altri continenti, in vista del mondialismo e del meticciamento universale, come vogliono i globalisti delle varie massonerie, del piano Kalergi (paneuropa),
con tanto di progetto di déracinement coatto.

cfr.
http://identità.com/blog/2012/12/11/il-piano-kalergi-il-genocidio-dei-popoli-europei/

Ovvio che se questa chiave di lettura è giusta (ed è giusta) vedano come la peste un canto che è insieme:
_profondamente cristiano
_profondamente tradizionale
_identitario, espressivo di una fedeltà locale e a valori di lealtà alla propria origine, e per di più legato ai luoghi e ad un'etica corporativa

Josh ha detto...

Aggiungo, dalle parole di PF dell'altro giorno

"L’ascolto attento, il silenzio rispettoso, l’empatia sincera, l’autentico metterci a disposizione dello straniero e dell’altro, sono virtù essenziali da coltivare e trasmettere nel mondo di oggi."

dal momento che gli alpini non sono particolarmente dediti a cause apertamente terzomondiste, li fanno tacere.

probabilmente se appiccasero fuochi di autodistruzone alle loro care e sacre montagne, un canto (d'altri territori, beninteso, e in altra lingua) glielo farebbero pure cantare.