Il presente pontificato, con le sue ampollosità, potrebbe proprio costituire, se non la fase terminale del post-Vaticano II, in ogni caso l’avvicinarsi della sua fine. A condizione, beninteso, che si trovino uomini di Chiesa, che abbiano la determinazione necessaria per voltare pagina.
Incontestabilmente oggi ci si trova in un’atmosfera da pre-conclave[1]. Ciò non significa che i cardinali elettori debbano iniziare da domani a riunirsi nella Cappella Sistina. Ma, quando verrà il giorno in cui si riuniranno le Congregazioni generali preparatorie, si può sognare che venga fatto un bilancio sincero, aprendo la strada ad un coraggioso esame di coscienza. In caso contrario, si può sperare nell’adozione transitoria di una sorta di realismo, in virtù del quale lasciar vivere e svilupparsi le forze cattoliche, che esistono ancora.
Il contesto pessimista
Abbiamo già avuto occasione di rimarcare come, tra i più alti prelati, non solamente tra quelli dell’ala conservatrice, bensì anche in parte tra quelli dei diversi movimenti progressisti, c’è ormai una coscienza molto viva e molto pessimista della secolarizzazione, vista come fatale. La situazione della Chiesa, in Occidente soprattutto, ha una tale riduzione nel numero dei fedeli e dei sacerdoti, che fa sì da essere ad un passo dal renderla quasi invisibile in certi Paesi. Ciò fa loro sembrare che tutte le soluzioni sperimentate dopo il Concilio siano fallite, l’una dopo l’altra: riforme ad oltranza sotto papa Montini, tentativo di «restaurazione» sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, riattivazione di un conciliarismo sfrenato sotto Francesco. Da lì a trarre un bilancio… Poiché è certamente facile constatare come l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso del Vaticano II abbiano contribuito a svalutare la missione. Tuttavia, nessuno osa dire apertamente che gli orientamenti di questo concilio fuori dalla norma – a-normativo – abbiano avuto una grande parte nella catastrofe oggi constatata. È vero che solo i più ideologici dei bergogliani, come i gesuiti, che s’attivano attualmente per la preparazione del Sinodo dei sinodi, ritengono che si debba andare ancora più oltre e che d’altronde la secolarizzazione rappresenti un’«opportunità».
Molti alti prelati sono oggi spiazzati dalle parole d’ordine relative alla lotta contro il «clericalismo», parole d’ordine devastanti per le vocazioni che sono rimaste e che vengono seguite da visite canoniche, poi da sanzioni contro le comunità, i seminari, le diocesi «clericali», le quali possono avere dei punti deboli, ma beneficiano ancora di un certo reclutamento. Essi restano anche alquanto sconvolti dalle proposte deliranti del Cammino sinodale tedesco, con cui l’assemblea del Sinodo romano sulla sinodalità avvierà verosimilmente un meccanismo rodato di negoziazione-capitolazione, facendo proposte di tono inferiore rispetto a quelle tedesche, ma che avranno de facto il valore di un assegno in bianco, di una non-condanna.
Non è pertanto difficile prevedere che, quando le Congregazioni generali si riuniranno, la critica aperta o smorzata contro l’attuale caos sarà dominante, anche da parte dei prelati progressisti: governo sommamente autoritario ed il meno «sinodale» possibile, decisioni a zig zag, riforma indecifrabile della Curia, cocente fallimento della diplomazia con la Cina ed anche situazione finanziaria particolarmente inquietante (vedere le precisazioni ben dettagliate nel memorandum citato nella nota 1). Quanto alla critica dottrinale dei conservatori, essa si farà sentire non solamente a proposito dello iato sussistente tra l’insegnamento bergogliano e l’insegnamento precedente (non quello anteriore al Concilio, bensì quello dei precedente papi post-conciliari): Amoris lætitia che contraddice Familiaris consortio, Traditionis custodes che riscrive Summorum Pontificum, ma anche a proposito della teologia sommaria contenuta nelle esortazioni e nelle encicliche del pontificato.
Le forze a confronto?
Tutti notano che il collegio cardinalizio è stato ampiamente rinnovato sotto questo pontificato con un numero record di creazioni e che ai suoi membri è stato impedito di riunirsi, discutere ed esprimere liberamente le proprie opinioni nel corso dei concistori. Le previsioni circa il peso delle correnti nel Sacro Collegio dunque sono più aleatorie che mai, anche se si suppone che la maggioranza sia nettamente progressista. È oltre tutto probabile che le nomine, in occasione del prossimo concistoro, cerchino di far pendere ancor di più la bilancia in questa direzione. Ma chi emergerà da questa parte? Per chi i cardinali Parolin, Marx, Becciu faranno alla fine votare i propri accoliti? Il cardinale Tagle, 66 anni, prefetto della Propaganda Fide, che ha beneficiato dell’appoggio incrollabile dei gesuiti, sembra troppo vicino a Francesco e non manifesta un grande spessore teologico. La debolezza del cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo del Lussemburgo, oltre al fatto d’esser molto giovane (63 anni), sta nel fatto d’essere gesuita. Sandro Magister, che intensifica in questo momento la propria attività, gli attribuisce la qualifica, assassina nel contesto attuale, di «Francesco-bis»[2]. Infatti, le sue chance, se ne ha, risiedono nel tipo di moderazione un po’ ingenua, con cui tempera la sua eterodossia: è favorevole ai preti sposati, ma «sul lungo termine»; non è favorevole alle donne prete, ma affiderebbe loro volentieri posti d’autorità e le omelie durante le celebrazioni; ritiene che «le posizioni della Chiesa sul carattere peccaminoso delle relazioni omosessuali siano errate», mentre dice no alle benedizioni dei «matrimoni» omosessuali; non vede ostacoli al fatto che i protestanti facciano la Comunione a messa, ma è rimasto inorridito, quando, partecipando ad una cena protestante, ha visto in seguito gettare nella pattumiera i resti del pane e del vino, perché lui crede alla presenza reale (presso i protestanti?).
Sul fronte conservatore, sembra piuttosto improbabile, almeno ad oggi, che un candidato (Robert Sarah o, con una base più ampia, Peter Erdö, 69 anni, arcivescovo di Budapest) possa raccogliere i 2/3 dei voti. Ma l’apporto dei conservatori sarà necessario per l’elezione di un candidato di transizione, della sinistra liberale, che dovrà necessariamente ascoltare i loro desideri. Si può citare, ma semplicemente per dare una sorta di identikit di un candidato realista e rassicurante, Jean-Pierre Ricard, ex-arcivescovo di Bordeaux, 77 anni, di un progressismo liberale a tutto tondo. Allo stato attuale, è Matteo Zuppi, 66 anni, arcivescovo di Bologna, sostenuto dal potentissimo gruppo di pressione di Sant’Egidio, a soddisfare le condizioni. Possono apparirne altri?
Per una libertà cattolica… nella Chiesa cattolica
Lungo il XIX secolo, nel sistema politico francese, era emersa la seguente situazione paradossale: i più determinati fautori della Restaurazione monarchica, nemici per principio delle libertà moderna apportate dalla Rivoluzione, hanno tuttavia predicato sempre la libertà. Essi hanno insomma reclamato, non senza rischi, che si lasciasse loro uno spazio di vita e d’espressione: libertà di stampa, libertà d’insegnamento (ma non hanno saputo tuttavia approfittare delle occasioni che questo spazio offriva loro per rovesciare l’ordine delle cose).
A parità di condizioni, nel sistema ecclesiale del XXI secolo… Da un punto di vista cattolico, la prospettiva da perseguire è, a lungo termine, quella di una «restaurazione» più profonda di quella che ha voluto Joseph Ratzinger/Benedetto XVI: un ritorno, per riattivare una missione efficiente, ad un magistero di piena autorità, decidendo in nome di Cristo cosa sia vero e cosa sia falso su tutte le questioni controverse di morale familiare, di ecumenismo, ecc. Decidendo non solamente cosa sia cattolico e cosa non lo sia, ma anche chi sia cattolico e chi si dica cattolico senza esserlo: poiché è devastante per la visibilità della Chiesa che non si sappia più dove sia l’esterno e dove sia l’interno di una Chiesa, minata da uno scisma latente o piuttosto sommersa da una sorta di neocattolicesimo senza dogma.
Ma, in modo più immediato, sembra che non si possa ottenere che un allentamento del dispotismo ideologico – non solamente di quello, tipo ultima lotta per salvare l’onore conciliare, del presente pontificato -, ma di quello più profondo, che pesa sulla Chiesa da quando le è stato imposto un modo molle di credere e di pregare. Dispotismo, che fa sì che in nome della «comunione», ci si debba sottomettere, chi più chi meno, ad un Concilio e ad una riforma liturgica presentati come le nuove Tavole della Legge.
Il mezzo sarebbe quello di un pontificato di transizione, che doni piena libertà a tutte le forze vive della Chiesa. Se ci si attiene al panorama francese, ma che può per analogia servire come griglia di analisi per tutta la Chiesa, il cattolicesimo che oggi «funziona», cioè che riempie le chiese di fedeli, soprattutto di giovani, di famiglie numerose, che frutta vocazioni sacerdotali e religiose, che provoca conversioni, si riassume in due grandi aree. Da una parte, quella che si potrebbe qualificare come nuovo conservatorismo, con la comunità dell’Emmanuel, la Comunità San Martino (100 seminaristi attualmente ossia più di tutti i seminari diocesani francesi riuniti), la Comunità di San Giovanni, fiorenti monasteri di religiosi e religiose contemplativi. Altrove nel mondo ci saranno altre comunità religiose, diocesi vigorose, certi seminari. E, dall’altra, parte il mondo tradizionalista con le sue due componenti, una «ufficiale», l’altra lefebvriana, con i suoi luoghi di culto (450 circa in Francia), le sue scuole, i suoi seminari (nel 2020, il 15% dei sacerdoti francesi ordinati appartenevano a comunità tradizionali). Si obietterà che un «lasciar fare, lasciar passare», anche se a favore di ciò che ha prodotto i frutti della missione, sia anch’esso pieno di rischi di deriva. Quindi è auspicabile solo finché si rimanga in zone magisteriali grigie e incerte.
Tutti sono tuttavia consapevoli, o per desiderarlo o per temerlo (cfr. le motivazioni di Traditionis custodes), che è nel mondo tradizionale, che, per il suo peso simbolico, questa piena libertà di vivere e di crescere può dare le maggiori possibilità di aiuto ai prelati che si decideranno a «rovesciare il tavolo». (Don Claude Barthe - Fonte)
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Pensieri per il tempo presente
Cristo cade perché l’uomo è a terra, è sprofondato nel baratro, e Cristo vuole essere dove è l’uomo, per offrirgli il suo amore, per rialzarsi portandosi dietro l’uomo che si è lasciato amare. Si fa vittima , perché “solo l’amore della vittima può riscattare fino in fondo l’assassino”.
Nella prova non ci si rialza per eroismo, ma per carità, perché si è amati e si ama.
(Francesco Ferrari, dalla Via Crucis, FSCB)
All’inizio di un’altra settimana di passione.
La Tua, ma anche la nostra.
La nostra, nella Tua.
Senza affrettarne l’esito.
Un passo dopo l’altro.
Mentre cadi tre volte, mentre non smetti di cadere.
Perché non manca mai chi ha bisogno di essere risollevato.
Quelli per cui la passione non è, ora, un modo di dire.
Mentre tutto sembra perduto.
Perché nessuno si perda.
Qui, dove dolore e amore, sono,
finalmente, uno.
(Cit. Franca Negri)
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