Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 15 giugno 2013

Mattia Rossi. Il canto gregoriano nella raffigurazione estetico musicale del Purgatorio dantesco

Un vero godimento culturale e spirituale. Ringrazio di cuore Mattia Rossi che ha voluto condividere con noi questo suo testo, inedito sul web.

Introduzione: la musica nel Purgatorio.

L’abbondante inserimento di canti gregoriani, da parte di Dante, all’interno del Purgatorio, oltre che rappresentare un’interessante materia di studio recante un notevole contributo alla figura di Dante-musicografo, si rivela basilare per la comprensione dell’opera letteraria nella sua interezza. La presenza della monodia liturgica lungo tutto il Purgatorio, infatti, non si esaurisce in una semplice ‘decorazione’ musicale della cantica, ma funge da elemento portante nella costruzione estetico-musicale dell’opera.
Ho già accennato, in altra sede, [vedi anche qui - e qui - e qui] come il canto gregoriano rappresenti una «musica terrena legata alla pratica liturgica che ben si addice alla condizione espiativa della peregrinatio purgatoriale»[1]. La dimensione narrativa, in Purgatorio, è sostanzialmente ‘umana’: le anime purganti sono ancora legate al canto liturgico del quale hanno viva memoria. L’intera seconda cantica diventa «un unico solenne rito liturgico»[2]. Il canto monodico, perlopiù nella sua forma sillabica, diventa, così, espressione sonora del viaggio oltremondano delle anime penitenti in marcia verso la beatitudine paradisiaca: esse diventano, nell’espressione di De Sanctis, «esseri musicali»[3]. A dire il vero, però, il primo accenno al canto gregoriano si trova già nell’ultimo canto dell’Inferno:

Vexilla regis prodeunt inferni
   verso di noi; però dinanzi mira”,
   disse ’l maestro mio, “se tu ’l discerni”.[4]

Come si vede, qui, l’intento dell’autore è, in primis, parodistico: al testo originale dell’inno di Venanzio Fortunato (Vexilla regis prodeunt / fulget crucis mysterium), Dante aggiunge inferni attribuendo le insegne del Re a Lucifero, «lo ’mperador del doloroso regno»[5]. A questa funzione denigratoria dell’inno liturgico, Dante aggiunge un secondo scopo di ordine intertestuale: egli, citando un inno gregoriano, si allaccia idealmente con quello che avverrà nel Purgatorio, ovvero – come si è detto – l’istituzione del canto gregoriano a ‘colonna sonora’ dell’intera cantica.
Presento, di seguito, una tabella in cui riporto i testi citati da Dante, i relativi luoghi in cui essi sono contenuti e la fonte biblica o liturgica dalla quale sono tratti:


Luogo
Versi
II, 46-48 «In exitu Israel de Aegypto»
cantavan tutti insieme ad una voce
con quanto di quel salmo è poscia scripto.
V, 22-24 E ’ntanto per la costa di traverso
venivan genti innanzi a noi un poco,
cantando “Miserere” a verso a verso.
VII, 82-84 Salve, Regina” in sul verde e ’n su’ fiori,
quindi seder cantando anime vidi,
che per la valle non parean di fuori.
VIII, 13-15 Te lucis ante” sì devotamente
le uscìo di bocca e con sì dolci note,
che fece me a me uscir di mente.
IX, 138-140 Io mi rivuolsi attento al primo tuono,
e “Te Deum laudamus” mi parea
udire in voce mista al dolce suono.
XII, 109-111 Noi volgendo ivi le nostre persone,
Beati pauperes spiritu!” voci
cantaron sì, che noi diria sermone.
XV, 37-39  Noi montavam, già partiti di linci,
e “Beati misericordes!” fue
cantaro retro, e “Godi tu che vinci!”
XVI, 19-21 Pur “Agnus Dei” eran le loro essordia:
una parola in tutte era e un modo,
sì che parea tra esse ogne concordia.
XIX, 73-75 Adhaesit pavimento anima mea
sentia dir loro con sì alti sospiri
che la parola a pena s’intendea.
XX, 136-138 Gloria in excelsis” tutti “Deo
dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi,
onde intender lo grido si poteo.
XXIII, 10-12 Ed ecco piangere e cantar s’udie
Labia mea, Domine” per modo
tal, che diletto e doglia parturìe.
XXV, 121-123 Summae Deus clementiae” nel seno
al grande ardore allora udi’ cantando,
che di volger mi fe’ caler non meno;
XXVII, 7-9



55-60
Fuor de la fiamma stava in su la riva,
e cantava “Beati mundo corde!
in voce assai più che la nostra viva.

Guidavaci una voce che cantava
di là; e noi, attenti pur a lei,
venimmo fuor là ove si montava.
Venite, benedicti Patris mei”,
sonò dentro a un lume che lì era,
tal che mi vinse e guardar nol potei.
XXIX, 1-3



49-51
Cantando come donna innamorata,
continuò con fin di sue parole:
Beati quorum tecta sunt peccata!

La virtù ch’a ragion discorso ammanna,
sì com’elli eran candelabri apprese,
e ne le voci del cantare “osanna”.
XXX, 10-12



82-84
e un di loro, quasi da ciel messo,
Veni, sponsa, de Libano” cantando
gridò tre volte, e tutti li altri appresso.

Ella si tacque; e li angeli cantaro
di subito “In te, Domine, speravi”;
ma oltre “pedes meos” non passaro.
XXXI, 97-99 Quando fui presso a la beata riva,
Asperges me” sì dolcemente udissi,
che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva.
XXXIII, 1-3 Deus, venerunt gentes”, alternando
or tre or quattro dolce salmodia,
le donne incominciaro, e lacrimando;

Questo elenco sembrerebbe non andare oltre a un semplice esercizio di antologizzazione, ma, in realtà, ad un’attenta lettura retorica del Purgatorio è possibile notare come gran parte dei brani gregoriani citati da Dante siano stati scelti in virtù del loro significato intrinseco.

Effetti della percezione musicale.

Prima, però, di analizzare i luoghi in cui Dante si serve del gregoriano per descrivere una precisa scena purgatoriale, occorre fare una premessa generale intorno alla seconda cantica della Commedia. Mi riferisco, in particolare, alla percezione musicale e all’effetto che il canto provoca nell’animo dell’ascoltatore: non pochi sono, infatti, i luoghi del Purgatorio ove Dante sottolinea la bellezza e soavità del modo di cantare («sì devotamente», «con sì dolci note», «sì dolcemente» e altre espressioni simili) tale da rapirlo in estasi, ma, altrettanto decisamente in altri casi, condanna tali sventatezze che la musica provoca.

Sulla scorta delle proprie conoscenze teologiche e musicali, Dante ci offre la sintesi, risalente all’Antico Testamento, poi ai greci e fino ai Padri della Chiesa, sugli effetti che la musica ha sull’animo umano. È la funzione esicastica della musica, quella, cioè, in grado di produrre l’estasi e intervenire sugli stati d’animo. Nell’Antico Testamento si racconta di Saul che, posseduto da uno spirito cattivo, fece chiamare il miglior suonatore di cetra, Davide. Ogni volta che egli veniva posseduto, Davide, presa la cetra, iniziava a suonare e lo spirito cattivo si ritirava permettendo a Saul di sentirsi meglio (cfr. 1Sam 16, 14-23). Tale teoria, codificata dai filosofi greci (Pitagora e Aristosseno di Taranto), confluì nel pensiero dei Padri della Chiesa, i quali la applicarono al canto sacro sottolineandone il carattere edificatorio ed educativo. Queste teorie, confluite massicciamente anche nella composizione dell’octoechos gregoriano[6], furono diffuse, in età medievale, da Boezio: la sua ripartizione di musica istrumentalis, humana e mundana farà da costante in tutta la trattatistica musicale successiva. Attraverso la musica terrena a noi immediatamente percettibile (musica istrumentalis) l’animo dell’ascoltatore riproduce una relazione armoniosa (musica humana) con l’armonia cosmica (musica mundana). In questo senso la musica istrumentalis, in quanto specchio ed emanazione di quella mundana, ha poteri terapeutici psicofisici.
Dante riassume queste teorie medievali in un passo del Convivio:
20. E lo cielo di Marte si può comparare a la Musica per due proprietadi: l’una si è la sua più bella relazione, chè, annumerando li cieli mobili, da qualunque si comincia o da l’infimo o dal sommo, esso cielo di Marte è lo quinto, esso è lo mezzo di tutti, cioè de li primi, de li secondi, de li terzi e de li quarti. 21. L’altra si è che esso Marte, [sì come dice Tolomeo nel Quadripartito], dissecca e arde le cose, perché lo suo calore è simile a quello del fuoco; e questo è quello per che esso pare affocato di colore, quando più e quando meno, secondo la spessezza e raritade de li vapori che ’l seguono: li quali per lor medesimi molte volte s’accendono, sì come nel primo de la Metaura è diterminato. […] 23. E queste due proprietadi sono ne la Musica, la quale è tutta relativa, sì come si vede ne le parole armonizzate e ne li canti, de’ quali tanto più dolce armonia resulta, quanto più la relazione è bella: la quale in essa scienza massimamente è bella, perchè massimamente in essa s’intende. 24. Ancora, la Musica trae a sé li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione: sì è l’anima intera, quando l’ode, e la virtù di tutti quasi corre a lo spirito sensibile che riceve lo suono[7].
Così, nel Purgatorio, sin dal suo esordio, si assiste ad una stretta consequenzialità tra canto ed effetto benefico che esso produce: incontrando il suo amico e musico Casella, lo prega di intonare un suo canto in quanto quella musica aveva un effetto taumaturgico sull’animo del poeta:

E io: “Se nuova legge non ti toglie
    memoria o uso a l’amoroso canto
    che mi solea quetar tutte le mie voglie,
di ciò ti piaccia consolare alquanto
    l’anima mia, che, con la mia persona
    venendo qui, è affannata tanto!”
Amor che ne la mente mi ragiona
    cominciò elli sì dolcemente,
    che la dolcezza ancor dentro mi suona»[8].

Il canto di Casella, annunciato sin dall’opposizione tra Calliope e le Piche contenuto nell’incipit della cantica di mezzo (Purg. I, 7-12), rimane, all’interno del corpus musicale del Purgatorio, un unicum: è un canto profano che provoca quella delectatio corporalis che mal si associa alla necessità di purificazione dell’anima dalle passioni terrene[9]. Benvenuto da Imola, commentatore dantesco del XIV secolo, nel proprio Commento riassume le tre cause per le quali il canto di Casella non risponde alle esigenze estetico-stilistiche del Purgatorio: è un piacere, è materia amorosa, è meglio purificarsi attraverso la sofferenza. Si spiega, in questo senso, a) l’immediato rimprovero di Catone («qual negligenza, quale stare è questo?»[10], b) la totale scomparsa, d’ora in poi, del canto profano.

La stessa situazione si ripete nel canto VIII: l’ascolto dell’inno Te lucis ante terminum viene commentato da Dante con le parole «fece me a me uscir di mente» (Purg. VIII, 15). Laddove il canto profano di Casella era cantato «sì dolcemente», qui, il canto innodico viene cantato «sì devotamente», ristabilendo, così, la dimensione liturgica. Se il canto dolce di Casella non risponde affatto alle esigenze narrative di una dimensione espiativa, questo è espresso nel canto devoto della musica gregoriana. La duplice opposizione tra gregoriano e musica amorosa, richiamata con il canto di Casella, è finalizzato a null’altro che indicare, in maniera molto precisa, il tipo di musica – quella monodica – che, d’ora in poi, caratterizzerà il viaggio oltremondano.

Funzione del canto gregoriano.

Il primo canto che si ode è il Ps. 113 In exitu Israel de Aegypto, che allude alla liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto: fuor di metafora, è il canto di ringraziamento delle anime appena uscite dalla schiavitù del peccato e dal regno del demonio. Tale interpretazione è, tra le poche, originale di Dante: egli la espone anche in un passo del Convivio: « […] in quello canto del Profeta che dice che, ne l’uscita del popolo d’Israel d’Egitto, Giudea è fatta santa e libera. Ché avvegna essere vera secondo la lettera sia manifesto, non meno è vero quello che spiritualmente s’intende, cioè che ne l’uscita de l’anima dal peccato, essa sia fatta santa e libera in sua potestate»[11].

Proseguendo troviamo il canto mariano Salve Regina: esso riporta un testo che si addice molto bene alla condizione delle anime «gementi e piangenti» che, nella «valle di lacrime» del purgatorio, attendono la loro uscita da quell’«esilio» e godere della visione beatifica di Cristo.
Ancora, il Te lucis ante terminum[12], l’inno di sant’Ambrogio con cui si invoca l’aiuto di Dio contro le tentazioni notturne, è cantato dalle anime proprio al tramonto («Era già l’ora che volge al disio»[13]).
All’apparizione di Beatrice si ode cantare Veni, sponsa, de Libano: la Sposa è la Chiesa, ma qui Dante rivolge questa invocazione a Beatrice quale personificazione, all’interno della Commedia, della Dottrina. Sempre connessa – anche se non direttamente – alla figura di Beatrice vi è una citazione del canto dell’Osanna da parte degli angeli, allusione al saluto ricevuto da Cristo al suo ingresso in Gerusalemme (Hosanna filio David): questo brano era stato scelto dal poeta anche in una canzone giovanile nella quale si narrava della salita al cielo dell’anima di Beatrice[14].
Tra le ultime citazioni, in Purgatorio, vi è, infine, quella dell’Asperges, l’antifona cantata prima della messa durante l’aspersione dell’acqua benedetta che, in questo contesto, accompagna l’immersione nelle acque purificatrici del fiume Lete.

L’analisi fin qui condotta sulla funzione del canto gregoriano, permette di osservare anche come l’esperienza musicale delle anime all’interno del Purgatorio, e la conseguente scelta dei brani liturgici, è spesso legata al valore espiativo del canto: la musica diventa elemento portante per il riconoscimento, attraverso il testo dei brani, della pena legata all’anima lungo il viaggio ultraterreno di purificazione. È quella che potremmo definire “legge del contrappasso musicale”.
Vediamo alcuni esempi tra i più significativi. L’Agnus Dei è cantato dagli iracondi a segnare il contrasto di coloro che sono stati condannati a causa della propria ira e invocano Cristo, l’agnello innocente condotto al macello che si carica dei «peccati del mondo».
Gli avari, in vita attaccati ai beni materiali, sono coricati umilmente al suolo a cantare il versetto del Ps. 118 Adhaesit pavimento anima mea (Dante stesso, ai vv. 121-126, ne dà testimonianza). Il riferimento è, molto probabilmente, a sant’Agostino che, nelle Enarrationes in Psalmos evidenzia come quel versetto salmodico sia proprio riferito all’animo degli avari soffocato, in vita, dalla cupidigia[15].
Il girone dei golosi è segnato dal canto del Labia mea, Domine, rimaneggiamento del diciassettesimo versetto del Ps. 50 Miserere il quale recita, però, Domine labia mea aperies: l’inversione che Dante opera dei termini “Domine” e “labia” non è casuale, ma finalizzata a sottolineare retoricamente che i golosi, dannati a causa della bocca in vita, ora la usano per intonare canti a Dio.
Al girone dei lussuriosi si ode cantare l’inno Summae Deus clementiae, l’inno del Mattutino del sabato. Questo riferimento si spiega in funzione di uno dei versi dell’inno stesso, quello che invoca le fiamme a bruciare i lombi e il fegato (sede della lussuria) e li purifichino allontanando ogni tentazione carnale: «lumbos iecurque morbidum flambi adure congruis, accincti ut artus axcubent lux remoto peximo».

In conclusione, se da un lato, gli esempi danteschi qui riportati dimostrano quanto la pratica liturgico-musicale possa essere d’aiuto per la comprensione di un fenomeno (apparentemente) solo letterario, dall’altro dimostra quanto il canto gregoriano, forma d’arte «colma di significato»[16], si offra come sublime esempio delle implicazioni estetiche che esso può assumere.
Mattia Rossi
_____________________________
1. M. Rossi, Sull’alternatim e su un passo dantesco, in «Rivista internazionale di musica sacra», n.s. XXXIII, 2012.
2. V. Russo, Il canto II del Purgatorio, in Id., Nuove Letture Dantesche, III, Firenze 1969, p. 242.
3. F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, VII, par. 35, Milano, BUR, 2006.
4. Inf., XXXIV, 1-3.
5. Inf., XXXIV, 28.
6. Sull’ethos modale gregoriano, sul cui studio fu pioniere dom Jean Jeanneteau, cfr. D. Saulnier, I modi gregoriani, Solesmes 2000, pp. 19-21; 45 sgg.
7. Conv. II, XIII, 20-24.
8. Purg. II, 104-114.
9. Cristoforo Landino, commentatore dantesco, nel suo Commento (1481), commentando il canto di Casella così riassume le teorie sull’ethos musicale: «[…] chome el corpo composto d'elementi, desidera chose facte di quel medesimo, chosì l'anima nostra sommamente appetisce l'harmonia. Et questo mosse Aristoxeno a dire, che l'anima nostra fussi harmonia. Et certo è tanto naturale, chome dimostra Boetio nel proemio della sua Musica, che ogni età dilecta, et tanto è potente, che ogni huomo muta. Empedocle colla sua musica mitigò et spense l'ira d'un giovane, el quale volea uccidere l'acusatore del padre. Pytagora riprese colui, che volea ardere la chasa, dove l'amicha sua era col suo rivale, et concorrente. Aristotele ne' Problemati dice, che et chi è dolente, et chi è allegro, usa la musica. L'uno per dimminuire el dolore; l'altro per accrescere l'allegreza. Sono due spetie di canti, una grave, la quale usorono e Lacedemonii et e Romani, nella quale Platone vuole che s'exercitino e giovani. Athanasio vietò che in chiesa non s'usassi musica, per fuggire ogni lascivia. Ambrosio comandò che s'usassi per excitare le menti nostre alla religione. Augustino disputa pro et contra. Hora l'autore secondo la sententia d'Ambrosio dinota pel nostro Casella, che chi ha a ssopportare la difficultà, et fatica, del salire il monte, i. purgarsi, oda quella musica, che invita al bene, et alla virtù, et alla religione. Nè sanza somma prudentia induce Danthe, che di più canzone da llui facte dell'amore, Casella canti questa, el cui principio è Amore che nella mente mi ragiona, perchè chome epso medesimo interpreta nel suo Symposio, o vero Convivio, dimostra in questa canzona, che l'amor suo non è in chosa mortale, ma nella philosophia et theologia. Onde dixe, che amore ragiona con lui, i. con raciocinatione et discorso di ragione parla. Et parla nella mente, i. nello 'ntellecto. Adunque è amore di chose intellectuali et celesti, perchè l'amore lascivo non ragiona, i. non usa ragione, chome dimostrammo nella prima cantica, ma excita et conmuove la sensualità, non nella mente, ma nell'apetito. Conchiuderemo adunque che 'l poeta significa, ce havendo noi a sopportare la laboriosa difficultà del salire, dobbiamo ristaurare, et ricercare, la mente con la musica, della quale nessuna cosa è più amica all'anima. Ma con quella musica, che contenga in sè amore celeste et divino, et non terreno sobmerso nella sensualità».
10. Purg. II, 121.
11. Convivio, II, i, 6-7.
12. «Te lucis ante terminum, rerum creator, poscimus, ut tua pro clementia sis praesul et custodia. Procul recedant somnia et noctium phantasmata, hostemque nostrum comprime, ne polluantur corpora […]»
13. Purg. VIII, 1.
14. Io imaginava di guardare verso lo cielo, e pareami vedere moltitudine d’angeli li quali tornassero in suso, ed aveano dinanzi da loro una nebuletta bianchissima. A me parea che questi angeli cantassero gloriosamente, e le parole del loro canto mi parea udire fossero queste: Osanna in excelsis. […] Levava li occhi miei bagnati in pianti, / e vedea, che parean pioggia di manna, / li angeli che tornavan suso in cielo, / e una nuvoletta avean davanti, / dopo la qual gridavan tutti: Osanna (Vita nuova, XXIII, 7 e 25).
15. Agostino, Enarrationes in Psalmos 118, X, 3: «Quod si recte accipitur, profecto qui dicit Adhaesit pavimento anima mea, vivifica me secundum verbum tuum, non id orat, ut de corpore mortis huius, qui propter eius brevitatem non potest esse diuturnus, quandoque facturus est: sed ut concupiscentia qua concupiscitur ad versus carnem, magis ac magis augeantur; donec ista consumatur in nobis et illa consumetur per Spiritum sanctum qui datus est nobis» … «Mortus sum; vivifica me. Quid est ergo pavimentum? Si tanquam unam quandam domum magnam universum mundum velimus accipere, videmus velut eius cameram caelum: terra erit igitur pavimentum. Vult itaque terrenis erui, et cum Apostolo dicere, Conversio nostra in coelis est (Phil. 3, 20). Proinde terrenis adhaerere animae est; cui malo contraria poscitur vita, cum dicitur, Vivifica me»
16. E. Auerbach, Introduzione alla filologia romanza, Torino 1963, p. 127.

[Pubblicato in «Studi gregoriani», XXVIII (2012), pp. 165-174.]

7 commenti:

Jacobus ha detto...

E' un excursus affascinante e anche eloquente su cosa abbiamo perso con la trascuratezza in cui è tenuta la musica sacra e anche sul perché.

Anonimo ha detto...

Non immaginavo una lettura del Purgatorio in questi termini.
Grazi all'autore e a mic.

Anonimo ha detto...

Io sono rammaricata che oggi, per effetto del depauperamento spirituale della Chiesa, non sia possibile a tutti una decriptazione del testo anche in chiave liturgica. E con che profonditá, tutte da scoprire e ulteriormente assaporare.
Sono molto felice di aver conosciuto questo testo e il suo autore.

Anonimo ha detto...

Grazie, Mic. Un piacere che è ricambiato.
MR

Anonimo ha detto...

Come Dante tratti il canto gregoriano all'interno del Purgatorio rimane una delle vette ancora non eguagliate nel rapporto tra musica e poesia.
Ma a pensarci bene esiste un altro passo, sempre in Purgatorio, dove Dante mostra di conoscere molto bene la prassi liturgica dell'organo nel Medioevo.
È una riflessione notevole della quale ho trattato in un paio di pubblicazioni: appena mi riesce ve la propongo.
MR

Anonimo ha detto...

Grazie davvero!
Resto in attesa :)

Luigi ha detto...

Tempo liturgico e tempo storico nella "Commedia" di Dante

http://books.google.it/books/about/Tempo_liturgico_e_tempo_storico_nella_Co.html?id=M7ksAQAAIAAJ&redir_esc=y