Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 29 marzo 2014

Il latino e non solo: intervista a padre Spataro

Don Roberto Spataro, sdb, insegna Letteratura Cristiana antica ed è il segretario della Facoltà di Lettere Cristiane e Classiche dell’Università Pontificia Salesiana, denominata anche Pontificium Institutum Altioris Latinitatis. [vedi un precedente nel blog nonché l'annuncio dell'incontro di Verona per oggi, sabato 29 marzo]
I – INCONTRO CON DON SPATARO
(Fatta eccezione per le ultime due risposte, date in esclusiva per la nostra edizione italiana [Paix Liturgique], questa intervista è stata realizzata nel gennaio 2013 da Ilaria Pisa per il sito Campari e de Maistre)

1) Negli ultimi cinquant’anni lo studio della lingua latina da parte degli uomini di Chiesa, anche nei seminari, sembra essere stato declassato e aver perduto interesse: quali le cause, secondo lei? È stato il frutto di una scelta organica?
Don Spataro: Più che una scelta organica e programmata, credo che il disinteresse per lo studio del latino all’interno della Chiesa sia stato l’esito di un’atmosfera culturale che, mentre deprezzava la Tradizione, inseguiva ingenuamente le res novae. Inoltre, anche all’interno della Chiesa, è stato sciaguratamente assorbita la noncuranza per gli studia humanitatis che più generalmente si diffondeva nella società civile e nel mondo dell’educazione.

2) L’abbandono pressoché totale del latino, anche nella Liturgia, in seguito alla riforma del Messale Romano operata dal Venerabile Paolo VI, ha davvero incarnato gli auspici espressi dai Padri Conciliari nella Sacrosanctum Concilium?
Don Spataro: Il Messale Romano di Paolo VI è in lingua latina. Soprattutto, però, occorre ricordare che la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium prescriveva l’uso della lingua latina nella liturgia, pur prevedendo un ragionevole e proficuo inserimento delle lingue nazionali in alcune parti. Appare evidente a molti che la riforma liturgica, seguita alla celebrazione del Concilio, non ha rispettato il dettato conciliare.

3) Non trova che nella Liturgia l’“ostacolo linguistico” costituito, oggi, dal latino costituisca un incentivo a compiere quel necessario sforzo mentale che consente al fedele di entrare nella dimensione sacrale e liturgica, radicalmente diversa dalla quotidiana?
Don Spataro: Effettivamente, un dato pressoché universale della fenomenologia delle religioni è costituita dall’uso di una lingua “sacra” differente da quella adoperata nella realtà quotidiana. Il latino, inoltre, per alcune sue peculiari caratteristiche, è adatto ad esprimere le res sacrae.

4) C’è il rischio che l’abbandono del Latino abbia portato o stia portando una minore unità e coesione all’interno della Catholica? Che i suoi effetti, insomma, non si spieghino soltanto sul piano culturale, essendo l’unità di linguaggio segno dell’unità di fede?
Don Spataro: Sono d’accordo con Lei: quando il Papa Giovanni XXIII promulgò la costituzione apostolica Veterum Sapientia sul valore del latino, sottolineò energicamente che un’istituzione internazionale, quale la Chiesa Cattolica, ha bisogno di una lingua sovranazionale. Il latino, lingua immortale e che non appartiene ad alcun popolo, corrisponde perfettamente a questa esigenza. Perdendo l’uso attivo del latino, sono state rese più difficili le comunicazioni tra gli Episcopati e la Santa Sede. Inoltre, la conoscenza del latino permette, soprattutto ai sacerdoti, di entrare in una sorta di comunione “diacronica” con i documenti della fede dei secoli passati, documenti che hanno formulato la fede della Catholica, spesso opere di santi, di insigni dottori, espressione dell’autentico sensus fidelium. Senza il latino, insomma, ci si espone al rischio di un’ecclesiologia debole, parcellizzata nel locale, priva di legami con la Tradizione.

5) I grandi teologi della storia della Chiesa hanno composto le loro opere in latino. L’abbandono del latino in teologia può aver prodotto gap nella comprensione della grande tradizione teologica della Chiesa, con ripercussioni sul piano dottrinale? Può aver causato fraintendimenti, anche gravi, generati dal ricorso a categorie insufficienti e a concetti labili, basati su un lessico privo di univocità?
Don Spataro: Io credo che il latino sia una lingua che educhi a non essere prolissi. Mi pare che sia un difetto in cui cadano non poche pubblicazioni teologiche contemporanee. Inoltre, il latino è una lingua che educa alla precisione nella comunicazione del pensiero. Per queste sue caratteristiche, sobrietà e precisione, evita conflitti di interpretazione dei testi.

6) Il 30 marzo, per la messa detta “Lætare”, lei celebrerà a Verona la forma straordinaria del rito romano ossia la messa tradizionale che la gente chiama ancora spesso “messa in latino”. Può dirci quand’è che l’ha scoperta e cosa l’ha portata a celebrare la messa secondo il messale del Beato Papa Giovanni XXIII?
Don Spataro: Sin dalla mia giovinezza (oggi ho 48 anni), sono stato incuriosito dalle vicende della Fraternità di San Pio X. Mi colpiva l’amore di questa comunità per la Messa antica. Dopo il Summorum Pontificum ho approfondito l’argomento ed ho compreso la ricchezza dottrinale di questo rito. Nel 2010, mentre vivevo a Gerusalemme, da parte di una comunità religiosa femminile ho ricevuto l’invito a celebrare la Santa Messa tridentina. Da allora, ogni volta che si presenta l’occasione, celebro con gioia con il Messale del 1962 perché è un tesoro di autentica teologia e di profonda spiritualità. Mi aiuta a diventare più buono e ne ho tanto bisogno! Inoltre, e soprattutto, è per i fedeli un alimento molto solido per incrementare la vita di Grazia. Non è questa l’azione pastorale fondamentale?

7) Da docente di latino e da sacerdote che celebra ‘in utroque usu’, può dare qualche consiglio ai preti e ai fedeli che si sentono attratti dalla liturgia tradizionale, per la sacralità e la centralità del mistero eucaristico, ma si sentono frenati dalla loro ignoranza del latino?
Don Spataro: Anzitutto, vorrei sottolineare che l’uso della lingua latina è un elemento essenziale del rito tridentino che, mettendo l’accento sulla santità dell’azione liturgica, valorizza l’uso di una lingua sacra, come già accennato. Nel dare consigli, vorrei fare una distinzione. Ai fedeli che non hanno il tempo di studiare sistematicamente la lingua latina, direi di utilizzare, come moltissimi già fanno, messalini bilingue. Dopo poco tempo, dal confronto tra il testo latino e quello nella propria lingua, e con qualche spiegazione fornita in momenti di formazione liturgica, saranno in grado di apprezzare il linguaggio dell’Ordo Missae. Ai sacerdoti, invece, suggerirei lo studio del latino non solo per celebrare digne et competenter, ma anche per entrare in contatto con tutta la tradizione della teologia e della spiritualità espressa in lingua latina di cui la Messa tridentina è frutto eccellente. Con il consenso degli Ordinari, potrebbero dedicare un tempo di aggiornamento proprio allo studio del latino: sei mesi intensi, con un metodo appropriato e docenti preparati sono sufficienti per ottenere risultati più che soddisfacenti.

II – I COMMENTI DI PAIX LITURGIQUE
  1. Il Pontificium Institutum Altioris Latinitatis dove insegna padre Spataro, voluto da Giovanni XXIII, sta allo studio del latino come il Biblicum a quello delle Scritture. I sacerdoti che hanno bisogno di corsi intensivi di latino devono sapere che l’istituto, con sede presso la Pontificia Università Salesiana a Roma, offre delle proposte a riguardo.
  2. Da un motu proprio all’altro: alla fine del 2012, Benedetto XVI, con il motu proprio Latina Lingua che istituiva Pontificia Accademia di Latinità, realizzò uno degli ultimi atti profetici del suo pontificato. Anche se oggi il lavoro di questa accademia è ancora allo stato embrionale, non è privo di significato il fatto che Papa Benedetto abbia scelto proprio don Spataro come segretario di questa istituzione. Come testimonia l’intervista che pubblichiamo questa settimana padre Spataro si trova in grande sintonia con il precedente pontefice. Nel 2012, essendo stato invitato a tenere una rubrica in latino per le pagine di Avvenire, padre Spataro aveva scelto di inaugurarla con un testo in difesa delle minoranze creative in Europa, ispirato dai principi della filosofia greca, della morale cattolica e del diritto romano. Scommettiamo che questo pezzo dal titolo “Quid opus est gentibus Europae? Paucis sed optimis hominibus” non sia sfuggito allo sguardo di Benedetto XVI.
  3. L’intervista con don Spataro sottolinea il fatto che per alcuni preti, come anche per molti fedeli, il latino possa apparire come un “ostacolo”. Già in un articolo per il settimanale di Padre Pio (pregate per i Francescani dell’Immacolata!), padre Lazzaro M. Celli affrontava l’argomento: “Una delle obiezioni più frequenti alla diffusione della Messa tridentina, dunque della liturgia in latino, è la scarsa conoscenza della lingua antica, sia per una parte del clero, sia per una parte dei fedeli. Questa critica è facilmente superabile se comprendiamo che nella liturgia c’è un livello di comunicazione che trascende il linguaggio e poggia sull’essenza della sua sacralità. La liturgia è, pertanto, luogo di comunicazione del soprannaturale, dell’incontro con il Cristo sofferente, attraverso l’Immacolata. È un appuntamento con gli angeli custodi e i santi. È un meeting con il Paradiso. Se così, per partecipare alla Messa tridentina, non è necessario che i fedeli siano latinisti, occorre solo la disposizione dell’anima a santificarsi.”
  4. Padre Spataro fa spesso riferimento al fatto che il latino attira ancora molti studenti… in Cina! Così avviene anche negli Stati Uniti e in Germania. Tuttavia sappiamo bene che in Italia come in Spagna, ma soprattutto in Francia, l’insegnamento della lingua latina nelle scuole è sempre più minoritario. Perché il latino divenga nuovamente ed effettivamente la lingua della Chiesa bisognerà dunque che il suo insegnamento nei seminari sia sufficiente per poter recuperare il ritardo accumulato dai futuri sacerdoti nei loro studi precedenti. Cosa che oggi purtroppo ci appare un miraggio…
  5. Poco a poco il CNSP sta trovando il suo spazio nel panorama cattolico italiano in complementarietà con le realtà già esistenti. Questa iniziativa di Verona è infatti organizzata con la partecipazione della sezione San Pietro Martire di Una Voce e ci consente inoltre di conoscere una nuova figura di sacerdote pronta a testimoniare delle ricchezze della liturgia tradizionale della Chiesa. Ringraziamo dunque il CNSP per la sua azione che siamo certi durerà ancora a lungo perché i frutti del motu proprio di Benedetto XVI saranno sempre più numerosi…
dal sito it.paix-liturgique.org by Coordinamento Nazionale Summorum Pontificum

19 commenti:

Turiferario ha detto...

Dovrebbe essere soprattutto combattuto con le unghie e con i denti l'argomento stupidissimo che "il latino non si capisce". Anche la matematica, anche l'inglese "non si capiscono" se qualcuno non te li insegna. Il discorso non è se il latino si capisca o meno, ma se l'utilizzarlo (e quindi imparare a capirlo) abbia o non abbia un valore. Andrebbe altresì ben distinta l'importanza culturale del latino, che è grandissima specie per chi parla una lingua che dal latino deriva direttamente, dall'importanza spirituale come lingua sacra. Sono in effetti aspetti diversi anche se non in contraddizione fra loro.

Anacleto ha detto...

Senza voler togliere nulla alla bellezza e chiarezza della lingua latina, bisogna ricordare, che nel III-IV secolo, quando fu introdotta, era la lungua parlata e sosituì la Koinè, che era l'inglese dell'epoca. Nel Medioevo divenna la lingua amministrativa del regno dei Franchi e, dato che c'era la volontà di unificare la liturgia, divenne anche "lingua sacra". Fu lingua dei dotti ed escluse il popolo, che lo capiva poco o punto, dalla comprensione dei testi sacri, che venivano così "sequestrati" dal clero.

Nell’Ortodossia, come scrive il Prof. Enrico Morini, si è venuta già anticamente delineando una dualità greco-slava e alcune etnie ortodosse - dapprima afferenti a uno dei due sistemi linguistici - hanno assunto, grazie al medesimo principio che aveva consentito questo bilinguismo culturale, l’idioma nazionale come lingua liturgica. Il caso più significativo è quello della Chiesa romena, la comunità ortodossa più consistente dopo quella russa.
Ancor oggi, come al tempo dei Santi Cirillo e Metodio, che crearono un alfabeto ad hoc (l'unico cristiano senza ascendenze pagane), si fronteggiano le due concezioni. Da una parte, logico sviluppo della posizione dei due apostoli degli slavi, l’«ideologia» cirillo-metodiana, che teorizza non solo la possibilità, ma anche l’opportunità di introdurre la lingua parlata nella liturgia.
Di contro, in ideale continuità con chi, già nella Costantinopoli del IX secolo, sosteneva che solo nelle tre lingue sacre (ebraico, latino e greco) si poteva pregare, si levano voci che rivendicano l’intangibilità delle lingue liturgiche consacrate dall’uso, in una dinamica che ha visto il paleoslavo implicitamente sostituito al latino (lingua liturgica non più «ortodossa») per formare con il greco e l’ebraico (di cui sono liturgicamente presenti solo le parole amen, alleluia e sabaoth) un nuovo «trilinguismo» ortodosso.
Sarebbe un errore tuttavia ritenere che il quadro delle lingue liturgiche in uso nell’Ortodossia sia ormai definitivamente chiuso.
In sostanziale continuità con i Santi Cirillo e Metodio si fanno sentire oggi istanze riguardanti non solo l’introduzione, in Grecia e soprattutto in Russia, dell’idioma parlato al posto delle rispettive lingue liturgiche, ma anche la sostituzione, presso gli ortodossi della diaspora, di queste lingue liturgiche con quelle occidentali dei paesi ospitanti, che tra i nuclei di più antica immigrazione si avviano a diventare l’idioma parlato anche in famiglia. La più sollecita a introdurre l’inglese nella liturgia è stata la Chiesa ortodossa d’America, di matrice russa, alla quale il patriarcato moscovita ha concesso unilateralmente l’autocefalia, con il proposito di farne un’espressione sovranazionale dell’Ortodossia nel Nuovo mondo, pienamente integrata nella realtà culturale angloamericana.
(cfr. Enrico Morini: “Gli ortodossi.” Società editrice il Mulino, Spa, 2010. iBooks.)

Nonostante ciò l'Ortodossia ha conservato l'unità nella Fede e nella liturgia.

Latinista ha detto...

Di solito sono molto spregiudicato, ma per quest'uomo ho una sorta di allergia. Eppure - tranne la risposta 5, che è semplicemente ridicola nel suo essere fuori dal mondo, e al netto dell'omaggio di rito alla Veterum sapientia, verso la quale io sono assai critico - devo dire che in questa intervista non ho trovato il solito don Spataro.

Turiferario ha detto...

Ma no Anacleto, se non ci fosse stato il latino nel Medioevo sarebbe stato un bel pasticcio, perché il volgare cambiava ogni dieci chilometri e ogni secolo. Il latino non era la lingua del popolo (e non lo era più già nel IV secolo) ma non esistevano nemmeno le lingue nazionali da contrapporgli. Che il popolo non potesse leggere le Sacre Scritture in latino poi era un problema non sentito nel Medioevo perché quasi nessuno sapeva leggere e una Bibbia costava più di una casa. Oggi ci sono, è vero, lingue nazionali in cui tradurre la liturgia, ed è quello che hanno fatto molti ortodossi oltre ai cattolici, ma c'è una controindicazione: anche le lingue nazionali mutano, e quindi se vogliamo che la lingua della liturgia sia quella parlata dobbiamo periodicamente effettuare revisioni e attualizzazioni. Già mi chiedo per esempio se il rito del 1969 sia oggi pienamente comprensibile al fedele medio, se questa è la preoccupazione che ci deve muovere. Se andassimo a domandare fuori da una chiesa che cosa significa ad esempio "della stessa sostanza del Padre" o "con l'effusione del tuo spirito" che risposte otterremmo? "Sostanza" ed "effusione" nell'italiano parlato di oggi significano cose molto diverse da ciò che si vuol significare nella Messa NO. E sono solo due esempi, se ne potrebbero fare a decine. Se vogliamo quindi un rito conforme al parlato odierno, già dovremmo operare diverse sostituzioni, per esempio sostituire "effusione" con "spargimento" o qualcosa del genere. A me francamente sembra assai preferibile una Messa in una lingua inalterabile e fissata, in uso da millenni, che non una Messa da aggiornare di continuo come le vecchie enciclopedie. Poi i gusti sono gusti.

bernardino ha detto...

Turiferario delle 12,30:
vai a farlo capire all'attuale gerarchia oppure ad una massa informe che ormai non ragiona più col proprio cervello.
L'attuale gerarchia, fà i suoi affari - purtroppo è il popolo dei fedeli che ci rimette.

mic ha detto...

Il latino non era la lingua del popolo

La Vetus Latina del Rito Romano antico, non è MAI stata il linguaggio del popolo fin da quando è apparsa nel II secolo nell'Africa settentrionale. E' stato scelto da subito un linguaggio ieratico, codificato immutabile, come è necessario che sia per sottrarre i significati profondi alla mutevolezza delle traduzioni nel linguaggio vernacolare che si evolve con i tempi e le culture.
Lo stesso papa Damaso, nel IV secolo, non ardì cambiare se non le “letture”, introducendo i testi della Vulgata di S. Girolamo.
Oggi, invece, abbiamo assistito e assistiamo a traduzioni - e persino ad arbitrarie manipolazioni - che spesso diluiscono quando non oltrepassano il senso profondo di espressioni intraducibili da custodire e preservare così come sono perché tutte le generazioni possano riceverne lo 'spessore' spirituale e quindi la fecondità.

mic ha detto...

Se può interessare chi si affaccia solo ora su queste pagine:

http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2013/05/maria-guarini-il-latino-una-lingua.html

Anacleto ha detto...

Turiferario.
I Suoi argomenti sono corretti e nella Chiesa il dibattito, come spiega il Prof. Morini, è stato sempre aperto, però i SS. Cirillo e Metodio sarebbero riusciti a cristianizzare i popoli slavi col greco o col latino?
Trovare il giusto equilibrio non è facile ed ogni epoca ha le sue esigenze.
A mio avviso la traduzione della Bibbia di Lutero non fu negativa in sé, ma come egli la applicava (libero arbitrio).

Mic.
Le traduzioni sono difficili, perché certe espressioni che troviamo nell'ebraico ed anche nel greco non sono pedissequamente traducibili in latino. Per esempio il Pater noster ed il Credo latini hanno sfumature diverse dal testo greco.
Altro è il caso di traduzioni moderne, che "interpretano" ed adattano "per motivi pastorali", né più ne meno di quanto faceva il clero medievale, quando "spiegava" il Vangelo al popolo. Questo non è corretto.

Anacleto ha detto...

Tecnicamente anche il NO potrebbe essere "cattolico". Peccato che lo troviamo solo in modo virtuale.

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350748

mic ha detto...

L'evangelizzazione di Cirillo e Metodio non penso debba esser necessariamente presa come modello irrinunciabile.
Anche il testo greco dei vangeli consente una lettura di maggior spessore. Per non parlare degli originali ebraici dell'A.T. e degli aramaismi dei vangeli (soprattutto gv).
In ogni caso certe traduzioni della vulgata date per imprecise sono più leggibili con le interpretazioni rabbiniche, fonti che Girolamo consultava dal vivo. Non tolgono nulla alla 'lettura' cristiana, che situano anzi nell'humus di origine.
Una esegesi magisteriale tiene conto degli originali oltre a dare la lettura spirituale.

mic ha detto...

In ogni caso da parte mia trovo molto più 'saporoso' e denso il testo latino delle traduzioni moderne...

mic ha detto...

Caro Anacleto,

Mi hai soffiato la sorpresa per i lettori ;)
Ho programmato per domani il bellissimo testo di cui al tuo link, che invito a leggere insieme ai molti interessanti articoli sul Gregoriano presenti sul blog rintracciabili dal motore di ricerca.

Sul 'virtuale' purtroppo hai ragione. Non a caso Mattia Rossi parla di "cantare i canti del Signore in terra straniera" :(

Anonimo ha detto...

Soprattutto l'ultima edizione della CEI.....il latino non viene più studiato nei seminari, i 'nuovi' seminaristi spesso sono uomini ultratrentenni provenienti dalle situazioni più disparate, talvolta con famiglie non credenti alle spalle, ci sono casi di militari, professionisti che improvvisamente sentono questo bisogno di donarsi a Cristo, non si entra più in seminario da ragazzini o da bambini come un tempo, la maggioranza dei preti di una volta proveniva da famiglie contadine e povere ed era un mezzo per studiare ed elevarsi, ora non è più così, è cambiato il substrato, poi se si ha una qualche conoscenza di come lo stesso venga insegnato nelle scuole italiane sciaguratamente imbarbaritesi e divenute vere e proprie fabbriche di ignoranti con titolo di studio, c'è da mettersi le mani nei capelli, in 4° liceo classico non sanno neanche tradurre il De bello gallico e molti libri hanno testi interlineari cioè con la traduzione sotto, poi ci sono su internet siti di traduzione orripilanti, ma i ragazzi li usano soprattutto per i compiti in classe; ci sarebbe poi da fare una riflessione sul criterio di valutazione in uso oggi, somari calzati e vestiti raggiungono la piena sufficienza, quelli un po' al di sopra della media hanno voti altissimi e sono di un'ignoranza che morde, quindi..... Ho insegnato latino per tanti anni, ora do ripetizioni con la morte nel cuore a vedere lo scempio fatto dal mitico '68....sottaccio per carità di patria lo stato dell'insegnamento della lingua greca. Un'ex-insegnante di lettere.

Anacleto ha detto...

Siamo pochi e nemmen tanto boni, tranne Sandro Magister.
Perseveriamo e siamo lieti nel Signore: abbiamo già vinto!

Senza alcun riferimento al Movimento 5 Stelle, ovviamente.
:-))

Forse un giorno ringrazieremo coloro, che oggi riteniamo ancora "scismatici". La Madonna a Fatima non ha parlato a casaccio.

mic ha detto...

Forse un giorno ringrazieremo coloro, che oggi riteniamo ancora "scismatici". La Madonna a Fatima non ha parlato a casaccio.

Non siamo noi a ritenerli "scismatici", ma i livorosi spregiatori che riempiono anche noi di bordate velenose. E coloro che non li conoscono e raccolgono i 'mantra' della parte purtroppo egemone, non mettendo in campo "lo stato di necessità" che si fa sempre più grave.

Anonimo ha detto...

Le risposte del professore contrastano con le idee dello standard sempre più dominante soprattutto a causa del disinteresse di questo papa per la liturgia che non nasconde disprezzo per la tradizione.
Come sperare che possa diffondersi quello che dice?

mic ha detto...

Beh, ringraziamo Dio che ha scoperto il Rito Romano antico e lo apprezza, come accade, quando ne hanno occasione a diversi sacerdoti delle generazioni post conciliari che non lo conoscono e spesso sono addirittura sommersi da pregiudizi e luoghi comuni, se non da una vera e propria avversione.
Dunque ringraziamo il Signore e andiamo avanti.

Anonimo ha detto...


http://rorate-caeli.blogspot.it/2014/03/popes-latin-twitter-account-translator.html?m=1

Turiferario ha detto...

"però i SS. Cirillo e Metodio sarebbero riusciti a cristianizzare i popoli slavi col greco o col latino?".

Nessuno contesta ciò che fecero Cirillo e Metodio: ma loro avevano l'esigenza di convertire popoli ancora pagani che non avevano nessuna idea della cultura greca e latina. Mi pare che oggi la situazione sia alquanto diversa.