("Dum clamarem")
A proposito di antico e nuovo culto sviluppati nella meditazione di oggi richiamo uno degli effetti del concilio: La “Dottrina della sostituzione” della Sinagoga con la Chiesa è stata modificata con quella delle “due salvezze parallele” [qui]
Introitus Ps 54:17-20; 54:23 Dum clamarem ad Dominum, exaudivit vocem meam, ab his, qui appropinquant mihi: et humiliavit eos, qui est ante sæcula et manet in æternum: jacta cogitatum tuum in Domino, et ipse te enutriet. Ps 54:2-3 Exaudi, Deus, orationem meam, et ne despexeris deprecationem meam: intende mihi, et exaudi me. V Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto. Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculorum. Amen. – Dum clamarem (usque ad Ps.). |
Introito Sl 54:17-20; 54:23 Mentre gridavo al Signore, esaudì la mia voce contro coloro che stavano contro di me e li umiliò, Lui che è prima dei secoli e che rimane in eterno. Getta le tue angosce nel Signore ed egli ti sosterrà. Sl 54:2-3 Vs. Esaudisci o Signore la mia preghiera e non rifiutare la mia supplica: ascoltami ed esaudiscimi. Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora, e sempre, e nei secoli dei secoli, Amen – Si riprende dall'antifona |
La rovina di Gerusalemme ha chiuso il ciclo profetico nella sua parte consacrata alle istituzioni e alla storia del tempo delle figure. L'altare del vero Dio, fissato da Salomone sul monte Moriah, era per il mondo antico il segno autentico della vera religione. Anche dopo la promulgazione del nuovo Testamento, la persistenza di quell'altare, riconosciuto una volta dall'Altissimo come il solo legittimo (Dt 12,13-14), poteva fino a un certo punto proteggere ancora i sostenitori dell'antico ordine di cose. Dopo la sua definitiva distruzione, non esiste più alcuna scusa; anche i ciechi sono costretti a riconoscere la completa abrogazione d'una religione ridotta dal Signore all'impossibilità di offrire ormai quei sacrifici che costituivano la sua essenza.
Le premure che la delicatezza della Chiesa conservava fin qui per la sinagoga morente non hanno più motivo di essere. E ormai continuerà ad andare alle genti con tutta libertà, per domare con la potenza dello Spirito i loro istinti feroci, unificarle in Gesù Cristo e stabilirle mediante la fede nel possesso sostanziale, benché non ancora visibile (Ebr 11,1), delle eterne realtà che la legge delle figure annunciava.
Il culto nuovo.
Il nuovo Sacrificio, che non è altro se non quello della croce e dell'eternità, appariva sempre più come l'unico centro in cui la sua vita è fissata in Dio con Cristo suo Sposo (Col 3,3) e da cui deriva l'attività che essa dispiega per convertire e santificare gli uomini delle successive generazioni. La Chiesa, sempre più feconda, rimane più che mai stabilita nella vita d'unione che le vale quella meravigliosa fecondità.
L'insegnamento della liturgia.
Non si deve dunque stupire se la Liturgia, che è l'espressione della vita intima della Chiesa, rifletta ora meglio che mai quella stabilità dell'unione divina. Ogni gradazione scompare, quanto alle formule preparatorie del Sacrificio, nella serie delle settimane che seguiranno. Nelle stesse lezioni dell'Ufficio della notte, a partire dal mese d'agosto, i libri storici hanno fatto o faranno subito posto agli insegnamenti della divina Sapienza, che saranno presto seguiti dai libri di Giobbe, Giuditta, Ester, senza altro legame fra loro che quello della santità in precetto o in atto. Gli accostamenti che si notavano ancora fin qui fra quelle letture e la composizione delle Messe del Tempo dopo la Pentecoste, non si incontrano più.
Dovremo dunque d'ora in poi racchiuderci, per ciascuna Domenica, nel commento dell'Epistola e del Vangelo, lasciando come la Chiesa allo Spirito divino la cura di far sorgere e svilupparsi, secondo che vorrà in ciascuno (1Cor 12,11), la dottrina che essa seminerà in unione con lui in modo così vario. È il consiglio che si ricava anche dall'Epistola del giorno.
Il grande evento che doveva segnare la consumazione delle profezie rovesciando le barriere giudaiche, ha affermato in maniera evidente l'universalità del regno dello Spirito santificatore. Dalla gloriosa Pentecoste in poi, esso ha infatti conquistato la terra (Sap 1,17); e la Chiesa, preoccupandosi poco ormai di seguire un ordine logico negli insegnamenti della sua Liturgia, professa di affidarsi, per la riforma delle anime, meno a un metodo qualunque che alla virtù del Sacrificio e della parola sacra, messa divinamente in opera dalla spontaneità di quello Spirito d'amore (Gv 3,8).
Questa Domenica può essere già la seconda della serie che una volta aveva il punto di partenza dalla festa di san Lorenzo, e traeva il nome (post sancti Laurentii) dalla solennità del grande diacono martire. Viene anche chiamata Domenica dell'umiltà o del Fariseo e del Pubblicano, a motivo del Vangelo del giorno. I Greci la computano come la decima di san Matteo e vi leggono l'episodio del Lunatico, riportato al capitolo XVII di quell'Evangelista.
Messa
EPISTOLA (1Cor 12,2-11). - Fratelli: Sapete che quando eravate Gentili vi lasciavate trascinare dietro agl'idoli muti a talento di chi vi conduceva. Per questo vi fo' sapere che nessuno, il quale parli per lo Spirito di Dio, dice anatema a Gesù e che nessuno può dire "Signor Gesù" se non per lo Spirito Santo. Or c'è varietà nei doni, ma è il medesimo Spirito e vi sono diversi ministeri, ma il Signore è lo stesso; e vi è diversità nelle operazioni, ma è lo stesso Dio che opera tutto in tutti. A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito ad utilità (comune). Infatti ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza; all'altro il linguaggio della scienza, secondo il medesimo Spirito; ad un altro la fede, pel medesimo Spirito; ad un altro il dono delle guarigioni, per l'unico e medesimo Spirito; a chi la potenza d'operar miracoli, a chi la profezia, a chi il discernimento degli spiriti, a chi ogni genere di lingue, a chi il dono d'interpretarle. Ma tutte queste cose le opera l'unico e medesimo Spirito, che distribuisce a ciascuno come vuole.Virtù e carismi.
"I capitoli XII, XIII e XIV della prima Epistola ai Corinti sono relativi all'uso dei doni dello Spirito Santo. La Chiesa e le anime che la compongono sono animate dallo Spirito di Dio; ma l'influsso dello Spirito si esercita insieme nell'ordine della nostra santificazione e in vista dell'edificazione del prossimo. È così che esistono doni dello Spirito Santo che sono il complemento delle virtù. Essi costituiscono nell'anima un tesoro di disposizioni e di docilità interiori alla mozione dello Spirito di Dio riguardo alla preghiera, al pensiero e all'azione, quando preghiera, pensiero e azione si elevano al disopra delle capacità umane. Ma esistono inoltre doni spirituali, che sono in noi il frutto d'una attività superiore alla nostra, e che sono ordinati direttamente all'edificazione del prossimo. L'effusione di questi ultimi, i doni carismatici, fu abbondante alle origini della Chiesa, poiché la Chiesa non aveva storia; lo è meno oggi, poiché la storia e l'azione della Chiesa vi suppliscono con profitto. Quei doni spirituali formavano così la dote esteriore della Chiesa fino al giorno in cui non ne avrebbe avuto più bisogno; indicavano ai più superficiali che lo Spirito di Dio era in essa, e dirigeva i suoi membri.
"Nella IIa-IIae, q. 171, il Dottore Angelico ha parlato di queste grazie gratis datae e ha distinto quelle che illuminano l'intelletto, e alle quali da il nome generico di profezia; quelle che hanno per oggetto la parola e la comunicazione della verità, come il dono delle lingue; infine quelle che sono relative all'azione, e che designa anche con un termine comune: il dono dei miracoli. Questi carismi sono diversi, ma non vi è tuttavia che una stessa sorgente e uno stesso Spirito; i ministeri sono diversi, ma non esiste tuttavia che un solo Signore; differenti sono le funzioni, ma non vi è che un solo Dio il quale fa tutto in ciascuno di noi; e ognuno riceve da una stessa scaturigine il suo particolare vigore spirituale per la comune edificazione.
Viene quindi l'enumerazione dei doni spirituali: a uno lo Spirito di Dio da, nell'interesse interiore ed esteriore della Chiesa, il potere di manifestare la sapienza e di esporre i misteri più nascosti di Dio e delle sue opere; a un altro il potere o il discorso della scienza e dell'insegnamento della dottrina, ma secondo lo stesso Spirito. Un terzo riceverà, ma sempre dallo stesso Spirito, quel vigore di fede che produce i miracoli e trasporta le montagne; per un altro vi saranno, ma sempre nello stesso Spirito, le guarigioni miracolose, i prodigi, la profezia, il discernimento degli spiriti, il dono delle lingue, la loro interpretazione, in una parola tutta la gamma dei doni carismatici. Qualunque ne sia il numero, essi derivano da un solo e medesimo Spirito che, secondo la sua volontà, definisce il compito di ciascuno" [1].
Quale pratica conclusione trarremo noi, se non quelle stesse parole che riassumono la dottrina dell'Apostolo: In voi stessi stimate tutti questi doni come l'opera dello Spirito Santo che in diverso modo arricchisce mediante essi il corpo sociale (1Cor 12,11-30); non ne disprezzate alcuno (ivi 14,39); ma quando li scoprirete, preferite come migliori (ivi 12,31) quelli che tornano a maggior profitto della Chiesa e delle anime (ivi 14,12).
Infine, e soprattutto, ascoltiamo san Paolo che ci dice ancora: "Vi insegno una via più sublime! (ivi 12,31). Quand'io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, e quando avessi la profezia e conoscessi tutti i misteri ed ogni scienza, e quando avessi la fede che trasporta i monti, se non ho la carità, sono un niente. Le profezie passeranno, cesseranno le lingue, avrà fine la scienza: la carità non finirà, essa vince tutto" (ivi 13,1-13).
VANGELO (Lc 18,9-14). - In quel tempo: Gesù disse pure questa parabola, per certuni i quali confidavano in se stessi, come giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini ascesero al tempio a pregare; uno era Fariseo, l'altro pubblicano. Il Fariseo, stando in piedi, così dentro di sé pregava: O Dio, ti ringrazio di non essere io come gli altri: rapaci, ingiusti, adulteri, come anche questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana, pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, stando da lungi, non ardiva nemmeno alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi assicuro che questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro; perché chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.Giudei e Gentili.
Il Venerabile Beda, commentando questo passo di san Luca, ne spiega così il significato recondito: "il fariseo, è il popolo giudaico il quale, valendosi delle giustizie della legge, vanta i propri meriti; il pubblicano è il gentile il quale, rimasto lontano da Dio, confessa i suoi peccati. L'orgoglio dell'uno fa sì ch'egli si allontani umiliato; l'altro, sollevato dai suoi gemiti, merita di avvicinarsi nella lode. È dei due popoli, come di ogni umile e di ogni superbo, che è scritto anche altrove: L'innalzamento del cuore precede la rovina, e l'umiliazione dell'uomo la sua elevazione in gloria" (Pr 18,12).
Non si poteva dunque scegliere, nel santo Vangelo, un insegnamento che convenisse meglio dopo il racconto della caduta di Gerusalemme. I fedeli che videro la Chiesa, nei suoi primi giorni, umiliata in Sion sotto l'arroganza della sinagoga, comprendono ora quelle parole del Savio: È meglio essere umiliati con i pii che dividere le spoglie con i superbi! (Pr 16,19). Secondo un'altra massima dei Proverbi, la lingua del Giudeo, quella lingua che rimproverava il pubblicano e accusava il gentile, è diventata nella sua bocca come una verga d'orgoglio (ivi 14,3) che l'ha colpito a sua volta attirando su di lui la rovina. Tuttavia la gentilità, mentre adora le giuste vendette del Signore che celebra i benefici, deve evitare di prendere essa stessa la via nella quale si è perduto il popolo disgraziato di cui occupa il posto. La colpa d'Israele ha posto il principio della salvezza delle genti, dice san Paolo (Rm 11,11), ma l'orgoglio di lui sarà anche la loro rovina; e mentre Israele è assicurato dalle profezie circa un ritorno alla grazia alla fine dei tempi (ivi 25-27), nulla garantisce una seconda chiamata della misericordia alle genti ridiventate colpevoli dopo il battesimo. Se oggi la bontà dell'eterna Sapienza fa portare ai gentili frutti di gloria e d'onore (Eccli 24,23), non dimentichino mai la loro primitiva sterilità; allora l'umiltà che sola può custodirli - come è stata la sola ad attirare poco fa su di essi gli sguardi dell'Altissimo - resterà facile, e nello stesso tempo comprenderanno la considerazione di cui deve sempre, malgrado le sue colpe, essere circondato l'antico popolo.
L'umiltà.
L'umiltà, che produce in noi il timore salutare, è la virtù che pone l'uomo al suo vero posto, nella propria stima, riguardo a Dio come riguardo ai suoi simili. Essa risiede nella coscienza intima, che la grazia ci mette in cuore, del tutto di Dio nell'uomo e del vuoto della nostra natura, umiliata per di più dal peccato, al disotto del nulla. La sola ragione basta per dare a chi riflette un poco la convinzione del nulla di ogni creatura; ma allo stato di conclusione puramente teorica, questa convinzione non è ancora l'umiltà: essa s'impone al demonio nell'inferno, e il dispetto che gli ispira è il più attivo alimento della rabbia del principe degli orgogliosi. Al pari dunque della fede, la quale ci rivela ciò che è Dio nell'ordine del fine soprannaturale, l'umiltà, la quale ci insegna ciò che siamo noi di fronte a Dio, non procede dalla pura ragione e non risiede nel solo intelletto; per essere vera virtù, deve ricavare dall'alto la sua luce, e muovere nello Spirito le nostre volontà. Nello stesso tempo in cui lo Spirito divino fa penetrare nelle anime nostre la nozione della loro piccolezza, le inclina dolcemente all'accettazione e all'amore di quella virtù che la ragione da sola sarebbe tentata di trovare importuna.
Meditiamo questi pensieri; comprenderemo meglio come i più grandi santi sono stati i più umili degli uomini quaggiù, poiché è ancora così perfino nel cielo, dove la luce aumenta per gli eletti in proporzione della loro gloria. Presso il trono del suo divin Figliolo come a Nazareth, la Madonna è sempre la più umile delle creature, poiché è la più illuminata, poiché comprende meglio dei cherubini e dei serafini la grandezza di Dio e il nulla della creatura.
Preghiamo
O Dio, che mostri la tua onnipotenza soprattutto nel perdonarci e nel compatirci, moltiplica su di noi la tua grazia, affinché ci faccia raggiungere la patria celeste alla quale aneliamo dietro le tue promesse.
_________________________ [1] Dom Delatte, Epitres de saint Paul, I, p. 352-354.
(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 463-469)
(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 463-469)
8 commenti:
Nel giorno in cui facciamo memoria della Trasfigurazione può esserci di beneficio tener presente che la liturgia coinvolge tutti i nostri sensi. Non è solo ascolto, non è solo il profumo dell'incenso, non è solo la gestualità che tocca e agisce... riceviamo anche il nutrimento celeste da gustare in tutta la sua bontà e vediamo tra tanti segni e simboli anche la Luce del Signore. Il tutto avviene SENZA interruzione, in una circolazione di misteri e di messaggi che riceviamo tra preghiere, canti, invocazioni, letture, meditazioni e silenzi. La liturgia è un servizio comune, un lavoro che opera un rendimento di grazie.
Rendiamo grazie a Dio mentre riviviamo l'immenso dono dell'offerta di Gesù per redimerci.
Ci fanno compagnia visibile i fratelli ed invisibile angeli, santi ed anime purganti.
Mentre erano sul Tabor con Gesù, i tre discepoli videro oltre le loro normali possibilità.
C'è una trasfigurazione possibile anche delle normali percezioni dei sensi.
E' un miracolo specialissimo, perchè vi si manifesta come luce la divinità di Gesù.
Come nella notte del Santo Natale, come nel buio del sepolcro alla resurrezione.
Veniva al mondo la luce vera, che ci può rendere figli della Luce.
Sul Tabor, per tre apostoli, mostra una luce increata, diversa da quella del sole.
Gesù si trasfigura, ma trasfigura l'uomo che lo vede, per opera dello Spirito Santo.
Allora guardiamoci dalla tenebra descritta da Beda: "il fariseo è chi valendosi delle giustizie della legge, vanta i propri meriti; il pubblicano è chi, rimasto lontano da Dio, confessa i suoi peccati. L'orgoglio dell'uno fa sì ch'egli si allontani umiliato; l'altro, sollevato dai suoi gemiti, merita di avvicinarsi nella lode".
Esultiamo nel Magnificat: ha innalzato gli umili, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore. Dalla liturgia, dall'incontro con Dio, bisogna uscire trasformati e trasfigurati. Se si esce come si è entrati stiamo buttando il tempo.
Figuriamoci ad uscire confermati nel nostro peccato! Perchè "va bene così come siamo"...
C'è un fariseo ostinato nell'orgoglio che vanta i meriti dell'osservanza di una legge che ha ricevuto in dono per orientarsi a Dio e amare i fratelli, ma c'è un fariseo ostinato nell'orgoglio del suo peccato, puntando il dito sull'osservante della legge. Per entrambi la luce non è di Cristo, ma del mondo, vantandovi meriti o quel modo di ragionare.
È meglio essere umiliati con i pii che dividere le spoglie con i superbi! (Pr 16,19).
Dio ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore: è il Magnificat di Maria, piena di grazia, nostra Corredentrice, la Madre che ha dato alla luce, nel mondo, la Luce del mondo, la stessa luce del Padre.
Le radici sono importantissime: senza radici non ci sono i rami. Se ci sono i rami forse ci saranno i frutti. La radice deve avere umiltà e anche i rami. I frutti diranno la bontà della pianta.
Riporta Giuseppe Flavio che nel 66 d.C. una voce echeggiò nel tempio edificato all'apice dello splendore: "noi ce ne andiamo di qui". E' storia. Quattro anni dopo in quel luogo non vi era "pietra su pietra"... Anche la Chiesa ad un certo punto ha costruito se stessa per piacere al mondo, dopo aver considerato sconveniente il Cristo crocifisso e risorto, che predica la conversione nel segno della croce. Non stupisca che ancora possa esser stato detto "noi ce ne andiamo di qui".
Le porte degli inferi non prevarranno è una promessa certa, come quella che ricevette il popolo eletto. Ma Dio ogni tanto se ne va dal fico secco, per dar frutto in una pianta ancora più bella, che cresce alla Sua Luce trasfigurante i sensi umani da Lui creati.
# "Noi ce ne andiamo da qui...."
Successe, ci racconta Giuseppe Flavio, dopo che gli Zeloti avevano assassinato il Sommo Sacerdote nei penetrali del Tempio, profanandolo.
Iddio Onnipotente sembra aver abbandonato la Chiesa cattolica, essersene andato "dal Tempio" dopo che "il Tempio" è stato profanato a partire dal Vaticano II, quando si impose alla Gerarchia di abbandonare la missione di conversione dei popoli per sostituirla con la falsa missione del "dialogo" con i valori del Secolo per realizzare l'unità del genere umano [sic].
Di certo, solo un pazzo potrebbe sostenere che l'attuale Gerarchia, con quello che sta facendo ed anzi disfacendo il presente pontefice, è assistita dallo Spirito Santo.
Le Porte degli Inferi non prevarranno, questo è sicuro.
Il senso esatto della profezia non è tuttavia facile coglierlo. Il significato generale è chiaro: il mondo profano cercherà in tutti i modi di distruggere la Chiesa ma non ci riuscirà. Quando il Signore tornerà per il Giudizio Universale, troverà ancora la Chiesa. Ma, questo è il punto, in quali condizioni?
Mi sembra che sant'Agostino, nella Città di Dio, interpreti nel senso di una Chiesa, una vera cristianità ridotta ad una cittadella assediata dall'odio di tutto il mondo, sul punto di essere travolta dopo una strenua lotta.
In effetti l'odierno processo di dissoluzione all'esterno e all'interno della Chiesa, è impressionante. Colpisce soprattutto l'odio per la Chiesa, per tutta la sua dottrina, storia e tradizione, professato all'interno della Chiesa, a cominciare dal presente pontefice, che appare effettivamente dominato da quello che mons. Gherardini chiamava il "contro-Spirito" (Gegengeist) penetrato nella Chiesa a partire dal Concilio. Un "contro-spirito" veramente diabolico.
Sembra effettivamente di assistere all'instaurarsi dello "abominio in luogo alto" di cui alla famosa profezia di Daniele, ricordata dal Signore agli Apostoli quando illustrava loro, sempre in profezia, gli ultimi tempi.
L'abominio dell'assassinio del Sommo Sacerdote nel Sancta Sanctorum - l'omicidio rituale spirituale della dottrina cattolica, la distruzione del Deposito della Fede ad opera del Concilio e del Postconcilio, degli stessi Papi, zeloti del "dialogo"....
Siamo vicini agli ultimi tempi?
Possiamo dire che si siano realizzate alcune delle condizioni enunciate per la Parusia del Signore?
Sarebbero queste: la predicazione del Vangelo a tutte le genti e quindi il compiersi del destino dei Gentili (dal punto di vista religioso) + la fine del dominio straniero su Gerusalemme (anche se Gerusalemme resta ancora nell'infedeltà, nell'errore del rifiuto del vero Messia).
Queste condizioni risultano dai Vangeli non da rivelazioni private.
Buona Domenica, nonostante tutto, anche se la Domenica è diventata pur essa amara. Restiamo avvinti alla certezza fondamentale: il Signore non abbandona mai quelli che cercano di fare ogni giorno la sua volontà.
"Sii fedele sino alla morte e ti darò la Corona della Vita" (Apoc 2, 10).
T.
Diretta Santa Messa Trasfigurazione di N.S. Gesù Cristo in rito tradizionale - Vocogno 6/8/2023
radicatinellafede rnf
https://www.youtube.com/watch?v=qBLVZ9Je0e0
Grazie don Alberto,grazie don Stefano che sottolinea così mirabilmente l'assunzione della Sacra Particola con l'Ave Verum ..
La doctrine « delle due salvezze parallele » est une doctrine hérétique. Son adoption par l'église "conciliaire" est tout simplement le signe que celle-ci n'est plus catholique, quelles que soient ses apparences de "continuité" et de "développement", tartes à la crême des théologiens en mal de modernité.
Du reste, si l'adhésion.au Christ n'est plus nécessaire au salut, bref si d'autres voies sont possibles (comme la talmudique), on comprend que l'actuel "pontife" ait jugé bon de renoncer à son titre de "Vicaire du Christ"… Quod demonstrandum est… Mais au nom de qui parle-t-il ?
Grazie Signore!
E' bello vedere alla SS.Trinita'tanti bambini, tanti giovani e tante famiglie giovani. Oggi ce n'era una con quattro bambini; in linea di massima dai cinque ai nove anni piu' un/a neonato in braccio alla mamma. Al momento della consacrazione erano tutti inginocchiati, quello piu' piccolino non arrivava alla balaustra come i fratellini e ogni tanto si sollevava un poco per cercare di arrivare all'altezza del loro viso. Ho poi ritrovato tutta la famigliola avanti a me durante la processione per ricevere la S.Comunione alla balaustra.
Oggi Trasfigurazione del Signore: illuxerunt
"au nom de qui parle-t-il"? ...mais au nom de l' Ennemi de NSJC e de l' humanite', ca va sens dire, mon cher ami,
Guido Villa
Guido Villa: Nella Messa che solo per motivi di comprensione chiamo 'tradizionale' o del 'Vetus Ordo', il 'Confiteor' viene recitato due volte, più una terza non obbligatoria prima della Comunione.
Il sacerdote lo recita per se stesso, il ministrante per il popolo. Il testo è lo stesso, solo il sacerdote dice "confesso... e a voi fratelli", mentre il ministrante dive "confesso ... e a te, padre"). Rammento ancora una volta - repetita iuvant - che 'confesso' significa 'riconosco, ammetto'.
In questa doppia recita della preghiera - e nella doppia recita di alcune preghiere nel corso della Messa - si riflette una delle differenze fondamentali esistenti tra il prima e il dopo il Concilio Vaticano II, la concezione del sacerdozio.
Detto in parole semplici, infatti, il Concilio, ha parlato di 'sacerdozio universale dei fedeli', aderendo quindi a un concetto sottolineato cinquecento anni prima da Lutero, che in questo modo intendeva distruggere il sacerdozio, e con esso la Santa Messa intesa come perpetuazione del sacrificio del Calvario.
Naturalmente il Concilio non ripete il concetto luterano, tuttavia, nella pratica, apre la strada proprio a questo: il popolo è partecipe del sacerdozio universale, quindi, come capita di sentire piuttosto spesso anche da sacerdoti che insegnano in seminario - con le conseguenze che ne derivano - tra popolo e sacerdote la differenza è solo nelle funzioni. Questa è il motivo-base della confusione pazzesca dei ruoli tra sacerdoti e laici esistente oggi.
In realtà, se vogliamo vedere nella storia dell'umanità praticamente in tutte le religioni, vi è una differenza fondamentale tra popolo e sacerdote: il sacerdote, pur preso dal popolo, è diventato "un altro", non è più come prima, è colui che presenta l'offerta del sacrificio alla divinità a nome del popolo. Non per nulla quasi sempre il sacerdote, per svolgere la sua funzione, si vestiva di abiti speciali, a marcare la sua differenza rispetto al popolo.
Nella rivelazione di Dio a Mosé, la religione ebraica veterotestamentaria che è assai importante per noi perché è RIVELAZIONE DIVINA, sebbene non ancora completa,vi era un popolo sacerdotale, quello della tribù di Levi. Solo da questa tribù venivano presi i sacerdoti.
Il sacrificio che si svolgeva nel Sancta Sanctorum del Tempo di Gerusalemme, poi, non era per tutti. Vi partecipava il solo sacerdote, il popolo pregava fuori in un'area esterna.
Quindi non è mai esistito un concetto di sacerdozio universale dei fedeli che quasi parifichi, differenziandoli solo nelle funzioni, popolo dei fedeli e sacerdoti.
Posta un commento