Nella nostra traduzione da The Catholic Herald
Dom Alcuin Reid (per saperne di più su di lui qui) dice la sua sulle nostre aspettative in ordine al nuovo pontificato e ci offre molti spunti interessanti.
Papa Leone e la sacra Liturgia: cosa farà?
Quando il neoeletto Papa Leone si è presentato al balcone di San Pietro con il tradizionale abito cerimoniale papale (mozzetta rossa, rocchetto e stola, ecc.), si sono susseguiti molti commenti. Alcuni si sono chiesti se questo indichi un programma più "tradizionale", in particolare in campo liturgico. Altri hanno manifestato speranza o preoccupazione, a seconda della propria sensibilità; si è trattato di un sottile ripudio pubblico del precedente pontificato.
Sembra che non sia stato né l'uno né l'altro. L'elezione di un papa è un rito liturgico con direttive prestabilite. Il nuovo Papa ha semplicemente seguito quanto stabilito, con quella calma dignità con cui siamo abituati a vederlo svolgere i doveri del suo ufficio, in particolare nella celebrazione della Sacra Liturgia. Non ha fatto altro che quanto richiesto.
Molti continuano a osservare attentamente ogni parola e ogni gesto del Santo Padre nella speranza di trovare una chiave per comprendere il suo pontificato, quasi col desiderio di usare quella chiave per aprire o chiudere il portale della propria buona volontà secondo un'agenda prestabilita. Questa "politicizzazione" del nostro approccio al papato è infelice, non solo perché contrasta con l'istinto profondamente cattolico di dare fiducia e lealtà al Papa, ma anche perché non tutte le affermazioni di un uomo che ricopre l'ufficio del pontificato possono essere sempre ponderate, e non tutte le cose che fa sono necessariamente sagge. Chiunque abbia vissuto i pontificati degli ultimi decenni può lamentare aspetti di ciascuno di essi.
Ciò che conta è l'insegnamento di un papa e i suoi atti di governo, indipendentemente da quanto possiamo apprezzare o meno la sua personalità o il suo stile. Il suo compito è trasmettere ed esporre fedelmente la fede "cattolica e apostolica" a cui fa riferimento il Canone Romano e confermare i suoi fratelli in quella fede, nonché garantire che altri la insegnino fedelmente con lui e sotto di lui. Altre questioni sono secondarie.
Tuttavia, per quanto riguarda la Sacra Liturgia, che il Concilio Vaticano II ha giustamente insegnato essere «azione di Cristo sacerdote e del suo Corpo che è la Chiesa, azione sacra per eccellenza; nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (Sacrosanctum Concilium, 7), l'approccio del Papa è di fatto di suprema importanza. Infatti, il corretto culto di Dio Onnipotente precede qualsiasi insegnamento formale o atto di governo: lex orandi, lex credendi – il modo in cui adoriamo ci insegna infatti ciò in cui crediamo.
Allo stesso modo, in questo momento della storia della Chiesa, quando le cosiddette "guerre liturgiche" che si sono riaccese nel precedente pontificato hanno visto le persone scavare trincee e lanciarsi strali a vicenda su come dovremmo – o non dovremmo – celebrare il culto, mentre i prelati hanno segretamente fatto politica nei corridoi del potere per promuovere la loro ideologia liturgica, la pratica liturgica del Santo Padre e, a tempo debito, i suoi atti di governo hanno acquisito maggiore importanza.
Non conosco la formazione o l'esperienza liturgica di Padre Prevost, Vescovo e Cardinale, ma oserei ipotizzare che, come Frate Agostiniano, come Superiore Generale del suo Ordine e poi come Vescovo diocesano missionario, la sua formazione sia stata ragionevole e la sua esperienza diversificata. Probabilmente ha visto di tutto: il bello, il brutto, lo sgradevole e il cattivo, in luoghi diversi nel corso degli anni.
Questo potrebbe spiegare il suo approccio calmo e dignitoso ai riti liturgici. Non guarda l'orologio per la fretta di andarsene, ma celebra rispettosamente i riti come l'occasione richiede – assistito, naturalmente, dal suo Maestro delle Cerimonie che sembra avere lui stesso un occhio per il bene, anche se si vorrebbe che le liturgie papali internazionali fossero esenti dalla tirannia della lingua volgare, che la croce tornasse ancora una volta al centro dell'altare del sacrificio e che la ferula (il bastone pastorale papale) di Paolo VI potesse essere tranquillamente ritirata in un museo d'arte ecclesiastica italiana di metà Novecento in favore di qualcosa di più degno.
L'esperienza liturgica del Santo Padre può anche motivare il suo espresso desiderio che l'Occidente recuperi il "senso del sacro" che le Chiese orientali hanno preservato in modo così tangibile (cfr. il suo discorso del 26 giugno 2025). Ciò è incoraggiante. Dimostra chiaramente che il Papa comprende la liturgia come sacra e non come un giocattolo ideologico di una comunità, di un gruppo o persino di una gerarchia. È anche la prova che egli riconosce che c'è del lavoro da fare riguardo alla liturgia nel rito romano.
La domanda, ovviamente, è cosa fare – o più precisamente, cosa è probabile che faccia Papa Leone? La risposta dipende dalle sue intuizioni e dai consigli che riceverà. Tuttavia, alla luce di quanto sappiamo finora, credo sia possibile prevedere due ambiti di responsabilità liturgica del papa.
Il primo emerge dal suo esempio finora. Sembra probabile che egli sottolinei gli sforzi per celebrare bene la liturgia riformata, con dignità e secondo le norme dei libri liturgici. Sarebbe utile se riaffermasse esplicitamente l'importanza dell'ars celebrandi – frutto della fedele celebrazione dei riti in tutta la loro ricchezza – come esposto nella Sacramentum Caritatis del 2007. E sarebbe istruttivo se i suoi funzionari nel Dicastero del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti rispondessero con prontezza e chiarezza agli abusi dei riti liturgici che, purtroppo, si verificano ancora.
Per quanto riguarda il Dicastero, c'è un problema. Il suo Prefetto, che non è un liturgista qualificato e ha raggiunto l'età pensionabile, si è dichiarato favorevole al passaggio "alla seconda fase" della riforma liturgica, ovvero "l'inculturazione o adattamento della liturgia alle altre culture" [vedi], che comporterebbe forme liturgiche "completamente diverse da quelle che abbiamo visto e apprezzato in Europa per tanti anni". In questo caso, Sua Eminenza sembra più interessato a ciò che alcuni liturgisti hanno definito la "progressione organica della liturgia" che alla fedele celebrazione della liturgia riformata, per non parlare del suo adeguamento alle reali intenzioni dei Padri Conciliari.
Il secondo ambito in cui il Santo Padre dovrà esercitare la sua autorità è quello di facilitare il ritorno alla pace liturgica che è stata violentemente interrotta dalla persecuzione improvvisa e, come abbiamo recentemente appreso da nuove prove, attentamente manipolata, di coloro, in particolare i giovani, che hanno scoperto il rito liturgico antiquior e hanno “sentito il suo fascino e hanno trovato in esso una forma di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia, particolarmente adatta a loro” (Benedetto XVI, Lettera ai Vescovi, 7 luglio 2007).
Il Papa ha parlato spesso del suo desiderio di unità, pace e riconciliazione. Non c'è ambito più importante per questo che nel culto della Chiesa. Ma dobbiamo essere chiari: unità non significa uniformità. La liturgia ha sempre goduto di una ricca e legittima diversità, anche nel rito occidentale – come attestano i riti di diversi ordini religiosi e diocesi storiche. È solo a partire dall'ultimo Concilio che sono stati fatti, e recentemente rinnovati, tentativi di imporre una rigida uniformità, appellandosi falsamente al bisogno di "unità" e "comunione".
Gli interessati avrebbero dovuto apprendere, in "Teologia 101", che si tratta di realtà fondamentalmente sacramentali e teologiche che non richiedono un'espressione rituale uniforme. I sostenitori del passaggio "alla seconda fase" della riforma liturgica lo sanno almeno implicitamente, ma lo ignorano opportunamente per quanto riguarda i riti più antichi.
Come Pastore Supremo, il Santo Padre deve correggere questo errore e porre fine alla persecuzione di stampo stalinista del rito antico condotta dall'Arcivescovo Segretario del Dicastero e da alcuni vescovi. Questa campagna, presieduta con gioia dal Cardinale Prefetto, ha fratturato l'unità e scandalizzato molti buoni fedeli, in particolare le famiglie, allontanandoli e costringendoli a trovare soluzioni a volte "inedite".
Crea difficoltà vedere come non possa trattarsi altro che di una campagna ideologica da parte di sostenitori di una particolare visione liturgica politica, la cui legittimità è altamente discutibile. Non è certamente pastorale nel vero senso della parola – non serve alla salvezza delle anime – e ha suscitato un'aspra empietà da tutte le parti.
Il Papa ha già dato un segnale incoraggiante: il permesso concesso al Cardinale Burke per la celebrazione della Messa nell'usus antiquior (la forma più antica) nella Basilica di San Pietro, per il pellegrinaggio annuale di coloro che praticano il rito antico. Il numero straordinariamente elevato di persone presenti a questa Messa – circa 5.000, quando ne erano previste solo 1.000 – parla chiaro. È difficile immaginare che Papa Leone voglia continuare a vietare un fervore e una devozione così genuini.
Dubito che il Santo Padre voglia affrontare la questione della "riforma della riforma liturgica" di cui si parlava oltre un decennio fa. I responsabili ufficiali aborrono il solo pensiero di "correggere" i riti moderni alla luce delle critiche mosse alla loro fedeltà al Concilio stesso. E coloro che celebrano l' usus antiquior vedono poco senso in un simile sforzo. Questo campo minato potrebbe dover richiedere una ragionevole attesa prima di essere bonificato.
Dopo l'elezione del Santo Padre, la nostra comunità ha ripreso le tradizionali preghiere per il Papa cantate durante l'adorazione della domenica dopo i Vespri. Leone XIV non è Benedetto XVI, né è Francesco. Ma è il Papa, e come tale ha bisogno delle nostre ferventi preghiere affinché insegni e governi con saggezza e prudenza, soprattutto riguardo alla Sacra Liturgia, «culmine verso cui tende l'azione della Chiesa… [e] fonte da cui promana tutta la sua virtù» (Sacrosanctum Concilium, 10).
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

2 commenti:
Pace liturgica? Sa di coesistenza del diavolo e dell'acqua santa. Finora nessun papa ha veramente voluto affrontare il problema e non credo che questo lo fara. Forse un contentino ai trad, ma senza neanche ripristinare il summorum pontificum. Di contro le liturgie inculturate pachamamiche e un novus ordo che già dal suo nome rivela la sua sostanza, l'essere un rito del tutto nuovo, non una traduzione fedele del vecchio. Con parti di sapore ereticale e che cambiano voilà il santo sacrificio in una cena conviviale con intrattenimento musicale, dj set e karaoke.
NON SONO VENUTO A PORTARE LA PACE MA UNA SPADA !
Nel Credo i cattolici affermano con fede: Chiesa una, santa, cattolica, apostolica.
Difficilmente, oggi, possiamo dire "una", in quanto l'unità è conseguenza della Verità e non il contrario e la confusione che regna fra i fedeli ne è testimone.
Oggi molti preti formati nel clima post-conciliare, seguono pedissequamente il mantra del "dialogo"e ritengono che l'affermazione della Verità interrompa il dialogo e quindi non la ricordano.
Con questa motivazione dicono di voler salvare coloro che non credono e cercano di farlo, dialogando con loro ma nascondendo loro quella Verità che è la sola che potrebbe salvarli. Quei preti ed i loro seguaci che si credono cattolici dimenticano che la Sacra Scrittura chiama Cristo "pietra d'inciampo" e "segno di contraddizione” e che Cristo non ha mai cercato l'unità a scapito della Verità. ”Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra ; non sono venuto a portare pace ma una spada. Sono venuto infatti a separare” ( Matteo 10,34/35 ).
L’errato comportamento e la sbagliata predicazione di quei preti e di quei loro seguaci (tantissimi) che si credono cattolici risente, consapevolmente o inconsapevolmente, di una insufficiente conoscenza della Dottrina Cattolica e di un grande timore delle conseguenze che le loro affermazioni possono provocare contro di loro nella Società che li circonda. “La spada dello Spirito, cioè la parola di Dio” (Ef 6,17 ) . “Viva efficace e tagliente…; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” ( Eb 4,12). Cristo logicamente non è venuto sulla terra a portare la guerra ma insegna che niente può frapporsi fra lui e ogni suo discepolo nemmeno il padre o la madre, il figlio o la figlia: tutto ciò che è di ostacolo deve essere rimosso (Mt 5,29-30). Dobbiamo amare Dio al di sopra di tutte le cose, con tutte le nostre forze prendendo sul serio la lotta per la nostra santità che, fra l’altro, rappresenta l’unica nostra speranza di ricevere il dono della salvezza eterna. Senza “altezzosità” o “supponenza” ma solo con “carità” dobbiamo aiutare noi stessi e coloro che non credono predicando loro le “Verità” che Santa Romana Chiesa ci ha proposto a credere e che il nostro Vescovo nel giorno della nostra Cresima con quel “buffetto” sulla guancia ci ha comandato di professare senza timore alcuno. E’ la Verità che salva. Se compiamo un’opera buona nei confronti del prossimo perché amiamo Dio è veramente utile ai fini della nostra salvezza in quanto abbiamo messo al primo posto Dio, così come il primo Comandamento comanda ma se dimentichiamo di metterLo al primo posto confidando solo sulle nostre forze, qualsiasi cosa facciamo non è utile alla nostra salvezza in quanto abbiamo disatteso le disposizioni del suo primo Comandamento.
Cit. Marco Brilli
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