Questa sinodalità farà morire la Dottrina sociale della Chiesa
Vedremo se la sinodalità così come è stata impostata da Francesco e sta continuando, almeno per il momento, con Leone, prenderà pienamente piede nella vita della Chiesa, o se troveranno adeguato modo di esprimersi delle opposizioni significative per rallentare o bloccare il processo. Fin da ora però una cosa possiamo dire: se prevarrà l’attuale linea non ci sarà più posto per la Dottrina sociale della Chiesa come l’abbiamo conosciuta almeno fino a Benedetto XVI.
Nella “vecchia” Dottrina sociale la prassi non assumeva il primo posto. Certamente, l’impegno di qualche vescovo e di laici nella società moderna per fronteggiare la nuova “questione sociale” si era verificato già prima della pubblicazione della Rerum novarum, ma non si può dire che ne sia stata la causa. L’iniziativa della prima enciclica sociale è stata di papa Leone XIII, che ha agito consapevole di farlo come Papa, la pienezza dei suoi contenuti sono quelli della dottrina e della tradizione. Certamente, per tornare alla prassi, essa non solo ha preceduto ma poi fatto seguito al magistero sociale, ora in modo coerente ora meno, ma anche in questi casi non ne è stata all’origine, ma si intendeva come applicativa.
Nella nuova sinodalità, invece, si parte dall’accoglienza dell’effettualità, vale a dire di ciò che capita nella società contemporanea, e lo si accoglie con lo scopo di integrarlo perché tutti farebbero parte della Chiesa già così come sono, ossia nella pienezza del loro contesto esistenziale. La Dottrina sociale precedente alla sterzata di Francesco era rimasta fedele all’impegno di offrire “principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione”: la dottrina precedeva e fondava la prassi. Ora accade il contrario: se ci sono delle prassi in atto nella vita sociale non vanno giudicate (i vecchi “criteri di giudizio” vengono considerati appunto vecchi), né vanno illuminate sulla base di “principi di riflessione” considerati a priori astratti, dottrinali e quindi ideologici, ma vanno accolte, accompagnate e integrate. Come si vede il percorso è opposto al precedente. Già ai tempi di Giovanni XXIII e del suo “vedere, giudicare, agire” qualcuno aveva storto il naso sul primo punto: vedere sì, ma alla luce della fede e della retta ragione, non con gli occhi della sociologia. Quel vedere, si diceva, non sia un constatare ciò che si dà di fatto. Il giudicare alla luce dei principi doveva guidare lo stesso vedere. Qualcosa da precisare c’era quindi anche allora, ma adesso è tutto l’impianto del percorso e non solo qualche suo aspetto che va ri-precisato.
La nuova sinodalità richiede l’assemblearismo, ossia la partecipazione democratica di tutti alle fasi di consultazione, dialogo e decisione. Richiede, in altre parole, un’apertura a tutti i portatori di interessi, intesa quest’ultima espressione non nel senso di interessi pratici ma di visioni di fede, di morale e di pastorale. L’assemblearismo per definizione non deve assumere criteri previ di selezione né delle persone né delle idee. Esso deve essere aperto, plurale, gelatinoso se non liquido, accogliente e capace di favorire un “dibattito pubblico” alla Habermas. Le verità già stabilite dal magistero e le dottrine già fissate sono degli impedimenti a questa apertura e ad una vera e propria ermeneutica dal basso, dal popolo, dalle periferie. Uno dice: sì ma poi saranno sempre i vescovi a decidere e non le assemblee. Non sarà vero, purtroppo, perché anche i vescovi ragioneranno in chiave di assemblearismo e non sapranno più dire di no a niente. Voglio vedere il vescovo che si opporrà ad una decisione assembleare delle periferie della sua diocesi.
Il punto principale della guerra della nuova sinodalità alla Dottrina sociale della Chiesa sarà il principio dell’accoglienza e del dialogo inteso come testimonianza di Cristo e sostanza della fede cristiana. L’annuncio verrà identificato con l’apertura, il Kerigma coinciderà con l’uscita dalle proprie mura, non si riterrà più che la Chiesa abbia una luce propria, unica e insostituibile da dare alla società e alla politica, si penserà invece che essa debba avere uno sguardo amorevolmente inebetito verso tutti e tutto, perché “Cristo non è venuto a condannare ma a salvare”, come si sente dire spesso.
A quel punto di “coerenza” del cattolico in politica non si potrà più parlare. Se non viene richiesta la coerenza all’ingresso men che meno può esserci coerenza in uscita. Se il dibattito nella Chiesa deve essere plurale e senza steccati, se si è consolidata la prassi del voto da parte di assemblee apparentemente spontanee ma in realtà pilotate come si fa ai congressi dei partiti, se la mozione di maggioranza finirà per prevalere comunque perché così era stato già deciso prima ancora di partire, la Chiesa diventerà ancora di più il luogo delle opinioni e ognuno andrà per la propria strada, convinto di essere stato inviato dallo Spirito.
Stefano Fontana, 31 ottobre 2025 - FonteDirettore dell'Osservatorio Card. Van Thuận

2 commenti:
Die V mensis Novembris
Il 5 novembre è la giornata in cui la Chiesa celebra le Sante Reliquie dei corpi dei martiri. Così dopo aver celebrato la festa di tutti i Santi, cioè “la festa delle sante anime” che sono entrate in cielo, la Chiesa onora le reliquie e con lei anche l’Ordine dei minimi.
“Nei primi tempi della Chiesa – come scrivono i minimi – si celebravano i santi Misteri sulle tombe dei Martiri nelle Catacombe, per dimostrare che questi Santi avevano unito il loro sangue a quello della Vittima del Calvario. Più tardi, in Roma, si costruirono grandiosi templi, in cui vasti reliquiari, raccoglievano i Resti dei Martiri, che avevano confessato la loro fede e venivano deposti sotto l’altare maggiore detto Altare della Confessione”.
Insegna in merito il Concilio Tridetino: «I santi corpi dei Martiri e degli altri che vivono con Cristo, un tempo membra vive di Cristo stesso e tempio dello Spirito Santo, e, che da Lui saranno risuscitati per la vita eterna e glorificati, debbono essere venerati dai fedeli: quei corpo, cioè, per mezzo dei quali vengono concessi da Dio agli uomini molti benefici. Perciò quelli che affermano che alle reliquie dei Santi non si debba alcuna venerazione ed alcun onore; che esse ed altri resti sacri inutilmente vengono onorati dai fedeli; o che invano si frequentano i luoghi della loro memoria per ottenere il loro aiuto, sono assolutamente da condannarsi, come già da tempo la Chiesa li ha condannati e li condanna ancora»
(Sess. XXV, De invocatione, veneratione et reliquiis sanctorum et de sacris imaginibus).
La nuova sinodalica "dottrina sociale" della Chiesa è della Chiesa solo ed esclusivamente perché la Chiesa la sottoscrive, ma contenuti, obiettivi e azioni richieste per realizzarli, sono del mondo, di "questo mondo". Va dietro alla ideologia transgenderista, alla ideologia catastrofista-cambi-ambientale, al vaccinismo, al transumanismo, all'immigrazionismo, all'ecumenismo che favorisce l'islamismo donando loro terreni per erigere le moschee o addirittura concedendo spazi religiosi, cappelle e chiese per la preghiera islamica, e chi più ne ha più ne metta.
Non bastava il Bergoglione a fare ingentissimi danni, adesso c'è anche il "moderato" Leoncino che continua sulla strada del suo predecessore e ci sono le varie conferenze Episcopali che fanno a gara nel trasformare la Chiesa cattolica in un coacervo che - se dovesse tornare ora Cristo sulle nubi - gli farebbe pronunciare la fatidica frase: "C'è ancora Fede sulla terra?"
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