Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 27 dicembre 2018

Inno alla Provvidenza - Don Elia

Trionfo della Divina Provvidenza
Roma, Palazzo Barberini
Il dogma della provvidenza racchiude un profondo mistero che va accettato per fede. I caratteri di una vera fede nella provvidenza non sono l’esitazione, la pusillanimità, il dubbio o l’ansiosa ricerca; ma piuttosto la calma interiore incrollabile, nonostante le tempeste esterne; l’umile abbandono alla volontà di Dio con il Cristo al Getsemani, nonostante l’oscurità che ci circonda; la pazienza nelle sofferenze, nonostante la loro oppressione crescente. Tutte le profondità e gli abissi, tutti gli enigmi e le tenebre, tutte le tempeste e i cataclismi che si presentano nel cosmo come nella grande storia e nella piccola vita del singolo, vengono a collocarsi, mercè questa fede, sulle braccia e sulla sapienza di un amore infinito; tutto riceve il suo posto, anche il dolore e la colpa; tutto ha il suo diritto e il suo dovere, la sua certezza e sicurezza; tutti gli avvenimenti, fino i minimi e più fuggevoli, assurgono a cure personali di un Amore onnipotente e onnisciente.
(Ludovico Ott, Compendio di teologia dogmatica, Torino-Roma 1964).
Chi scrive è un teologo tedesco che pochi anni prima aveva visto la sua patria devastata e intere città polverizzate nel corso del peggiore conflitto che la storia ricordi. Neanche gli orrori della Seconda Guerra Mondiale erano valsi a scalfire la sua fede; invece noi, pur non avendo mai sperimentato nulla di simile, ci sentiamo per lo più a disagio nel leggere affermazioni così nette e cristalline. Ciò non è dovuto tanto alle impietose immagini di combattimenti, calamità, crimini e disgrazie che i telegiornali ci sbattono davanti agli occhi ad ogni pasto (e a cui certuni si sono assuefatti al punto di filmare imperturbabili quegli eventi – fosse pure un suicidio – in vista di un magro guadagno), quanto al fatto che noi non abbiamo più la stessa fede. Quella convinzione incrollabile, resistente a qualsiasi evenienza, che era frutto della virtù teologale generosamente coltivata e vissuta, è stata subdolamente sostituita con una melassa sentimentaloide che, soffocando il dono celeste ricevuto nel Battesimo, ha sfornato tanti cattolici imbelli, invertebrati, narcisisti e ripiegati sulla ricerca del benessere individuale.

Nella mia adolescenza e prima giovinezza, eravamo ossessionati dalle nostre guide con l’insensata tragedia della storia, concepita come un’irredimibile catena di ingiustizie e sofferenze senza sbocco né scopo; pregare per gli uomini politici e per un migliore andamento del mondo era perciò escluso come un’inutile perdita di tempo: il progresso della società era affidato al nostro impegno, mentre la preghiera si restringeva al meditare la Parola in vista di non si sa che cosa, dato che anche un vago miglioramento morale era fuori del campo visivo. Erano, quelli, gli anni in cui i cattolici si stavano protestantizzando a un ritmo accelerato, in tutti gli aspetti della vita cristiana. Evidentemente i nostri maestri non credevano nell’infallibile Provvidenza divina, né conoscevano l’infinita sapienza con cui Dio permette il male per ricavarne un bene maggiore a nostro vantaggio e per manifestare al contempo la Sua giustizia e misericordia utilizzandolo, a seconda dei casi, come occasione di perdono, salutare correzione, giusto castigo o strumento di perfezionamento delle anime elette, oltre che accogliendo le sofferenze come materia di offerta a favore di quelle che rischiano di perdersi.

Se stiamo riscoprendo la fede di sempre, con la sua adamantina solidità e chiarezza, è per effetto di una grazia inestimabile che non meritiamo, ma che ci è stata ottenuta dal Cuore Immacolato di Maria. Ciò deve mantenerci in una profonda umiltà, ma al tempo stesso comunicarci un grande vigore nel respingere le tentazioni contro la speranza, così forti e frequenti in questo momento storico. Tutto quel che stiamo vedendo – compresi gli ingiusti provvedimenti nei confronti di vescovi e sacerdoti fedeli – è previsto dall’eternità all’interno di un disegno perfettissimo e immutabile. Questa verità di fede non rende inutili o superflui i nostri sforzi e le nostre preghiere, che sono in esso inclusi come importante elemento affidato alla nostra libera collaborazione. Dio non è un burattinaio, ma – come abbiamo appena letto – l’Amore onnipotente e onnisciente che desidera per i Suoi figli il maggior grado di gloria possibile in cielo e, a tal fine, offre loro continue opportunità di accrescerlo. Non deve essere, questo, un incentivo ad allentare l’impegno, bensì a portarlo avanti nella pace interiore e sotto la mozione dello Spirito Santo, anziché nell’impazienza e nell’acredine.

Come tutto appare d’un tratto più sereno e sopportabile, in questa luce! Quale dolce consolazione ci infonde nel cuore la fede nella Provvidenza! Credevamo forse che il nostro Padre buono avesse deciso di sottoporci a una prova così terribile senza indicarci il modo di portarne il peso con letizia e con frutto? Temevamo proprio di esser lasciati soli nella lotta alle prese con forze soverchianti? Ci sentivamo già perduti in balìa della tempesta? Sì, il nostro adorabile Gesù sembra di nuovo dormire, come quella notte, sulla barca, ma gli bastano due parole per intimare al vento e al mare di tacere e calmarsi (cf. Mc 4, 35-41). Con le nostre preghiere e penitenze noi abbiamo il potere di “svegliarlo”, cioè di affrettare il Suo intervento, visto che anch’esse sono previste nell’eterno piano divino, ma aspettano soltanto chi le compia. Quale eccelsa dignità ci è stata donata! Essere cooperatori della salvezza del mondo e del compimento dei voleri celesti! Ma in quale religione l’uomo può aspirare a tanta altezza, per non parlare della gloria che ci è promessa!

Coraggio, cari fratelli e sorelle, non abbattetevi, ma chiedete insistentemente al Signore di accrescere la vostra fede nella Provvidenza. Fissate lo sguardo sulla gloria di colui che tutto move (Inferno, I, 1) solo per amore, essendo Egli stesso, per essenza, l’amor che move il sole e l’altre stelle (Paradiso, XXXIII, 145). O gustosissimo gheriglio racchiuso entro durissimo guscio! O luce sfolgorante che si sprigiona nel cuore delle tenebre più fitte! O gioia incontenibile partorita dal grembo di indicibile dolore! Dio tiene pronta per noi, che tanto peniamo in quest’apocalittico tornante della storia, una ricompensa ineffabile, ma può darcene un assaggio fin d’ora, se il nostro cuore, anziché ribellarsi o andare in cerca di scorciatoie umane, si lascia purificare nel crogiuolo di una sofferenza che penetra fino al midollo dell’anima. Potrà essere magari appena un brevissimo istante di consolazione, ma così sapido e intenso da alimentare per mesi, se non per anni, un’inalterabile calma interiore, una pazienza a tutta prova, un umile e amoroso abbandono alle supreme disposizioni della sapienza divina. Sono i frutti, per l’appunto, di una viva fede nell’inarrivabile provvidenza del nostro Padre celeste e delle virtù cristiane esercitate fino all’eroismo.

Vi assicuro che mai così profondamente come in questa prolungata prova ho potuto sperimentare la grandezza e la fecondità del mio sacerdozio. Quando celebro la Messa, seppur da solo, reggo sulle spalle tutto l’innumerevole gregge delle persone che porto nel cuore, di quelle affidate alle mie preghiere e di quelle con cui son venuto a contatto in un quarto di secolo di ministero: soprattutto voi, cari fedeli della Parrocchia virtuale. Elevando l’ostia consacrata imploro il Signore di riversare su tutti – comprese le anime del Purgatorio – i torrenti di misericordia che sgorgano dal Suo Cuore trafitto, che tengo tra le mani, mentre all’elevazione del calice Gli chiedo di effondere su ognuno le grazie e i benefici del Suo Sangue prezioso. È l’atto più potente e necessario che io possa compiere – e sapere questo basta a colmarmi di pace e di forza, quand’anche non potessi fare nient’altro. Vi confido che nella festa di Cristo Re, all’Hanc igitur, ho ricevuto l’intima certezza che il Signore mi accorda la salvezza di tutti coloro che sono con me “sulla barca”: «Dio ti ha fatto grazia di tutti i tuoi compagni di navigazione» (At 27, 24).

Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi! La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù (Fil 4, 4-7).

21 commenti:

irina ha detto...

Questa mattina, recitando l'Atto di Speranza, dopo giorni e giorni che non lo recitavo, l'attenzione si è fermata su l'ultima frase, 'Signore, che io non resti confuso in eterno.' Una di quelle frasi, di quei pensieri, che, ad un certo punto della vita, è come se li leggessi per la prima volta. D'un balzo mi son tornate alla mente immagini di film dove i morti si assiepano o vagano qui intorno a noi, come persi. La confusione, al di là della trasposizione filmica, mi son detta, può durare dunque in eterno. Questo non trovar la strada è una possibilità, eterna addirittura. Ecco dunque l'importanza della preghiera e dell'offerta delle nostre buone opere, ben fatte e trasformate anch'esse in preghiera; tutti fili dunque che ci tengono uniti all'Eterno, fin da qui, in ogni momento della nostra giornata e non consentono la confusione. E' strano(Provvidenza, don Elia!) che tutto questo mi sia accaduto dopo pochi giorni in cui tra me ruminavo, avendo ormai un'età in cui il grande passo si avvicina, speriamo che, di là, mi sappia orientare, che non finisca come quando guidavo, cercando la meta che trovavo solo dopo aver vagato, a lungo, in tondo.

Anonimo ha detto...

"La gloria di colui che tutto move" è l'incipit del Paradiso e non dell'Inferno.

Anonimo ha detto...


Giusto e opportuno il richiamo a continuare ad aver fiducia nella Provvidenza,
sempre e nonostante tutto.
In questi tempi veramente tenebrosi non potremmo sostenerci senza la
fiducia nella Provvidenza, in particolar modo necessaria.
Necessaria sempre, ma soprattutto oggi.
Unica perplessità, l'accenno ad una "voce interiore" di
origine divina che avrebbe garantito la certezza della
salvezza per tutti coloro "che sono nella barca", cioè
le anime che si affidano al ministero, senz'altro pieno
di dedizione, di don Elia.
Non dubitiamo della buona fede di don Elia né del suo
appassionato impegno per le anime. Attenzione però all'
astuzia del Demonio, che, come sappiamo, sa insinuarsi
anche in certe "profezie" e travestirsi molto bene da
Angelo della Luce, cosa che pur era prima della Ribellione
a Dio.
O.


Anonimo ha detto...

Che amaro il commento di O. Non sa egli forse che Dio parlava alla prima coppia di adam nell'eden? non ha letto di Noè chiamato a costruire un'arca da Dio tanti anni prima che ce ne fosse bisogno? non ricorda Abramo chiamato ad abbandonare Babilonia la grande? ...e gli altri tutti che hanno sentito Dio e hanno parlato a Dio, ben prima del Figlio che è venuto a redimerci? ed ora non dovremmo sentire la Voce? ora che siamo adottati? e i Santi non li conosce? ed ognuno di noi che è abitato da Dio, sol che non lo si scacci con la colpa volontaria cosciente? Ma ignora egli che l'uomo è la casa di Dio? e che satana non conosce il pensiero dell'uomo se questi non glielo manifesta? ma può solo indurre pensieri? mentre Dio conosce tutti i pensieri? ed ha il coraggio di voler silenziare Dio? Bruttissimo commento che non viene da Dio, questo certamente.

Anonimo ha detto...

Alessandro Gnocchi e Serafino Tognetti, Padre Pio eremita, Fede & Cultura, Verona 2017, pp.176, euro 17,00

Questo libro su Padre Pio vi sorprenderà. Dopo averlo sottratto alle oleografie di maniera e alle interpretazioni forzate e tendenziose, gli autori mostrano come il santo stigmatizzato si trovi perfettamente a suo agio tra i monaci e gli eremiti che hanno fatto fiorire il deserto dei primi secoli. La sua genealogia spirituale ha origine fra gli antichi Padri che hanno inseguito la solitudine e una vita di penitenza per incontrare Dio, pregando, combattendo il demonio e preoccupandosi solo della salvezza delle anime. Ciò che attirava le folle fra le montagne scheletriche di Scete, di Nitria o di Tebaide fra il IV e il VI secolo è la stessa forza che le chiamava a San Giovanni Rotondo, sulle alture del Gargano, ai tempi dei viaggi nello spazio: la sete di Dio e la certezza di trovare una santità che la lenisce nei corpi e nelle anime di uomini votati alla rinuncia guerreggiante al mondo, al lavoro manuale, al silenzio, al digiuno, al canto dei salmi, all’orazione, alla contemplazione, al sacrificio del proprio ego incenerito sull’altare del Signore.

don gianluigi ha detto...

Parole piene di speranza quelle di don Elia, ma con un neo. Che significa che in un preciso momento, durante la S.Messa, ha ricevuto "l'intima certezza"? Di che si tratta, di una locuzione interiore? Di una convinzione personale?
Se fosse una rivelazione privata andrebbe prima sottoposta al giudizio dell'autorità della Chiesa, per non suscitare la convinzione che ci sia una via brevior per ottenere la salvezza.
Se fosse una semplice convinzione personale, andrebbe manifestata come auspicio, non come un dato di fatto, altrimenti c'è il rischio che qualcuno ritenga la barca di don Elia più sicura di quella della Santa Chiesa che è quella guidata da Cristo, con il papa al timone e i vescovi che remano verso il porto sicuro. Potrà il timoniere occasionalmente distrarsi in qualche inchino, potranno i rematori stancarsi e perdere il ritmo, ma la rotta è sicura. Se cominciamo ad abbandonare la nave per calarci nelle scialuppe di don Minutella o di don Elia o di altri, rischiamo il naufragio

Elia ha detto...

La "barca" non si riferiva di certo a qualche gruppo o congrega che mi debba seguire in alternativa alla Chiesa, ma era semplicemente una metafora della situazione di pericolosa traversata in cui ci troviamo tutti, fra i quali mi sento legato, in particolare, a quanti mi leggono. Mi sembra di aver ribadito in modo abbastanza chiaro che bisogna rimanere nella Chiesa mediante l'obbedienza alla gerarchia in ciò che è legittimo.
Non è facile spiegare certe esperienze spirituali. Non si è trattato né di una locuzione interiore né tanto meno di una rivelazione privata (il cui contenuto, nel caso, andrebbe sottoposto al giudizio dell'autorità ecclesiastica, prima di essere divulgato), bensì di una sorta di comunicazione interiore non verbale manifestatasi alla coscienza come indiscutibile certezza. Lo scopo è solo quello di dare incoraggiamento, non certo quello di alimentare una falsa sicurezza. Queste esperienze non esimono nessuno dal continuare a pregare, operare e portare la croce.

don gianluigi ha detto...

Apprezzo la tua puntualizzazione, don Elia. La mia critica si riferiva alla conclusione dell'articolo, in cui non era chiaro il tipo di esperienza da te vissuta durante la S. Messa, né la condizione favorevole in ordine alla salvezza del tuo gregge virtuale. Lungi da me il voler mettere in dubbio la tua fedeltà alla Chiesa. Tuttavia mi sto accorgendo che tra le persone che si avvicinano alla fede e alla spiritualità tradizionale si diffonde una sempre più evidente repulsione nei confronti della gerarchia, fino al punto di disprezzare vescovi e papa, per cui ogni occasione è buona per distanziarsi dalla Chiesa ufficiale. Proprio per questo ti invito ad essere prudente nei tuoi scritti per non prestare il fianco a chi vuol ribellarsi al papa e ai vescovi. La barca è quella della Chiesa voluta da Cristo, hai fatto bene a specificarlo, perché forse non per tutti era chiaro. Auguro che la gioia del Natale ti accompagni e ci accompagni nel nuovo anno

Anonimo ha detto...


Eppure dal contesto del discorso si vede bene che "la barca" è quella dei fedeli della parrocchia virtuale e di altri che don Elia cura nel suo ministero. L'immagine sembra
sufficientemente precisa.
Ma questo non vuol dire che tale "barca" si sostituisca alla grande nave che è la Chiesa universale.
Non mi sembra che don Elia volesse dire questo. Lui non è il Papa, quindi parlava, come
sacerdote, del suo piccolo gregge, per fargli coraggio.
Però appare poco prudente dire ai fedeli che una voce interiore, durante la celebrazione della Messa, voce che si potrebbe quindi supporre provenire dall'Altissimo, gli abbia dato per sicura la salvezza del suo piccolo gregge. Certe esperienze di tipo mistico non vanno tenute per se stessi, soprattutto se si è sacerdoti? Meditate e verificate, in ogni caso, prima di esternarle?

Peter Moscatelli ha detto...

@don gianluigi 17.18

Cari don Gianluigi e don Elia,
mi rincresce ammettere che mi riconosco, in parte, nella descrizione data di chi cerca di vivere secondo la fede e la spiritualità tradizionale, anche se direi "sfiducia" piuttosto che "repulsione".
Tuttavia mi permetto di chiedere: Se davanti al collegio cardinalizio e possibile dire che la tota pulchra, la gratia plena non è nata santa, senza smentite o proteste, quali dovrebbero essere i sentimenti di un qualsiasi figlio leale della Chiesa che vorrebbe morire tale?
E se per qualche motivo mi si volesse dire che la frase vada bene (si veda i.a. il post successivo), mi toccherebbe arrendermi all'evidenza dei fatti e constatare che le parole non hanno più un senso, o per dirla con un personaggio di "attraverso lo specchio" di Lewis Carroll:
«Quando io uso una parola» disse Humpty Dumpty in tono alquanto
sprezzante «questa significa esattamente quello che decido io... né più né
meno.»
Comunque sia, la tristezza non sempre bisogna esternarla, né occorre che sia amara, e qui accetto più che volentieri la correzione di don Gianluigi, promettendo di farne tesoro. Colgo l'occasione per ringraziare di nuovo don Gianluigi, don Elia e tanti altri sacerdoti che come loro hanno aiutato me e molte altre persone a scoprire l'America del cattolicesimo tradizionale. Dio ve ne renda merito.

Anonimo ha detto...

Anche i sacerdoti devono essere uomini virili!
http://www.lanuovabq.it/it/se-la-virilita-e-un-peccato-la-chiesa-resta-infeconda

Anonimo ha detto...



Qual'è la "tristezza" che conta

E la "tristezza" per lo sfacelo della Chiesa visibile, a partire dai suoi Capi, che mons. Viganò evidentemente prova e che lo affligge grandemente, l'ha forse esternata in modo "amaro", visto che ha dovuto accusare personalmente il Papa, per le sue gravi mancanze? Non lo accusano di questo i difensori dell'ordine costituito a prescindere? Si privilegiano el questioni di forma, per non doversi occupare della sostanza. Meglio l'amarezza della denuncia o la falsità del conformismo, della piaggeria?
Sulle mostruosità teologiche e dottrinali imperversanti nelle parole e negli scritti del clero di tutti i gradi e tipi, a partire dal VAticano II, che ha suonato il "liberi tutti", quante sono state e sono le voci che le denunciano? Voci tra il clero, voglio dire. Qualche intellettuale laico, guardato con derisione, anche l'ormai mitico Amerio (come si permette...), pochissimi teologi (mons. Spadafora a suo tempo, mons. Gherardini, l'unico che abbia avuto il coraggio di mettere (razionalmente) in discussione il Concilio; mons. Livi, che però non tocca il Concilio..). Forse ho dimenticato qualcuno?
Ci sono poi a parte mons. Lefebvre e i teologi della FSSPX. Ma quelli sono dei paria e i loro approfonditi e argomentati studi non si leggono per principio.
Viva l'ignoranza, dunque.
Amara sì la "tristezza" che ci affligge. Della "Gioia" della Chiesa ufficiale attuale, ecumenica e sincretista, femminista e omosessualista, non sappiamo che farcene. La riteniamo falsa. Preghiamo perché Dio conceda anche a loro "quella tristezza che conduce al pentimento", della quale ci ha fatto dono la Grazia, affinché ci rendessimo conto dei nostri peccati e fossimo illuminati sui peccati che gli uomini di Chiesa stanno commettendo da ormai troppo tempo contro la stessa Chiesa. "Or, la tristezza che è secondo Dio, produce un pentimento salutare, che non si rimpiange, perché conduce a salvezza; mentre la tristezza del mondo procura la morte"( 2 Cor 7, 10).
E' la "tristezza del mondo" travestita da falsa Gioia quella che viene predicata dai falsi profeti che imperversano oggi nella Vigna del Signore.
Z.

Anonimo ha detto...

Ci vogliono sacerdoti che tirino fuori gli attributi e dicano la Verità,altro che virtuale!

don gianluigi ha detto...

@ Peter
Peter, in verità tocchi un problema reale, quello del significato delle parole dette e scritte che dovrebbe essere oggettivo, mentre, come fa notare Amerio nel suo "Stat Veritas": «Siccome il pensiero dell'uomo pencola nel senso dell'identificazione dell'autorità del parlato con l'autorità del parlante noi, avendo prestato attenzione a questa inclinazione segnata da soggettivismo, la contrastiamo ridando alla parola il valore che essa di per sé ha.»
Penso che noi tutti dovremmo prendere esempio da Romano Amerio che, tra i primi, mosse le sue rispettosissime critiche ad alcuni espressioni ricorrenti sia nei documenti del Concilio Vat. II sia nei pronunciamenti del più alto magistero, senza in alcun modo intaccare la dignità delle persone che li hanno espressi.
Certamente proviamo amarezza nel constatare la confusione che regna oggi a vari livelli nella Chiesa, ma non possiamo cedere alla tentazione della tristezza che porta allo scoraggiamento e finanche alla disperazione. Rimanere alimentati dai tesori spirituali che abbiamo ereditato dagli apostoli e dalle generazioni che ci hanno preceduto, avere la ricchezza della liturgia che ci hanno lasciato, ci dà continuamente nuove sorprese di giovinezza e di coraggio nella fede ed è fonte di gioia vera.
Ti meravigli e ti scandalizzi per espressioni dette in modo ufficiale da colui che ha la missione di confermare la nostra fede. Direi ancora una volta di comportarci come Romano Amerio, questo filosofo ticinese amante della Chiesa e della Verità, il quale dedica un libro "Stat Veritas" a smontare pezzo per pezzo addirittura un lettera apostolica, in cui si dice di tutto e di più, senza mai nominare il suo autore, ma riportando quasi in modo anonimo frase per frase e dimostrandone la sua difformità con il magistero precedente.
Questa è la strada giusta: riaffermare la Verità, senza mai intaccare l'autorità della Chiesa.
Tu ringrazi i sacerdoti per il loro ministero, io ringrazio i laici che ho incontrato, perché attraverso loro ho potuto sperimentare l'opera della Provvidenza che non ci abbandona mai. Sursum corda

Anonimo ha detto...

Carissimo don Gianluigi, io non penso che il mio commento passerà alla griglia, dato che vedo solo passare commenti pro-autorità, apparente peraltro. Ma lo dico a mic che ha fatto questa scelta in buona fede, finchè non si affronterà il nocciolo duro e puro dell'Autorità (che viene da Dio, x cui bando agli scherzi di chi insegna eresie), si peggiorerà ancora e rapidamente. Se ci si preoccupa della cadrega non si segue Cristo.

don gianluigi ha detto...

Caro anonimo delle 11.30, riconoscere l'autorità legittima della Chiesa e obbedirvi fin dove è possibile (senza andare contro Dio) è l'unica strada da percorrere per un cattolico. Questo era l'insegnamento di S. Pio da Pietrelcina, che non mi pare fosse preoccupato della cadrega, anzi tutta la sua vita è stata un atto di semplice e pura obbedienza, anche dolorosa.

Anonimo ha detto...


Se si rinfacciano al Papa regnante i suoi errori, forse si disobbedisce a qualcuno?

Se gli si dice, a Papa Francesco: Santità, non potete affermare pubblicamente, anche come dottore privato, che Lutero non si era sbagliato nella sua dottrina della giustificazione, perché in tal modo contraddicete l'insegnamento ufficiale della Chiesa, che ha condannato solennemente quella dottrina come eretica da ben 5 secoli.
Inoltre: Santità, non potete dichiarare che l'interpretazione data dai vescovi argentini alla vostra famosa nota nell'Ämoris Laetitia, autorizzante (l'interpretazione) in certi casi la sommnistrazione della Comunione ai divorziati risposati conviventi (e quindi adulteri convinti e praticanti) è l'unica valida ("non ce ne sono altre"), ordinando per di più che tale interpretazione eterodossa del vostro pensiero venga messa agli atti ossia considerata legge della Chiesa - Voi non potete fare carne di porco della dottrina e della vera pastorale della Chiesa, come in effetti state facendo, anche in altri campi, e come dottore privato e come dottore della Chiesa in carica, come Pontefice nel suo insegnamento corrente.
Voi dovete pubblicamente correggervi e tornare ad insegnare la vera dottrina, ristabilire il dogma della fede, alla cui conservazione siete stato chiamato (si suppone) da chi vi ha eletto e in ogni caso alla cui conservazione dovete in ogni modo provvedere per espressa volontà divina, ben evidente nei Vangeli, in quanto Sommo Pontefice, seduto sulla Cattedra del Beato Pietro.
Se gli si dice queste cose, affrontandolo a viso aperto, come S. Paolo ad Antiochia contro san Pietro, per cosa molto meno grave, si disobbedisce a qualcuno? Di certo non si disobbedisce né alla lettera né allo spirito dei Vangeli, né all'insegnamento della Chiesa. Si disobbedisce al conformismo dominante, che lascia prosperare in un silenzio colpevole le peggiori eresie e manommissioni della fede poste in essere da chi dovrebbe difenderla.
PP

don gianluigi ha detto...

@ PP
San Paolo e San Pietro erano due apostoli e bene fece il primo a resistere e a riprendere il primo papa. Ma noi semplici preti o laici (non so se Lei sia un laico o un prelato) che chiamiamo il papa Santo Padre credo dovremmo usare un linguaggio più rispettoso se potessimo incontrarlo faccia a faccia, pur rappresentandogli come Lei ha esemplificato la verità contro gli errori. Tuttavia penso che, come non ha risposto ai dubia, non terrà conto di questi rilievi. Quindi ritengo che pur essendo corretto teoricamente ciò che Lei propone, non sia una priorità per me. Penso che sia più necessario nel ministero di un sacerdote servire la verità con tutti i mezzi a disposizione. Se Lei al contrario ritenesse un dovere manifestare direttamente al papa i suoi rilievi, Le auguro di poterlo fare con la parresia qui dimostrata.

Fraternamente . ha detto...

Colgo l'occasione offerta dal Padre Don Gianluigi per esprimere la mia sofferenza nel leggere a volte espressioni non degne di noi che ci professiamo cristiani ( tipo "il sedicente" ed altre espressioni ) perche' credo fermamente che offendendo il fratello offendiamo Dio e noi stessi aggiungendo ulteriori ombre alle tenebre gia' assai fitte di questi nostri giorni . Prendiamo esempio dalla Padrona di questo blog che pur nella critica non trascende mai in espressioni che non ci fanno onore e sicuramente da confessare perche' esprimono se non l'odio un sentimento assai vicino . Inoltre pensiamo a quelli che leggeranno , magari nuovi , non abituali , magari fragili , nei quali forse montera' un sentimento ostile verso il Papa . Non dovremmo nel nostro piccolo fare opera di apostolato ? Pensiamoci quest'oggi ultimo giorno dell'anno durante l'esame di coscienza , quando chiuderemo i conti dell'anno trascorso alla presenza di NSGC . Io prima di tutti .

P.S. Don Gianluigi e' così interessante , puo' rosicchiare tempo per intervenire piu' spesso nei nostri dibattiti ?

Anonimo ha detto...


don gianluigi

Veramente io, che sono un laico, a Dio piacendo, quello che dovevo dire al Papa, in quanto
semplice fedele battesimato e cresimato, l'ho detto con il mio nome e cognome
con quella che lei
chiama "parresia" in articoli pubblici, nei quali
denunciavo i suoi errori, in particolare uno intitolato "L'eresia
luterana di Papa Francesco", ripreso anche dal sito di Una Vox
e in edizione più ridotta da 1Peter5, in inglese.
IN precedenza gli avevo anche inndirizzato
, su internet, una supplica, nella quale lo imploravo a non dar corso
alla normativa favorente il c.d. "divorzio cattolico".
Se correggere pubblicamente un Papa che apertamente professa errori
nella fede non è "una priorità" per un sacerdote di Cristo, per chi
mai sarà allora una priorità? Non dobbiamo preoccuparci del
successo della nostra doverosa "correzione", dobbiamo sentire
comunque il dovere di farla, davanti a Dio, sperando che alla
fine anche i vescovi e i cardinali prendano il coraggio a due mani
e si diano una mossa, come si suol dire.
PP

don gianluigi ha detto...

Per me sacerdote le priorità sono 1. preoccuparmi della mia salvezza, 2. spendermi per la salvezza delle anime affidate alla mia cura pastorale.
Penso che per un parroco basti e avanzi. All'anima del papa ci penserà qualcun altro, quando sono diventato prete nessuno mi ha detto che avrei dovuto occuparmi della fede del papa. E non mi venga a dire che se il papa erra, ne va della fede dei miei parrocchiani, perché nella confusione che regna penso che la fede dei singoli cristiani stia in piedi o cada a prescindere dal papa.
don gl