L'articolo che segue mostra che l’Europa ha perso la parola dei padri: il linguaggio che univa memoria e destino. Ritrovarla, tra mito e simbolo, è il primo atto di resistenza culturale.
Non possiamo non aggiungere la rinuncia alle proprie radici greco-romane e poi cristiane. Vedi L'anima delle pietre. La verticalità perduta dell'Europa. Qui l'indice degli articoli sulla realtà distopica.
Non possiamo non aggiungere la rinuncia alle proprie radici greco-romane e poi cristiane. Vedi L'anima delle pietre. La verticalità perduta dell'Europa. Qui l'indice degli articoli sulla realtà distopica.
Il silenzio dei padri: la parola perduta dell’Europa
L’articolo esplora la perdita del linguaggio autentico in Europa, inteso come veicolo di memoria e identità. Analizza come l’omologazione culturale e la cancel culture stiano cancellando le parole che ci legavano ai nostri padri, e come il ritorno al linguaggio originario — fatto di mito, poesia e simbolo — rappresenti il primo atto di resistenza culturale europea.
Nel frastuono del mondo globale, l’Europa non ha perso solo le sue radici, ma il linguaggio con cui le raccontava. Il silenzio dei padri è diventato la nostra crisi più profonda.
Il silenzio dei padri: la parola perduta dell’Europa.
Quando la parola si spegne
Le civiltà non muoiono all’improvviso: svaniscono quando le loro parole smettono di avere peso.
Il silenzio dei padri
La lingua sacra e la parola autentica
Così l’Europa, oggi, sembra immersa in un frastuono di termini svuotati, slogan replicati, lingue che si somigliano tutte ma non dicono più nulla.
La parola, che un tempo era rivelazione e promessa, è diventata rumore.
C’è stato un tempo in cui le parole europee erano sacre.
Non solo nelle liturgie o nei canti, ma anche nella vita civile, nella politica, nell’arte.
La parola “onore” non era retorica, “patria” non era sospetta, “anima” non era metafora.
Oggi, quelle parole sembrano impronunciabili — o peggio, derise.
E nel vuoto lasciato da esse si apre un silenzio inquieto: il silenzio dei padri.
Il silenzio dei padri
I padri non sono soltanto figure familiari: sono i custodi di un linguaggio.
Ogni generazione eredita non solo un patrimonio materiale, ma una grammatica morale, un modo di dire il mondo.
Oggi, quel linguaggio è stato interrotto.
Non ci viene più trasmesso attraverso la scuola, l’arte o la memoria collettiva, ma sostituito da un linguaggio globale, neutro, programmato per non offendere nessuno e, proprio per questo, incapace di dire qualcosa di vero.
È un linguaggio che non racconta, ma cancella.
La cancel culture non è solo una battaglia ideologica: è il sintomo di una perdita più profonda — quella della parola fondativa, della narrazione che ci lega a un’origine.
Senza la voce dei padri, l’Europa non sa più chi è.
E un continente che non sa più dire se stesso è un continente che si prepara a scomparire.
La lingua sacra e la parola autentica
Ogni civiltà viva ha una lingua sacra.
La cancel culture come nuova iconoclastia
Il mito e il simbolo come ultima resistenza
Non nel senso religioso stretto, ma come linguaggio che custodisce il mistero, che sa nominare il bene e il male, la vita e la morte, il tempo e il destino.
L’Europa l’ha avuta per secoli: nel latino, nel greco, nelle lingue romanze e germaniche che hanno saputo coniugare il mito con la ragione, la poesia con la legge.
Quelle parole non erano solo strumenti di comunicazione, ma forme di presenza.
Quando si diceva “verità”, non si intendeva un’opinione; quando si diceva “uomo”, si evocava un’anima.
Oggi, invece, la parola è ridotta a funzione, la lingua a codice, la comunicazione a contenuto.
Abbiamo perso la parola che salva e l’abbiamo sostituita con la parola che vende.
La cancel culture come nuova iconoclastia
L’Europa ha conosciuto molte iconoclastie, ma quella contemporanea è la più subdola: non distrugge statue, distrugge parole.
Si cancellano i nomi dei santi dalle piazze, le date fondative dai calendari, le frasi classiche dai libri.
Si sostituisce la lingua viva della storia con un linguaggio di plastica, dove tutto è “inclusivo” ma niente è vero.
È una guerra silenziosa contro la memoria.
Perché cambiare le parole significa cambiare la percezione del reale.
E quando una generazione non sa più nominare il mondo, finisce per non riconoscerlo più.
La perdita del linguaggio è dunque la perdita dell’identità stessa: senza parole comuni, non c’è più comunità.
Il mito e il simbolo come ultima resistenza
Eppure, nelle vene dell’Europa scorre ancora un linguaggio nascosto, antico come le sue montagne.
È il linguaggio del mito, della poesia, del simbolo: il linguaggio che non si spiega, ma si comprende.
Quello che Dante, Omero, Goethe, Cervantes, ma anche i poeti di guerra e gli architetti del Rinascimento, seppero usare per dire l’indicibile.
Recuperare quel linguaggio non significa tornare indietro, ma tornare in alto.
Ritrovare la capacità di parlare con parole che abbiano un’anima.
Significa educare una nuova generazione non al codice, ma al senso; non al vocabolario, ma alla verità.
Solo riscoprendo il potere sacro del linguaggio, l’Europa potrà guarire dal suo mutismo.
Perché la vera resistenza, oggi, non è gridare più forte: è imparare di nuovo a parlare.
Quando le parole torneranno a cantare
Forse un giorno, in un’aula, in una piazza o in un libro, qualcuno pronuncerà di nuovo una parola vera — e sarà come un’alba.
Allora il silenzio dei padri non sarà più assenza, ma attesa compiuta: il ritorno della voce che fonda, educa, unisce.
Perché ogni rinascita comincia da una parola detta bene.
E l’Europa, se vuole rinascere, dovrà prima imparare a pronunciare di nuovo il proprio nome.
Carlotta De Marchi - Fonte

6 commenti:
L'UE progetta la nuova Stasi.
Vedasi articolo di Luca Volontè su la NBQ di oggi.
Ho letto l'iinteressantissimo articolo sul (riporto da la NBQ)
"progetto denominato “Scudo europeo per la democrazia” che servirà a spiarci e imbavagliarci. Il combinato disposto delle due proposte mostra la vera intenzione dei nuovi strumenti che, con la scusa di voler limitare e combattere la disinformazione, mirano a stringere il bavaglio e le manette a chiunque dissenta dalle dottrine relativiste professate a Bruxelles. Se ci sono ancora forze politiche responsabili e rispettose dei principi democratici in Europa, si facciano sentire."
Purtroppo i padroni del mondo, noti da sempre per la loro tenacia, consolidano ogni giorno di più il loro immenso potere in vista della dittatura mondiale che perseguono da secoli. Di "forze politiche responsabili e rispettose dei principi democratici" non ve ne sono, anche se qualcuna si compiace di recitare la commedia. Dunque, l'orizzonte appare grigio, anzi nero come il carbone.
"Imparare di nuovo a parlare" e aggiungo io "a scrivere" e "ad ascoltare".
L'ascolto esige il silenzio e il rispetto dell'altro, cose che si sono perdute.
Il problema essenziale del nostro tempo è l'educazione, quel basilare fondamento di ogni convivenza civile, che si è andato smarrendo insieme al nucleo centrale di una società, che è la famiglia e all'elemento unificante, che è l'autorità. Il nichilismo è un tarlo che distrugge ogni cosa.
Penso che l'Europa abbia solo due alternative: ridiventare cristiana o essere sottomessa e diventare musulmana. Lo diceva Mons. Biffi e lo stiamo intravvedendo sempre più chiaramente.
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Anche io lo credo ma, anche se riuscissimo ad impegnarci seriamente per essere Cristiani, occorrerebbe molto più di un secolo, forse due o tre secoli, prima che il Cristianesimo tornasse a permeare un'intera cultura continentale.
La Nato potrebbe compiere ai danni della Russia una aggressione preventiva. Lo ha recentemente dichiarato al "Financial Times" l'ammiraglio Cavo Dragone. Proprio ora che sembrava si fosse trovato un possibile accordo tra Stati Uniti e Russia in relazione alla guerra d'Ucraina, la Nato ammette candidamente la possibilità di una guerra preventiva contro la Russia: la guerra preventiva risulta oltretutto uno degli strumenti bellici più infami, mediante il quale si finge di intraprendere un'azione difensiva nell'atto stesso con cui si aggredisce un altro Stato, giudicato pericoloso e in procinto di aggredire a propria volta. In maniera classicamente orwelliana, si fa passare l'attacco per difesa. Ciò oltretutto si inquadra perfettamente nel regime discorsivo demenziale a cui ormai siamo abituati da anni, quello secondo cui la Russia di Putin si accinge a invadere l'Europa e dunque occorre riarmarsi fino ai denti e, dulcis in fundo, compiere un'aggressione preventiva ai danni della Russia stessa. In ogni caso, con l'emersione di questa sconvolgente verità appare con adamantino profilo quanto già dicevamo da tempo: e cioè che la guerra d'ucraina è in realtà la guerra che l'occidente a trazione atlantista ha dichiarato alla Russia di Putin, utilizzando l'Ucraina del guitto di Kiev e attore Nato come mero instrumentum belli. Fin dagli anni Novanta, del resto, la Nato si è indebitamente allargata negli spazi post-sovietici, mettendo a profitto la situazione prodottasi con l’ingloriosa implosione dell'Unione Sovietica e con gli ignobili interregni di Gorbaciov e Eltsin. L'obiettivo ultimo appare esso stesso chiarissimo: prendersi la Russia, normalizzarla in senso liberale e atlantista, devitalizzarne ogni velleità di sovranità e di resistenza. Sia quel che sia, deve essere chiaro che la Nato non ha a che fare in questo caso con la Serbia o con l'Iraq, ma con una potenza mondiale sovrana militarmente ed economicamente e, oltretutto, appoggiata direttamente dal dragone cinese. Come si suol dire, Putin venderà cara la pelle e la Russia difenderà fino in fondo la propria autonomia rispetto alle mire neobarbariche della libido dominandi della civiltà del dollaro. Il cupio dissolvi e la pulsione autodistruttiva dell'Occidente, anzi dell'uccidente, si manifestano ormai in forma eclatante e tragicomica.
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