Adflicta ?
Cambiando denominazione, la commissione avrebbe parimenti indicato un cambiamento di orientamento generale. Innanzitutto mostrando che si era posto fine alla riserva-indiana concessa ai tradizionalisti e che essi appartenevano al volto visibile della Chiesa. Successivamente, che si poteva sperare che la questione della reintegrazione della Fraternità Sacerdotale San Pio X non era più che una questione di tempo, che ha le sue ripercussioni nelle discussioni, nei blocchi psicologici, nella pesantezza storica – come cancellare, in effetti, con un solo tratto di penna, decenni d'opposizione? – ma avrebbe finito per risolversi naturalmente.
Col motu proprio Summorum Pontificum, nel 2007, fui tra coloro che pensavano fosse tempo di cambiare definitivamente il nome della Commissione « Ecclesia Dei ». Questa denominazione rinvia, in effetti, al motu proprio Ecclesia Dei Adflicta di Papa Giovanni Paolo II, pubblicato nel 1988 in seguito alle ordinazioni episcopali senza mandato pontificio da parte di Mons. Lefebvre e Mons.de Castro-Mayer. Nel 2007, mi sembrava che , continuando a chiamarsi così, la commissione pontificia, investita delle questioni liturgiche di ciò che ora si è convenuto chiamare la « forma extraordinaria » e delle comunità che la celebrano, continua a rinviare ad un passato doloroso.
Devo confessare che a cinque anni di distanza, non sono sicuro di aver avuto ragione e il cambio di denominazione – di portata principalmente simbolica – non mi sembra più così urgente come nel 2007.
Certo, sono consapevole dell'avanzata lenta ma continua nel mondo delle celebrazioni dell’usus antiquior, peraltro più negli Stati Uniti che in Europa.
Certo, sono consapevole dell'aumento del numero del numero di vescovi e cardinali che hanno celebrato questa messa, alcuni a più riprese e rendendosi conto della ricchezza dottrinale e spirituale che essa contiene.
Certo, non posso che rallegrarmi del successo del pellegrinaggio del 3 novembre scorso in occasione dei cinque anni del motu proprio Summorum Pontificum, con l'apoteosi rappresentata dalla celebrazione del venerabile rito da parte del prefetto della Congregazione per il Culto divino in persona, il cardinal Canizarès.
Certo, mi rallegro anche del mantenimento, e in molti casi, dello sviluppo delle cosiddette comunità « Ecclesia Dei », con numerose vocazioni di giovani, autentica promessa di futuro.
Certo, trovo incoraggiante e mi felicito per i numerosi preti diocesani che hanno imparato a celebrare la messa nell'uso antico, i quali ornai se ne nutrono e traggono dalla freschezza della sua dottrina e spiritualità la forza di un apostolato sempre più cattolico.
Certo sono felice di sapere che numerosi seminaristi attendono con impazienza l'ordinazione per poter celebrare questo rito e che alcuni richiedono anche un'adeguata formazione nel loro seminario.
Tuttavia, non posso ignorare l'altra faccia della medaglia. Sorvolerei sulle ostruzioni dei vescovi, il timore dei parroci, le accuse grossolane. Mi soffermerò solo su due fatti.
- Primo fatto : più che mai, la reintegrazione della FSSPX sembra allontanarsi da un prossimo futuro. A questo titolo, « Ecclesia Dei » resta appropriatamente « « adflicta ». L'aspetto più allucinante di questa storia riguarda il recepimento del Vaticano II. Questo concilio resta la pietra d'inciampo da una parte e dall'altra. Si conoscono le due posizioni. Ma, da parte romana, da aperture in improvviso mutamento, il Vaticano II continua ad imporsi senza che mai si risponda alle obiezioni che vengono fatte tranne che per la richiesta di una accettazione pura e semplice. Ora questo tipo di problema oggi oltrepassa i ranghi stessi della FSSPX. Dopo cinquant'anni, il Vaticano II appartiene alla Storia e semplicemente non è possibile cancellare ciò che ha avuto delle conseguenze.
- Secondo fatto : oggi si assiste, in certi ambienti, al tentativo di imporre una terza via, diversa da quella a suo tempo incarnata dal cardinal Lustiger a Parigi (una sorta di « ni-ni » ecclesiale) ma del pari poco fondata. Questa terza via, spingendo all'estremo una certa interpretazione del motu proprio Summorum Pontificum intende trasformare i libri liturgici del 1962. Si tratta in particolare (ma non soltanto) di far entrare forzosamente il lezionario della forma ordinaria in quella tradizionale, sotto il pretesto di una unità che non sarebbe di fatto che una uniformazione.
I fautori di tale impresa, che comprende vescovi preti e monaci, hanno già tentato di forzare le cose presso la Commissione Ecclesia Dei. A suo tempo, hanno sbattuto il naso sul rifiuto di Mons. Pozzo. Bisogna dunque sperare che al riguardo ci sia una giurisprudenza-Pozzo, anche se la cosa non è sicura.
Questa intrusione nelle regole liturgiche rischia certamente di accrescere ancor più la confusione e di distruggere sempre più l'unità che si pretende cercare. Essa rompe anche con lo spirito stesso della liturgia e senza arrivare al punto di pretendere che l'intrusione sia dello stesso tipo della rivoluzione protestante, bisogna constatare ahimè, che è in accordo con essa, fortunatamente in una dose minima, uno degli aspetti dell'eresia anti-liturgica evidenziata da dom Guéranger nelle Istituzioni liturgiche : « L'odio della Tradizione nelle formule del culto divino. » Nel caso di specie, non si tratta di un « odio » ma di una preferenza per le proprie scelte piuttosto che per quelle della Chiesa che, in questo caso, da Giovanni Paolo II fino a Benedetto XVI, e, su questo punto, in pieno accordo con la FSSPX ha optato per i libri liturgici del 1962.
È verso una nuova confusione liturgica che ci conducono coloro che, in buona fede, pensano di servire così la Chiesa. Una simile confusione rafforzerà, qualora si producesse, il lato « adflicta », arretrando oltre ancora nel tempo e negli spiriti l'emergenza di una commissione Summorum Pontificum che fosse più in accordo coi voti del Santo Padre.
(Traduzione a cura di Chiesa e post concilio)
È verso una nuova confusione liturgica che ci conducono coloro che, in buona fede, pensano di servire così la Chiesa. Una simile confusione rafforzerà, qualora si producesse, il lato « adflicta », arretrando oltre ancora nel tempo e negli spiriti l'emergenza di una commissione Summorum Pontificum che fosse più in accordo coi voti del Santo Padre.
(Traduzione a cura di Chiesa e post concilio)
21 commenti:
Fra i fautori della terza via ci sono vescovi come mons. Alliet( che lo ricordo ha passato tre anni nel cnc prima di diventare vescovo...), osannato dai tradizionalisti perchè non gli ripugna di celebrare la santa Messa Antica, è molto implicato nella direzione del Rito unico e nella modifica del Messale del 1962.
E' un rischio da cui ogni amante della Tradizione vorrebbe guardarsi; ma come?
Di questo passo, potrebbe essere un segno provvidenziale il mancato accordo della FSSPX. Anche se, a chi ama la Tradizione, nessuno potrebbe vietare di continuare a custodire il Messale del 1962, accordo o non accordo... nel qual caso, verrebbe fuori un altro "stato di necessità"...
"...senza arrivare al punto di pretendere che l'intrusione sia dello stesso tipo della rivoluzione protestante, bisogna constatare ahimè, che è in accordo con essa, fortunatamente in una dose minima, uno degli aspetti dell'eresia anti-liturgica evidenziata da dom Guéranger nelle Istituzioni liturgiche : « L'odio della Tradizione nelle formule del culto divino. » Nel caso di specie, non si tratta di un « odio » ma di una preferenza per le proprie scelte piuttosto che per quelle della Chiesa..."
Chiederei all'estensore di questa riflessione se non è una considerazione troppo soft e poco realistica la sua, avuto riguardo al disprezzo ed agli slogan ideologici di cui la Tradizione è fatta oggetto con sempre maggiore accanimento, ora soprattutto ai gradi più alti della Curia. E' difficile dimenticare le "ermeneutiche eretiche" recentemente coniate da Muller.
Le parole sembrano aver perso il loro peso per questa genìa di nuovi cattivi maestri, tranne per quello che essi vi attribuiscono arbitrariamente.
Il problema è che, pur rimanendo vigili, nulla possiamo nei confronti del modernismo imperante e sempre più scoperto. A meno che non ci arrivi qualche segnale diverso, al momento difficilmente prevedibile.
Si é cambiata la Messa per cercare di avvicinarci ai protestanti (quindi per cambiare la dottrina cattolica). Ora per cercare di ovviare ad un certo risveglio tradizionalista e per chiudere la partita si cerca di imbavagliare i più ingenui tra questi mutando i contenuti ma mantenendo la lingua latina e forse, parte del rito.
Non é la Messa che ci vogliono togliere, é la fede cattolica, la vera fonte della salvezza!
Appunto. Ragion per cui, come già dicevo, sarà bene cominciare a pensare fin d'ora dove affittare un garage...
Segnalo un interessantissimo studio di Mons. Antonio Livi, apparso oggi su La Bussola quotidiana, nel quale è spiegato il carattere ereticale dell'ermeneutica della discontinuità e della rottura, anche di parte tradizionalista, applicata al Concilio Vaticano II:
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-concilio-ecco-i-5-punti-fermi-5341.htm
a Torino venerdì 14 dicembre, alle ore 21.00,
al «Centro Incontro» di Corso Belgio 91,
e in seguito
A Seregno (MB) venerdì 21 dicembre, alle ore 21.00,
nella sala civica Monsignor Gandini di via XXIV Maggio
sarà proiettato il film storico:
Monsignor Lefebvre. Un vescovo nella tempesta
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Chi può andare non se lo perda. Finalmente una divulgazione in luoghi di pubblica fruizione, di un film-documento su colui che, per integrale fedeltà e obbedienza al mandato perenne di Cristo e amore alla Chiesa di cui fu pastore integerrimo, è persona che la storia non può più bypassare.
Ed è ora tutta da riscrivere, smentendo e smascherando la damnatio memoriae di regime, da cui il benemerito Vescovo fu colpito, e approdando finalmente alla giusta riabilitazione di un autentico Servo di Nostro Signore, umile suo testimone e Pastore zelante, scevro da ogni compromesso col potere e con lo spirito del mondo, che invece contamina gran parte della Chiesa docente, dal nefasto concilio 21.mo in poi, rendendo l'insegnamento dei pastori inefficace, scialbo, incomprensibile, confuso e confondente, (da cattedre sia alte che basse) e le pecore sempre più confuse e sfiduciate verso i pastori che non sanno neanche loro dove condurle (come dimostrato dall'art. più sotto, dove si rileva che oggi un eminente ecclesiastico, anche dotto e illustre -causa il suo omaggio intellettuale a Schelling anzichè a S. Tommaso e Padri della Chiesa, nonchè a Cristo-Verità eterna- ritiene fedeltà e tradimento essere cose equivalenti! e così anche gli hegeliani imperversano, ai Vertici, e la contraddizione permanente, eretta a sistema dialogico, corrompe il cuore stesso delle alte docenze, che continuano a franare....)
Tornare a Lefebvre, alla sua semplicità, alla sua fedeltà incorrotta alla Dottrina perenne, aliena dai compromessi ecumenisti con l'eresia, sarebbe salutare per tutti, specie i cultori di Schelling ed Hegel: li guarirebbe da idealismo e relativismo acuiti e cronicizzati.
(IL miracolo di una conversione può anche servirsi di un film istruttivo).
A proposito dell'articolo di Mons. Livi apparso su "La bussola" (cfr. segnalazione di Giuseppe)
vorrei osservare che è una accusa totalmente gratuita ed infondata quella di considerare i critici del concilio di parte tradizionalista esponenti della ermeneutica della rottura.
Mons. Livi non offre argomenti per defendere l'ortodossia del Concilio. Dice solo che fu validamente convocato dalla Santa Sede....
Va bene sono daccordo, ma non si può sostenere che fu condotto con vera imparzialità, ci furono imbrogli, trame, mosse contrarie alla legittima procedura..... Come quella di affossare contro il regolamento tutti gli schemi precedentemente preparati.
Per questa ed altre irregolarità non mi sento di dare il mio assenso in coscenza ad un concilio che contraddice in parecchi punti la dottrina tradizionale.....
Il magistero ha il dovere di spiegare chiaramente come le dottrine del concilio su alcuni punti sono effettivamente in continuità colla dottrina precedente.....
Stimo Mons. Livi ma il suo articolo non rende giustizia alla verità e alla ragionevolezza.
Aveva ragione Mons. Lefevre che intuì molto presto la grande sciagura che è stata per la Chiesa il Concilio e adesso smettiamola di parlare di questo concilio e torniamo a parlare di Gesù, della conversione delle anime e della lotta contro le forze sataniche che vogliono distruggere la fede cattolica, il sacerdozio cattolico, la Messa sacrificioincruento e la fede nell'eucarestia.....
don Bernardo
Segnalo un interessantissimo studio di Mons. Antonio Livi, apparso oggi su La Bussola quotidiana, nel quale è spiegato il carattere ereticale dell'ermeneutica della discontinuità e della rottura, anche di parte tradizionalista, applicata al Concilio Vaticano II:
Una trattazione molto "allineata", formulata con l'abilità dialettica che ci si può aspettare dall'autore di Vera e falsa teologia.
Ne riparleremo. Per ora mi limito ad una semplice osservazione.
Il nostro afferma:
L’unità di tutti nella fede della Chiesa viene a essere inficiata solo quando coloro che difendono una determinata interpretazione del dogma la assolutizzano, presentandola come l’unica possibile e giusta e giudicando di conseguenza le altre opinioni come vere e proprie eresie.
L'unico che può assolutizzare l'interpretazione del dogma è il Papa. Chi formula le sue perplessità su documenti conciliari che non sono vangelo né magistero infallibile in toto, non assolutizza necessariamente: fa delle ipotesi supportate da argomentazioni documentate. Finora nessun papa alle ipotesi più ricorrenti (che in fondo riguardano alcuni punti specifici) ha MAI risposto con una sua autorevole definitoria interpretazione, invocata da molte voci, ma non ancora determinatasi.
Nel famoso discorso del 22 dicembre 2005, il Papa si è limitato ad opporre alle due ermeneutiche contrapposte, quella della 'continuità' e quella della 'discontinuità', l'“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa; il che apre orizzonti di discussione a dir poco vertiginosi... E comunque questa è ancora una dichiarazione di principio, non si è determinata alcuna affermazione autorevolmente definitoria sui singoli punti controversi.
Al limite la divisione non è prodotta da alcune interpretazioni rispetto ad altre. E' semplicemente registrata perché c'è, proprio a causa del fatto che ci siano documenti, la cui ambiguità rende possibili interpretazioni plurime. Cosa che il Magistero perenne della Chiesa non ha mai reso possibile, proprio per la sua autorevolezza definitoria limpida ed inequivoca.
Per Livi - che in questo non sembra contestabile - è verità dogmatica "l'autorità dottrinale di un concilio ecumenico in quanto atto del magistero ecclesiatico che partecipa in qualche modo dell'infallibilità e quindi non può essere formalmente in errore in rebus fidei et morum".
Di conseguenza, l'autore considera eretica, "almeno materialmente", in quanto contiene un'affermazioni oggettivamente contraria alla fede della Chiesa, la posizione di chi afferma "che il Vaticano II ha insegnato una dottrina dogmatica e morale difforme o addirittura contraria alla tradizione, ossia in formale contraddizione con quanto insegnato dai precedenti concili ecumenici e dal magistero ordinario dei pontefici romani".
C'é da dire che Livi attribuisce questa eresia non genericamente ai tradizionalisti, ma ai "tradizionalisti più intransigenti", cioè ai lefebvriani che proprio per sostenere questo non hanno raggiunto l'accordo.
Vedremo se e come la situazione evolverà.
"l'autorità dottrinale di un concilio ecumenico in quanto atto del magistero ecclesiatico che partecipa in qualche modo (!?) dell'infallibilità e quindi non può essere formalmente in errore in rebus fidei et morum".
partecipa "in qualche modo" non è per caso il famoso linguaggio approssimativo inaugurato proprio dal concilio?
Esso non è in errore in rebus fidei er morum quando riprende e sviluppa senza innovare questioni passate o quando cita il Magistero perenne che soddisfa ai requisiti richiesti per l'infallibilità...
Ora è stato coniato, oltre al nuovo concetto di tradizione, anche il nuovo concetto di infallibilità. E dunque ci troviamo a discutere con gente che usa parametri diversi, entrati in campo proprio attraverso lo 'spirito del concilio', senza riconoscerne l'ambiguità: è questo il dramma...
E' tipico della strategia modernista usare parole tradizionali sventrate del loro contenuto e riempite con altro nuovo ed arbitrario.
Ma a volte il discorso è talmente sottile che è difficile riconoscerle, tranne che nei grossolani discorsi alla Muller o alla Koch...
Mi ricorda la neo-lingua di Orwell.
L'infallibilità mi risulta sia stata definita e sancita con la "Pastor Aeternus" con la quale il Beato Pio IX anatemizza chi le si voglia opporre.
Ora mi domando: è opporsi al dogma dell'infallibilità papale cercare di modificarne i contenuti nel senso di ampliarne la portata tale che l'infallibilità si applicherebbe come in questo caso ad un atto del magistero ecclesiastico quale i documenti di un concilio volutamente non dogmatico ?
E quale sarebbe questo " qualche modo" con cui sarebbe partecipata l'infallibilità ?
Non dimentichiamo poi che l'infallibilità è riferita al Papa.
Infine, le definizioni del Sommo Ponteficie infallibli, secondo la Pastor Aeternus, sono immutabili per sè stesse, mentre gli atti magisteriali del Concilio Vat. II proponendosi questo come aggiornamento nella forma della dottrina immutabile, mi pare abbiano già in sè la rinuncia all'infallibilità; poichè infatti l'aggiornamento voluto dal CVII significa un cambiamento, pur "limitato" alla forma, quindi un insegnamento che anche ammesso sia tale, nella forma non è uguale a quanto lo precedette e secondo la sua propria impostazione non lo sarebbe dovuto essere neppure rispetto a quanto lo avrebbe seguito. Ciò che è aggiornabile non è immutabile.
Ciò che è aggiornabile non è immutabile.
Questo è il punto esattamente!
Ma il problema è, in base al "nuovo soggetto-Chiesa", che mette da parte l'oggetto (Tradizione immutabile, trasformata in 'vivente' in senso storicistico), tutto ormai è mutevole e perciò stesso aggiornabile...
La stessa infallibilità della Chiesa è inseparabile dalla Rivelazione Divina oggettiva immutabile, che può esser solo meglio compresa, approfondita, ma mai innovata, come di fatto, invece e purtroppo sta accadendo...
Questo cambio di paradigma sta sfigurando il volto della Chiesa, ma non si riesce a metterlo in discussione perché, mentre ha estromesso i dogmi, paradossalmente sta diventando se già non è diventato il nuovo super-dogma!
In base a questo paradigma nuovo, nessuno dichiarerà mai formalmente che la "pastor Aeternum" è superata, ma -di fatto - si procederà come se lo fosse... E lo stesso vale per tutti i documenti del passato, che possono essere 'rivisti' con la coscienza di oggi, come se i progressi e le conquiste (innegabili) delle scienze umane possano essere applicate alle verità divine immutabili e modificarle! Quello che può cambiare è la nostra comprensione, non la verità... C'è un confine che neppure la scienza più avanzata e sofisticata può oltrepassare (pensiamo ai problemi della bioetica, ad esempio).
Il Modernismo con concetti astratti, adottati dalla cultura dominante, ha trasformato la vita e il pensiero cattolici.
Partendo dalla filosofia moderna, l'idealismo, il personalismo e la psicologia ideologica, il modernismo ha voluto adattare le verità della fede e la vita concreta dei cristiani, e così ha reso la vita cristiana, falsa, monca e quindi sterile.
Dalla Pastor Aeternus di Pio XI:
"... Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa.
Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema. "
Capito?
La presa di posizione di Livi fa pensare che alla linea-Muller, si stiano affiancando dei 'profeti' (di stampo consone ai tempi, s'intende)... Vedremo chi sarà il prossimo.
mic, perchè non replica ai "cinque punti" di Livi?
Lo farò appena posso. Perché non comincia lei? :)
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