Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 25 marzo 2017

don Elia. La scala del cielo

Nella città di Santa Fe, nel New Mexico, da quasi un secolo e mezzo si ammira un prodigio di falegnameria che attira ogni anno un quarto di milione di visitatori. La cappella di Loreto fu eretta nella seconda metà del XIX secolo per un gruppo di religiose francesi giunte sul luogo per aprirvi un collegio femminile. Una volta terminata la costruzione, ci si accorse però con disappunto che l’architetto (lo stesso che aveva progettato la cattedrale) aveva omesso un passaggio per accedere alla cantoria. Dopo una vana ricerca di soluzioni, la comunità decise di affidarsi a san Giuseppe con una novena. L’ultimo giorno, ecco presentarsi un uomo anziano, accompagnato da un asinello, che propone di costruire una scala in legno. I suoi soli attrezzi, una sega, un martello e una squadra. In capo a sei mesi, una magnifica scala a chiocciola era pronta e lo sconosciuto sparì senza chiedere un soldo e senza lasciare traccia di sé.

Ciò che da allora costituisce il principale motivo di meraviglia, tuttavia, è il fatto che quella scala è sprovvista del necessario pilastro centrale che le faccia da supporto; nessuno è finora riuscito a spiegare come possa reggersi. Per la sua costruzione, inoltre, non sono stati usati né chiodi né colla, ma solo pioli lignei. Il legno utilizzato per assemblare l’elegante spirale dalle curve perfette è così duro che non presenta segni di usura, nonostante l’intenso passaggio di persone; esso, oltretutto, non si trova nella regione, ma è di origine ignota. In breve, l’opera richiede una perizia e delle conoscenze talmente specializzate che non si capisce come un uomo solo, a quell’epoca, possa averla realizzata… a meno che non sia stato davvero – come la devozione delle suore e del popolo ha subito amato pensare – qualcuno che, per la sua saggezza, fu scelto per essere immagine viva del Padre celeste per il Figlio di Dio umanato e insegnargli un’arte raffinata, in qualche modo legata alla Sua missione sulla terra.

Il «figlio del carpentiere» (Mt 13, 55), in effetti, non apprese un “umile mestiere”, come tende a pensare una mentalità da “colletti bianchi” che squalifica a priori il lavoro manuale, ma una disciplina di estremo rigore, frutto di antica sapienza. Nei brevi anni della sua vita pubblica, Egli doveva costruire una scala che congiungesse la terra al cielo. La Chiesa visibile, con le sue strutture e istituzioni, avrebbe dovuto sfidare i millenni e resistere a tutti gli assalti. Ciò che la tiene in piedi, tuttavia, sfugge allo sguardo umano: non sono mezzi imponenti o smisurate risorse finanziarie – che, semmai, sono tarli che la rodono dall’interno. Il materiale da costruzione è terreno, certo, ma chi è nato dallo Spirito non si sa di dove venga (cf. Gv 3, 8). L’architetto e costruttore è lo stesso che ha progettato la spirale del DNA; un giorno si è presentato nella veste del servo, umile e discreto, ed è poi ripartito, a lavoro ultimato, senza chiedere nulla in cambio.

Chi, insieme con la sua purissima Sposa, ha avuto il compito sublime di educare umanamente quest’Uomo-Dio non poteva certo rimanere estraneo alla Sua opera. Anche se il suo ruolo nei confronti della Chiesa è stato riconosciuto in epoca tardiva, egli lo ha sempre esercitato. L’8 dicembre 1870 il beato Pio IX, in un’epoca particolarmente burrascosa, non a caso lo proclamò Patrono della Chiesa universale. A nessun santo, dopo la Vergine, si può attribuire un onore e una funzione del genere. La preghiera degli stessi Apostoli, che pure sono le colonne del mistico edificio, non ha sul Figlio di Dio un influsso pari a quello di colui sotto la cui autorità paterna Egli scelse di porsi. Quest’ultimo, quale uomo del silenzio, ebbe il singolare privilegio, condiviso con Maria santissima, di ascoltare quotidianamente, per lunghi anni, il Verbo incarnato, formandone in pari tempo l’umanità con la sapienza di cui era maestro.

Come non avere incondizionata fiducia nella sua intercessione a beneficio della Chiesa intera e delle singole anime? Non solo per le necessità materiali (come la mancanza di lavoro, che in questo periodo affligge tante famiglie), ma anche e soprattutto per quelle spirituali. Come non guardare, senza una colpevole omissione, al suo esempio luminoso di uomo giusto per imparare a praticare fedelmente i santi Comandamenti di Dio, onde poter arrivare, con l’aiuto della grazia, in cima alla scala del Cielo evitando di inciamparvi lungo l’ascesa e di precipitarne rovinosamente? Come non affidargli, congiuntamente alla Sposa, le famiglie in pericolo, i matrimoni sofferenti e i figli esposti a tante insidie? Ma, soprattutto, perché non richiedere il suo intervento a favore della barca di Pietro sbattuta dai flutti? Certo, essa è stata costruita dal “figlio del carpentiere” in modo tale da non poter affondare, ma chi è in essa rischia di esserne sbalzato fuori dalla furia del vento e delle onde. Non dubitiamo che, al momento fissato, Egli si alzi a placarla, ma nel frattempo siamo sballottati in modo così violento che abbiamo anche bisogno di essere rassicurati.

Con la sua fedele obbedienza, san Giuseppe cooperò – sebbene a tutt’altro livello rispetto alla Madonna – al compiersi dell’impensabile mistero dell’Incarnazione. Grazie alla sua disponibilità totale, esso si realizzò in modo onesto e ordinato; il Divino Bambino e la Vergine Madre trovarono in lui un vero capo-famiglia e lo strumento vivente della Provvidenza. Non per nulla «l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide chiamato Giuseppe» (Lc 1, 26-27). La sua dignità non è in qualche modo infinita, come quella della Madre di Dio a motivo – rileva san Tommaso – della Sua maternità, ma è senz’altro la più alta dopo quella di Lei. Il suo fiat non è stato esplicito come quello di Maria, ma è stato pronunciato con i fatti, mediante quelle opere in cui la sua fede si è compiuta. Impariamo da lui a obbedire attivamente a Dio sempre e in ogni cosa, anche quando ciò che comanda sembra troppo arduo nell’attuale cultura o ciò che ci chiede impossibile alle sole capacità umane.

4 commenti:

irina ha detto...

"Con la sua fedele obbedienza, san Giuseppe cooperò – sebbene a tutt’altro livello rispetto alla Madonna – al compiersi dell’impensabile mistero dell’Incarnazione."

Fedeltà, obbedienza, cooperazione. Sono tre virtù oggi dimenticate o malintese. Nessuno le insegna. Nessuno ne parla. Nessuno le esemplifica onestamente. I contrari vengono illustrati con parole e fatti. Infedeltà è intesa come fase del proprio sviluppo, la disobbedienza come manifestazione di carattere, la cooperazione come scambio lavoro/merce con denaro. Siamo tra il ribaltamento della virtù in vizio e l'accettazione del vizio come unica possibilità umana, da confessare forse, ma sulla quale non lavorare perchè l'uomo non ne è capace. Sì, protestantesimo. Intanto risuona alla memoria, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza. Non è stato per molti, solo, un bel verso poetico, nè un ideale, è stata una meta, un fine, un impegno preso con se stessi davanti a Dio, Uno e Trino, nel segreto della propria coscienza. Si vada al sodo, la vita è ben altra. Oggi, il sodo, è in modo particolare: fingere. Fingere di essere e smettere con tutti quegli sforzi per innalzare il bruto. Stupidaggini. Movimento. Mangiare, copulare, lavorare, qualche emozione tv-indotta o qualche discorso consolatorio per le folle, e l'esistenza è servita, senza lotta, senza lavoro, senza soldi, senza bambini, senza vecchi. La memoria non perdona,a egregie cose l'animo accendono l'urne dei forti, neanche più le urne accenderanno l'animo ad egregie cose. Deserto. Rimane la Fedeltà, l'Obbedienza, la Cooperazione, quella tra Giuseppe, Maria e Gesù, che indicano la Via.

Anonimo ha detto...

Su questa storia vera, uno scrittore americano negli anni '50 scrisse un romanzo, poi sceneggiato nel film "I gigli del campo" con Sidney Poitier. Bellissimo e "teologicissimo", da vedere.

PS Per i misteri del mondo che mai capiremo, lo stesso scrittore negli anni '70 scrisse una porcata stile "uccelli di rovo", poi regolarmente drammatizzata in film, magnificando un prete che tradisce il celibato e poi lascia il sacerdozio, ovviamente in contrasto con la "durezza" del suo vescovo. Qualcuno potrebbe rilevare che nel mezzo ci fu il CVII.

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Fabrizio Giudici

Anonimo ha detto...

https://www.youtube.com/watch?v=6v0974jLhU0&feature=youtu.be

"Ecco mio marito", il premier lussemburghese presenta il partner a Mattarella et alii

Anonimo ha detto...

http://www.annalisacolzi.it/consacrazioni-al-cuore-immacolato-di-maria/