Articolo pubblicato sul quotidiano La verità, a presentazione del libro di F. Agnoli, Il misticismo dei matematici, Cantagalli 2017.
Il legame tra matematica e misticismo è alle origini della matematica stessa. L’autore ripercorre in questo libro il lato mistico e metafisico del pensiero dei più grandi matematici da Pitagora ai giorni nostri dimostrando come il luogo comune, che considera inconciliabili la fede e la ragione, sia una costruzione artificiosa e inconsistente.
La Resurrezione e la spirale meravigliosa
del Nautilus, per Jakob Bernoulli
Tutti abbiamo in mente qualche frattale, quegli oggetti matematici autosimili tanto studiati dal matematico Benoît Mandelbrot (1924-2010), per il quale è straordinario capire come “meraviglie inesauribili zampillano da regole semplici… ripetute all’infinito“.
Penso ad esempio al cavolfiore o broccolo romano, un semplice ortaggio, così affascinante, in verità, per la sua forma globale che si ripete allo stesso modo su scale diverse (infatti ogni piccola cima del broccolo romanesco ha la forma di un piccolo broccolo).
Il primo a scoprire un frattale fu il matematico svizzero Jakob Bernoulli (1654-1705), iniziatore di una stirpe di matematici, i Bernoulli, che nel giro di tre generazioni ha dato ben otto matematici di fama mondiale.
Come è accaduto per molti dei grandi scienziati del passato, Jakob cominciò studiando filosofia e teologia, presso l’Università di Basilea. Si laureò così in filosofia nel 1671 e in teologia nel 1676, per poi dedicarsi alla matematica e contribuire “allo sviluppo della teoria delle probabilità, alla fondazione del calcolo e allo sviluppo delle sue applicazioni nella fisica e nella geometria” (Gustavo Ernesto Piñero, Bernoulli. Alla ricerca della legge dei grandi numeri, Milano, 2017).
Alla sua morte Bernoulli chiese di incidere sulla sua tomba, nella cattedrale di Basilea, una curva che lui stesso aveva definito “spirale meravigliosa“, e che è anche nota come “spirale logaritmica” o “spirale di Bernoulli” o “spirale di accrescimento” (purtroppo lo scalpellino incise non la spirale logaritmica, ma una spirale di Archimede).
Ciò che piacque al grande matematico, di questa spirale, non è solo il fatto che essa compia infiniti giri intorno all’origine, ma soprattutto che sia un oggetto complesso autosimile, cioè il primo frattale analizzato, “250 anni prima che si iniziasse a studiarli in modo diffuso”, grazie al già citato Mandelbrot.
La spirale logaritmica non è soltanto nella testa dei matematici, ma anche nella realtà fisica, dal macrocosmo al microcosmo: ad esempio in molte conchiglie come il Nautilus, nella disposizione del girasole, nella forma della coclea dell’orecchio (l’organo neuro-sensoriale uditivo, che ci permette di “sentire” la realtà dei suoni, e la eleganza eufonica della musica, che soggiace anch’essa ad ordinate leggi matematiche) … e nei bracci a spirale della Via Lattea…
L’astronomo Mario Livio ha scritto in proposito: “sembra che la natura abbia scelto questa armoniosa figura come proprio ornamento favorito”.
Per Bernoulli, come per Mandelbrot, infatti, gli oggetti matematici non sono invenzioni del matematico, ma sue scoperte, presenti nella natura armoniosa come armoniosi “pensieri di Dio“.
“Fu a causa della proprietà di auto-similarità - scrive il Piñero - che Bernoulli chiamò questa figura spirale meravigliosa, poichè in essa vedeva una metafora religiosa. Secondo Bernoulli, il fatto che una piccola parte della spirale ‘risorgesse’ uguale a se stessa era simile, secondo quanto afferma la religione cristiana, al giorno del Giudizio Universale, quando gli esseri umani risorgeranno dalle proprie ceneri”.
Bernoulli volle che la spirale sulla sua tomba fosse affiancata dalla scritta: Eadem mutata resurgo, cioè, all’incirca, “risorgo uguale eppure diversa”. Conoscendo la teologia, infatti, Bernoulli sapeva che la vita eterna non è un’altra vita, ma il compimento di questa stessa vita sulla Terra (Vita mutatur non tollitur).
C’è un’immagine che chiarisce l’immagine del grande matematico del Seicento: quella secondo cui la vita terrena è analoga alla vita intrauterina. Lì, quando eravamo nell’utero materno, già percepivano, seppure in modo indistinto, suoni, colori, sapori. Tutto in un modo incompleto, parziale, “come in uno specchio” direbbe San Paolo.
Certamente, se qualcuno ci avesse detto che saremmo, di lì a breve, usciti alla luce, e avremmo incontrato un mondo immensamente più ricco, vario, diverso, non avremmo capito: la luce? Gli alberi? Il cielo? Impossibile immaginare, ciò che non si è mai visto. Ebbene, se dopo la nascita suoni, colori, sapori… hanno assunto una maggior chiarezza, una maggior completezza, il Paradiso, la vita dopo la morte, dovrà essere proprio così: la nascita, dopo la vita intrauterina, dopo la vita terrena, ad una Vita veramente Completa. Come in una “spirale meravigliosa”, la medesima vita (eadem) cambia (mutata), perché via via si accresce (come nell’altra definizione di “spirale di accrescimento) - Fonte
C’è un’immagine che chiarisce l’immagine del grande matematico del Seicento: quella secondo cui la vita terrena è analoga alla vita intrauterina. Lì, quando eravamo nell’utero materno, già percepivano, seppure in modo indistinto, suoni, colori, sapori. Tutto in un modo incompleto, parziale, “come in uno specchio” direbbe San Paolo.
Certamente, se qualcuno ci avesse detto che saremmo, di lì a breve, usciti alla luce, e avremmo incontrato un mondo immensamente più ricco, vario, diverso, non avremmo capito: la luce? Gli alberi? Il cielo? Impossibile immaginare, ciò che non si è mai visto. Ebbene, se dopo la nascita suoni, colori, sapori… hanno assunto una maggior chiarezza, una maggior completezza, il Paradiso, la vita dopo la morte, dovrà essere proprio così: la nascita, dopo la vita intrauterina, dopo la vita terrena, ad una Vita veramente Completa. Come in una “spirale meravigliosa”, la medesima vita (eadem) cambia (mutata), perché via via si accresce (come nell’altra definizione di “spirale di accrescimento) - Fonte
8 commenti:
Ed è quello che si intende con classicità che i monaci medievali hanno salvato dall'oblio ed ulteriormente sviluppato coniugando teologia ed osservazione della natura con la quale ogni giorno lavoravano. Direi che la modernità in gran parte ha coperto gli occhi degli uomini, impedendo loro l'osservazione di ciò da cui l'essere umano aveva tanto imparato.
Fino al momento in cui la Chiesa è stata certa del suo Credo il sapere che lei diffondeva era divinamente ed umanamente uno, da quando ha cominciato a dubitare fortemente, da quando le vocazioni non sono state più santamente testate, la chiesa ha cominciato a dividersi in se stessa, da una parte la religione dall'altra lo studio della natura, fino a mettersi alla sequela del mondo eppoi fino a sentirsi in colpa perché il mondo andava avanti e lei restava indietro.
In realtà il suo restare indietro non dipendeva e NON DIPENDE tuttora dalla avanzata del mondo per la sua via, quanto piuttosto dall'aver lei stessa scisso la Fede dalla sua propria osservazione del mondo. Dalla diversità implicita nella osservazione della natura, nella quale il mondo osserva principalmente materia e meccanismo, mentre la Chiesa osservava il Creato, le creature, la Creatura e la Vita che permea ciascuno ugualmente e diversamente ad un tempo, da questa diversità di osservazione, di studio, di premesse ne è uscita vincente la scienza mondana con le deformazioni che ben conosciamo, mentre la chiesa avendo dimenticato il suo particolare ed ESSENZIALE, segue come ebete frastornata il mondo.
Questa cena [pasquale ebraica] dai molteplici significati Gesù celebrò con i suoi la sera prima della sua Passione. In base a questo contesto dobbiamo comprendere la nuova Pasqua, che Egli ci ha donato nella Santa Eucaristia. Nei racconti degli evangelisti esiste un’apparente contraddizione tra il Vangelo di Giovanni, da una parte, e ciò che, dall’altra, ci comunicano Matteo, Marco e Luca. Secondo Giovanni, Gesù morì sulla croce precisamente nel momento in cui, nel tempio, venivano immolati gli agnelli pasquali. La sua morte e il sacrificio degli agnelli coincisero. Ciò significa, però, che Egli morì alla vigilia della Pasqua e quindi non poté personalmente celebrare la cena pasquale – questo, almeno, è ciò che appare. Secondo i tre Vangeli sinottici, invece, l’Ultima Cena di Gesù fu una cena pasquale, nella cui forma tradizionale Egli inserì la novità del dono del suo corpo e del suo sangue. Questa contraddizione fino a qualche anno fa sembrava insolubile. La maggioranza degli esegeti era dell’avviso che Giovanni non aveva voluto comunicarci la vera data storica della morte di Gesù, ma aveva scelto una data simbolica per rendere così evidente la verità più profonda: Gesù è il nuovo e vero agnello che ha sparso il suo sangue per tutti noi.
La scoperta degli scritti di Qumran ci ha nel frattempo condotto ad una possibile soluzione convincente che, pur non essendo ancora accettata da tutti, possiede tuttavia un alto grado di probabilità. Siamo ora in grado di dire che quanto Giovanni ha riferito è storicamente preciso. Gesù ha realmente sparso il suo sangue alla vigilia della Pasqua nell’ora dell’immolazione degli agnelli. Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima – l’ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio. Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello – no, non senza agnello: in luogo dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue. Così ha anticipato la sua morte in modo coerente con la sua parola: “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso” (Gv 10,18). Nel momento in cui porgeva ai discepoli il suo corpo e il suo sangue, Egli dava reale compimento a questa affermazione. Ha offerto Egli stesso la sua vita. Solo così l’antica Pasqua otteneva il suo vero senso.
San Giovanni Crisostomo, nelle sue catechesi eucaristiche ha scritto una volta: Che cosa stai dicendo, Mosè? Il sangue di un agnello purifica gli uomini? Li salva dalla morte? Come può il sangue di un animale purificare gli uomini, salvare gli uomini, avere potere contro la morte? Di fatto – continua il Crisostomo – l’agnello poteva costituire solo un gesto simbolico e quindi l’espressione dell’attesa e della speranza in Qualcuno che sarebbe stato in grado di compiere ciò di cui il sacrificio di un animale non era capace. Gesù celebrò la Pasqua senza agnello e senza tempio e, tuttavia, non senza agnello e senza tempio. Egli stesso era l’Agnello atteso, quello vero, come aveva preannunciato Giovanni Battista all’inizio del ministero pubblico di Gesù: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29). Ed è Egli stesso il vero tempio, il tempio vivente, nel quale abita Dio e nel quale noi possiamo incontrare Dio ed adorarlo. Il suo sangue, l’amore di Colui che è insieme Figlio di Dio e vero uomo, uno di noi, quel sangue può salvare. Il suo amore, quell’amore in cui Egli si dona liberamente per noi, è ciò che ci salva. Il gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l’immolazione dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempio.
(Papa Benedetto XVI - dall’Omelia pronunciata durante la S. Messa nella Cena del Signore presso la Basilica di San Giovanni in Laterano, 5 aprile 2007)
Un salutare e interessante intermezzo.
Bernouilli credeva che i matematici scoprissero nella natura caratteri matematici ad essa inerenti, non quindi inventati da loro.
Anche Galileo credeva la stessa cosa, quando diceva che la natura era scritta in caratteri matematici. Nell'ultima sua opera stabilì che un corpo non può ingrossarsi o estendersi all'infinito, p.e. il corpo di un cane. Questo perché c'è in questo corpo una proporzione intrinseca tra le ossa, la muscolatura, lo scheletro, esprimibile matematicamente, che verrebbe violata dall'estensione all'infinito, col risultato di far crollare il corpo che la subisse.
In astronomia si sostiene oggi che il Sole è una stella di una certa grandezza mediana ragion per cui ce ne sono di molto più grandi. Ma quanto più grandi? All'infinito più grandi? No. Dicono gli astronomi (cito a memoria) che non possono essere più di 12 volte più grandi, altrimenti collasserebbero su stesse. Lo stesso principio sostenuto da Galileo, applicato ai corpi celesti?
Il rapporto tra crescita e forma non può essere affidato ad una cieca evoluzione e quindi al caso. Come ha dimostrato in un famoso libro D'Arcy W.Thompson, "Crescita e forma", 1961, CUP, tr. it. Boringhieri, 1969, "in generale, non esistono altre forme organiche oltre a quelle che rispettano le leggi fisiche e matematiche" (p. 14).
Ma queste leggi, stabilite dal Creatore, le si vede all'opera per attuare un'idea, per esempio di quell'albero da quel determinato seme, contenuta nel seme in potenza poi attuatasi nelle opportune condizioni; cosa impossibile a spiegarsi in base al principio del caso che sarebbe capace di costruire la forma del vivente già come idea destinata a realizzarsi nella materia (la causa formale di Aristotele).
Dal cieco caso solo il perpetuarsi del caos primordiale si può avere.
Z.
Grazie! Articolo stupendo ...
“Noi studiamo gli organismi, o almeno delle loro parti, come se fossero stati creati, come se fossero stati progettati, e poi cerchiamo di trovare le loro funzioni. Una mentalità finalistica – teleologica – è appropriata in biologia, per il semplice fatto che gli organismi sembrano essere stati costruiti, sembrano essere stati creati da un’intelligenza” (Michael Ruse - Darwin and Design - Does Evolution have a purpose? - Harward University Press 2003)
Salvatore Canto
Mi ripromettevo di regalane varie copie, peccato che questo libro non si trovi piu'in commercio, perche' trovo che sia utile per meditare.
Gia' da tempo riflettevo sulla bruttezza che ci circonda : dall'arte, all'architettura, ai salotti "triviali"televisivi,alle urla dei vari "invitati", agli sbertucciamenti degli stessi. Sommersi da discorsi stupidi,da sampa stupoida e bugiarda, vana,triviale,allusiva, diseducativa (Come, letto in internet, la grande festa per il "non matrimonio" di un individuo 80enne con una 30enne). Purtroppo Il privilegio del brutto non ha risparmiato tutte le 2000 Chiese costruite dai progressisti a Roma (anche e specialmente sotto il Card.Ruini e seguenti)senza che nessuno dei responsabili avesse da ridire per far rispettare i canoni classici fissi stabiliti per la costruzione di Chiese. A questo riflettevo mentre nella mia Chiesa parrocchiale ad un'unica aula,moderna,brutta,mi soffermavo sulle formelle bruttissime che vorrebbero illustrare la Passione di NSGC e che a nulla compassione invitano.Sono formelle con disegni a carboncino, un misto tra i disegni di Mons.Rupnik (vedi mosaici di S.Giovanni Rotondo)e i disegni africani, piatti, inesprissivi, anaffettivi. Purtroppo, anche tutto questo influisce sull'anima nel senso che non la eleva. Al contrario soffermandosi sulla bellezza di un cavolo romanesco immediatamente si pensa al Creatore..
La bruttezza delle chiese costruite dalla Chiesa del Post-Vaticano II esprime la bruttezza della liturgia del Novo Ordo Missae imposto da Paolo VI. Tutto concorda.
Una piattezza, una bruttezza che vengono dall'Avversario.
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