Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 26 settembre 2014

Il corpo dell'anima

Léon Bertoletti. Tre interrogativi attuali a un teologo vigile [qui].

Allievo di Étienne Gilson, monsignor Antonio Livi vanta un itinerario speculativo tra Filosofia del senso comune (1990) e Metafisica e senso comune (2010). Professore emerito di Filosofia della conoscenza nell'Università Lateranense, presidente dell'Unione apostolica "Fides et ratio" e dell'ISCA (International Science and Commonsense Association), è direttore editoriale della Casa Editrice Leonardo da Vinci.
Osservatori intelligenti rilevano incertezza, tra i cattolici odierni, riguardo l'essenza della fede cristiana. È la lotta alla povertà, la carità, l'impegno sociale o altro?
«Se mi permette, le faccio osservare che la domanda (con l'accenno a "osservatori intelligenti" e "l'incertezza tra i cattolici odierni") presuppone un approccio ai problemi attuali della Chiesa che io chiamerei "sociologico" piuttosto che teologico, anche se ciò di cui si vuole parlare è "l'essenza della fede cristiana". Quello sociologico (in questo caso si tratta di sociologia della conoscenza) è un tipo di approccio indubbiamente legittimo; esso viene praticato con grande competenza da tanti valenti studiosi cattolici, tra i quali l'amico Massimo Introvigne, ma io lo ritengo troppo riduttivo quanto alla materia della ricerca e troppo incerto quanto ai risultati dell'indagine. La sociologia come tale - e non solo la sociologia religiosa - pretende di fornire un'immagine oggettiva dei fenomeni sociali; ma la società è una realtà troppo complessa e troppo dinamica per poter essere oggetto di una scienza, sia pure una scienza umana o sociale. Anche la scienza della natura si trova in gravi difficoltà quando deve affrontare quelle che l'epistemologia chiama "strutture complesse" e tenta di dar vita a nuove "scienze della complessità" (Giorgio Israel). La Chiesa può ben dirsi una realtà complessa: sia perché gli eventi e le situazioni che la sociologia religiosa può rilevare e valutare sono ben poca cosa rispetto a ciò che avviene lì dove un osservatore esterno non può arrivare a vedere. Non mi riferisco solo all'azione invisibile dello Spirito o ad altri aspetti della dimensione propriamente divina, dunque trascendente, della Chiesa; mi riferisco anche alle dinamiche della vita di fede, che determinano direttamente, momento per momento, la situazione spirituale della Chiesa. E sono dinamiche che appartengono interamente all'interiorità dei singoli fedeli. I segni esterni di queste dinamiche sono ambigui, quando non ingannevoli».

Una premessa metodologica.
«Detto questo, rispondo alla domanda. Ogni cattolico che abbia un po' di formazione religiosa e di frequenza dei sacramenti ha ben chiaro che l'essenza del cristianesimo sta nella missione di Cristo nel mondo. Cristo è Dio che è venuto nel mondo per portare agli uomini la salvezza, ossia la redenzione dal peccato e la possibilità di raggiungere il fine ultimo per il quale tutti noi siamo creati, ossia la vita eterna nella gioia del Signore. Lo ha ricordato papa Francesco già nel titolo della sua esortazione apostolica Evangelii gaudium. Infatti il Vangelo è essenzialmente un annuncio di gioia perché ci fa conoscere la salvezza che Cristo ci offre e la speranza della vita eterna cui siamo destinati. Poi il Vangelo ci ricorda che non possiamo vivere da figli di Dio in Cristo se non trattiamo il nostro prossimo come fratelli: e qui interviene l'esigenza di sovvenire sempre, dovunque sia, alle necessità del prossimo. Ma la fraternità e la solidarietà restano esigenze irrealizzabili se il cristiano non cresce incessantemente nell'amore di Dio e nell'unione con Lui attraverso la propria personale conversione e la pratica delle virtù cristiane. Per questo un cattolico che abbia un po' di formazione religiosa e di frequenza dei sacramenti non scambia la missione divina della Chiesa di Cristo con la missione umana di una qualsiasi onlus, ossia di una "organizzazione non lucrativa di utilità sociale". Quanti siano poi i cattolici che abbiano le idee chiare in proposito, nessuna indagine sociologica ce lo dirà con esattezza. Comunque, a ciascuno di noi Dio non chiede di sapere chi sono e quanti sono attorno a lui i veri credenti, al di là delle apparenze: chiede piuttosto di impegnarsi con tutte le energie della propria anima per essere lui per primo un vero credente, uno che conosce e attua nella sua vita l'essenza del cristianesimo. Così facendo, ciascuno di noi è anche testimone e propagatore della vera fede nel proprio ambiente familiare e di lavoro. Poco importa che sia o non sia consapevole del suo effettivo servizio al Vangelo e che possa o meno misurare l'efficacia della sua testimonianza». 

Secondo il fondatore di un quotidiano laico, papa Francesco ha "abolito il peccato" (Eugenio Scalfari, La Repubblica, 29 dicembre 2013). Alcuni indirizzi pastorali, con inevitabili ricadute dottrinali, non segnalano piuttosto il rischio di un'abolizione dell'anima a favore delle esigenze del corpo?
«Alla luce di quanto dicevo prima, non si può parlare di esigenze dell'anima contrapposte a quelle del corpo. L'antropologia cristiana vede chiaramente nell'uomo l'unità sostanziale, sintetizzata nella nozione metafisica di "persona". Ragione per cui le esigenze della persona sono quelle che Dio ben conosce, essendo Egli il nostro creatore, e che "mette in sicurezza" con l'opera della Redenzione operata da Cristo con la sua incarnazione, vita, morte e resurrezione. La prima esigenza è di rimediare ai disastri che il peccato dell'uomo produce nell'individuo e nelle società che l'uomo viene formando (famiglia, Stato, Chiesa). Sant'Agostino ha scritto: "Tutto ciò che nel mondo c'è di male, o è direttamente un peccato oppure è un effetto del peccato". Certamente papa Francesco non ha detto a Scalfari il contrario: è lui che ha voluto far finta di aver sentito questo dalle labbra di questo papa. Il quale, tra l'altro, non fa che condannare le "strutture di peccato" che si vedono nella società odierna, e per questo ha esplicitamente parlato di "tratta degli uomini", di "interessi economici a favore della guerra", di "mafia", di "indifferenza nei confronti di chi soffre e di chi è nella miseria" eccetera. E soprattutto ricorda ai cristiani e a tutti gli uomini (anche a Scalfari) che Dio è misericordioso, proprio perché vuole perdonare tutti, rimettendo a ciascuno i suoi peccati. E la prima condizione per essere perdonati da Dio è riconoscere onestamente di aver peccato. Questa è la funzione della coscienza». [Sì. Ma il Papa questo non lo ha detto in termini chiari e precisi, ma a spezzoni che ognuno può interpretare come gli pare]

Il cattolicesimo è religione materialista, sosteneva Romano Guardini. Le sembrerebbe deriva, adesso, un materialismo e individualismo cattolico dove i bisogni sociali, i gusti personali, le scelte singole, le preferenze e le inclinazioni valgono più delle verità di fede, forgiate da secoli di tradizione?
«Di "materialismo cristiano" hanno parlato, e con buone ragioni teologiche, molti pensatori cattolici del Novecento. Perché l'antropologia cristiana è basata ovviamente sull'unità psicosomatica della persona umana, sull'importanza di ciò che è materiale nella vita umana, anche in vista della necessità di non confondere la spiritualità cristiana con lo spiritualismo pagano, sia antico che moderno. Poi c'è la ragione teologica più decisiva, ed è il fatto che la fede cristiana professa il mistero dell'Incarnazione, ossia della presenza del Figlio di Dio fatto Uomo nella realtà materiale del nostro mondo e nella storia materiale di noi uomini in carne e ossa. Dal dogma dell'Incarnazione discende poi anche la teologia dei sacramenti della salvezza e la teologia della liturgia. Ma tutte queste dimensioni concrete del "materialismo cristiano" sono pensate dalla teologia cattolica per inculcare nella coscienza dei cattolici [cosa che la grazia santificante coniugata con la buona volontà rende possibile] la necessità di utilizzare tutte le risorse materiali della propria vita per l'opera di santificazione [appunto: questo è il fine per la propria e altrui salvezza e  ad maiorem Dei gloriam] alla quale sono chiamati in virtù del Battesimo, che li ha "incorporati" a Cristo. Ecco che allora tutti gli aspetti materiali della vita (pensiamo alla necessità di alimentare, vestire e curare se stessi e gli altri, come anche all'esercizio della sessualità nel matrimonio) sono realtà da vivere in unione con Cristo, e dunque da santificare con l'amore di Dio e del prossimo, il che implica sempre la disponibilità di ciascuno alla pratica delle virtù cristiane, a cominciare dalla sobrietà personale e dalla disponibilità a condividere con gli altri i propri beni materiali».
(Settembre 2014)

6 commenti:

mic ha detto...

La pratica delle virtù cristiane, insieme alla sobrietà, esige, oltre a consentirlo, di condividere con gli altri sia i beni materiali che quelli spirituali.

mic ha detto...

Opportuno e più che necessario, oggi, l'aggancio della pratica all'esercizio - e dunque all'acquisizione - delle virtù di fede attinte dalla vita sacramentale in quanto è evidente il rischio di cadere nei meccanismi sociologici o ideologici in auge nei diversi momenti storici o negli orientamenti personali dei pastori..

viandante ha detto...

Cristo è Dio che è venuto nel mondo per portare agli uomini la salvezza, ossia la redenzione dal peccato e la possibilità di raggiungere il fine ultimo per il quale tutti noi siamo creati, ossia la vita eterna nella gioia del Signore.

Tutto molto bello ma credo che si debba essere molto più concreti, perchè altrimenti ci limitiamo solo e sempre all'annuncio evangelico, importante ma non sufficiente. Come ha portato la salvezza? C'è l'ha portata soffrendo sulla croce e dandoci la possibilità di usufruire degli infiniti meriti così acquisiti accostandoci ai sacramenti che la Chiesa ci propone, che la Chiesa ci deve proporre se non vuol mancare alla sua missione. Il risultato è la nostra santificazione e questa ci permette di aiutare anche gli altri.
Evidentemente si possono fare molte sottili precisazioni, ma a livello catechetico credo che questo sia l'essenziale.

Anonimo ha detto...

Questo teologo ragiona bene. Ma non serve solo ragionare bene poiché il Cristianesimo si irradia con la santità, non tanto con le parole. Certamente la base è rappresentata da un "ragionar retto". Ma se questa base non c'è (lo vediamo nei discorsi ambigui quando non sghembi dell'attuale papa), dove si pensa mai di andare?
Evidentemente ai signori cardinali che hanno eletto Bergoglio andava bene così, non una persona di altra caratura...

Luís Luiz ha detto...

Romano Guardini è un grande e ammirevole teologo, ma questa idea de cattolicesimo materialista mi sembra una perversione del tomismo, con gravi effetti sulla comprensione del problema della sessualità. Quando si ha la felicità di leggere i vecchi testi ascetici del cattolicesimo tridentino, si vede con chiarezza che il fondamento della spiritualità è la lotta tra la carne e lo spirito, lotta che è oscurata da simili materialismi. Nei nostri giorni di sodomia pandemica anche nella Chiesa e nel Vaticano (notizie del lobby gay?), non mi sembra una scelta salutare.

mic ha detto...

In effetti, Luiz, ho letto dei testi di Guardini che mi hanno entusiasmata. Ma neppure lui è esente da germi di cambiamento avventuroso...