Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 11 giugno 2015

Don C. Nitoglia. Papa Onorio I ha favorito l'eresia. La lezione da trarne nei nostri tristissimi tempi

PAPA ONORIO I
La lezione da trarne nei nostri tristissimi tempi

Papa Onorio ha favorito l’eresia

Il «bizantinismo per il quale il sì non è mai un sì, ma un “ni” o un “so”» di Sergio I patriarca di Costantinopoli, secondo mons. Umberto Benigni[1], lo spinse a scrivere una prima Epistola nel 634 in cui non menzionava uno o due modi di operazione in Cristo, ma si contentava di affermare che un Solo Verbo divino è soggetto di tutte le operazioni umane e divine del Dio/uomo.

Sergio poi scrisse a papa Onorio I che per ricondurre alla Chiesa romana i monofisiti (i quali sostenevano che vi era una sola natura divina in Cristo) e i monoteliti (secondo i quali in Cristo vi era una sola volontà, quella divina, negando quella umana) occorreva smussare gli angoli e addolcire le formule dogmatiche. Quindi sarebbe stato meglio parlare di “due nature distinte, ma di una sola operazione”. Questa formula era perlomeno ambigua e rappresentava una forma di monotelismo mascherato o non esplicito.

Papa Onorio I (625-628) sottoscrisse in una prima Lettera (Epistula Scripta fraternitatis ad Sergium Patriarcam constantinopolitanum, anno 634, DS 487) la Dichiarazione preparata nell’Epistola volutamente ambigua dal patriarca di Costantinopoli Sergio I (610-638), uomo più di corte imperiale che di Chiesa, nella quale si affermava una sola operazione in Gesù - pur nelle due nature (umana e divina) - e quindi implicitamente l’unicità della Sua volontà divina, negando praticamente la Sua volontà umana.

Papa Onorio, imprudentemente e bonariamente, approvò e firmò l’Epistola di Sergio senza definirla né obbligare a crederla, anzi l’attenuò aggiungendo ad essa, in una seconda Lettera, l’espressione, tuttavia ancor troppo vaga, dell’esistenza in Cristo di “due nature (umana e divina) operanti secondo le loro diversità sostanziali” (Ep. Scripta dilectissimi filii ad eundem Sergium, anno 634, DS 488[2]), cioè affermò l’unità morale e non fisica delle due volontà in Cristo, nel Quale vi sono realmente due volontà (umana e divina) e quella umana è moralmente uniformata a quella divina.

Le espressioni di Onorio erano ambivalenti e quindi l’interpretazione eterodossa dei monoteliti di una sola volontà fisica e divina in Cristo era possibile. Il Papa parlava del Verbo Incarnato in cui sussistono due nature, ma lasciava intendere - pur non scrivendolo positivamente ed esplicitamente - che vi potesse essere in Lui una sola volontà. Tuttavia Onorio non scrisse apertamente di una sola volontà divina reale e fisica, ma lasciava capire che in Cristo vi fosse una volontà umana “morale”, ossia subordinata e uniformata “moralmente” a quella fisica divina.

La Chiesa cattolica orientale (con i suoi Vescovi e teologi) lesse la frase di Onorio in senso eretico, mentre quella latina (S. Massimo di Torino) cercò di salvare Onorio e lesse la sua Epistola in senso ortodosso: una volontà umana fisica e reale subordinata moralmente a quella fisica divina in Cristo. Papa Giovanni IV (640-642)  scrisse  nel 641 la famosa Apologia pro Honorio Papa, in cui difese spassionatamente Onorio che non era formalmente eretico, ma non aveva condannato con decisione l’errore di Sergio e il monotelismo avendo, così, favorito l’eresia[3]. Infatti implicitamente Onorio ammetteva l’esistenza di un agire e di una volontà (fisica o reale) umana in Cristo.

Ora papa S. Martino I (649-655) in un Concilio romano particolare, riunito in Laterano nel 649, aveva definito la dottrina delle due volontà e della duplice azione in Cristo. Nel III Concilio ecumenico di Costantinopoli (680-681) papa S. Agatone (678-681) il 28 marzo del 681 definì che in Cristo vi sono due volontà e due azioni (la divina e l’umana) e condannò papa Onorio per aver aderito imprudentemente all’eresia (DB 262 ss. / DS 550 ss.) senza specificare se si trattasse di eresia materiale o formale. Ma  nel Decreto di ratifica del Concilio Costantinopolitano III papa S. Leone II (682-683) specificò il 3 luglio 683 (DB 289 ss. / DS 561 ss.) i limiti della condanna di Onorio, che “non illuminò la Chiesa apostolica con la dottrina della Tradizione apostolica, ma permise che la Chiesa immacolata fosse macchiata da tradimento” (DS 563). Onorio, quindi, si era macchiato di eresia materiale ed aveva favorito l’eresia.

Vale a dire Onorio non era stato positivamente o formalmente eretico, ma vittima dei raggiri di Sergio, cui imprudentemente e negligentemente aveva acconsentito senza impegnarsi nella difesa della dottrina cattolica ortodossa. Perciò S. Leone II condannò Onorio più per la sua negligenza che per una consapevole eterodossia.

Inoltre Onorio non aveva definito né obbligato a credere la tesi di una sola azione in Cristo contenuta nell’ambigua Dichiarazione dell’Epistola di Sergio a lui inviata. Quindi Onorio non aveva voluto essere assistito infallibilmente in tale atto, ma aveva utilizzato una forma di magistero autentico “pastorale e non infallibile”[4]. Perciò egli aveva potuto sbagliare, anche se per ingenuità e mancanza di fortezza, ma senza infrangere il dogma (definito poi dal Concilio Vaticano I) della infallibilità pontificia, come invece sostennero i protestanti nel XVI secolo e la setta dei “vecchi cattolici” nel secolo XIX. In breve Onorio aveva favorito l’eresia peccando, così, gravemente, ma non era stato eretico.

Questo dimostra:
  1. che il Papa nel magistero non infallibile può eccezionalmente errare (com’è successo nel Concilio pastorale Vaticano II, il quale non ha voluto definire dogmaticamente);
  2. che esiste un magistero infallibile solo a quattro condizioni. se il Papa:
    1. parla come Pastore universale;
    2. in materia di fede e di morale;
    3. definisce una dottrina;
    4. da credersi obbligatoriamente per salvarsi ovvero sotto pena di dannazione;
  3. che non sempre il Papa è infallibile in ogni suo insegnamento ed infine 
  4. che, se il Papa erra nel magistero non infallibile non inficia l’infallibilità pontificia, la quale sussiste solo alle suddette quattro condizioni[5].
Come saggiamente conclude il professor Antonio Sennis, “è difficilissimo e non utile definire con certezza le reali intenzioni di Onorio” (AA. VV., Enciclopedia dei Papi, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, 1° vol., voce Onorio I, a cura di Antonio Sennis, p. 589).

S. Pietro e l’incidente di Antiochia

Già nel 50 d. C., al Concilio di Gerusalemme, si assisté ad un fatto analogo a quello di Onorio e “contro il fatto non vale l’argomento”. Infatti è divinamente rivelato che San Pietro ad Antiochia si comportò in maniera riprovevole  e San Paolo lo rimproverò. Quindi la Gerarchia può eccezionalmente errare e in tal caso si può lecitamente resistere ad essa pubblicamente, ma con il rispetto dovuto all’Autorità.

Questo incidente “riprovevole” è divinamente Rivelato[6] in S. Paolo (Epistola ai Galati, II, 11), il quale afferma: «Ho resistito[7] in faccia a  Pietro,  poiché era reprensibile[8]»[9]. Secondo S. Agostino e S. Tommaso, S. Pietro peccò venialmente di fragilità nell'osservare le cerimonie legali dell’Antico Testamento, per non scandalizzare i giudei convertiti al Cristianesimo, ma provocando così lo scandalo dei cristiani provenienti dal paganesimo convertitisi al Vangelo. E secondo la divina Rivelazione vi fu una resistenza pubblica di Paolo verso Pietro, primo Papa[10].

Quindi S. Pietro non errò contro la Fede, come sostennero erroneamente gli anti-infallibilisti durante il Concilio Vaticano I, anche se con il suo agire commise un peccato veniale non di proposito deliberato, ma di fragilità a differenza di Onorio che peccò gravemente. 

Dunque Pietro peccò solo venialmente e di fragilità, ma, quando Paolo gli resistette in faccia e pubblicamente (Epistola ai Galati, II, 11), Pietro ebbe l’umiltà di correggere il suo errore di comportamento che avrebbe potuto portare all’errore dottrinale dei Giudaizzanti. Non si può negare la resistenza di Paolo a Pietro perché è divinamente Rivelata: “Resistetti in faccia a Cefa, poiché era reprensibile […] alla presenza di tutti” (Galati, II, 11, 14)[11].  

La situazione attuale

Oggi di fronte al cataclisma spirituale del Concilio Vaticano II e del post-concilio (specialmente con papa Francesco I) vi sono due errori (per eccesso e difetto) da evitare.

Il primo errore per eccesso, sostiene che occorre obbedire sempre  a tutto ciò che il “clero” o la Gerarchia fa e dice, anche solo pastoralmente e non dogmaticamente[12]. Per cui S. Paolo avrebbe sbagliato a “resistere in faccia a S. Pietro” (oppure si cerca di negare e diminuire al massimo il fatto di Antiochia) e S. Agatone, S. Leone II e Giovanni IV avrebbero errato nel condannare l’arrendevolezza che favoriva l’eresia (e non l’eresia formale) di papa Onorio e si scusa completamente l’errore materiale di Onorio I. Ma ciò è contrario alla divina Rivelazione e ai pronunciamenti dogmatici del Magistero papale. 

Il secondo errore per difetto, asserisce che la Gerarchia deve essere sempre infallibile e quindi è impensabile che sbagli e che si possa non seguirla semper et ubique, perinde ac cadaver. Per questo secondo errore sarebbe più riprovevole il comportamento di S. Paolo che di quello di S. Pietro riguardo ai giudaizzanti, come quello di Agatone, Leone II e Giovanni IV più di quello di Onorio I. Ma la S. Scrittura, la Tradizione e il Magistero smentiscono anche questo. 

I casi di Cefa e Onorio non devono farci perdere né il rispetto nei confronti del magistero puramente autentico e non definitorio o obbligante della Chiesa né la fede in quello infallibile, come non devono neppure farci fare del magistero anche non-infallibile un Assoluto e una specie di divina Rivelazione. 

Conclusione

In questi tempi di confusione, giunta persino al vertice della Chiesa, dobbiamo 
  1. attendere con pazienza il ristabilimento della chiarezza senza fretta di un riconoscimento giuridico, il quale rischierebbe di compromettere la professione pubblica di tutta la Fede senza annacquamenti, e la condanna di tutti gli errori (compresi quelli del magistero non infallibile del Concilio Vaticano II e del post-concilio da Paolo VI a Francesco I); 
  2. non perdere la fiducia nel Papato, poiché la Chiesa Cristo l’ha fondata su Pietro e i suoi successori, non sui “profeti del XX secolo”, sui “Vescovi di ferro” o sui “teologi scolastici”; 
  3. non annullare la Gerarchia (Papa e Episcopato subordinato in atto), il Sacerdozio e i Sacramenti  (non si tratta della sola Cresima, ma oggi alcuni mettono in dubbio tutti i Sacramenti posteriori al 1968) poiché significherebbe distruggere la Chiesa come Cristo l’ha voluta: fondata su Pietro e gli Apostoli a lui subordinati e fornita di un Sacerdozio eterno dispensatore dei Sacramenti sino alla fine del mondo; 
  4. continuare  a fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto prima che l’errore e la confusione penetrassero nella quasi totalità dall’ambiente ecclesiastico (S. Vincenzo da Lerino, Commonitorium, III, 5);
  5. pregare e far penitenza per ottenere l’aiuto di Dio che solo può mettere riparo ad una situazione talmente grave che sorpassa le forze puramente umane e angeliche[13]…  e soprattutto 
  6. non rompersi la testa in questioni che sarebbe “difficilissimo e non utile definire con certezza” (A. Sennis, cit., p. 589). 
d. Curzio Nitoglia
_________________________
1. Storia sociale della Chiesa, Milano, Vallardi, 1922, vol. III, pp. 436-437.
2. In questa seconda Epistola il testo originale latino di Onorio è andato smarrito, si possiede solo la traduzione in greco e una ritraduzione postuma in latino del 680 (AA. VV., Enciclopedia dei Papi, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, 1° vol., pp. 585-590, voce Onorio I, a cura di Antonio Sennis).
3. M. Greschat – E. Guerriero, Il grande libro dei Papi, Cinisello Balsamo, S. Paolo, 1994, 1° vol., pp. 121-125, AA. VV. I Papi, Milano, Tea, 1993, pp. 34-37.
4. Cfr. Enciclopedia dei Papi, cit., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, 1° vol., pp. 585-590, voce Onorio I, a cura di Antonio Sennis.
5. Cfr. Pio XII, Enciclica Sempiternus Rex, 8 settembre 1951; G. Voisin, L’Apollinarisme, Lovanio, 1901; M. Jugie, in D. Th. C., voce Monothélisme; Id., in D. Th. C, voce Monophisisme; E. Amann, in D. Th. C, voce Honorius I; J. Lebon, Le monophisisme sévérien, Lovanio, 1909; P. Parente, L’Io di Cristo, III ed., Rovigo, Istituto Padano di Arti Grafiche, 1981.
6. Con Assistenza divina e conseguente Inerranza biblica.
7. ‘Resistere’, dal latino ‘re-sistere’, restare saldo o fermo davanti a qualcosa o qualcuno che ci si oppone, senza lasciarsi abbattere. Fare uno sforzo contrario, che permette di opporsi all’azione di qualcuno o qualcosa (N. Zingarelli, Vocabolario della Lingua italiana).
8. ‘Reprensibile’, dal latino ‘re-prehendere’, degno di essere rimproverato, biasimato, corretto, disapprovato, criticato, ammonito come erroneo (N. Zingarelli, ivi).
9. «La frase “era reprensibile” (della Vulgata) da alcuni esegeti è tradotta […] “messo dalla parte del torto”. È spiegato il fallo o il torto di Pietro, fallo definito con ogni precisione già da Tertulliano come sbaglio di comportamento non di dottrina” (De praescriptione haereticorum, XXIII)» (G. Ricciotti, Le Lettere di S. Paolo, Coletti, Roma, 1949, 3ª ed., pp. 227-228).
10. È vero che secondo Tertulliano il peccato di Pietro fu uno “sbaglio di comportamento non di dottrina” (De praescr. haeret., XXIII). Tuttavia “Per S. Agostino Pietro commise un peccato veniale di fragilità, preoccupandosi troppo di non dispiacere ai giudei convertiti al Cristianesimo ...” (J. Tonneau, Commentaire à la Somme Théologique, Cerf, Paris, 1971, p. 334-335, nota 51, S. Th., III, q. 103, a.4, sol. 2). Secondo S. Tommaso d’Aquino “sembra che Pietro sia colpevole di uno scandalo attivo” (Somma Teologica, III, q. 103, a.4, ad 2). Inoltre l’Angelico specifica che Pietro ha commesso un peccato veniale non di proposito deliberato ma di fragilità (cfr. Quest. disput., De Veritate, q. 24, a. 9; Quest. Disput., De malo, q. 7, a. 7, ad 8um) per un'eccessiva prudenza nel non voler contrariare i giudei convertiti al Cristianesimo. Tale opinione di S. Agostino, ripresa da S. Tommaso, è conciliabile con le prerogative straordinarie degli Apostoli. Gli autori ammettono comunemente che agli Apostoli fu concessa la confermazione in grazia (cfr. I. Salaverri, De Ecclesia, BAC, Madrid, 1962, ed. 5ª, n. 255). “Nella comune sentenza dei Teologi, tali prerogative [straordinarie] degli Apostoli sono: la confermazione in grazia, per cui, dopo la discesa dello Spirito Santo, gli Apostoli praticamente non potevano più commettere né alcun peccato grave, né alcun peccato veniale del tutto deliberato...” (F. Carpino, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948, vol. I, coll. 1687-1688).
11. Cfr. Arnaldo Xavier Vidigal Da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?, “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita la resistenza a decisioni dell’Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n. 10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975.
12. Cfr. Cardinal J. Ratzinger, Discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago del Cile, 13 luglio 1988, in “Il Sabato”, n.° 31, 30 luglio-5 agosto 1988: «Il Concilio Vaticano II si è imposto di non definire nessun dogma, ma ha scelto deliberatamente di restare ad un livello modesto, come semplice Concilio puramente pastorale».
13. S. Ignazio da Loyola insegnava che “bisogna credere che tutto dipende da Dio, ma occorre ad agire come se tutto dipende da noi”.

18 commenti:

irina ha detto...

"...il Vaticano II non ha voluto definire dogmaticamente."
Questo a me basta ed avanza perchè mi dice:
1)Che era nella coscienza di tutti, implicitamene ed esplicitamente appunto,che si era fatto una sorta di seminario, mondiale sì, ad altissimo livello sì, umano sì.
2)Che riferirsi a questo seminario brandendolo come seconda rivelazione, di non ritorno per di più, è eccessivo, fuorviante e pretestuoso.
3)Facciamo tesoro dei rimandi in esso alle fondamenta ed alle colonne del Cattolicesimo e lasciamolo andare in biblioteca finalmente.

Josh ha detto...

D'accordo con il pezzo di don Curzio.

Irina, mi sento di specificare 2 cose, prendendo spunto dalle tue interessanti note numerate, ma non me ne volere.

1)seminario umano mondiale può essere, ma sul"l'altissimo livello" ci andrei cauto.
Vennero ribadite teorie condannate da S. Pio X e da Pio XII; i documenti preparatori composti di studi lunghi anni vennero stralciati, per far andare "il concilio" altrove. Anche come metodo ci sarebbe qualcosa da dire.

2)sicuramente brandirlo come seconda rivelazione, quindi come atto di fondazione di "un'altra" chiesa e "un altro vangelo" è follia,
eppure ai seminari in cui si formano sacerdoti, si parla quasi solo degli ultimi anni a partire dal concilio che l'ha fatta in barba alla Tradizione....
E tra gli stessi partecipanti al "concilio" c'è chi lo esaltò come Rivoluzione d'Ottobre in Chiesa, e Rivoluzione Francese in Chiesa, denunciando già con questo (e per di più da parte di sacerdoti presto divenuti pure cardinali) l'eterodossia delle loro posizioni rispetto alla loro stessa professione di fede.

3)Prima di riporlo in biblioteca, minaccioso luogo senza garanzie, da cui potrà esser sempre ripreso, citato, per causare ancora nuove eresie, rovine e derive,
qualcuno prima o poi dovrà disattivarlo,
espungere quelle cose, e non sono poche, che si oppongono alle fondamenta del Cattolicesimo. Nostra Aetate...al Cristo che s'incarna in ogni uomo...all'Eucarestia più mensa banchetto e cena sociale e meno Sacrificio.... e tante altre definizioni fumose, o dogmi quasi annullati travestiti da aggiornamento e ammodernamento del linguaggio.

irina ha detto...

X Josh

1) sedicente altissimo livello.

2) lo so. Tuttavia ogni seminarista deve, oggi come oggi, avere ben chiaro che lo spirito del mondo è entato come turbine all'interno della chiesa. Il primo discernimento deve usarlo intorno a se stesso. Chi parla di rivoluzione di ottobre e/o rivoluzione francese parla con le parole del mondo, non possiede altre nozioni che quelle. Nozioni e valutazioni di parte, parziali almeno. Questo è compito del seminarista oggi, altrimenti non verrà nè istruito nè formato, ma solo manipolato.
Oggi poi c'è il vantaggio che, segretamente, si dà un giudizio sull'insegnamento ricevuto, quindi anche su chi lo ha impartito. Senza scadere,educatamente, con rispetto, si può far presente quello che ci si aspettava e quello che si è ricevuto.

3)La biblioteca ha sue garanzie. E ne acquisirà sempre più se fuori si macineranno i Testi e gli Studi che sono pietre vive del Cattolicesimo. Quanti Testi oggi sono fuori edizione? Quanti di questi conosciamo? Se questi libri tornano a girare saranno buoni semi che fruttificheranno e daranno vita ad una rinnovata cultura cristiana. I libri certamente possono essere ripresi, ma se sono stati contraddetti da una realtà rinnovata e rinvigorita, saranno considerati per quello che sono e sono stati, fumosi esemplari di un tempo di lassismo decadente attraversato dall'umanità, e dal cattolicesimo in particolare.

MICHELE ha detto...

Delle 6 conclusioni di don Nitoglia, salverei soltanto la 4 e la 5. Perché? Prima di tutto Don Nitoglia parla sì delle condizioni di infallibilità del magistero straordinario, ma evita di citare esplicitamente il magistero ordinario, che pure dovrebbe essere infallibile. In secondo luogo egli esplora accuratamente la vicenda di Onorio I per equipararla alla situazione dei papi conciliari e postconciliari: come fu eresia soltanto materiale quella, così sarebbero materiali e non formali queste ultime eresie. No, caro Don Nitoglia. Da Roncalli a Bergoglio i papi sanno bene cosa vogliono dire e perché lo vogliono dire. Mi dispiace dovere perdere tempo a ricordare a chi dovrebbe sapere più di me gli innumerevoli episodi a testimonianza di ciò. Rischio davvero di dimenticarne moltissimi. Roncalli era ben cosciente di avere perso il posto di insegnante per sospetto di modernismo: sapeva che c'era un fascicolo su di lui al Sant'Uffizio e, appena eletto, lo fece scomparire. Sappiamo che condivideva le tesi di Bonaiuti e che lo esortava, non a ritrattarle, ma a non esporsi imprudentemente. Finse di avere indetto il Concilio per ispirazione improvvisa del Paraclito, quando sappiamo dalle sue lettere e dallo studio di Padre Martina che questo progetto era in cantiere ancor prima di essere eletto: questo per dire quanto fosse bugiardo e come abilmente durante il suo pontificato cominciò a diffondere i suoi errori, come nell'enciclica "Pacem in terris", dove il suo ottimismo ad oltranza sulla bontà dell'uomo nega macroscopicamente il peccato originale, di cui da allora fino all'attuale Bergoglio non si fa più menzione. Montini ricevette una lettera di contestazione della nuova linea dai Monss. Castro Mayer e Lefebvre: non poteva non conoscere quali fossero gli errori dottrinali o le ambiguità del Vaticano II. Anche altri teologi e vescovi dell'epoca scrissero al papa contestando gli stessi argomenti. Durante le sessioni del Vaticano II più volte si tentò di prendere la parola contro le innovazioni e sempre fu stroncato ogni tentativo. I ciclostilati, o stampati che circolavano tra i padri furono spietatamente intercettati e requisiti, affinché non si potesse discutere di argomenti sgraditi al santo padre. Montini fu sempre informato di quanto pensava l'ala tradizionalista: anche il discorso di chiusura del concilio sulla religione dell'uomo mostra chiaramente la consapevolezza che aveva dei cambiamenti operati. CONTINUA ...

MICHELE ha detto...

CONTINUA: Su Wojtyla si potrebbe scrivere un romanzo per quante volte ha giocato su due tavoli. Passiamo oltre e sorvoliamo anche su papa Luciani, forse eletto per sbaglio: pare che sia stato vittima di qualche macchinazione a cui aveva tentato di opporsi. Su Ratzinger tutto è davvero lampante. Conosceva bene quale fosse il nuovo corso dottrinale che si voleva imporre alla Chiesa fin dai tempi della sua discutibilissima tesi di laurea, dai cui errori non si distaccò mai più, se non per appesantirli e dilatarli col tempo. Litigò personalmente con Lefevre che gli rinfacciò senza peli sulla ligua di lavorare per distruggere la Chiesa. Divenuto papa, ha voluto i colloqui dottrinali con la FSSPX, di cui ha letto tutte le relazioni (in cui i lefebvriani accusavano apertamente il Vaticano II di eresia modernista) e visionato tutte le riprese fatte con le telecamere. Ha letto tutte le documentazioni possibili e immaginabili dei tradizionalisti e conservatori fino a far sapere ufficiosamente il suo dissenso sulle mitissime e moderatissime contestazioni di Brunero Gherardini esposte nel libro "Conc. Ec. Vat. II Un discorso da fare": anche la supplica ivi contenuta non ebbe mai risposta. Bergoglio stesso, durante un viaggio in aereo disse ai giornalisti che un tempo la chiesa insegnava certe cose (anche la nonna le credeva vere), ma ora, per fortuna, la chiesa era uscita dal periodo di oscurità e insegnava diversamente.
Per concludere: con tali, pur limitati esempi, come fa don Nitoglia a sostenere che le ERESIE dei papi conciliari (perché anche lui ammette che eresie sono, come del resto anche Mons. Tissier De Mallerais) non sono eresie anche FORMALI, quando è dimostrato storicamente che essi erano informati dei loro errori pubblici e notori, che ne erano stati ammoniti e contestati, che ne erano ostinatamente convinti, ma hanno perseverato pertinacemente nell'errore fino alla fine? Salvare capra e cavoli non è possibile: occcorre decidersi.

irina ha detto...

X Josh

2) Prima che inizi l'anno la bibliografia per ogni materia è a disposizione di tutti gli studenti. Se in questa non esiste neanche un libro "classico" nulla vieta che uno lo cerchi, lo studi, lo assimili per poi, presentandosi l'occasione, parlarne con autentico entusiasmo e personale intima rielaborazione. In questo frangente bisogna essere alunni modello e devoti autodidatti ad un tempo.

Marco P. ha detto...

Interessante quanto scrive Don Curzio, in particolare nelle conclusioni il primo punto su cui concordo.

Interessanti le note 9 e 10 in merito al comportamento di Cefa: Tertulliano dice che il suo peccato fu uno sbaglio di comportamento, oggi diremmo di pastorale.
S. Tommaso e S. Agostino dicono che il suo peccato, non voluto deliberatamente, fu quello di non voler dispiacere ai giudei convertiti.
Mi pare che entrambe queste fattispecie si possano riscontrare anche negli errori odierni di molti prelati, per cui
- la pastorale può essere erronea quando non è derivata dalla dottrina ma la interpreta distorcendola con soggettivismo;
- una eccessiva prudenza per non dispiacere ai "fratelli separati" che siano gli acefali "ortodossi" (gli orientali per intendersi) o le miriadi protestanti togliendo "pietre di inciampo" per focalizzarsi su "ciò che unisce e non su ciò che divide" sono parimenti errori se "ciò che divide" è la Verità e "ciò che unisce" è un abbracciare le stesse eresie.
La differenza è che l'errore di Cefa veniale, corretto con l'umiltà non sfociò in errore dottrinale dei giudaizzanti; oggi giorno invece gli errori - non so se veniali o meno, non mi addentro se desiderati o meno - non corretti a causa della oggettiva superbia (antropocentrismo) hanno prodotto errori gravi che intaccano pesantemente la Fede, e questo è un dato inconfutabile.

Come S. Paolo resistette in faccia a Cefa che era riprovevole, così dobbiamo fare anche noi, perciò da un lato la resistenza comporta l'ammonimento e l'invito agli erranti a tornare sulla retta via, dall'altro comporta il non adeguarsi agli errori medesimi, altrimenti scandalizzeremmo chi ci vede, ossia saremmo per loro occasione di scandalo: imitandoci anch'essi sarebbero in errore.

Paolo Pasqualucci ha detto...

@ Eretici in senso formale i sei Papi da Roncalli in poi? No. Giusta la tesi di don Curzio, che e' poi anche quella della FSSPX e di tanti fedeli.

1. Si puo', ed anzi si deve parlare di "negligenza grave" nei confronti del deposito della fede (vedi Onorio) e di ambiguita' ed errori lasciati entrare nell'insegnamento ed addirittura professati: quindi, di eresia in senso solo materiale, se vi si riscontra "l'ostinazione", il "perseverare". In termini non tecnici, piu' vicini alla nostra mentalita', l'eresia in senso materiale sarebbe da intendersi in senso "oggettivo": insegnamento di una tesi o dottrina ambigua o erronea, a prescindere dalla sua consapevolezza del suo carattere intrinsecamente negativo per il dogma. Insegnamento chiaramente non dogmatico, solo "pastorale" o semplicementne "autentico".

2. Come si passa all'eresia in senso formale ovvero consapevole, tale anche in senso "soggettivo"? Da come ho capito io la dottrina della Chiesa sul punto, si ha eresia in senso formale, ovvero con adesione piena e ripetuta della volonta' dell'errante, quando c'e' il peccato di eresia; quando, cioe', si realizza la cosa secondo la sua "forma" compiuta (forma dat esse rei, san Tommaso), secondo la pienezza di intendimento ed azione, che richiede la consapevolezza di un fine da raggiungere. In altre parole: perche' l'eretico sia tale in senso completo ("formale") occorre dimostrare che egli voglia commettere il peccato di eresia (il che esige la nostra partecipe volonta'). Ora, come dimostriamo noi che i Roncalli, i Montini, etc., nonostante le ambiguita' e gli errori che hanno disseminato, volessero effettivamente, soggettivamente distruggere la Chiesa? Possiamo dire che lo volessero? Il Giorno del Giudizio lo sapremo non prima. Inoltre:

3.Trattandosi di Papi, dobbiamo chiederci: abbiamo noi fedeli l'autorita' per dichiarare vacante la sede, dopo averli dichiarati noi stessi eretici in senso formale? La dichiarazione di eresia in senso formale non spetta all'autorita' legittima? La puo' formulare il semplice fedele? Secondo me, non puo'. Lutero non divento' eretico in senso formale solo dopo esser stato formalmente condannato come tale dal Papa del tempo? Il fedele si vede riconosciuta dalla Tradizione e dal Cod. di Dir. Can. la facolta' di criticare in modo educato i pastori che sbaglino, partendo proprio dall'esempio di san Paolo sopra citato. Noi possiamo, quindi, sostenere, con i testi alla mano e l'esperienza del tracollo attuale della Gerarchia, che nella pastorale circolano (evidentemente) errori o, il che e' lo stesso, eresie in senso sostanziale. Di piu', non possiamo. Concentriamoci allora nella caccia agli errori e nella loro documentata denuncia, cercando di diffonderla il piu' possibile, di ampliare la discussione, in modo appassionato e anche polemico ma sempre razionale. [SEGUE, SU ONORIO - DOCUMENTAZIONE]

Josh ha detto...

Irina, naturalmente ti capisco e accetto la tua argomentazione....

Personalmente non credo comunque che il Concilio (ed incessanti ereticali derivazioni) si autocorreggerà da sè,
o per sola buona volontà di qualcuno nella propria preparazione seminariale, come scelta individuale, mentre urbi et orbi si propala ogni mezz'ora un'eresia,
o solo con la ristampa dei libri buoni da porre accanto a quello cattivo.
Per quanto lo possano "disinfettare", serve qualcuno che ripareggi la Verità.

Un giorno il Signore provvederà. Ma quando sarà, le panzanate saranno tolte di mezzo di netto.

irina ha detto...

X Josh

Sicuramente il Signore provvederà.
Noi intanto portiamo il nostro piccolo contributo.

Paolo Pasqualucci ha detto...

@ FONTI - CONCILIO E S. LEONE II SU ONORIO

Quel papa si riferi' tre volte a Onorio, in tre lettere con le quali confermava con la sua autorita'le decisioni del III Concilio Ecum. di Costantinopoli (nov. 680- sett. 681), che aveva condannato il monotelismo e papa Onorio.

1. Testo del Concilio: " Con costoro [nomi dei vari eretici anatemizzati] insieme abbiamo provveduto ad anatemizzare anche Onorio, che e' stato papa nell'antica Roma [essendo per i Bizantini Costantinopoli la Nuova Roma, ancora chiamata cosi' nei loro documenti ecclesiastici], per via di quello che trovammo in cio' che scrisse a Sergio, avendolo seguito in tutte le sue opinioni e confermando le sue empie dottrine [quia in omnibus eius mentem {panta gnome} secutus est et impia dogmata confirmavit - tr. lat. DS 552]

2. Riferimenti di s. Leone II (682-683), in tre testi con i quali confermava i decreti del Concilio:
a. epistola ai vescovi di Spagna : " [e tra coloro che sono stati condannati] anche Onorio, il quale non estinse, come fu [sempre] proprio dell'autorita' Apostolica, l'incipiente fiammma della dottrina eretica, ma la rinfocolo' con la sua negligenza [cum Honorio, qui flammam haeretici dogmatis non, ut decuit Apostolicam auctoritatem, incipientem exstinxit, sed negligendo confovit" (DS 560)].
b. Epistola al re di Spagna, Ervigius : " [...] e con loro condanno'[il Concilio] Onorio Romano, che consenti' fosse macchiato il dettato dell'immacolata tradizione apostolica, ricevuta dai suoi predecessori [una cum eis Honorius Romanus, qui immaculatam apostolicae traditionis regulam, quam a praedecessoribus suis accepit, maculari consensit] - DS ivi],
c. Lettera, infine, a Costantino IV imperatore, nell'agosto del 682: "[...] E anche noi anatemizziamo gli inventori di nuovi errori [...] tra i quali Onorio, che non ha illustrato questa Chiesa apostolica con la dottrina della tradizione apostolica, ma ha tentato di sovvertire con profano tradimento la purezza della fede [sed profana proditione immaculatam fidem subvertere conatus est - DS 563]". Qui pero' la versione latina non coincide con il greco dell'originale scritto all'imperatore. Quest'ultimo e' assai meno duro, nella parte finale: "...permise che fosse macchiata la purezza con profana sovversione" - vedi DS ivi, per il testo greco, tra parentesi.
Vale, quindi, l'interpretazione tradizionale, richiamata con dovizia di argomenti da don Curzio; vale anche in relazione alle ambiguita' ed oscurita' delle lettere di Onorio, che fa la figura dello sprovveduto in teologia piu' che dell'eretico. E di quello che non vuole avere grane, dal momento che l'impostazione monotelita era stata accolta ufficialmente dall'imperatore (o stava per esserlo) ed opporvisi voleva dire rischiare la vita. Negligenza, dunque, forse dovuta anche a desiderio di quieto vivere. Una negligenza comunque colpevole, quella di Onorio, che favori' il diffondersi dell'eresia, pero' grazie ad una adesione (dottrinalmente peraltro ambigua) sul piano solo pastorale. Ma tale adesione solo pastorale non contribui' a fare dell'errore monotelita articolo di fede, finche' duro'? Si', ma solo fino ad un certo punto. Esso, che gia' circolava, fu sempre contestato all'interno della Chiesa e dopo circa 50 anni il III Concilio costantinopolitano rimise le cose a posto. Speriamo, a 50 dalla fine del Vaticano II, che tra non molto, a Dio piacendo, un Papa rimetta le cose a posto o almeno cominci a mettere ordine, nella Chiesa devastata, di certo grazie ad errori piu' gravi di quello di Onorio (cosa che tuttavia non ci consente di accusare i Papi di eresia in senso formale, per i motivi sopra esposti).

Alessandro Mirabelli ha detto...

@ Michele: i modernisti hanno insistentemente cercato di far credere che il Vaticano II sia stato indetto da Giovanni XXIII quale intuizione profetica. Tutte palle, palle elevate al l'ennesima potenza. Della convocazione di un concilio ecumenico esplicitamente scrisse già nel dicembre 1922 Pio XI nella sua prima enciclica, mi pare che si chiami Ubi arcano.

MICHELE ha detto...

In questo momento non ho molto tempo da dedicare alla replica dell'illustre Pasqualucci; può darsi che in seguito possa perfezionare quanto dico. in primo luogo non mi interessa se la tesi di don Curzio coincide col pensiero della FSSPX: oggi sì, domani chissà? E' sempre stato ondivago. Da quanto Pasqualucci riporta emerge con più forza che il caso di papa Onorio è totalmente diverso e imparagonabile con gli ultimi sei papi. Al commento delle 15.53, n° 3 osservo che dalle informazioni che abbiamo (a iosa) risulta non l'errore materiale per ignoranza o negligenza, ma l'astuto e malizioso disegno di cambiare e sovvertire la dottrina col pretesto della pastorale aggiornata; non è necessario essere Sherlok Holmes per capire ciò. Al n° 2 osservo che non siamo noi a dover dimostrare la volontà di questi papi a volere sovvertire la chiesa. L'hanno già dimostrato ampiamente loro con tutte le testimonianze che ci hanno lasciato e che attualmente stanno moltiplicando sotto i nostri occhi. Che poi soggettivamente questi papi intendessero operare per migliorare la chiesa e non per distruggerla oggettivamente non c'è bisogno di aspettare il giorno del giudizio: da che mondo è mondo tutti gli eretici ed eresiarchi si sono considerati soggettivamente dei benefattori della chiesa!!! A me non interessano le loro intenzioni in foro interno; interessano e valgono davanti a Dio e alla storia solo le intenzioni manifestate in foro externo: questo basta e avanza. Al n°3 osservo che non si tratta di dichiarare la Sede vacante, ma di constatare di persona, con giudizio di ragione, l'invalidità di questi papati. Quale sia la vera situazione non è dato sapere. C'è qualcuno che parla ( non saprei se con fondamento, ma in questo momento non è importante, di papa nascosto in incognito; ma non è questo il punto. Certamente la Sede vacante può essere dichiarata solo dal Collegio dei cardinali (quelli autentici e validi!), tuttavia Pasqualucci e molti lefebvriani su questo punto mostrano spesso di fraintendere il senso filosofico di "formale" con quello di "formalizzato" da un giudizio di tribunale in senso burocratico. In seguito a ciò rimango dell'idea che l'articolo di Don Curzio non dimostri nulla.

Gederson ha detto...

La rivista "La civiltá cattolica" nella presentazione del libro Tractatus de Romano Pontifice prolegomeno Ecclesia" del P. Domenico Palmieri S.J del finale della pagina 582 fino alla metà (o un po in più) della 583 presenta una questione interessante che il P. Domenico Palmieri fa nel libro. La questione è esattamente quando il Papa non parla ex cathedra e non voglie impegnare tutta la sua autorità. La risposta è interessante, perché lui parla di sospensione dell'assenso che per i sedevacantisti è praticamente assoluto. Il testo può essere letto nell'indirizzo:
https://books.google.com.br/books?id=A3cRAAAAYAAJ&pg=PA583&lpg=PA583&dq=assenso+di+fede+divina+e+catolica+religioso+ossequio&source=bl&ots=4zL8xqRWro&sig=NGqrfxac4YD-iJtmebSFF5Oi_l4&hl=pt-BR&sa=X&ved=0CDIQ6AEwBWoVChMIr_r6to2JxgIVjC6MCh05KQy2#v=onepage&q&f=false

mic ha detto...

Il problema è che il papa non formalizzerà le sue "distorsioni" e "obliterazioni" dottrinali (ha dichiarato persino per l'Evangelii gaudium che non si tratta di un documento dogmatico ma programmatico). (Non si dogmatizza più nulla!).
Anche al termine del Sinodo è probabile che vengano fuori affermazioni di principio che continueranno ad essere oltrepassate dalla prassi come già avviene in molte parrocchie.
Chi di dovere (cardinali, vescovi) dovrebbe contestare anche gli elementi non formali distorti perché in realtà de-formano; eccome!

Paolo Pasqualucci ha detto...

@ Rispota a "Michele" (A)

1. Che ci si trovi di fronte ad errori piu' gravi di quello imputato ad Onorio, mi sembra di averlo detto.
2. Non direi che il caso di Onorio sia addirittura "imparagonabile" con la situazione attuale. Lo e', paragonabile,almeno per quest'aspetto: l'evidente sciatteria teologica attribuibile alle poche frasi rimateci di Onorio, derivante quasi sicuramente da una sua scarsa preparazione teologica. Ora, tralasciando Papa Luciani, che ha regnato troppo poco, dei Papi postconciliari cosa dobbiamo dire dal punto di vista della preparazione teologica? Roncalli e Montini erano dei diplomatici e dei politici senza una salda preparazione in teologia. Anche Pio XII veniva dalla diplomazia, ma la base teologica ce l'aveva e ben solida. Giov. Paolo II e Papa Ratzinger si sono formati piu' sul pensiero moderno che sulla teologia classica. Sono considerati "grandi teologi", ma da chi? Da piaggiatori e giornalisti vari. Nessuno dei due mostra una formazione tomistica. E quindi un ragionare sulla base dei concetti classici, che derivano in parte da Platone, in gran parte da Aristotele e sono stati rielaborati, in senso metafisico e teologico, soprattutto da san Tommaso, come sappiamo. Nel parlare della sua vita, l'allora cardinale Ratzinger non nascondeva la sua scarsa simpatia per l'Aquinate. Sia lui che Woytila si trovavano piu' a loro agio con la filosofia contemporanea, da Hegel in poi (Scheler, Heidegger, Buber addirittura etc.). In Papi negligenti nel difendere il dogma o addirittura in qualche modo oggettivamente "complici" della diffusione dell'errore, si nota sempre una mancanza di formazione teologica di base.
3. Non capisco l'accenno al "papa nascosto in incognito". Che vuol dire? Si tratta forse di un'applicazione al Cattolicesimo della dottrina esoterica dello "imam nascosto", tipica dell'islam sciita? Le dispiacerebbe esser piu' chiaro? Non bisognerebbe evitare di parlare per enigmi? [SEGUE per B]

Paolo Pasqualucci ha detto...

@ Risposta a "Michele" (B) - Fine

1. Lei dice che non sta a noi dover dimostrare la volonta' sovvertitrice di questi Papi: l'hanno gia' dimostrata ampiamente loro "con tutte le testimonianze che ci hanno lasciato". Lei vuol dire, penso, con la loro azione. Non ci interessa il loro foro interno, interessano e valgono di fronte a Dio e alla storia le intenzioni manifestate in foro esterno, questo basta e avanza, non per dichiarare la sede vacante ma "l'invalidita' di questi papati".
2. O s s e r v o :
a. dichiarare "l'invalidita' di un papato" equivale a dire che il Papa in questione non e' valido e quindi non e' Papa; equivale a dichiarare "vacante" la sede.
b. L'azione o l'attivita' in foro esterno e' proprio quella che configura (quando e' il caso) l'errore in senso oggettivo o materiale, di per se' insufficiente a far venire in essere il peccato di eresia o eresia in senso formale cioe' compiuto. Insufficiente, dal momento che il peccato richiede la partecipazione della nostra volonta'. Di fronte a Dio, poi, contano anche le disposizioni del foro interno, che anzi solo Dio conosce perfettamente, come sappiamo.
3.Allora: - se bastasse l'errore che si manifesta in foro esterno per far considerare "invalido" un papato, verrebbe a cadere la distinzione tra eresia in senso materiale e in senso formale. Ma l'eliminazione di questa distinzione, oltre che illogica, contraddirrebbe (se non erro) anche tutta la tradizione canonistica. - inoltre, restringere il concetto di eresia all'azione del foro esterno impedirebbe il venire in essere dell'eresia come peccato, dato che il peccato (ripeto) implica sempre l'intenzione volta al male. Ma questo non si puo' ammettere, ovviamente, poiche' verrebbe allora a cadere il concetto di eresia in senso proprio o formale, l'unico che per la Chiesa giustifichi la condanna dell'eretico come eretico in senso proprio, che e' tale soprattutto per via dell'ostinazione con la quale persegue la sua negazione del dogma, in tutto o in parte. L'ostinazione mostra appunto, dopo i ripetuti tentativi di convincimento e gli ammonimenti di rito (come nel caso di Lutero), un'intenzione che non si lascia addomesticare e quindi una volonta' pervicace nemica della sana dottrina, volonta' che fa venire in essere il peccato di eresia, in quanto rivelatrice di un'intenzione (foro interno) volta contro la Chiesa e la sua dottrina (animus dell'eretico).
4. Sorge a questo punto la questione della competenza, di chi abbia l'autorita' e la competenza per dichiarare che l'eretico e' tale in senso formale, ossia che la sua "ostinazione" mostra l'esistenza del peccato di eresia. Tale competenza spetta ovviamente alla sola autorita' ecclesiastica e non al singolo credente. Si ha quindi la "formalizzazione"(se vogliamo usare questo termine) dell'azione dell'autorita' ad hoc costituita, secondo le regole del diritto canonico; "formalizzazione" che nessuno ha confuso con il concetto di eresia in senso formale, che ne costituisce invece il presupposto.

s. ha detto...

@Alessandro Mirabelli ha detto...
@ Michele: i modernisti hanno insistentemente cercato di far credere che il Vaticano II sia stato indetto da Giovanni XXIII quale intuizione profetica. [..] Della convocazione di un concilio ecumenico esplicitamente scrisse già nel dicembre 1922 Pio XI nella sua prima enciclica, mi pare che si chiami Ubi arcano.
In effetti, ciò che voleva fare Pio XI era un po' diverso. Non voleva convocare un nuovo Concilio, ma far ripartire i lavori del Vaticano I, da dove si era interrotto. Infatti, dopo Porta Pia, i lavori furono sospesi, ma, ufficialmente, nessuno li ha mai dichiarati chiusi. Si sarebbe trattato di riprendere le discussioni di allora. Punto e stop. E, comunque, la Curia lo dissuase, reputando che i rischi sarebbero stati maggiori dei benefici. Si temeva che i modernizzanti (sconfitti ed occultati, ma non debellati)potessero approfittarne.