Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 25 novembre 2025

Oltre destra e sinistra: i partiti moderni e l'arte perduta della regalità

Una riflessione in un ambito complesso, nel tentativo di capirci di più, col vostro aiuto. Da quel che vedo, la presunta omologazione è solo parziale: basti pensare, ad esempio, all'immigrazionismo e alle ostinate affermazioni del gender e dei diritti lgbt.

Oltre destra e sinistra:
i partiti moderni e l'arte perduta della regalità

Le recenti elezioni regionali in Veneto, Puglia e Campania ripropongono, con evidenza quasi didascalica, una verità che la teoria politica più avvertita conosce da tempo: i partiti “tradizionali” di destra e di sinistra non sono alternative reali di paradigma, ma variazioni interne a un medesimo orizzonte moderno. In Veneto il centrodestra consolida un dominio politico ormai stratificato; in Puglia e Campania il centrosinistra si accredita come polo dell’“alternanza”. E tuttavia, sui dossier realmente decisivi – dalla guerra in Ucraina ai vincoli europei, dalle scelte di bilancio alla struttura complessiva dei rapporti economico-sociali – la convergenza è sostanziale. Cambia il linguaggio, mutano gli accenti, si diversificano le retoriche; ciò che non cambia è il quadro di riferimento, dentro il quale l’elettore è autorizzato a scegliere solo tra opzioni rigidamente precostituite, tutte interne alla medesima architettura politico-giuridica.
Questa omologazione non è un incidente, ma il frutto coerente del pensiero politico moderno. I partiti odierni nascono e si sviluppano all’interno di una costellazione teorica che, dalla dottrina della sovranità assoluta come potere indivisibile e originario (Bodin), passa per la separazione sistematica tra politica ed etica, in cui la “virtù” del governante coincide con l’efficacia e non con la bontà morale, come appare esemplarmente nei capitoli XV–XVIII del Principe dove è lodato chi “sa non essere buono” quando lo richieda la conservazione dello Stato (Machiavelli), assume la paura e la sicurezza quale fondamento del patto che istituisce il Leviatano, riducendo la comunità politica a meccanismo di auto-conservazione (Hobbes), eleva proprietà e interesse individuale a cardini della legittimazione del potere, facendo dello Stato il garante di un ordine giuridico plasmato sui diritti soggettivi proprietari (Locke), fino a dissolvere ogni mediazione sociale nella volontà generale, che è sempre nel giusto in quanto espressione di sé stessa, e trasforma il corpo politico in prodotto di un atto contrattuale fondato sulla volontà (Rousseau).
In tutte queste declinazioni – che troveranno nella Rivoluzione francese la loro epifania storico-politica – si afferma un medesimo principio: l’ordine politico non è chiamato a riconoscere una giustizia oggettiva, ma a produrre e conservare il consenso; non deriva da un ordine superiore da servire, ma da una sovranità immanente che si autoleggittima. Dentro questo orizzonte, destra e sinistra sono semplicemente due modalità di gestione della medesima sovranità assoluta secolarizzata. Se il potere politico è pensato come volontà originaria e illimitata, non vincolata da un ordine di giustizia che la precede, allora i partiti che si contendono tale potere non possono che divenire apparati di amministrazione e tecniche di governo del consenso. La politica cessa di essere l’arte di ordinare la comunità al bene comune e diventa la scienza della stabilizzazione del sistema.
Di qui l’inevitabile tendenza alla convergenza sui grandi temi: la fedeltà alle architetture di alleanza militare e alle logiche atlantiche in materia di guerra in Ucraina, l’accettazione di fondo dei vincoli europei in materia di bilancio e di politiche economiche, la subordinazione delle decisioni politiche a parametri quantitativi fissati altrove, che assumono di fatto il rango di criteri supremi dell’azione di governo. Le leggi di bilancio sono, sotto questo profilo, particolarmente eloquenti: al di là delle contrapposizioni verbali, resta intatta l’idea che il limite invalicabile non sia la giustizia sociale, né l’ordinazione della ricchezza al bene comune, ma il rispetto di soglie e coefficienti stabiliti da centri di potere sovranazionali o da mercati impersonali.
Il linguaggio stesso dei partiti – tanto nel campo progressista quanto in quello conservatore – si uniforma a un lessico economico-finanziario: crescita, stabilità, competitività, attrattività, sostenibilità del debito. La persona concreta scompare dietro l’astrazione di grandi aggregati statistici; la comunità politica è ridotta a spazio funzionale nel quale gli individui si muovono in base a incentivi e disincentivi progettati “dall’alto”. Questa omologazione affonda le sue radici in una medesima antropologia. L’uomo è pensato come individuo sovrano, titolare di diritti originari e tendenzialmente illimitati, che si associa ad altri individui per massimizzare il proprio interesse e ridurre i rischi.
Il diritto coincide con l’ampliamento continuo del catalogo di pretese soggettive; la legge è ridotta a tecnica di bilanciamento tra queste pretese; la politica diventa calcolo, compromesso, negoziazione permanente. Destra e sinistra divergono sul modo di distribuire le risorse, sull’estensione dello Stato sociale, sull’intensità delle politiche identitarie o securitarie, ma convergono sull’idea che l’ordine giuridico sia una costruzione artificiale, rimodellabile ad libitum da maggioranze numeriche e da organi giurisdizionali creativi. Se il fondamento è la volontà, ogni contenuto è teoricamente negoziabile; ciò che non è negoziabile è la struttura volontaristica del sistema. La dialettica tra i poli politici si riduce così a un gioco delle parti. Il centrosinistra si propone come garante dei diritti civili, dell’inclusione, di un universalismo spesso astratto; il centrodestra esalta sicurezza, identità, merito, talora ricorrendo a richiami vaghi a tradizioni e radici.
Ora, né l’uno né l’altro contestano realmente l’idea moderna di sovranità, il primato dell’economico, la mitologia della crescita illimitata, la fede nel progresso lineare. Lo spazio politico è concepito come neutro rispetto alla verità; la giustizia si riduce a legalità formale; il bene comune viene dissolto in una somma di interessi da “bilanciare” mediante procedure. Di qui aporie sempre più evidenti: istituzioni che rivendicano legittimazione in nome del popolo, ma risultano di fatto lontane dal popolo; maggioranze aritmetiche che pretendono di incarnare una volontà generale intraducibile in numeri; diritti proclamati assoluti e poi compressi, in nome di emergenze sempre nuove, da poteri che non rispondono realmente ai cittadini. Le consultazioni regionali confermano questo schema: il blocco di governo mantiene i propri bastioni, il blocco di opposizione consolida i propri, ma nessuna rottura sostanziale si produce. Cambiano i nomi sulla scheda, non cambia la logica della macchina: gestione delle compatibilità, redistribuzione di risorse scarse entro vincoli prefissati, amministrazione dell’esistente. Anche la retorica del cambiamento finisce il più delle volte per designare la semplice sostituzione di élite interne al medesimo paradigma, non l’emersione di una classe dirigente radicata in una diversa concezione dell’uomo, della società e dell’autorità. Che vinca Stefani, che vinca Fico, che vinca Decaro, l’orizzonte ideologico di fondo rimane sostanzialmente invariato.
Una parte crescente del corpo sociale percepisce, seppur non sempre in modo consapevole, questa omologazione. Lo dimostra la disaffezione crescente verso il voto. Tuttavia, tale consapevolezza non deve tradursi in astensionismo elevato a programma, quasi fosse l’unica opzione coerente. L’astensione strutturale, assunta come scelta politica stabile, di fatto consegna il campo alla perpetuazione del sistema che si vorrebbe contestare e lascia completamente libere le mani a chi già occupa le posizioni di potere. Ciò che va invece radicalmente respinto è la logica del cosiddetto “male minore”: l’idea che, in mancanza del bene pieno, sia doveroso scegliere il male ritenuto più piccolo. Una politica che si struttura sulla scelta sistematica del male minore finisce per normalizzare il male, per accreditarlo come inevitabile, per radicarlo nelle istituzioni.
La prospettiva autenticamente politica deve orientarsi, invece, al bene possibile, individuando e sostenendo quei percorsi, quelle persone, quelle esperienze in cui il bene, seppur in condizioni imperfette e difficili, può essere realmente perseguito. In questo senso, assume un significato non meramente contingente la presenza, in Veneto, di una candidatura come quella di Riccardo Szumski(1), percepita da molti elettori come realmente estranea al duopolio dei blocchi maggiori. Il consenso raccolto attorno al suo nome esprime la domanda, ancora embrionale ma reale, di una via che non si lasci catturare dalla logica binaria destra/sinistra, così come è stata costruita dal pensiero moderno. Naturalmente non è sufficiente dichiararsi “contro il sistema” per esserlo: anche le esperienze controcorrente possono scivolare nella pura protesta o in forme di antagonismo sterile e qui sarà fondamentale la bravura di Riccardo e della sua ottima squadra. Tuttavia, il fatto che una parte non trascurabile di cittadini scelga di collocarsi fuori dallo schema maggioritario segnala che il recinto costruito dai partiti moderni non è più totalmente impermeabile. Il punto decisivo non è l’illusione che un singolo consigliere o una piccola formazione politica possano rovesciare rapidamente l’intero assetto, ma la possibilità di far maturare, nel tempo, una classe dirigente diversa. Si tratta di avviare un’opera lenta e paziente di formazione di uomini e donne capaci di pensare e vivere la politica come arte della regalità: chiarire i presupposti antropologici e giuridici, criticare sistematicamente le aporie della politica moderna, ricostruire un lessico del bene comune, testimoniare uno stile di governo che non si limiti ad amministrare l’esistente, ma cerchi di ordinarlo a fini superiori. Se un soggetto politico come quello che si raccoglie attorno a Szmuski saprà circondarsi di collaboratori seri, competenti, radicati in una visione alta dell’uomo e della società, potrà diventare uno dei luoghi in cui questo lavoro si compie realmente. È qui che torna attuale la concezione della politica come arte della regalità.
Non si tratta di rievocare nostalgicamente forme istituzionali tramontate, bensì di recuperare il nucleo teoretico di una tradizione che vede il governo come servizio al bene comune, esercizio di un’autorità ricevuta e non autogenerata, responsabilità ordinata alla giustizia e non all’autoconservazione del potere. Omero, con l’immediatezza del linguaggio poetico, lo esprime quando presenta il Re acheo a cui il figlio di Crono dai tortuosi pensieri dona scettro e leggi perché governi per il bene comune (Iliade, Libro II): l’autorità, qui, è partecipazione a un ordine superiore, non possesso arbitrario; è missione, non proprietà; è funzione oggettiva di guida, non semplice gestione di interessi di parte. Questo è precisamente ciò che la modernità politica ha smarrito, dissolvendo la regalità nell’amministrazione, l’autorità nella sovranità della volontà, il bene comune nel calcolo degli interessi.
La vera alternativa, allora, non corre tra una coalizione e l’altra, bensì tra la prosecuzione di un paradigma generato dal pensiero rivoluzionario moderno – innervato dalle categorie di sovranità assoluta, volontà generale, individuo sovrano – e la lenta, faticosa ricostruzione di un ordine politico che riconosca nuovamente l’esistenza di un bene comune oggettivo, superiore alle volontà individuali e collettive. I risultati elettorali dei partiti maggiori modificano solo la distribuzione interna del potere nel quadro moderno; l’emergere di esperienze minoritarie ma significative, come quella veneta attorno a Szmuski, può invece rappresentare l’inizio di un percorso diverso, se saprà radicarsi in una visione alta della politica e dell’uomo. In questa luce, l’importanza non sta nelle vittorie effimere dei blocchi maggioritari, ma nella possibilità che piccoli semi – persone, gruppi, scelte non compromesse con la logica del male minore – preparino, nella penombra della storia, il ritorno della politica alla sua vera natura: arte della regalità e servizio della giustizia. Daniele Trabucco
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Nota di Chiesa e post-concilio
1. Riccardo Szumski: "Abbiamo fatto l'impresa" con "4 gatti e tanta volontà", ma "adesso inizia il bello". Lo dice intervenendo in diretta al programma "Te lo do io il Veneto" di Radio Veneto24. La lista dell'ex medico, radiato dall'albo per le sua posizioni critiche nei confronti dei vaccini e del green pass.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Ormai parlare di partiti davvero cristiani è solo un sogno! D'altronde la stessa Chiesa....rischia di non essere più cristiana!!

Anonimo ha detto...

Non c'è ambito oggi che non presenti profondi segni di decadenza. Ribadisco che la decadenza più rovinosa è quella della chiesa, cioè dell'ambito spirituale che dovrebbe essere quello che eleva tutti gli altri. Ma purtroppo oggi la chiesa stessa è diventata una bocciofila e forse anche molto meno. Non si percepisce nelle nostre comunità una seria, autentica spiritualità. Ricordiamo che disperare è peccato grave, la tentazione però è pressante.

da ex studente di Giurisprudenza ha detto...

Mi ero chiesto se questo Pontefice avesse interesse a richiedere un'unità dei cattolici in politica (non c'era solo in Italia), ma finora pare che questa intenzione non vi sia.
Ma anche coi miei studi, il senso di questo articolo fatico a comprenderlo: a dispetto del titolo non sono riuscito a capire se indichi come preferibile un ordinamento monarchico o no. Aggiungiamo poi che di ordinamenti monarchici ce ne sono diversi: assoluto (il sovrano è al di sopra della legge e governa direttamente), costituzionale puro (il sovrano nomina il governo che poi gli risponde ma c'è un parlamento che può bocciare le proposte del governo stesso) o parlamentare (il governo risponde al parlamento e il sovrano regna, ma non governa).

Anonimo ha detto...

Destra e Sinistra in realtà si omologherebbero l'un l'altra? A giudicare dalle reazioni addirittura isteriche a sinistra provocate dal tentativo del presente governo CD di attuare finalmente una riforma della giustizia, non si direbbe. E la reazione non meno feroce alla politica di contenimento dell'immigrazione clandestina da parte del governo di CD?
L'articolo ha un taglio utopistico e le sue conclusioni sulla "regalità" non sono chiare. En passant, si può notare che l'accenno a Machiavelli non convince del tutto: per Machiavelli il venir meno ai patti per salvare lo Stato rappresenta il caso d'eccezione non la regola. Lui però ha il coraggio di ammetterlo, come caso d'eccezione, il che fa già scandalo.
Un altro aspetto, tipico forse di un certo tipo di "tradizionalismo" politico : vedono la modernità solo nella Rivoluzione Francese. E il marxismo, il socialismo, con il loro relativo sconvolgimento dei valori tradizionali, dove li mettono? I bolscevichi si consideravano gli eredi dei giacobini, che tuttavia rappresentano il momento estremo della Rivoluzione borghese, liquidato rapidamente come fanatismo del tutto inaccettabile dalla stessa borghesia rivoluzionaria. Si è creato un pensiero rivoluzionario di sinistra che ha ricevuto dall'esperienza russa un significato apocalittico e distruttore che appare indelebile, nonostante oggi si sia rivestito dei panni woke che ben conosciamo.
Bisognerebbe forse svecchiare certi schemi interpretativi.
Tra l'altro, quest'interpretazione sembra dimenticare che la moderna nozione di sovranità come potere assoluto dello Stato nasce come reazione alle guerre di religione cioè alle guerre civili a sfondo religioso che avevano devastato l'Europa. Era la crisi del cristianesimo, apparsa ad un certo punto irreversibile. Per colpa degli eretici, certamente, e delle monarchie nazionali (formalmente cattoliche) ma anche il papato politico aveva le sue gravi responsabilità. Lo vogliamo forse negare?
Historicus

Su La Verità ha detto...

Szumski boom perché la ferita del Covid è ancora aperta...

Anonimo ha detto...

Violenza sulle donne
La cultura medievale - quella che ha creato ospedali, banche, università, occhiali... - ha prodotto migliaia di Chiese dedicate a Maria, la Madonna ( mea domina), la filosofia di Tommaso d' Aquino ( la donna è "né serva, né padrona, ma alleata") e il dolce stil novo di Guinizelli e Dante. Dove Maria è l' archetipo femminile e la donna è angelo, cioè messaggera di Dio- con la sua bellezza esteriore ed interiore- , le cose vanno certamente meglio che in un mondo pieno di panchine rosse, giornate contro la violenza, leggi su leggi e, nel contempo, il culto dell' edonismo, la pornografia, la derisione della fedeltà e di tutto ciò che è sacro. Milioni di queste giornate e degli ossessivi mantra connessi, non salveranno né una donna né un uomo ( ci si salva insieme). Servono per le sfilate, per i discorsi dei politici, per spendere soldi pubblici, per sfoggiare un po'di moralismo a basso costo, non per educare gli uomini ad essere veri uomini e le donne ad essere vere donne.
Cit. Francesco Agnoli

Cit. Diego Fusaro ha detto...

Sembra che finalmente la guerra in Ucraina si appresti a terminare. Infatti, il guitto di Kiev, l'attore Nato Zelensky, prodotto in vitro di Washington se non di Hollywood, ha accettato la bozza della proposta di pace così come è stata stabilita da Washington e da Mosca. Nunc est bibendum! L'Unione Europea però non giubila e anzi si rattrista massimamente, rivelando una volta di più la propria inutilità e la propria stoltezza. Anziché accogliere con favore la possibile e auspicabile fine del conflitto e dunque del massacro di vite umane, l'Unione Europea si rattrista per il fatto di non essere stata minimamente coinvolta nelle trattative. Anche Elly Schlein, la vestale della sinistrash fucsia liberal-atlantista, ha dichiarato solennemente che non può esservi pace in Ucraina in assenza dell'Unione Europea: la frase ricorda nemmeno troppo vagamente quella del bambino malmostoso, che porta via con sé il pallone sostenendo che senza di lui non si può giocare. La verità è che l'Unione Europea non conta nulla, essendo soltanto la serva sciocca di Washington e, di più, la colonia senza dignità della civiltà del dollaro. Alla fine comunque il guitto di Kiev ha capito la dolorosa lezione: egli è stato soltanto un burattino telecomandato da Washington in funzione antirussa. La guerra in Ucraina è stata infatti propiziata da Washington con una finalità precisa: accerchiare la Russia e farla infine capitolare, normalizzandola in senso liberale e atlantista. Ma ora che Trump, con sobrio realismo, ha compreso l'impossibilità di sconfiggere la Russia e dunque l'esigenza di dialogare con essa in vista della pace, il burattino Nato - attore e dittatore, in una parola "dittattore" - diventa sostanzialmente inutile ed è pronto ad essere sacrificato come accade con le marionette del perfido e cinico burattinaio Mangiafuoco. Il fabula docet è che Russia e Cina non possono essere sconfitte dalla civiltà del dollaro, che deve rassegnarsi dunque a coesistere accanto ad esse in uno spazio che sempre più si sta facendo multipolare. Con buona di pace di Fukuyama, la storia non è finita: semmai, è finita una storia, quella della dominazione univoca del pianeta da parte della civiltà dell'hamburger.

Anonimo ha detto...

Sembra che lo scopo del commento qui sopra riportato (ore 9:35) sia soprattutto quello di insultare Zelensky.
Sai te la goduria. Forse si potrebbe far di meglio, no? Per esempio sottolineare che da parte di Russia e Cina non è tutto oro quel che luccica. E magari che la Russia, certamente provocata da una stolta politica americana, ha aggredito l'Ucraina con l'intenzione di occuparla in poche settimane e risolvere così i problemi della "Russia del Sud-Ovest" (l'Ucraina secondo il Patriarca di Mosca). Dopo quasi quattro anni di combattimenti i russi sono vicini ad inglobare il Donbass e certamente manterranno altre parti di territorio. Data la sproporzione delle forze tra i due contendenti, c'è da meravigliarsi che gli ucraini abbiano tenuto così a lungo. E si può capire la difficoltà ad accettare per loro dolorose cessioni territoriali e altro pur senza esser stati definitivamente sconfitti sul campo. Però il realismo impone certe scelte. Ed è bene che questa sciagurata guerra finisca, anche se sarebbe un errore credere in una pace definitiva.

A nessuno di noi piace la civiltà dello hamburgher. Ma l'alternativa non è certo rappresentata dalla zuppa di cavoli moscovita o dalla cucina cinese. Entrambe il prodotto di un menu che odora stomachevolmente di comunismo stile Unione Sovietica.

Laurentius ha detto...

Apprezzo moltissimo Diego Fusaro, del quale ricevo, leggo e spesso commento i comunicati su YouTube. Condivido tuttavia in parte codesto suo scritto: la "pace" invocata da D. Trump mi sembra una trappola per la Russia e le gesticolazioni di UE, Zelensky e compari scadenti recite per fingere disappunto. Per agguantare la Russia USA, UE e NATO hanno ben compreso che occorre un po' di tempo, che intanto bisogna prepararsi bene per la vittoria finale. Tutto qua. Personalmente, sono convintissimo che la Russia cadrà nella trappola americana.

Laurentius ha detto...

Leggere l'ottima noterella di Maurizio Blondet, sul suo sito intitilata

La sostituzione dei Dieci Comandamenti con i Diritti Umani,

la quale termina così:

"E poi i media si domandano come mai la gente non vota più. La gente sente confusamente che viviamo sotto il Vincolo Esterno: vota chi vuoi, comanda sempre la UE. Sacralizzata in Mattarella, il garante di ogni Vincolo Esterno immaginabile, dalla BCE alla NATO al Fondo Monetario ai mercati."

Anonimo ha detto...

A volte mi chiedo se la Ursula riesca a dormire. Invecchiando si comincia ad intravedere da quanti nodi e vuoti può essere sformata l'anima propria e del prossimo.

Anonimo ha detto...

Ma quale "vincolo esterno"! Questi non vanno a votare soprattutto perché gravati dal"vincolo interno" di un menefreghismo atavico, antica tabe del particolarismo italiano del tempo che fu, oggi ricicliato alla grande. Il detto romanesco della Roma papalina del Seicento ("viva Franza o Spagna purché se magna") attribuito ai bravi che andavano a costituire le folte squadre di sgherri che le due monarchie tenevano a Roma, oggi suona "Viva l'Unione Europea purché ci mantenga lo Stato sociale, le partite di calcio, il sesso a buon mercato etc". E chi se ne frega se alla fine domineranno quell'"artri", l'affricani e l'arabi...Se famo affricani e arabi pure noi...
Politicus