Cogliendo una sintesi ben composta e lucida sulla vicenda della Buon Pastore, ne parliamo QUI, aggiungo solo che questo studio sembra voglia in un certo qual modo rispondere a quelle legittime preoccupazioni emerse nella riflessione di don Pierpaolo Petrucci superiore del distretto italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Mi pare che Don Carusi, partendo già dal titolo « Il "rito proprio" e "l’ermeneutica della continuità" sono sufficienti ?
», non manchi di replicare alle indicazioni di Mons. Pozzo, mettendo in
causa la stessa esistenza dell'Istituto Buon Pastore : «Esso, se si
privasse delle sue specificità statutarie, sarebbe – è l’avviso della
nostra rivista – radicalmente denaturato e ci chiediamo: senza l’
“exclusive” e accantonando la “critica seria e costruttiva”, il Buon
Pastore conserverebbe la sua ragione d’esistere?» Inoltre, dopo aver messo in guardia contro «Il pericolo dell’ubbidienza indebita o servilismo e della perdita di ciò che rappresentiamo», Don Carusi aggiunge con fermezza «dobbiamo dunque ritenere, fiduciosi nella Provvidenza, che siano appunto degli inviti.».
Mi sembra un modo molto elegante per dire che non accoglie come un obbligo le parole dell'Ecclesia Dei e che quindi non intende conformarvisi. In attesa di una parola autorevole del loro Superiore...
Mi sembra un modo molto elegante per dire che non accoglie come un obbligo le parole dell'Ecclesia Dei e che quindi non intende conformarvisi. In attesa di una parola autorevole del loro Superiore...
Il “rito proprio” e l’ “ermeneutica della continuità”
sono sufficienti?
2 maggio 2012, Sant'Atanasio
G.L. Bernini, Sant'Atanasio sorregge la Cattedra di S. Pietro |
Il testo che la Rev. da Pontificia
Commissione Ecclesia Dei ha prodotto offre
all’Istituto del Buon Pastore alcune indicazioni, d’ordine in parte pratico-giuridico
e in parte teologico-ecclesiale, toccando anche le “specificità” dell’Istituto,
sebbene in termini non perentori ma piuttosto di consiglio: la Commissione, in
merito alla celebrazione della Messa tradizionale come prevista dagli Statuti,
invita a parlare di “rito proprio”, citiamo letteralmente, “senza parlare di
esclusività” (ovvero, invito a modificare gli Statuti fondativi?); e - su
questo secondo punto con formulazione un po’ più forte - chiede altresì di
diminuire la “critica, sia pure seria e costruttiva”, degli aspetti del
Concilio Vaticano II che pongono interrogativi, per insistere maggiormente
sull’ “ermeneutica del rinnovamento nella continuità”, adottando “come base” il
“Nuovo Catechismo”.
In ordine a tali aspetti la questione, lungi dall’essere una mera
discussione terminologica, ci appare cruciale per il futuro del Buon Pastore.
Del resto la Commissione sembra aver voluto, nel suo insieme, proporre il
proprio punto di vista teologico-liturgico; non trattandosi sempre di ordini
formali essa lascia la scelta al Capitolo Generale.
La natura dello scritto di mons. Pozzo e le circostanze storiche
Il documento è il risultato della visita canonica a distanza di sei anni
dalla fondazione dell’Istituto. Ricordiamo che il riconoscimento di
quest’ultimo è stato voluto personalmente dal Santo Padre Benedetto XVI, offrendo
la possibilità dell’ “esperienza della Tradizione” con due specificità, espressamente
previste dagli Statuti (approvati da Roma) e in virtù delle quali abbiamo parlato
di “avanzamento” della causa tradizionale: la celebrazione esclusiva della “Messa gregoriana” (secondo l’espressione del Card.
Castrillon Hoyos) e la possibilità esplicita di una “critica seria e
costruttiva” dei punti del Concilio Vaticano II che appaiano difficilmente
conciliabili con la Tradizione.
Ora, dal punto di vista liturgico il testo afferma che sarebbe auspicabile
uniformare allo “spirito” del più recente Motu Proprio Summorum Pontificum gli Statuti dell’Istituto, anteriori di un anno,
eliminando la parola exclusive sostituendola con il termine “rito proprio” (espressione
che, essendo già presente negli Statuti in due punti, è pertanto invocata in
contrapposizione all’altra e non ad integrazione di essa). Notiamo tuttavia che
tale termine, così come nella redazione approvata dalla Santa Sede nel 2006,
non è incompatibile con la recente legislazione in materia, essendo piuttosto il
riconoscimento giuridico d’una peculiarità. Nella Chiesa l’esistenza d’una legge
generale (e, in questo caso, semplicemente di un orientamento) non impedisce il
riconoscimento d’un diritto proprio: a
fortiori se si è in presenza d’una precedente approvazione dell’autorità
ecclesiastica. In questa prospettiva si può comprendere che tale indicazione
della Commissione sia nell’ordine dell’invito.
Dal punto di vista teologico il documento invita a privilegiare l’ “ermeneutica
del rinnovamento nella continuità” sulla “critica, sia pure seria e costruttiva”,
e più in generale l’attitudine “in positivo”. La Commissione sembra riconoscere
che l’attitudine del Buon Pastore non è quella di una critica selvaggia,
irrispettosa, estremistica e temeraria, ma è rimasta nell’ambito degli impegni
scritti del 2006. In quel contesto l’Istituto, non essendovi pieno accordo su
talune questioni dottrinali, sottoscriveva un “accordo pratico-canonico” -
comprensivo anche dei due punti summenzionati -, in uno spirito di filiale collaborazione
con la Santa Sede e prendendo sul serio le dichiarazioni di S. Em. il Card.
Castrillon Hoyos, il quale ribadì che, se si ha evidenza di incoerenze, “la
critica costruttiva è un gran servizio da rendere alla Chiesa”.
Una proposta di riflessione
Il citato testo è da accogliere col rispetto che è dovuto ad un documento
proveniente da un Dicastero romano, e al contempo in quel medesimo spirito
d’apertura e franchezza nel quale allora ci impegnammo. Esso contiene alcune
indicazioni d’ordine pratico-giuridico che sono ispirate dalla sollecitudine in
vista d’un perfezionamento della giustizia amministrativa che deve
caratterizzare ogni società; preziosa ci appare la sollecitazione ad
approfondire “il pastoralato di Cristo”; inevitabilmente in una giovane
fondazione ci sono aspetti da migliorare, e la Commissione offre indicazioni
che non vanno sottovalutate. Ma il documento chiede anche di riconsiderare due punti
che costituiscono le specificità dell’ Istituto; su questo aspetto, il nostro
punto di vista si discosta da quello del relatore.
La celebrazione “esclusivamente” nel rito tradizionale
Non vediamo una incompatibilità legislativa tra tale facoltà e il Motu
Proprio Summorum Pontificum anche
perché il riferimento in allusione che dice di non “escludere, in linea di principio, la celebrazione secondo i libri nuovi”,
non è contenuto nella parte normativa, ma nella lettera argomentativa. Inoltre
il passaggio può intendersi come raccomandazione a non escludere che altri
sacerdoti cattolici celebrino secondo i nuovi libri, con le condanne
generalizzate che talvolta sono state pronunciate in taluni ambienti (i quali
hanno asserito categoricamente che la celebrazione secondo i riti nuovi è ipso facto materia di peccato mortale). In ogni caso non è stato posto dal Supremo
Legislatore come obbligo di legge. Anche l’Istruzione Universae Ecclesiae (l’art. 19 ad esempio) afferma l’impossibilità
di un’esclusività che si accompagni ad attacchi violenti (sint infensae) e
sentenze categoriche contro testi approvati dalla Santa Sede: il documento tuttavia
non esclude la possibilità di nutrire riserve teologiche, non impedisce d’agire
di conseguenza (si legga qui), non impone come obbligo il biritualismo.
Scrivemmo in passato che a questo proposito facciamo nostre le riserve che
ebbe a condividere S. Em. il Card. Ottaviani nello scrivere la lettera di
accompagnamento del Breve esame critico
del Novus Ordo Missae. Tanti prelati del resto, non ultimo il Regnante
Pontefice, hanno già scritto chiedendo una “riforma della riforma”:
evidentemente ve ne sarà motivo… Ci sembra quindi che il termine “exclusive” bene esprima la nostra
posizione e come tale fu ammesso nei nostri Statuti dalla Santa Sede, in una
reciproca attitudine di lealtà. Senza volerci sostituire ad un futuro pronunciamento
dell’autorità ecclesiastica affermiamo, con prudenza e moderazione ma senza
nascondimenti, il nostro avviso; esso non è perentorio, ma vorrebbe esser
franco e suppone una consequenzialità. Se così non agissimo e nascondessimo il
pensiero dei nostri cuori, o peggio ancora se agissimo contro coscienza,
mancheremmo realmente di rispetto a quell’Autorità che vogliamo servire nella
chiarezza di posizioni. Pensiamo quindi che il termine exclusive debba essere
mantenuto, anche in ottemperanza agli impegni da noi pubblicamente presi. Il
Buon Pastore infatti non è nato per occuparsi del proprio interesse personale -
vitam suam dat pro ovibus suis - ma
per offrire una testimonianza della possibilità di una posizione ecclesiale che
includa i citati presupposti.
La “critica seria e costruttiva”
In effetti in questi sei anni ci siamo sforzati – anche qui ottemperando
agli impegni presi con la Santa Sede – di analizzare i documenti più recenti in
uno spirito sereno, ossequioso, ma che non nascondesse aprioristicamente alcune
reali difficoltà di conciliazione con la Tradizione. Sarebbe stato quest’ultimo
un atteggiamento non solo poco scientifico teologicamente, ma soprattutto
sleale nei confronti della Chiesa. Non basta? Questo posizionamento non esclude
- altrettanto aprioristicamente - che alcuni punti problematici di taluni
pronunciamenti possano essere interpretati secondo una lettura di “continuità
dell’ermeneutica teologica”, pur presentando talvolta espressioni ambigue. La
critica “seria e costruttiva” non esclude forzatamente l’eventualità, ove
possibile, di leggere in continuità col Magistero anteriore alcune recenti novità; ma vuole esprimere anche la
possibilità - e il dovere filiale - di far presente alla Santa Sede che alcune
cose potrebbero richiedere una riconsiderazione. Stante il potere delle Chiavi,
nel supremo ossequio alla Verità e nell’interesse della Chiesa, il Sommo
Pontefice può farlo con testi magisteriali non infallibili, specie ove la
continuità fosse non dimostrata. Se, con la nostra storia, deliberatamente
offuscassimo tale umile testimonianza, ciò potrebbe essere la peggior mancanza
di rispetto verso la Sede Apostolica; saremmo alla ricerca d’un immediato
beneficio personale - foss’anche sociale - “pro domo sua”, tralasciando l’impegno in virtù del quale alcuni hanno
aderito proprio a questa Congregazione, impegno che la Santa Sede ha approvato
per iscritto nel vicino 2006.
Il pericolo dell’ubbidienza indebita o servilismo e della perdita di ciò
che rappresentiamo
Abbiamo voluto offrire le nostre considerazioni, tenendo conto della natura
dell’Istituto del Buon Pastore. Esso, se si privasse delle sue specificità
statutarie, sarebbe – è l’avviso della nostra rivista – radicalmente denaturato
e ci chiediamo : senza l’ “exclusive” e accantonando la “critica seria e
costruttiva”, il Buon Pastore conserverebbe la sua ragione d’esistere ? Perché
non preferire allora qualche altra Congregazione ? Dopo “lo spirito del
Concilio” c’è proprio bisogno anche dello “spirito del Motu proprio”, eretto a
norma ? Negli odierni frangenti, non è importante richiamare una chiara
distinzione tra un’argomentazione e un obbligo, un invito e una legge,
un’opinione (magari autorevole) e un chiaro insegnamento ? Se avallassimo
l’impressione che le concessioni previste da accordi sono instabili, renderemmo
un servizio alla Chiesa ? Uno studioso come mons. Nicola Bux ha evitato di
“dogmatizzare”, enfatizzandola oltremodo, l’ermeneutica della continuità (che i
progressisti continuano tranquillamente ad ignorare), dicendo sobriamente che
essa “ha fornito un criterio per affrontare la questione e non per
chiuderla”: saremmo credibili se volessimo essere (o simulare di essere) più
ratzingeriani di mons. Bux ?
Peraltro, è realistico attendersi che la Fraternità San Pio X adotti,
adesso o tra sei anni, gli indirizzi che ci vengono suggeriti ? Eppure, se
determinati punti fossero giuridicamente incompatibili ed ecclesialmente impossibili,
essi lo sarebbero, in uno spirito di diritto, tanto per la Fraternità San Pio X
quanto per l’Istituto del Buon Pastore (che peraltro non ha preteso la
“contropartita” dei preliminari): dobbiamo dunque ritenere, fiduciosi nella
Provvidenza, che siano appunto degli inviti. Non misconosciamo che oggi vi sono
nella Chiesa spinte disgregatrici e gravissime difficoltà; ma ci sembra che le
citate peculiarità dell’Istituto del Buon Pastore, più che un ostacolo al bene
del Corpo mistico, siano un umile e sincero servizio alla Chiesa.
18 commenti:
Spero così finisca questa assurda corsa allo scandalo! La BP non intende e non intenderà farsi normalizzare.
fragments
(umori e timori dal web)
....Purtroppo questa è la conferma di ciò che molti temevano da tempo: Roma ha voluto i "colloqui" con l'unico intento (nascosto) di dividere la Fraternità in due tronconi (tiepidi e fervidi...) col fine di indebolirla [....ovvero "normalizzarla", smorzando forse l'anelito di chi vuole ritrovare l'autentica Tradizione: il rischio è oggettivo e palpabile, come l'IBP sta constatando sulla sua pelle, mantenendo la guardia alta se possibile, fino a quando ? fino a quali ordini di "forza maggiore"? Dio sol lo sa]....
E proprio questo, si teme che accadrà: Mons. Fellay firmerà gli accordi e la FSSPX si dividerà.
Del resto è già successo che in passato diversi rivoli si staccassero dal fiume, ma in quel caso erano sacerdoti; questa volta sarà piu' dolorosa, ma abbiamo fede in Nostro Signore. Sua è la Chiesa... a noi il compito non facile ma doveroso di rimanere fervidi....
Ha ragione don Carusi, che scrive in modo razionale, deferente nella forma ma duro nella sostanza. Girano nell'aria troppi spiriti - maligni - ma si vuol ignorare che soffia anche lo Spirito Santo. No, senza le note della sua specificità il Buon Pastore serve a poco.
Del resto è già successo che in passato diversi rivoli si staccassero dal fiume, ma in quel caso erano sacerdoti; questa volta sarà piu' dolorosa, ma abbiamo fede in Nostro Signore. Sua è la Chiesa... a noi il compito non facile ma doveroso di rimanere fervidi....
Speriamo che per rimanere fervidi non intenda non tornare a Roma...
Se tanti di noi non si sono lasciati "normalizzare" pur non aderendo alla Fraternità, perché dovrebbe accadere questo alla Fraternità?
Chi pecora si fa lupo lo mangia. Né, a quanto sembra, il Buon Pastore, né tantomeno, inutile solo immaginarlo, la S. PIo X diventeranno pecore. Saranno gli agnelli in senso spirituali che si lasceran pascere dal Supremo Pastore quando eserciterà questa funzione. Contro l'errore lotteranno, magari con toni diversi, ma sempre indomiti.
se tanti di noi non si sono fatti normalizzare.....
ma... vediamo un po': tanti, cioè quanti ? sicuramente le persone vigili nel disastro della Fede che frana sono pochissime. Io non so quanti di voi hanno figli o nipoti, ma se li avete, non vi siete accorti che veniamo irreggimentati già da molti anni, anche senza volerlo ? come fate a dire "Tranquilli, non siamo stati normalizzati" se il peggio deve ancora venire ?
vorrei chiedere a D. Pastorelli, a Mic ed altri se sono al corrente di quello che avviene nelle parrocchie d'Italia circa la preparazione alla Prima Comunione e Cresima, e come vengono organizzate le "cerimonie" e rituali vari che poco o nulla hanno conservato dell'antico modo di vivere, spiritualmente parlando, questi SAcramenti. E pensate che le famiglie si possano ribellare alle innovazioni che subdolamente stravolgono la spiritualità cristiana ? ditemi un po' come faremo (o piuttosto i nostri nipoti) a reagire ad un sistema che già adesso si rivela ricattatorio, ponendosi nel modo: "O così o niente: se vuoi la Tradizione, te la darò io, come dico io, altrimenti sei fuori, fatti una chiesa tua" ; questo è il linguaggio CONCRETO (=coi fatti compiuti e imposti dall'alto, senza alcuna possibilità di replica, cari bloggers, altro che assemblea concelebrante e bufale "partecipative"!), il modus operandi normale e normalizzatore, quotidiano, della dittatura in cui siamo oppressi, mentre la maggior parte dei fedeli è gregge passivo, e cieco: non si rende neppure conto della mutazione epocale che sta avvenendo, trascinandoli verso si nuovi traguardi, la grande chiesa universale-indifferentista, e che non possiamo in alcun modo rifiutare, pena l'emarginazione totale. L'importante è "esser giuridicamente a posto, APPROVATI; il resto non conta (lo vedete coi NC: loro sono definiti cattolici, con tutte le loro eresie, nessuno li manda fuori di questa Chiesa-arlecchino, sono in perfetta comunione con Pietro, vero?).
Avete mai sentito parlare di "aggiornamenti pastorali" e bufale simili, (attraenti novità) con cui si cambiano radicalmente forma e contenuti della Dottrina cattolica, e i fedeli bevono supinamente senza sapere CHE COSA stanno assorbendo, ben distratti dalla fascinosa parola "innovazione" o "adeguamenti al concilio" e simili truffe per noi poveri inegnui che del concilio potente innovatore nulla capiamo, (ma dobbiamo solo applaudire e dire "sì sì", caro Pastorelli, tutto bene quel che ci impongono in nome del santo concilio, che sia conforme alla Tradizione o no non importa, nessuno PUO' verificare e/o mettere veti...) ?
A tutti voi che con fierezza dite "Resisteremo!", io chiedo: quando noi (spesso intere famiglie) ci troviamo, come oggi accade pressoché in tutta la Chiesa, in una situazione di "prendere o lasciare", (visto che le decisioni vengono prese più in alto di noi piccoli parrocchiani inermi) non siamo forse già sottoposti a normalizzazione da parte del regime, o dittatura modernista che dir si voglia ?
Cara Ida,
mia nipote nell'imminenza della sua prima comunione non sapeva cosa fosse il Tabernacolo. Insieme a questa, ho dovuto dirle molte altre cose, parlandole del Signore...
Dei miei figli, chi ama la messa antica e chi ha assorbito tutte le derive moderniste; ma io credo non senza appello, perché non mi arrendo e, senza essere invadente, continuo a parlare con l'esempio, quando mi accorgo che non c'è ricettività alle parole. Non per questo ho smesso di parlare con delicatezza, cercando di cogliere il kairòs... E poi c'è la preghiera e la supplica che, ovviamente, non è solo per loro.
Per il resto è una landa desolata, tranne qualche oasi di sacerdoti secondo il cuore di Dio e fedeli come loro, se la "normalizzazione" avanzante non riuscirà a soffocare anche queste.
Cara Ida, sono padre di famiglia e sto cercando, come tanti altri, di remare controcorrente, nel senso che da una situazione "normalizzata", pur se vissuta istintivamente con qualche disagio, sto cercando di riappropriarmi dei tesori della Tradizione troppo a lungo tenutimi nascosti.
Per me e per i miei famigliari in primis.
Non so sinceramente se un accordo con la FSSPX porterà concretamente e a breve a cambiamenti della mia situazione, ma di sicuro in questo periodo storico si deve vigilare e non rimanere tranquilli, come giustamente dici, indipendentemente dalle circostanze.
Per resistere si deve vigilare. Questo vale per me come persona, ma anche per i gruppi, siano essi laici o sacerdotali.
Il fatto che ci siano dei gruppi organizzati é certamente di grande aiuto perché così facendo la "normalizzazione" può meglio essere combattuta, ma in fin dei conti tutto però dipende da noi, dalle nostre scelte, dalla nostra fede e dal nostro amore per la Verità, non da firme. Anche perché, la storia insegna, quanti gruppi religiosi (gesuiti e altri), un tempo baluardi della Chiesa sono oramai allo sbando!
Una FSSPX "staccata" da Roma aiuta meglio le famiglie? Non so ma ci sono molti aspetti della vita di una famiglia che dobbiamo considerare. La Tradizione può dare molto, ma se non abbiamo ad esempio il coraggio di staccare la spina della nostra televisione e continuiamo a dimenticare i figli davanti a simili aggeggi, stiamo già tagliando il ramo su cui siamo seduti.
È da questo mondo che dobbiamo separarci più che temere l'abbraccio di Roma! Sempre vigilando: su Roma e sulla FSSPX stessa.
La liturgia in questo senso é importante e ci deve aiutare nella vita quotidiana: non possiamo essere cristiani ed affascinati da telenovelas e riviste mondane allo stesso tempo!
No, tutto ci deve riportare a Cristo, anche nelle famiglie.
Sono simili famiglie che possono dare alla Chiesa validi sacerdoti. Sono simili comunità che dimostrano di essere vive in Cristo. Fermo restando che é Cristo che fa le chiamate e non noi! Oremus.
Per resistere si deve vigilare. Questo vale per me come persona, ma anche per i gruppi, siano essi laici o sacerdotali.
E' così. E per vigilare: preghiera e Grazia...
Che non manchino sacerdoti santificatori!
E quale sarebbe l'alternativa concreta secondo Ida, se non l'esempio e la nostra lotta quotidiana? Uscicre dalla Chiesa e formare una setta?
"O così o niente: se vuoi la Tradizione, te la darò io, come dico io, altrimenti sei fuori, fatti una chiesa tua".
Ebbene, mi sono già messo alla ricerca di altri emarginati, che non ci stanno a cadere in questo aut-aut.
Bravissimo, ora coi tuoi amici emarginati fatti una tua chiesa e lascia che gli altri restino nella Chiesa.
ravissimo, ora coi tuoi amici emarginati fatti una tua chiesa e lascia che gli altri restino nella Chiesa.
Chissà, all'altro mondo, chi scoprirà di aver commesso gli errori più grandi e chi quelli più piccoli.
Extra Ecclesiam nulla salus.
Gli uomini di Chiesa possono sbagliare, ma la Chiesa è una ed una sola cum Petro e sub Petro.
Nel momento in cui la maggiore comunità tradizionale s'appresta, sempre che la conclusione del dialogo sia positiva, a tornare nella perfetta comunione sulla base dell'accoglimento di richieste serie e di garanzie che ancora non conosciamo, star fuori non significa rifiutare la Chiesa nella sua essenza, ergendosi a chiesa la sola pura.
star fuori ** significa rifiutare la Chiesa nella sua essenza, ergendosi a chiesa la sola pura.
Gli uomini di Chiesa possono sbagliare, ma la Chiesa è una ed una sola cum Petro e sub Petro.
PERFETTAMENTE DELLO STESSO PARERE.
Solo che, a chi mi dicesse che NON LA VEDe e mi chiedesse:mi si mostri dov'è, io non saprei dare risposte, che non siano delle arrampicate sugli specchi.
Brutta, bruttissima storia questa, dell'attacco frontale (perchè concerne l'essenza della questione) di Ecclesia Dei al pur moderatissimo, rispettosissimo, silenziosissimo (tanto silenzioso da essere invisibile) Istituto del Buon Pastore. All'Ecclesia Dei (che rappresenta l'ala "conservatrice" della Curia, figuriamoci gli altri), non basta più che si accetti la "validità" della messa modernista. Si alza il tiro, mettendo sotto accusa la possibilità che alcuni possano rivendicare l' "esclusività" della S. Messa di Sempre praticata nel loro sodalizio, secondo quanto stabilito da statuti approvati in precedenza dallo stesso Vaticano. Ancora. Non basta più che la critica agli aspetti "dubbi", alla luce della Tradizione, del concilio sia serena, ossequiosa, seria e costruttiva. No, occorre "diminuire" questa critica, per lasciare spazio all'accettazione incondizionata della formula magica, del mantra stucchevole dell' "ermeneutica del rinnovamento nella continuità", che va accettato come dogma indiscutibile. Si stracciano gli accordi precedenti. Si pretende la resa incondizionata dottrinale al modernismo. Si vuole annullare persino la possibilità della silenziosa preferenza soggettiva riguardo Messa di Sempre. Allora, quali gli effetti di un simile, arrogante, improvvido atto dell'Ecclesia Dei, che ripeto, rinnega accordi precedenti, sulle delicate riflessioni in corso nella FSSPX riguardo ad un eventuale "rientro" e sulle sue necessarie, doverose "guarentigie", presenti e future?.
Non mi sembra ci sia una terza via: lo statu quo ritorna ad una rottura e porta inevitabilmente alla stessa conclusione.
Non resta che una scelta: accettare di inserirsi nella struttura ufficiale della Chiesa cattolica oppure no.
Ciò non impedisce nuove discussioni nel futuro.
Si tratta di una negoziazione classica con posizioni definite e un certo margine di manovra per ciascuna parte, anche per la FSSPX: invece di rifiutare in blocco i testi del concilio, essa non può che rifiutarne alcuni testi problematici o condizionare certi loro passaggi alla dottrina pre-conciliare.
Ma se non si recuperano i margini di manovra di ciascuna parte è inutile continuare a discutere. E si torna al punto di partenza. Statu quo o rottura delle discussioni tornano allo stesso punto: Roma può sempre provare a dichiarare la FSSPX scismatica a condizione che trovi un elemento dottrinale che permetta di decidersi in questa direzione o il bisogno di consacrare nuovi vescovi per la FSSPX porterà alla stessa situazione di prima della scomunica.
Posta un commento