NECESSITÀ E ATTUALITÀ DELLA METAFISICA TOMISTICA
Introduzione
San Pio X diceva: “il male del modo moderno è una malattia dell’intelletto: l’agnosticismo”. Per curare questa malattia bisogna ricorrere alla vera metafisica o filosofia dell’essere, che in san Tommaso d’Aquino ha toccato il suo vertice.
In quest’articolo riassumerò e spiegherò nella maniera più semplice possibile i principali concetti e principi della metafisica tomistica: il suo oggetto formale, il suo metodo, l’essere come atto puro, la composizione ens/esse, la distinzione reale tra essere ed essenza negli enti creati, la partecipazione, la differenza tra essere ed esistere, la causalità, l’analogia, la risalita dall’ente all’Essere sussistente, il trinomio ens/essentia/esse.
Li porgo, dunque, al lettore sperando che lo aiutino a risalire la china del baratro in cui la modernità e la post-modernità ci hanno sprofondato.
L’oggetto formale della metafisica
Quanto all’oggetto formale della metafisica bisogna distinguere tra l’essere universale (o in genere) e l’essere assoluto (o in sé). Il primo termine, di cui ha trattato Aristotele (e poi è stato ripreso da Scoto e Suarez) come oggetto della sua metafisica (essere in genere o comune), designa il concetto massimamente esteso, ma intensivamente debole di essere in quanto suscettibile di ogni altra aggiunta (essere ferro, uomo, angelo…). Esso è il concetto più astratto e generico, che è comune a tutti gli enti. È il concetto debole di essere, che considera l’essere come perfezione intensivamente o qualitativamente minima, ma estensivamente o quantitativamente massima, il quale fa da base ad ogni altra perfezione che si aggiunge all’essere. Quindi viene chiamato esse commune seu in genere. In tal modo gli enti si arricchiscono ontologicamente mediante l’aggiunta dall’esterno di altre perfezioni. L’essere comune, debole o generico è univoco perché tutti gli enti lo possiedono allo stesso modo e vi aggiungono dall’esterno altre perfezioni.
Il secondo termine, di cui ha trattato l’Aquinate come oggetto della sua metafisica (essere in sé), designa l’atto puro, l’atto supremo, l’atto della stessa forma ed essenza (forma ed essenza che per Aristotele costituivano l’atto per eccellenza), attualità di ogni altro atto, la massima perfezione o la perfezione di ogni altra perfezione e quindi esclude ogni aggiunta. L’Aquinate scrive: “L’atto puro è l’essere sussistente per sé, perciò ogni ente riceve l’ultimo perfezionamento mediante la partecipazione all’essere. Quindi l’essere è il completamento di ogni forma. Infatti la forma arriva alla completezza solo quando ha l’essere e ha l’essere solo quando è in atto. Sicché non esiste nessuna forma se non mediante l’essere. L’essere di una cosa è l’attualità di ogni forma esistente (actualitas cujuslibet formae existentis)” (Quodlibetales, XII, q. 5, a. 1). “L’essere è l’attualità di tutte le cose, anche delle stesse forme (etiam ipsarum formarum)” (S. Th., I, q. 4, a. 1, ad 3).
In questa seconda accezione di essere, l’Essere per sé sussistente, che coincide con la sua essenza, è Dio. Questo è il concetto forte di essere, che considera l’esse come perfezione intensivamente o qualitativamente massima e come fonte di ogni altra perfezione. L’essere tomistico è analogo, gli enti lo possiedono o lo partecipano secondo gradi molto diversi.
L’Angelico scrive: “L’essere con l’aggiunta dall’esterno di altre perfezioni è l’essere comune o generico, mentre l’essere considerato senza aggiunta di altre perfezioni è l’Essere divino” (S. Th., I, q. 3, a. 4, ad 1). Questa sembrerebbe una distinzione puramente filosofica di poca importanza, ma qualora si identifica l’essere comune con quello divino, il quale coincide con la natura di Dio, allora si cade nel panteismo. Infatti l’essenza di Dio coinciderebbe con l’essere che è comune a tutti gli enti, così che Dio e le creature farebbero una sola cosa. “Parvus error in principio fit magnus in fine” diceva san Pio X riprendendo san Tommaso.
Il metodo della metafisica di san Tommaso
Per quanto riguarda il metodo (dal greco methodos = via, percorso) o lo sforzo per raggiungere il fine della metafisica tomistica esso è la risalita (resolutio) dagli enti all’Essere per sé sussistente, dagli effetti, dal concreto, dall’esperienza alle cause e alla Causa prima, mediante argomentazioni raziocinative e dimostrative che si fondano su principi per sé noti o evidenti (cfr. In Boetii de Trinitate, q. 6, a. 1, ad 3).
L’essere come atto puro o perfezione assoluta
“L’essere” per l’Aquinate “tra tutte le cose è la più perfetta. L’essere è l’attualità di tutti gli atti e perciò è la perfezione di tutte le perfezioni/esse est actualitas omniun actuum et propter hoc est perfectio omnium perfectionum” (De potentia, q. 7, a. 2, ad 9), “è la più nobile di tutte le cose che si aggiungono ad esso. Infatti senza l’essere non ci sarebbe il conoscere, l’amare… agere sequitur esse” (In I Sent., d. 17, q. 1, a. 2, ad 3).
L’essere per san Tommaso non è solo l’esse commune o la piattaforma di tutto ciò che esiste, ma è l’esse ut actus inteso come atto puro che perfeziona ogni altra perfezione (essenza, sostanza, forma). L’essere in sé è puro da ogni potenza, imperfezione, limite: in breve è Dio. “L’essere in se stesso è infinito” (C. Gent., lib. I, cap. 43). Se è mischiato o ricevuto in una potenza allora è atto misto ed è ente finito. “Qualsiasi sostanza, essenza, natura o forma acquista perfezione per il fatto che riceve o partecipa l’atto d’essere ” (C. Gent., lib. III, cap. 56). L’essere è “l’attualità di ogni atto e quindi la perfezione di ogni perfezione” (De pot., q. 7, a. 2, ad 9). Infine “la nobiltà di ogni cosa dipende dal suo essere” (C. Gent., lib. I, cap. 56).
Res et ens
Tra cosa (res) ed ente (ens) vi è una certa differenza. Infatti ens esprime la totalità di una cosa (ens = essentia habens esse) e non solo una sua parte (essenza, forma, materia). Anche etimologicamente ens viene da esse (participio presente del verbo essere). L’Angelico scrive lapidariamente: “ens est quod habet esse” (I Sent., d. 37, q. 1, a. 1) oppure: “quod participat esse” (S. Th., I, q. 4, a. 2, ad 3). Quindi “ente non dice la quiddità o l’essenza, ma piuttosto l’atto di essere” (I Sent., dist. 8, q. 4, a. 2, ad 2).
Invece res fa riferimento piuttosto all’essenza: “dicitur res secundum quod habet aliquam quidditatem/si dice res o cosa in quanto ha una certa quiddità o essenza; dicitur autem ens secundum quod habet esse/invece si dice ente in quanto ha l’essere” (I Sent., d. 37, q. 1, a. 1). La parola quiddità o quidditas deriva etimologicamente da “quid sit res/qual è la essenza della cosa”.
Distinzione reale tra ente ed essere
L’ente è ben distinto dall’essere come atto. Infatti “l’ente è ciò che ha, partecipa o riceve l’essere (quod habet esse)” (In I Sent., d. 37, q. 1, a. 1). In breve “l’ente è ciò che partecipa all’essere (quod participat esse) o lo riceve” (S. Th., I, q. 4, a. 2, ad 3).
L’essere è definito atto primo/ultimo, infatti è l’atto ultimo perché, logicamente o in cognoscendo, esso attua l’ente che presuppone e che prima della sua venuta era ancora nel campo del non essere. Inoltre è atto primo perché, realmente o in essendo, attua l’ente.
La ragione fondamentale della distinzione ens/esse è che mentre l’essere è puro atto (e questa è la sua natura di essere); l’ente è composto di atto (essere) e potenza (essenza), quindi l’ente è finito ed è composto o misto realmente di potenza ed atto (e questa è la sua natura di ente).
Distinzione reale tra essenza ed essere negli enti creati
Il primo filosofo ad aver formulato chiaramente ed in maniera sistematica la distinzione tra essenza ed essere negli enti finiti è Ibn Sina detto Avicenna (980-1037) nella Sifa I, 2 (Hortem, p. 48). Il metafisico arabo distingue essere ed essenza, ma non arriva ancora – come farà circa 200 anni dopo l’Aquinate – al concetto di essere come atto puro e perfezione di ogni perfezione, Avicenna confonde esistenza con essere e scrive che l’esistenza è un attributo accidentale dell’essenza.
Da tutto ciò segue che essere ed essenza sono realmente distinti negli enti finiti. L’essenza è una specie di capacità o recipiente (partecipante) rispetto all’essere che è il ricevuto o partecipato: “l’essere in sé è infinito. Può essere partecipato da infiniti enti ed in infiniti modi. Se l’essere di un ente è finito significa che non lo è in quanto essere, ma in quanto è ricevuto, partecipato, limitato da un’essenza presente nell’ente” (C. Gent., lib. I, cap. 43). L’essenza sta all’essere come la potenza all’atto, la materia alla forma.
Causalità e partecipazione
Il termine partecipazione come il verbo partecipare può avere due significati. Uno passivo: partem capere seu partem habere; l’altro attivo: partem dare seu partem communicare.
Nella prima parte, detta ascendente, della metafisica tomistica (la resolutio o ascesa dagli enti finiti all’Essere per essenza) il termine partecipazione è preso in senso passivo: ricevere una parte da qualcuno, ma in senso figurato e non materiale o fisico, ossia possedere o ricevere parzialmente o in maniera finita ciò che ad un altro spetta interamente, intrinsecamente o per sua natura.
Nella parte seconda, detta discendente, della metafisica tomistica, che riguarda la creazione o fuoriuscita degli enti dall’Essere per sé sussistente, il concetto di partecipazione è inteso in senso attivo, ossia comunicare parzialmente qualcosa ad altri; nel caso l’Essere sussistente comunica o partecipa attivamente il proprio essere, non fisicamente o materialmente, ma parzialmente alle creature o enti finiti.
L’Essere sussistente è infinito, assolutamente perfetto, atto puro e quindi non è mai un partecipante o ricevente qualcosa da un altro come la potenza riceve l’atto. L’Essere non partecipa a nulla, non riceve niente da nessuno. È l’ente finito che partecipa all’Essere per sé ricevendo da Lui parzialmente l’essere (cfr. In Boetii de hebdomadibus, lez. II, n. 24).
Così “tutto ciò che riceve o partecipa parzialmente qualcosa è causato o effetto”; il causato o effetto è il partecipante alla causa che è il partecipato: Dio o l’Essere sussistente è solo e sempre partecipato, l’ente finito è solo e sempre partecipante.
In senso figurato partecipare significa prendere parzialmente parte a una perfezione che un altro tiene per sua natura e in maniera illimitata: “Dio è partecipato dalle cose non come una parte, ma secondo la diffusione e la processione di se stesso” (S. Th., I, q. 75, a. 5, ad 1), mentre in senso materiale o fisico (che non va mai applicato al concetto metafisico di partecipazione) partecipare significa prendere fisicamente o materialmente una parte di qualche cosa. L’essere, invece, è immateriale, non ha parti fisiche e non è suscettibile di divisione. Quindi il concetto di partecipazione significa che gli enti finiti prendono parte all’essere o possiedono l’essere in maniera limitata: “quando qualcosa riceve in parte ciò che ad un altro appartiene pienamente si dice che vi partecipa” (S. Tommaso, In Boetii de hebdomadibus, lez. II, n. 24).
Inoltre la partecipazione degli enti all’Essere è remota e limitata: “ogni cosa è ente in quanto partecipa, secondo una certa somiglianza sia pure alla lontana e in maniera limitata, alla prima realtà che è l’Essere per essenza” (S. Th., I, q. 4, a. 6).
Attenzione! La partecipazione tomistica rientra nell’ordine della causalità efficiente (Dio è Causa prima efficiente di tutti gli enti) e non della causalità formale (come volevano i platonici), ossia Dio non entra in composizione col mondo (materia) come sua forma.
Questa interpretazione platonica della partecipazione è la porta aperta al panteismo, secondo cui Dio sarebbe l’anima mundi.
L’ente finito non è l’essere, ma possiede l’essere per partecipazione, quindi è un ente causato o un effetto e ci fa risalire alla causa o alla ragion d’essere (il perché) della sua esistenza limitata; questa ragion d’essere o spiegazione dell’esistenza dell’effetto la fornisce solo l’Essere sussistente.
I limiti delle perfezioni degli enti sono fissati non dal caso, ma dall’Essere sussistente. Infatti questi limiti sono dovuti alle essenze o ricettacoli degli enti, che partecipano o ricevono l’essere da Dio (In Boetii de hebdomadibus, le. II, n. 24; Summa contra Gentiles, lib. I, cap. 26). L’ente è un’essenza che riceve l’essere. Ora la Mente di Dio, che coincide con la sua Essenza (in Dio non vi sono distinzioni reali, ma l’uomo distingue logicamente ovvero quanto al suo modo di conoscere le varie perfezioni divine per studiarle e parlarne meglio), prima si fa un’idea delle essenze create e dà loro una consistenza solo logica o ideale e mentale, poi le pone in essere o in atto ed esse ricevono una consistenza ontologica e reale da Dio, che è limitata più o meno a secondo che l’essenza del ricevente è più o meno limitata (per esempio, dal meno perfetto al più perfetto: il minerale, il vegetale, l’animale, l’uomo, l’angelo). Dunque Dio fissa i gradi di perfezione degli enti e li pone in un certo ordine o gerarchia mediante la partecipazione dell’essenze degli enti al suo Essere sussistente.
Così partecipare all’essere significa possedere o ricevere (come l’effetto dalla causa efficiente) in modo limitato l’essere, che si trova in maniera perfetta e illimitata nell’Essere stesso sussistente o per natura.
Per spiegare il principio di causalità efficiente san Tommaso riprende la definizione di Aristotele: “tutto ciò che è mosso è mosso da un altro” (S. Th., I, q. 2, a. 3) e ne fornisce altre analoghe: “tutto ciò che comincia ad essere ha una causa efficiente” (S. Th., I-II, q. 75, a. 1). Ma mentre Aristotele applicava il principio di causalità efficiente solo in cosmologia al moto o al divenire delle cose, l’Angelico lo applica anche alla metafisica e specifica: “ens in potentia non reducitur ad actum nisi per ens in actu/l’ente in potenza passa all’atto solo mediante un ente già in atto che lo muove verso l’atto”. Infatti qualcosa per essere causa deve già possedere la perfezione dell’effetto, ossia deve avere già in atto quanto comunica di attualità all’effetto. Ora “l’essere è l’attualità di tutti gli atti e perciò è la perfezione di tutte le perfezioni/esse est actualitas omniun actuum et propter hoc est perfectio omnium perfectionum” (cfr. In III Physicorum, lez. II, n. 285; De potentia, q. 7, a. 2, ad 9). Quindi ciò che è l’efficienza al massimo grado è l’essere.
Il concetto di creazione ex nihilo è simile a quello di partecipazione. Infatti Dio concede, partecipa o dà alle creature o enti finiti in maniera limitata l’essere illimitato, che coincide con la sua natura.
Inoltre l’Angelico – dopo essersi distinto da Aristotele, che applicava solo cosmologicamente o fisicamente il principio di causalità efficiente al moto o al divenire delle cose – lo applica anche alla metafisica e, quindi, si distingue anche da Platone in quanto interpreta la partecipazione alla luce della causalità efficiente e non formale (come faceva Platone).
Platone ha concepito per primo il principio di partecipazione e se ne è servito per spiegare il rapporto delle Idee con il mondo sensibile. San Tommaso d’Aquino riprende da Platone il concetto di partecipazione e lo legge alla luce del principio di causalità efficiente di Aristotele.
Secondo Platone il mondo sensibile partecipa al mondo delle Idee o intelligibile (Iperuranio) in quanto ne è la copia o l’ombra. Infatti le Idee sono la realtà perfetta e assoluta, mentre il mondo sensibile è imperfetto e materiale. Le Idee informano il mondo sensibile come la forma attua la materia. Platone scrive: “ogni essere sensibile perviene all’esistenza partecipando alla sua Idea corrispondente” (Fedone, 101c). Il mondo delle Idee è il modello, la forma esemplare o esterna in base alla quale il Demiurgo ha creato a sua imitazione il mondo sensibile informato intrinsecamente da quello intelligibile (Timeo, 28a).
Dunque per Platone la realtà vera è quella delle Idee, le quali rappresentano la causa formale, mentre il mondo degli enti sensibili, che rappresenta la causa materiale, è una realtà apparente, fatta di ombre e di fenomeni. Il sensibile o gli enti trovano il loro fondamento nel mondo delle Idee e dei Princìpi (Iperuranio) come la materia nella forma. Il mondo sensibile è una manifestazione, una copia, un’imitazione o un’ombra del mondo delle Idee. La partecipazione è il ponte platonico che collega i due mondi, ossia secondo Platone il mondo degli enti sensibili partecipa al mondo delle Idee, cioè riceve parzialmente o in maniera finita e formalmente ciò che all’Iperuranio spetta non solo formalmente ma anche interamente.
Tuttavia la partecipazione platonica si fonda sulla somiglianza e quindi su una certa presenza formale intrinseca o comunanza tra le Idee e il mondo sensibile. Quindi in Platone la partecipazione opera al livello di causalità formale (con il rischio del panteismo secondo cui Dio è la forma del mondo) e non di causalità efficiente (come sarà per l’Aquinate) per cui l’Essere sussistente o Dio è causa efficiente degli enti. Per Platone le Idee non sono causa del mondo sensibile, ma il nostro mondo rassomiglia all’Iperuranio grazie alla partecipazione formale, ossia gli enti del nostro mondo partecipano formalmente alle Idee, cioè gli enti sensibili entrano in composizione colle Idee così come la materia è attuata dalla forma. Successivamente la partecipazione platonica è stata ripresa da Proclo nel suo Elementatio theologica, poi da Boezio nel suo De hebdomadibus.
Invece l’Angelico spiega: “dal fatto che una cosa è ente per partecipazione ne segue che è causata da un altro (che è essere per essenza)/ex eo quod aliquis est ens per participationem, sequitur quod sit causatum ab alio” (S. Th., I, q. 44, a. 1, ad 1).
La grandezza del Duce degli studi (come Pio XI ha definito san Tommaso nella sua Enciclica Studiorum Ducem, 29 giugno 1923) è quella di avere letto alla luce del concetto di essere come atto puro tutti gli altri principi della metafisica. Così la partecipazione dell’ente finito (ens per participationem) all’Essere infinito e per sé sussistente (Ens per essentiam) presuppone la sovreminenza dell’esse ut actus su ogni altra perfezione (forma, essenza, sostanza) ed anche rispetto all’ente. L’essere è il partecipato, l’ente è il partecipante e il partecipato sta alla causa come il partecipante sta all’effetto. L’ente è tale perché participat finite esse (partecipa all’essere in maniera finita) ed inoltre perché la sua essenza è realmente distinta dal suo essere e ricevendo il suo essere lo limita e lo rende composto o misto di atto e potenza (= essenza). Quindi l’esse come atto è infinito, ma, se è ricevuto e partecipato in maniera limitata e finita in un’essenza (minerale, vegetale, animale, umana, angelica) sarà un ente finito e composto di essere ed essenza (minerale, vegetale, animale, uomo, angelo).
La dipendenza dell’effetto causato da una causa efficiente è richiesta ultimamente dal fatto che qualcosa è un ente per partecipazione, il quale richiede l’essere per sé o per essenza (cfr. S. Th., I, q. 44, a. 1, ad 1). Infatti quando un ente imperfetto partecipa di una perfezione, esige prima di sé un essere perfetto o per essenza, il quale ha quella perfezione per essenza (cfr. S. Th., I, q. 79, a. 4).
Quindi l’essere come atto o in quanto attualità di ogni atto e quindi perfezione di ogni perfezione è di per sé o de jure infinito. Infatti “L’essere è l’attualità di tutti gli atti e perciò è la perfezione di tutte le perfezioni/esse est actualitas omniun actuum et propter hoc est perfectio omnium perfectionum” (De potentia, q. 7, a. 2, ad 9). Pertanto “l’essere per essenza o per sé sussistente è uno solo, così come la bianchezza è una sola. Dunque è necessario che ogni altra cosa sia ente o bianca per partecipazione, cosicché in essa la sostanza partecipante o essenza che partecipa all’essere o lo riceve e lo limita sia distinta realmente dall’essere partecipato” (Quodl., III, 20).
La partecipazione fonda, sul piano statico, la composizione dell’ente di essere ed essenza quali atto e potenza realmente distinti. Inoltre la partecipazione, sul piano dinamico, fonda la dipendenza totale dell’ente dall’Essere per essenza, che è Dio, il quale ha la dignità dell’appartenenza intrinseca o per natura dell’essere alla sua essenza. Dio non è causato, non è causa di sé, ma è causa di tutti gli enti, perché l’essere appartiene intrinsecamente alla sua natura, mentre è partecipato o ricevuto dagli enti finiti o per partecipazione (S. Th., I, q. 11, a. 4; ivi, q. 4, a. 2, ad 3).
Il partecipato sta alla causa come il partecipante sta all’effetto. Per esempio, Dio è l’Essere partecipato, l’uomo è l’ente partecipante.
“Quando un ente riceve in maniera limitata ciò che altri ha in maniera totale, si dice che ne partecipa o ne riceve. Per esempio, l’uomo partecipa all’animalità, perché non la riceve in tutta la sua estensione; Socrate partecipa all’umanità perché non la riceve in maniera totale, ma limitata. Così si dice che l’effetto partecipa alla causa soprattutto quando non ne riceve il medesimo potere, per esempio quando si dice che l’aria partecipa alla luce del sole, ma non alla pari o totalmente” (In De Hebd., lez. II, n. 24): l’ente creato partecipa all’Essere per sé sussistente o infinito perché non lo riceve in maniera totale, ma limitata.
Questa distinzione porta alla composizione ens/esse che è il fondamento della metafisica tomistica e il perfezionamento di quella aristotelica. Infatti Aristotele si era fermato alla sola essenza senza fare il passo successivo verso l’essere come atto primo/ultimo di ogni essenza.
L’Aquinate scrive: “L’ente è il partecipante, l’Essere per sé è il partecipato. […]. L’essere è partecipato negli altri enti, mentre l’essere non partecipa a qualcos’altro. […]. L’ente partecipa all’essere nel modo in cui il concreto partecipa all’astratto o universale. Quindi l’ente può partecipare a qualcosa, mentre l’essere no” (In Boetii de hebd., lez. II, n. 24). È con san Tommaso che l’essere prende il primo posto e il vertice di tutte le perfezioni, mentre i neoplatonici lo ponevano dopo l’Uno e il Bene. L’essere è l’atto e la perfezione di tutti gli altri atti (S. Th., I, q. 75, a. 5, ad 1). Con l’Angelico la prima e somma perfezione non è più l’Idea, il Bene, l’Intelletto, la Sostanza, ma è l’essere, conformemente alla metafisica dell’Esodo (III, 3-15): “Ego sum qui sum”. Dio è “Colui che è” o “l’Essere per essenza”. Il Dottore Comune chiosa: “L’essere sussistente o Colui che è rappresenta il nome più proprio di Dio, sia per l’etimologia del termine che è l’essere, infatti esprime lo stesso essere e non un qualche modo particolare di essere; sia per l’universalità del significato poiché tutti gli altri termini sono meno vasti ed universali del termine essere” (S. Th., I, q. 13, a. 11).
L’analogia
La partecipazione fonda anche la dottrina dell’analogia o somiglianza dissomigliante, in cui la diversità è superiore alla somiglianza. Tra Dio e le creature, tra causa ed effetto vi è analogia o somiglianza e dissomiglianza, ove la dissomiglianza è sostanziale ed è maggiore della somiglianza che è accidentale o relativa.
Ogni creatura è più o meno simile a Dio in virtù del suo atto di essere partecipato; ed è più o meno dissimile a Dio in forza della sua essenza. Di qui la distinzione tra l’analogia di attribuzione intrinseca rispetto a quella di proporzionalità. L’analogia di proporzionalità (il sasso, l’albero l’animale, l’uomo e l’angelo, sono analoghi a Dio relativamente al fatto di esistere) accentua specialmente l’infinita distanza metafisica degli enti da Dio (infatti le loro essenze sono infinitamente lontane da quella divina). Invece l’analogia di attribuzione (l’essere appartiene essenzialmente a Dio e solo per partecipazione alle creature anche se realmente e intrinsecamente) accentua primariamente la dipendenza causale, o creaturale, degli enti da Dio (cfr. S. Th., I, q.3, a. 7, ad 1; ivi, I, q. 13, a. 5; Comp. Th., c. 130, n. 261). Non bisogna perciò contrapporre i due concetti di analogia, ma servirsene secondo i loro rispettivi compiti e scopi (primo: accentuare l’infinita distanza metafisica degli enti da Dio; secondo: sottolineare la dipendenza causale degli enti da Dio).
Inoltre l’Aquinate rafforza ed approfondisce il concetto platonico di partecipazione poiché lo inquadra nella sua metafisica dell’essere come atto ultimo di ogni perfezione.
Infatti per san Tommaso i partecipanti sono soprattutto gli enti finiti, che non sono l’Essere per essenza o il partecipato, ma hanno o ricevono da Esso limitatamente l’essere per partecipazione.
Ente, essenza, essere
L’essere in quanto perfezione ultima di tutte le perfezioni e attualità di tutti gli atti è in sé infinito, non è limitato o imperfetto. Quindi l’essere come atto è partecipato e non è mai un partecipante, che in sé è finito in quanto riceve una parte d’essere come la potenza riceve l’atto.
L’Angelico scrive: “l’essere può venire partecipato dalle altre cose, ma non può partecipare a nessuna cosa. Invece l’ente finito, ossia l’essenza che ha l’essere, partecipa all’essere come l’effetto alla causa, come il concreto partecipa all’astratto” (In De Hebd., lez. II, n. 24).
L’essenza è ciò che pone dei confini all’essere (per esempio, l’essere se è ricevuto nell’essenza umana sarà essere umano e non essere infinito).
Sempre san Tommaso spiega: “l’essere è comune a tutte le cose (il sasso è o riceve l’essere per partecipazione, il fiore è, il cavallo è, l’uomo è, l’angelo è, ossia essi ricevono l’essere in maniera limitata dalle loro essenze; Dio è e solo Dio è l’Essere per essenza e non lo riceve per partecipazione). Quindi queste cose non si distinguono tra loro in ragione dell’essere, che è comune a tutte quante. Ora siccome queste cose differiscono realmente tra di loro bisogna che queste cose o enti differiscano o perché l’essere stesso è specificato e diversificato da alcune differenze che gli vengono aggiunte dal di fuori, ma ciò è impossibile poiché al di fuori e oltre l’essere non vi è nulla; oppure perché il medesimo essere compete ad essenze o nature specificatamente o sostanzialmente diverse (per esempio, natura minerale, vegetale, umana, angelica e divina). Quindi bisogna ammettere che le cose differiscono a causa delle loro diverse nature o essenze per le quali si partecipa o si riceve l’essere in maniere sostanzialmente diverse” (Summa Contra Gent., lib. I, cap. 26).
Essere ed esistenza
San Tommaso utilizza il termine esistenza in varie sue opere (C. Gent., lib. II, cap. 82; lib. IV, cap. 29; De Veritate, q. 1, a. 2, ad 3). Nel commento alla Metafisica di Aristotele scrive che “il logico studia il modo di attribuire o predicare un nome o un verbo ad un soggetto, mentre il metafisico studia l’esistenza delle cose (logicus considerat modum praedicandi et non existentiam rei, philosophus quaerit existentiam rerum)” (In VII Met., lez. 17, n. 1658).
Per l’Angelico il termine esistenza serve a significare l’appartenenza di qualche cosa al mondo reale, oggettivo, esterno al soggetto pensante. Quindi ciò che esiste è reale e non è una pura idea o un ente logico. L’esistenza è ben distinta dall’atto di essere o dall’essere come atto, infatti l’esistenza è una semplice realtà di fatto, ossia è un fatto che le cose esistano e dalla loro esistenza deriva la conoscenza umana in quanto conformità dell’intelletto alla realtà esistente.
L’esistenza è un qualche cosa di reale (per esempio un sasso), che appartiene al mondo reale e non a quello delle idee. Questa appartenenza al mondo dell’esistenza reale sussiste allo stesso modo nei sassi, nei vegetali, negli animali, negli uomini, negli angeli e in Dio.
L’esistenza come fatto di appartenere al mondo reale o come fatto di esistere e non come atto d’essere o essere in atto non conosce gradualità, maggiore o minore intensità. Dio esiste o è esistente come il sasso esiste o è esistente. L’esistenza è un concetto univoco non analogico come lo è l’essere. Infatti l’essere di Dio è sostanzialmente diverso e infinitamente superiore a quello dell’angelo, ma quanto al fatto di esistere realmente o di appartenere al mondo esterno e non ideale, entrambi (Dio e l’angelo) sono una realtà di fatto in maniera eguale. È una realtà di fatto che il sasso è esistente, ossia non è non-essere così come la pianta, l’animale, l’uomo, l’angelo e Dio sono esistenti realmente.
Quindi non è esatto tradurre il termine existentia con essere (esse) perché tra existere ed esse vi è una gran differenza come tra l’atto e un fatto concreto o l’effetto dell’atto (l’atto di essere attua l’essenza e la fa uscire fuori dal nulla dando l’esistenza reale all’ente). Per esempio è un fatto che un gatto sta davanti a me, mentre l’essere del gatto è ciò che attua la sua essenza felina e fa uscire l’ente finito (per esempio, il “gatto Bobby”) al di fuori del nulla ed esistere (ex sistere/uscir fuori).
“L’ente esiste, ma essere non è esistere” (E. Gilson, L’essere e l’essenza, Milano, 1988, p. 342)
L’ente è risolto nell’Essere sussistente
Costatata la distinzione reale tra essenza ed essere negli enti creati occorre spiegare la loro unione effettiva. L’ente non ha diritto di essere, può ricevere l’essere e lo può perdere. L’ente finito per natura è contingente, ossia può avere l’essere come non averlo.
San Tommaso risolve il problema in due modi: 1°) la via della composizione e 2°) la via della partecipazione, che abbiamo visto sopra.
Quanto alla prima via dopo aver costatato che l’ente finito è composto di due elementi distinti, l’essenza e l’atto d’essere, l’Angelico spiega: “ogni ente in cui l’essere è diverso dalla sua essenza riceve l’essere non da sé, ma da un altro. Ora tutto ciò che è grazie ad un altro esige come sua causa prima ciò che è per sé. Quindi vi deve essere un ente che sia causa dell’essere in tutti gli enti finiti in quanto soltanto lui è essere, altrimenti si andrebbe all’infinito nelle cause poiché ogni ente che non è solo essere, ma è composto anche di essenza deve avere una causa. Quindi gli enti finiti ricevono l’essere dall’Ente primo che è solo essere puro senza composizione di essenza e questo è la Causa prima ossia Dio” (De ente et essentia, IV, n. 27).
Per quanto riguarda la seconda via l’Angelico assume come punto di partenza la partecipazione dell’ente all’essere e la prova come ho riportato sopra (cfr. In Joann., Prologo, n. 5).
Ecco che san Tommaso a partire dalla composizione e distinzione di ente, essenza ed essere arriva a dimostrare l’esistenza (in maniera metafisica oltre alle 5 vie comuni anche ad altri filosofi) dell’Essere stesso sussistente per sua natura o essenza, che è Dio.
L'oggetto della metafisica tomistica supera quello aristotelico.
Per Aristotele l’oggetto formale della metafisica era l’essenza o sostanza che costituisce ultimamente e perfeziona l’ente, ossia egli studia l’ente in rapporto alla sostanza. Infatti per lo Stagirita la forma è l’atto ultimo che perfeziona ogni essenza. Per l’Angelico è l’essere come atto dell’ente che conferisce l’attualità all’essenza. L’ente e la sostanza sono il recipiente o il partecipante, mentre l’essere come atto è il ricevuto o il partecipato (S. Th., I, q. 4, a. 1, ad 3), cioè l’Aquinate studia l’ente in rapporto all’essere come atto ultimo dell’ente o secondo ciò che lo costituisce come ente o gli dà realtà o la fa esistere ossia uscire al di fuori dal nulla e dalla causa. Questa è la novità e la genialità della metafisica tomistica. L’essere è la radice prima e la perfezione ultima di ogni ente o di tutta la realtà, è l’attualità di ogni atto, il culmine di ogni perfezione e quindi dell’essenza stessa. L’essere in sé è sempre e solo atto o atto puro da ogni potenza o composizione
“Tra tutte le cose l’essere è la più perfetta (esse est inter omnia perfectissimum). […].
L’essere è l’attualità di ogni atto e quindi la perfezione di ogni perfezione” (De pot., q. 7, a. 2, ad 9); “L’essere è l’atto ultimo o perfettivo, che è partecipabile da tutti, mentre l’essere non partecipa ad alcunché. L’essere è partecipato e non partecipante (Ipsum esse est actus ultimus, qui partecipabilis est ab omnibus; ipsum esse autem nihil participat)” (De anima, q. 6, a. 2); “L’essere è la più perfetta di tutte le cose, poiché è l’atto di ogni ente e di ogni forma o essenza. Quindi l’essere sta all’ente come il ricevuto o partecipato al recipiente o partecipante” (S. Th., I, q. 4, a. 1, ad 3).
In breve l’atto è sempre più perfetto della potenza. Quindi l’essere che è l’atto ultimo è la più perfetta di tutte le cose. La forma o sostanza è in atto solo grazie all’essere. L’ente esiste in atto grazie all’essere che attua l’essenza. Ciò che è essere come atto è l’attualità o perfezione di ogni atto e quindi la perfezione di ogni perfezione (ivi). “L’elemento più intimo dell’ente è l’essere, dopo l’essere l’elemento più intimo è la forma, grazie alla cui mediazione l’ente riceve l’essere” (De nat. accid., cap. 1).
Solo con questa nozione di essere come perfezione suprema si può sconfiggere il nichilismo filosofico. Infatti anche per Platone ed Aristotele il nulla è qualcosa (materia indeterminata, caos, vuoto) poiché non avevano la nozione esatta di essere come atto o perfezione ultima. Quindi solo per san Tommaso il nulla è non essere, mentre l’essere è la perfezione ultima che conferisce a tutti gli enti consistenza, realtà e attualità. Dunque occorre scegliere: o la metafisica tomistica dell’essere come atto ultimo e perfetto o la filosofia del non essere come nulla assoluto (nichilismo postmoderno). Solo l’essere come atto fa dell’ente qualcosa di reale, di esistente in atto, solo l’essere conferisce nobiltà, perfezione e capacità d’azione all’ente.
A partire dall’oggetto formale (essere come atto) l’Angelico risale all’Essere sussistente per essenza che è Dio (termine della metafisica ascendente).
Conclusione
La metafisica tomistica poggia su questi tre pilastri:
- l’essere come atto ultimo di ogni atto, di ogni sostanza e come perfezione di ogni perfezione;
- il principio di partecipazione letto alla luce della causalità efficiente;
- l’ente come essenza che riceve l’essere e lo limita.
Da questi tre concetti san Tommaso risolve gli effetti nella loro causa e gli enti per partecipazione nell’Essere per essenza: “tutto ciò che è qualcosa per partecipazione rimanda ad un altro ente che è la stessa cosa per essenza come a suo principio o causa suprema (per esempio, le cose calde per partecipazione si riducono al fuoco che è caldo per essenza). Ora siccome tutti gli enti esistenti realmente partecipano all’essere e sono enti per partecipazione, bisogna che in cima a tutti gli enti finiti vi sia qualcosa che sia essere per la sua stessa essenza, cioè la sua essenza è l’essere. Ma ciò è Dio, causa perfettissima e sufficiente di tutti gli enti: da lui tutti gli enti partecipano all’essere o ricevono l’essere per partecipazione come l’effetto deriva dalla causa” (In Joann., Prologo, n. 5).
Così il tomismo riesce a spiegare i rapporti tra finito e infinito senza cadere:
- nell’occasionalismo o soprannaturalismo esagerato, il quale nega ogni consistenza ontologica alle cause seconde o enti finiti e la attribuisce solo a Dio;
- nel panteismo o naturalismo autodivinizzante, che fa coincidere l’ente finito o per partecipazione con l’Essere infinito o per essenza e fa di Dio l’anima o la forma del mondo materiale;
- nel nichilismo filosofico/teologico o distruzionalismo della natura e soprannatura, il quale negando l’analogia nega la possibilità di conoscere qualcosa di Dio, della realtà, della morale e vorrebbe annichilare Dio, la ragione e l’essere per partecipazione se fosse possibile.
d. Curzio Nitoglia
20/11/2014
21 commenti:
Gentile Padre,
La chiedo: «Nnon c'è un uso della termine, "essere", che riguardava una nozione o categoria ma non proprio Dio stesso?» e «Perché si usa la termine, "Essere", se Lei non riferisce a Dio?» «Il maiuscolo in Italiano non è riservato ad Iddio?»
La chiedo perchè in questo discorso, non comprende essattamente quando Lei riferisce proprio a Dio a quando ad essere.
Romano
Leggo nel testo:
"...In questa seconda accezione di essere, l’Essere per sé sussistente, che coincide con la sua essenza, è Dio. Questo è il concetto forte di essere, che considera l’esse come perfezione intensivamente o qualitativamente massima e come fonte di ogni altra perfezione. L’essere tomistico è analogo, gli enti lo possiedono o lo partecipano secondo gradi molto diversi...."
Risulterebbe un altro licenziamento di un parroco a Treviri a causa della sua fedeltà alla tradizione?
http://eponymousflower.blogspot.it/2014/11/trier-laity-rises-up-against-bishops.html
Puntuale significativo Magister. Sul papa perplessità di un vescovo, di un sociologo di giornalisti vaticanisti.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350929
ottimo pezzo di Don Curzio Nitoglia.
naturalmente questa è finalmente metafisica, e metafisica legittima, al punto che
"...In questa seconda accezione di essere, l’Essere per sé sussistente, che coincide con la sua essenza, è Dio. Questo è il concetto forte di essere, che considera l’esse come perfezione intensivamente o qualitativamente massima e come fonte di ogni altra perfezione. L’essere tomistico è analogo, gli enti lo possiedono o lo partecipano secondo gradi molto diversi...."
"l’Essere per sé sussistente, che coincide con la sua essenza, è Dio,"
e coincide ovviamente con l'espressione scritturale di Dio come "Colui che E'"
cfr. "Io sono Colui che sono"
Esodo 3,14;
cfr.
Apocalisse 1,8
"Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!"
scusate se esco dal seminato, ma avete visto gli atti osceni e le offese a Gesù Crocifisso delle Femen in Piazza S.Pietro? Il Papa non dovrebbe riparare pubblicamente?
Ma la Chiesa di cristo "subsist in" come h affermato il CV II oppure "è" la Chiesa Cattolica? in quest'ultimo caso le altre confessioni cristiane, sette incluse, tanto care a Bergoglio, cosa sono ? qual'è il loro peso per il papa? debbono far ritorno all'ovile (Chiesa di Roma) oppure sono socie paritarie della grande Chiesa di Cristo di ci alla Nostra Aetate ?
Scusate l`OT.
La mentalità abortista portata alle sue estreme conseguenze, come detto nell`articolo : "macabro traguardo", e lo ricordo oggi perché in Francia si celebra, si commemora, con grande enfasi il 40° 'anniversario della legalizzazione dell`interruzione volontaria della gravidanza, legge Veil vista come una vittoria della donna.
Tragica vittoria.
http://www.lastampa.it/2014/11/26/blogs/san-pietro-e-dintorni/papa-ue-e-piccoli-orrori-MnViszDUM3ryKUFRmAPlyI/pagina.html
Mic e Josh:
Riferisco a: « Inoltre la partecipazione degli enti all’Essere è remota e limitata: “ogni cosa è ente in quanto partecipa, secondo una certa somiglianza sia pure alla lontana e in maniera limitata, alla prima realtà che è l’Essere per essenza” (S. Th., I, q. 4, a. 6).»
perché sembra valido se in questo bramo "Essere" significa l'accettazione analaga non Dio...altrimenti gli enti sono in composizione con Dio...
Romano
Intervento bannabile bannabilissimo, ma che per quanto mi riguarda nasce da un problema drammatico. A scanso di equivoci tengo a precisare che ho acquistato per leggerle davvero non solo la Summa Theologica in volume unico, consultabile anche in tram, ma anche la Dogmatica in più volumi dello Schmaus, il docente che bloccò la tesi del giovane Ratzinger per i suoi elementi di innovazione a suo parere impropri.
L'immagine dell'universo come è presentata dal Tomismo è mirabilmente armonica, come appare anche nella sua traduzione poetica nel primo canto del Paradiso di Dante. Mi fa pensare a una cattedrale onnicomprensiva e protesa verso l'alto, ma anche a una linea ferroviaria perfettamente congegnata, in cui ogni treno ha un preciso percorso da seguire e arriva in orario.
Il problema è di vedere fino a che punto questa immagine è compatibile con l'osservazione della natura come è emersa dalle investigazioni a vastissimo raggio fatte dalla scienza moderna con microscopio, telescopio e quant'altro.
Il primo grande stile artistico della Modernità è il Barocco, misto di razionalismo estremo e di fantasia a stento frenata e spesso sfrenata del tutto: fenomeno che si è accentuato, direi anzi incancrenito nel contemporaneo.
Il grande avversario del Tomismo è la biforcazione fra Razionalismo e Vitalismo, che compare già in Hobbes
( la "guerra di tutti contro tutti" ) ma ha come grande maestro e alfiere Nietzsche. secondo cui la caratteristica della Vita è la tendenza al superamento dei limiti; in soldoni, come lo spumante che non è tale se non tende a "esplodere" fuori della forma data dalla bottiglia. Così per il fenomeno riproduttivo: ogni albero produce centinaia e migliaia di frutti in vista della falcidia operata dalla morte, tanto da consentire a pochissimi di sopravvivere. Di diverso rispetto al Nazismo oggi, nell'età postsessantottina, vige l'idea che la razionalità assoluta valga nel campo del lavoro, la sfrenatezza libertaria nella vita privata.
Saltando per brevità parecchi passaggi logici,
mi chiedo e chiedo se una visione cristiana del cosmo per essere oggi condivisibile non debba contenere anche il concetto che TUTTA LA NATURA e non solo l'UOMO
sia stata ferita e per così dire "hackerata" dal Peccato Originale.
Qi si pongono i problemi relativi al legame tra Legge Naturale e SUBLIMAZIONE DEGLI ISTINTI in vista della ricostituzione di una Natura edenica, così come l'aveva progettata Dio.
PS. Le Università Cattoliche sono riuscite a riproporre il Tomismo come intelaiatura portante del sapere?
contenere anche il concetto che TUTTA LA NATURA e non solo l'UOMO
sia stata ferita e per così dire "hackerata" dal Peccato Originale.
Il peccato originale, secondo la Scrittura ( Gn 3, 1-13), ha comportato il distacco da Dio, con la perdita dei doni soprannaturali e preternaturali presenti nella creazione originaria e l'espulsione dal paradiso. La perdita della grazia ha provocato all'uomo anche la perdita dell’armonia con la creazione e con se stesso, mentre la sofferenza e la morte hanno fatto il loro ingresso nella storia (CCC, 399-400).
Dunque la creazione è stata coinvolta nella caduta. Ed ecco San Paolo: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Romani 8, 19-23).
PS. Le Università Cattoliche sono riuscite a riproporre il Tomismo come intelaiatura portante del sapere?
Non credo proprio. Ma prima o poi dovrà accadere. Sono sempre di più, soprattutto tra i giovani sacerdoti, coloro che diventano consapevoli degli inganni delle false filosofie, rispetto alla philosophia perennis.
Mic. Il brano della lettera ai Romani mi è ben noto ed è per me un conforto vederlo spesso citato in sede di teodicea ( a proposito di tsunami e quant'altro ). Però questo non basta; a me sta a cuore sottolineare che la tematica della "caduta" della Natura è stato trattato dai teologia solo di striscio. Per quanto ne so, Pio XII si limitò ad affermare che nell'Eden Adamo ed Eva erano stati esentati dalla morte e dalla corruzione, a cui era assoggettato il resto del creato ( mentre nel libro della Sapienza è detto che non è stato Dio a creare la morte ). Mancuso ( e in questo credo abbia ragione ) sostiene che la teologia cattolica negli ultimi secoli si è sganciata quasi completamente dalla cosmologia e dalla storia naturale, con danni molto gravi sulle sue capacità di presa sociale.
Invece si tratta di un problema importantissimo, perché relazionato alla "fondazione della Legge Naturale". Si tratta di vedere se al giorno d'oggi sia sostenibile l'idea dell'esistenza di una Legge Naturale riconoscibile anche dall'agnostico e dall'ateo, "etsi Deus non daretur".
Uno dei cavalli di battaglia dell'ateismo militante è appunto l'inesistenza di una simile legge, a favore del positivismo giuridico, ispirato a una specie di vago intuizionismo etico. E' quanto sostiene un giurista di rilievo come Gustavo Zagrebelski; è la base concettuale del "partito radicale di massa"
( che forse fra poco porterà la Bonino al Quirinale ).
Ipotizzo, come già detto, che la Legge Naturale non si riferisca sic et simpliciter alla Natura com'è adesso, in cui oltre a Ordine, Bellezza, Armonia ci sono rapina, inganno, violenza, spreco impressionante per vastità di germi e di esistenze formate, ma a un movimento di ricostituzione della Natura Edenica. In questo senso non vedo come si possano sostenere certi punti ardui dell'etica proposta dalla Chiesa senza fare riferimento all'arco completo della Storia della Salvezza, dalla Creazione, alla Caduta, all'Apocalisse con "cieli nuovi e terra nuova.
Del resto, anche i laicisti, pur negando la Legge Naturale, si ispirano più o meno consapevolmente al concetto di Utopia, surrogato del Paradiso della religione: un mondo in cui non si riba, non si inganna, non si uccide...
Un accenno solo di sfuggita agli animalisti, tanto benintenzionati quanto teoricamente ingenui, superficiali, approssimativi.
Mi congratulo con don Curzio, e lo ringrazio tanto, per la sua esposizione della metafisica tomistica, che mi sembra d'una chiarezza non comune.
Solo un'osservazione: anche l'ente di ragione, l'ente meramente logico, è pur sempre ente, e dunque "ha l'essere": non è quindi nulla, non-essere. Il nulla non può nemmeno esser pensato. O sbaglio?
Si può forse parlare, per l'ente di mera ragione e per l'ente reale, di modi, o piani, diversi dell'essere? Non so se m'esprimo bene, ma mi chiedo se si possa dire che anche un ente di ragione, per esempio un numero di diciottomila cifre, o un uomo o un evento meramente possibile, riceva l' "actus essendi" – nella misura più limitata che gli è propria – dal fatto d'esser pensato "ab aeterno" da Dio.
Franco,
Una risposta terra terra.
Se "tutte le cose dono state fatte per mezzo di Lui", il Logos, il Verbo di Dio, in esse è inscritta quell'impronta che nell'uomo è immagine e somiglianza (sfigurata ma non cancellata) e che nel resto della creazione e nel cuore stesso dell'uomo chiamiamo "legge naturale". Del resto anche le leggi della fisica, la matematica, non rivelano un ordine mirabile? Che poi ci siano le false filosofie che lo negano, la realtà non cambia.
Del resto la dignità umana non si fonda nel fatto che l'uomo è ordinato a Dio? E ciò non implica un ordine implicito che purtroppo può essere violato perché la ferita originaria ha lasciato l'inclinazione al male, ma che preesiste e sussiste e riesce ad essere percepito da chi 'ascolta'?
Noi, in più, abbiamo la grazia e la salvezza, che è restaurazione della natura ferita e il ripristino dell'armonia originaria portata e operata da Cristo Signore... È questo il contagio e la 'rivelazione dei figli di Dio' che la creazione aspetta...
Mi viene in mente il "principio di indeterminazione" che ha scosso il rigore positivista nella fisica. Se non ricordo male l'indeterminazione non rivela disordine, ma interazioni (tra tempo materia energia) molto più complesse, nell'ordine della probabilità e non della determinazione. E dice anche, in certi esperimenti, una qualche influenza dell'osservatore.... E chi è l'osservatore se non l'uomo che il Signore ha collocato vertice e custode della creazione?
Mi viene in mente ancora che il richiamo alla legge naturale, intesa anche come principi conoscibili dall'intelletto, è rivolto ad una razionalità personale che, con la sua risposta, può contribuire ad instaurare (o a restaurare) omnia in Christo...
La natura, seppur colpita essa stessa a causa del peccato, ci richiama comunque ancora ad un Dio Onnipotente. Le Scritture dicono: "lo stolto dice: Dio non esiste".
Un richiamo a Dio è quindi reale, ma allo stesso modo col quale noi ci sintonizziamo su un canale radio che ci fa entrare in risonanza con determinate onde acustiche e ne cogliamo il significato, per poter sentire, vedere e capire la presenza nella natura dell'impronta di Dio, ci dobbiamo sintonizzare con le "Sue frequenze" ed in primis, dobbiamo essere umili.
Solo allora inizieremo a vedere, capire e sentire la grandezza dell'Onnipotente, spesso meglio intesa dai piccoli che dai sapienti.
LETTERA ENCICLICA
FIDES ET RATIO
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA
CIRCA I RAPPORTI
TRA FEDE E RAGIONE
Venerati Fratelli nell'Episcopato,
salute e Apostolica Benedizione!
La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso (cfr Es 33, 18; Sal 27 [26], 8-9; 63 [62], 2-3; Gv 14, 8; 1 Gv 3, 2).
...
Dato a Roma, presso San Pietro, il 14 settembre, festa della Esaltazione della Santa Croce, dell'anno 1998, ventesimo del mio Pontificato.
GIOVANNI PAOLO II
@Franco,
Dove hai acquistato la Somma Teologica in un volume?
E i sei volumi della Dogmatica di Schmaus?
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