Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 19 settembre 2020

I diritti si fondano sul diritto. Di Giovanni Formicola

Tavolo di Lavoro sulla Commissione Glendon

I diritti si fondano sul diritto
di Giovanni Formicola

Con un articolo introduttivo di Don Samuele Cecotti [leggi qui] abbiamo lanciato la proposta di una riflessione a partire dalle conclusioni della Commissione Glendon sui veri diritti umani. 

Il diritto, secondo la lezione di Paolo Grossi, preesiste alla legge positiva – che tutt’al più lo riflette, lo recepisce, lo esplicita, lo «mette in chiaro», lo munisce di sanzione in caso di trasgressione –, allo stesso modo in cui la società precede quello che i moderni chiamano Stato. Prima, infatti, vi sono gli uomini, le famiglie, i gruppi, e la loro fitta trama di relazioni – tra loro e con la realtà materiale (anzitutto il suolo sul quale vivono, che ne costituisce patria e territorio), ma anche con la Divinità –, che istituiscono appunto una società. Poi, le forme organizzative e la sovranità che essa si dà, e con le quali s’instaura un’altra specie di relazione, i cui soggetti sono la società (non solo nel suo insieme, ma anche nelle sue componenti particolari, fino agl’individui) e tale struttura organizzativa e sovrana, che culmina in quello che oggi si chiama stato, che è dotato di un articolato apparato di funzionamento, detto anche burocratico, dalle proporzioni ormai mostruose.

Ognuna di queste relazioni ha una sua misura, una sua fisionomia, naturale, e storicamente determinata, che costituisce l’ordine giuridico fondamentale.

La legge, il diritto positivo, trova in tale misura ed in tale ordine un prius, un diritto vivente – ch’è anzitutto res, una realtà –, che ordinariamente deve riconoscere e tutelare, e che ne è condizione di legittimità. Solo straordinariamente i decreti dei sovrani, per quanto attiene alla dimensione storica di tale fisionomia e mai a quella naturale, e solo nei casi di assoluta necessità, possono intervenire su di essa, e comunque sempre e solo in vista del bene comune.

Prima del diritto positivo, dunque, vi sono un diritto naturale (la misura conforme alla natura umana e del reale), e un diritto storico o consuetudinario – che il legislatore deve rispettare e talvolta esplicitare recependoli in norme ed istituti giuridici –, e che costituiscono il criterio di «giustizia» della legge (cfr. l’eterna invettiva di Antigone nei confronti di Creonte). La norma positiva non crea il diritto, altrimenti non potrebbe mai dirsi la legge giusta o ingiusta, ma tutt’al più valida o invalida.

Dell’ordine giuridico fondamentale fanno parte, fra gli altri, il diritto alla vita dell’innocente – il cui riconoscimento è dovuto ad ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale, senza che il legislatore possa stabilire se, quando e come si sia pienamente uomini –; i diritti di libertà – da quella economica a quella all’educazione dei propri figli, a quella religiosa –; il diritto della famiglia ad essere riconosciuta e tutelata in quanto tale se fondata sul matrimonio come legame tra un maschio ed una femmina, senza avere la pretesa di riscriverne la natura volontaristicamente. «Si esprimono, in questi valori, norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e neppure dal consenso che gli Stati possono ad esse prestare. Sono infatti norme che precedono qualsiasi legge umana: come tali, non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno.

La legge naturale è la sorgente da cui scaturiscono, […] [i] diritti fondamentali […] che è doveroso onorare. Nell’attuale etica e filosofia del Diritto, sono largamente diffusi i postulati del positivismo giuridico. La conseguenza è che la legislazione diventa spesso solo un compromesso tra diversi interessi: si cerca di trasformare in diritti interessi privati o desideri che stridono con i doveri derivanti dalla responsabilità sociale. In questa situazione è opportuno ricordare che ogni ordinamento giuridico, a livello sia interno che internazionale, trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale, nel messaggio etico iscritto nello stesso essere umano. […]

La legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica» (Benedetto XVI).

Si tratta precisamente di questo: proteggere la società e l’uomo dagli arbitri del potere – anche quello di un’assemblea legislativa democraticamente e legalmente eletta – che non voglia o non sappia rispettarne i diritti e la natura propri, che non voglia o non sappia riconoscere quel suum che loro spetta e senza la cui attribuzione non v’è giustizia, e quindi non v’è tutela del bene comune. Solo il riconoscimento del diritto naturale e quindi di un superiore criterio di legittimità universalmente valido, che vada oltre la mera legalità della legge, può aiutare a proteggersi da simili rischi.

Né si dica che il criterio è vago. Esso fu invocato ed applicato a Norimberga per condannare crimini che erano tali per la coscienza umana rettamente formata, ma non per la legge vigente dove e quando venivano commessi. La grande tradizione umanistica occidentale e cristiana assicura la conoscibilità dei principi fondamentali della legge naturale, ancorché sempre in agguato rimanga l’errore nella loro decifrazione ed applicazione al caso concreto. Infatti, «La conoscenza della norma […] naturale non è preclusa all’uomo che rientra in se stesso e, ponendosi di fronte al proprio destino, si interroga circa la logica interna delle più profonde inclinazioni presenti nel suo essere. Pur con perplessità e incertezze, egli può giungere a scoprire, almeno nelle sue linee essenziali, questa legge […] comune che, al di là delle differenze culturali, permette agli esseri umani di capirsi tra loro circa gli aspetti più importanti del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. È indispensabile risalire a questa legge fondamentale impegnando in questa ricerca le nostre migliori energie intellettuali, senza lasciarci scoraggiare da equivoci e fraintendimenti» (Benedetto XVI).

L’alternativa è, per i diritti umani autentici, il «rischio, purtroppo sempre latente, di scivolare verso una loro interpretazione solo positivistica» (Benedetto XVI), che li renderebbe fragili com’è fragile tutto ciò che dipende dal consenso di qualcuno e non stia di suo. «[…] se fosse così, la maggioranza di un momento diventerebbe l’ultima fonte del diritto. La storia dimostra con grande chiarezza che le maggioranze possono sbagliare. La vera razionalità non è garantita dal consenso di un gran numero, ma solo dalla trasparenza della ragione umana alla Ragione creatrice e dall’ascolto comune di questa Fonte della nostra razionalità» (Benedetto XVI). È perciò indispensabile che i diritti umani siano considerati «come aventi fondamento non semplicemente nella decisione dell’assemblea che li ha approvati, ma nella natura stessa dell’uomo e nella sua inalienabile dignità di persona creata da Dio» (Benedetto XVI). Ed in quanto fondati sulla natura umana, essi sono una «grammatica universale» e perciò pacificatrice.

La natura della persona umana, fondamento della sua dignità e dei suoi diritti, è poi decifrabile e conoscibile nella sua realtà propria ed oggettiva. L’approccio soggettivistico e relativistico al concetto di persona, infatti, la renderebbe esposta ad ogni manipolazione e riduzione. Se nel novecento non furono considerati persone, a seconda dei sistemi totalitari in cui vivevano, gli ebrei o i borghesi, i credenti o gli zingari, sembra proprio che a partire dalla sua seconda metà questa negazione stia colpendo i concepiti non ancora nati, i deformi, i geneticamente imperfetti, i malati gravi, e tutti coloro cui venga diagnosticata una pessima qualità della vita. E come non persone si ritiene legale la loro soppressione o manipolazione.

Né potrebbe andare diversamente: «Se […] [i] diritti si fondano su una concezione debole della persona, come non ne risulteranno anch’essi indeboliti? Si rende qui evidente la profonda insufficienza di una concezione relativistica della persona, quando si tratta di giustificarne e difenderne i diritti. L’aporia in tal caso è palese: i diritti vengono proposti come assoluti, ma il fondamento che per essi si adduce è solo relativo. […] Solo se radicati in oggettive istanze della natura donata all’uomo dal Creatore, i diritti a lui attribuiti possono essere affermati senza timore di smentita. […] È solo facendo chiarezza su questi presupposti di fondo che i diritti umani, oggi sottoposti a continui attacchi, possono essere adeguatamente difesi. Senza tale chiarezza, si finisce per utilizzare la stessa espressione, “diritti umani” appunto, sottintendendo soggetti assai diversi fra loro: per alcuni, la persona umana contraddistinta da dignità permanente e da diritti validi sempre, dovunque e per chiunque; per altri, una persona dalla dignità cangiante e dai diritti sempre negoziabili: nei contenuti, nel tempo e nello spazio» (Benedetto XVI).

Senza il Creatore svanisce la creatura e, con la creatura, cioè con la sua natura immutabile metafisicamente intesa, non può che sparire anche il diritto. Rimane solo l’arbitrio del legislatore onnipotente e dell’esecutore dei suoi comandi. Infatti, secondo il positivismo giuridico, «l’umanità, o la società, o di fatto la maggioranza dei cittadini, diventa la fonte ultima della legge civile. Il problema che si pone non è quindi la ricerca del bene, ma quella del potere, o piuttosto dell’equilibrio dei poteri. Alla radice di questa tendenza vi è il relativismo etico, in cui alcuni vedono addirittura una delle condizioni principali della democrazia» (Benedetto XVI).
Giovanni Formicola - Fonte 

15 commenti:

#stopcristianofobia ha detto...

Lorenzo Fontana:
Continua l'attacco e la distruzione dei nostri simboli religiosi e della nostra identità!
Colpita la statua di Sant'Antonio da Padova, situata di fronte la basilica a Lui dedicata a Milano.
La #cristianofobia in Italia è una realtà, della quale non si vuole parlare!

Anonimo ha detto...


Una anteriorità alquanto dubbia

"Prima" esiste la società poi lo Stato. Prima, come: nel tempo?
Non sarebbe più esatto dire che società e Stato crescono assieme?
La società del tutto anteriore allo Stato è la società tribale,
in uno stadio ancor rozzo. Ma, nella misura in cui le tribù hanno
una pur rozza e barbarica organizzazione per amministrare la
giustizia, costituire una difesa comune, riscuotere tributi, il
tutto coordinato da un consiglio di anziani o capi-tribù, non
abbiamo qui in embrione già lo Stato, come organizzazione?
La contrapposizione società-Stato non può essere troppo rigida.
Piuttosto, bisogna dire che entrambi, società e Stato dovrebbero
riconoscere il diritto, ma il diritto di natura, la legge di
natura, come norma superiore (vedi l'Antigone).
Quando si parla di Stato contrapposto a società si pensa sempre
allo Stato nato dalla Rivoluzione Francese, considerato il
prototipo dello Stato moderno. Ma prima, non c'erano gli Stati,
non c'era un'idea dello Stato?
Società o Nazione? Bisognerebbe anche chiarire bene questo nesso.
Come disse qualche storico del passato, la nazione francese e
quindi la società francese non sarebbe mai esistita senza l'opera
della Monarchia francese e della Chiesa in Francia, ossia senza
l'opera dello Stato (monarchico) e della Chiesa-istituzione, che
operava, aggiungo,come uno Stato parallelo e intrecciato al potere
regio.
La tesi della anteriorità praticamente assoluta della società allo Stato
è astratta, storicamente inadeguata e possibile fomite di anarchia.
PP

Anonimo ha detto...

Vandalizzata la statua di Sant' Antonio a Milano. Era lì da 88 anni.
Questo episodio dimostra che abbiamo ragione sulla vera natura delle violenze in Italia.
E' una natura di scristianizzazione della società dalla quale scaturisce la "cultura" dello sballo senza limite e, come diceva Dante, della "matta bestialità".
Ma noi reagiamo con potenza con la bellissima preghiera del dolce Santo Antonio:
Gesù, Signore misericordioso:
Vieni e rimani con noi;
donaci la pace;
perdona i nostri peccati;
allontana dai cuori ogni dubbio e timore;
rinvigorisci in noi la fede
nella Tua Passione e nella tua Risurrezione,
così che per la Tua grazia meritiamo la vita eterna.
Amen. Alleluia.

Anonimo ha detto...

Massimo Gramellini, sulla prima pagina del "Corriere", sostiene il diritto delle liceali di recarsi a scuola in minigonna ascellare. E accusa gli insegnati maschi, ai quali "cade l'occhio" di essere dei "guardoni" (testuali parole). E riferendosi alla surreale protesta delle studentesse di un liceo romano, che erano state rirerse dalla vicepreside per un abbiagliamento non consono,, ha scritto: " La parte migliore l'hanno fatta le ragazze, che hanno reagito al sopruso (sic!) presentandosi a scuola in minigonna. E se a qualcuno continuasse a cascare l'occhio, anzichè coprire le gambe, si potrebbe coprire l'occhio".
Insomma: questo maestro assoluto del più disgustoso buonismo rovescia la realtà. La scuola può diventare una discoteca (o una spiaggia) e chi protesta è "sessista " e persino "guardone", se non si autoevira preventivamente con il bisturi del femminismo politicamente corretto.
Il Sessantotto non è mai finito.
Martino Mora

Anonimo ha detto...

Era l'ultima occasione per gli esponenti politici, di parlare delle proprie proposte.
Salvini, Meloni e Tajani hanno parlato di scuola, sanità, imprese, sviluppo e lotta all'immigrazione clandestina.
Dalla parte opposta, Zingaretti ha detto che c'è da fermare Salvini.
Crimi invece ha detto che Salvini va fermato.
Di Maio ha affermato che l'interesse del paese è fermare Salvini.
Renzi ha detto che occorre arginare Salvini.
LEU e PIÙ EUROPA hanno messo in guardia contro Salvini che va fermato.
Il 97% dell'informazione italiana, quella di parecchio indietro rispetto a quella del Ghana nella classifica mondiale per libertà di stampa, conferma che c'è da fermare Salvini.
Ve lo dico con sincerità.
Io Salvini lo voto già con convinzione da tempo, ma se anche fossi un 'indeciso", finirei col votarlo solo che per vedere questi cialtroni contorcersi nel risentimento comunista, come vermi infilzati all'amo.
Fabio Armano su Fb

Anonimo ha detto...

Il caffè di Gramellini ha qualcosa oltre allo zucchero che gli fa scrivere simili scemenze, parlo per aver visto, nel LC frequentato da mio figlio le ragazze sono vestite come lap dancers con qualche centimetro di stoffa per top e parvenza di mini e shorts, in inverno i jeans lasciano generosamente intravedere il filo interdentale dell'intimo, perché cadono, e i maglioni sformati oversize fanno il resto, il tutto potrebbe andare bene per la disco, ma......io proporrei la divisa scolastica fin dalle elementari e stop, con buona pace delle vecchie femministe astiose che ormai passate di moda ed età, continuano a 'lottare' per la libertà delle donne, se poi alle sgangherate ragazzotte ubriache perse fanno la festa in disco e fuori, non dico sia cosa bella, anzi è ripugnante, ma dovrebbero capire che i maschi sono sempre gli stessi da sempre, gender o non gender, ma si sa è tutta colpa del truce, ieri sera un penosissimo Crozza, che non fa ridere nemmeno col solletico sotto i piedi, si è prodotto in una squallida imitazione con tanto di rosari al collo, un velo pietoso sulla caricatura di Berlusconi......

Anonimo ha detto...


Ancora sull'articolo sui diritti umani.

L'articolo è in pratica un riassunto delle tesi di Benedetto XVI. Giusta la critica di BXVI al relativismo dei valori dominante, anche se non particolarmente originale. Il relativismo porterebbe al trionfo del positivismo giuridico, il che spiegherebbe (in parte) perché si è arrivati a legislazioni aberranti in tema di aborto, suicidio assistito etc etc

A parte la considerazione del nesso Stato-società, che andrebbe, come ho detto, meglio calibrata (così è unilateriale e semplifica troppo), faccio presente che la concezione positivistica tradizionale non implica necessariamente il trionfo dell'immoralità nella legislazione, come lo vediamo attuarsi oggi. Il positivismo, in quanto statualista sull'origine del diritto, che tende a ridurre a norma posta dallo Stato, non entra nel merito della norma, cioè non ne discute il contenuto. Può discuterla, ma dal punto di vista morale e politico non giuridico. Il che significa che non obbliga il legislatore a recepire il contenuto sociale dato, quale che sia in quel momento storico. In questo senso, per il positivista, il legislatore è assolutamente libero.
Ora, concepire il diritto posto dallo Stato come semplice riflesso dei costumi e del diritto spontaneo o "vivente" che si sia già formato nella società, ciò costituisce un'arma a doppio taglio. Infatti, i sostenitori delle normative aberranti in bioetica e diritto di famiglia che ben conosciamo, usano proprio questo argomento per giustificarsi: -la società si è evoluta, il diritto dello Stato deve riconoscerlo, adeguarvisi etc.
Ne segue che, quando lo Stato volesse riconoscere (e imporre come unica) la famiglia naturale come espressione del diritto di natura dovrebbe oggi legiferare c o n t r o la mentalità corrente e prevalente: dovrebbe quindi legiferare in nome di una norma trascendente, assoluta, di diritto naturale appunto. Tutto il contrario di ciò che sostengono i fautori del "venir (sempre) prima della società rispetto allo Stato", per i quali lo Stato deve solo riconoscere il diritto "spontaneo" allo stato diffuso nel sociale.

Faccio poi presente che nella tradizione della Chiesa i "diritti di libertà" non appartenevano ai "diritti umani" o meglio al diritto naturale. La libertà di espressione, anche in religione, è concetto alquanto moderno. Né Pio IX né Leone XIII ammettevano la "libertà religiosa", penetrata poi nel VAticano II, come libertà di esprimere e praticare liberamente qualsiasi culto e convinzione religiosa, come se fossero tutte uguali. Si ammetteva la libertà in foro interno perché nessuno può essere costretto a credere, ma non quella in foro esterno, pubblica, sottoposta a limitazioni nei confronti del culto pubblica della unica vera fede, quella cattolica.
IL fatto è che si continua ad usare una nozione dei "diritti umani", fondati sulla dignità dell'uomo in quanto tale, a prescindere dal suo comportamento, che non appartiene alla tradizione cattolica e viene invece dal laicismo con il quale Maritain e consorti hanno inquinato il cattolicesimo, aprendo la strada alle false dottrine conciliari.
PP

mic ha detto...

Grazie caro Paolo,
dovremo parlarne con maggiori dettagli anche in riferimento alla Dignitatis Humanae...

Anonimo ha detto...

Scusate ma perchè dimenticare il diritto romano che è in fin dei conti alla radice di tutto. Lo stato è una conquista culturale romana?
Res Publica Res Populi – Studi sulla tradizione giuridico-religiosa romana di Giandomenico Casalino

Descrizione

Attraverso l’esplicitazione attenta ed efficace dei principi costitutori del Diritto Romano, fondamento della Civitas, soffermandosi su temi fondamentali quali la visione spirituale della vita e la giustizia, l’identità spirituale dell’Europa, sul Diritto Romano privato, sul concetto di Auctoritas e sulle ragioni dell’inesistenza della persona giuridica, etc., questo libro diviene uno dei pochissimi libri sul Diritto Romano, fondamento del Diritto Universale, trattato secondo i suoi FOBDAMEBNTI SACRALI ORIGINARI e nel suo contesto religioso, e permette di comprendere come la degenerazione del Diritto Romano sia andata di pari passo con il decadere della civiltà attuale, individuando nella restaurazione della Tradizione giuridico-religiosa romana una via alla realizzazione della Pace e della Giustizia in Europa.
In ultima istanza, questa raccolta di saggi sottende un unico scopo: fornire alla nostra conoscenza, e al nostro «sistema di pensiero», accrescendoli, la possibilità di vedere nel particolare l’Universale, nella norma, nel nominare della Giurisprudenza, Scienza eminentemente romana, la visione totale della Bellezza dell’Ordine Divino che si dispiega nel mondo, la Maiestas del Regere Imperio secondo mandato divino.

Giandomenico Casalino (1950)
è avvocato ed esercita la professione forense a Lecce, dove vive. E’ studioso, dal punto di vista tradizionale, del mondo classico greco-romano, nelle sue dimensioni giuridico-religiose e filosofico-politiche. Ha pubblicato saggi e libri: Il nome segreto di Roma. Saggio sulla metafisica della Romanità, nel 2003, Il Sacro e il Diritto, nel 2000, Aeternitas Romae. La via eroica al Sacro dell’Occidente, nel 1982.
Scrive per le rivisteVie della Tradizione ed Arthos e collabora regolarmente alla rivista del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce con saggi sul pensiero giuridico romano.

Anonimo ha detto...


Ancora su questo tema, provvisoriamente.

Mic, prego. Circa il diritto romano inteso in senso "sacrale" non saprei francamente che cosa dire. Bisognerebbe leggere le opere dell'autore gentilmente segnalato. Il diritto romano ha poi avuto una lunga storia, quello della codificazione giustinianea era ben diverso dal diritto romano delle origini, che era un diritto giurisprudenziale, basato soprattutto sulle opinioni dei giureconsulti privati, per quanto riguarda il diritto privato.
Ma il discorso sul diritto romano ci può portare fuori strada, rispetto al tema in oggetto.
In un intervento, non si può dire tutto. Vorrei però precisare ancor meglio, circa il rapporto tra Stato e società o "nazionalità spontanea", come si dice oggi.

IL diritto dello Stato esiste per soddisfare bisogni transeunti e permanenti. Quelli momentanei riguardano appunto le situazioni sociali in evoluzione, che dovrebbero esser regolate dal punto di vista dei valori fatti propri dall'ordinamento dello Stato. Quindi, è normale che il diritto positivo dello Stato rifletta i bisogni e le aspirazioni della società. Ma nella società, non tutto è bene. Il legislatore dovrebbe allora scegliere tra il buono e il cattivo e respingere le pretese cattive che cercano di farsi strada. Ora, il criterio per scegliere, il Legislatore, lo Stato, da dove lo ricava? Non certo dalla prassi stessa, spesso confusa, che cerca di imporsi anche con la forza e con gli inganni. Il criterio risulterà dai valori che lo Stato possiede o crede di possedere: applicherà questi valori alla realtà, facendo la cernita tra ciò che essi accettano o respingono. Il riconoscimento statuale delle istanze sociali viene quindi sempre mediato dai valori cui lo Stato si ispira, i quali preesistono (a volte in una Costituzione scritta) e giustificano lo Stato in quanto tale, come soggetto giuridico-politico volto per definizione a realizzare il bene comune; proviene, quindi, dal modo nel quale lo Stato stesso intende la sua opera o missione, se vogliamo. Proviene da una prospettiva che non coincide, o coincide solo in parte, con quella (o quelle della società).

La "società" poi non è una realtà unitaria, i suoi membri non mirano come tali al bene comune ma al loro proprio. La famiglia ne è la base ma tende necessariamente al suo "particulare", per quanto nobile e vitale. Idem per il mondo del lavoro, che può entrare in conflitto con la famiglia. E tutti e due con lo Stato. L'indirizzo unitario, indispensabile, chi lo può dare se non lo Stato, inteso con come "comitato d'affari della borghesia" (secondo i socialisti di un tempo) o come propaggine occasionale di un ceto aristocratico di tipo feudale, ma come istituzione pubblica che esiste con la sua autonomia concettuale, spirituale, deputata esclusivamente al bene comune. Un'istituzione che, nelle società moderne, non può che essere permanente, condizionando in modo decisivo la società, nelle sue varie componenti.
Lo Stato che interviene solo a regolamentare dall'esterno i rapporti sociali altrimenti (supposti) spontanei, che sembra piacere ai "tradizionalisti", non sembra distinguersi molto dallo Stato ridotto al minimo dei liberali di un tempo, lo Stato "guardiano notturno", ha detto qualcuno. Ma i liberali di un tempo avevano una concezione ottimistica della natura umana e quasi miracolistica dei benefici della libertà individuale, a cominciare da quella economica.
PP

Anonimo ha detto...


OGGI 20 SETT. ANNIVERSARIO DELLA PRESA DI ROMA DA PARTE DEL RE D'ITALIA

Un articolo di S Fontana su La NBQ ripropone il problema della legittimità dello Stato italiano, che ha occupato Roma con un atto di violenza e soppresso per gradi il potere temporale del Papa. L'autore ricorda le scomuniche di Pio IX al Re d'Italia e allo Stato italiano.
Ricordo che Pio IX scomunicò (ipso facto) anche tutti quelli che avevano votato sì all'annessione al Piemonte, nei suoi ex Stati, centinaia di migliaia di persone.
La violenza è sempre immorale, immorale dunque e illegittimo lo Stato italiano unitario, che si è costruito con la violenza. E illegittimo anche per il mancato riconoscimento del Papa e le scomuniche giustamente ricevute. (Ma quanti sono gli Stati nuovi che non si sono creati con la violenza? E tutti gli Stati, non sono all'inizio "nuovi"? Lo stesso Stato Pontificio non era all'inizio un Ducato bizantino che lentamente si è ribellato, liberandosi dalla scomoda e odiosa e inefficiente nonché esosa tutela dei Greci, per ampliarsi via via, con donazioni e qualche guerretta qua e là, non solo difensiva?).
Ma il punto essenziale è un altro. Come si fa a continuare a riproporre il problema della legittimità dello Stato italiano dopo che la Chiesa, con i Patti Lateranensi, ha posto fine alla Questione Romana, riconoscendo essa stessa benignamente la legittimità dello Stato italiano? Vogliamo risolvere i nostri problemi attuali ritornando al 1859? Del Trattato Lateranense i "tradizionalisti" antiunitari non parlano mai, eppure ancora regola il rapporto tra Stato e Chiesa in Italia. Dice l'art. 26 del Trattato :
"La S. Sede ritiene che con gli accordi...Le viene assicurato adeguatamente quanto Le occorre per provvedere con la dovuta libertà ed indipendenza al governo pastorale della Diocesi di Roma e della Chiesa CAttolica in Italia e nel mondo; dichiara definitivamente ed irrevocabilmente composta e quindi eliminata la "questione romana" e riconosce il Regno d'Italia sotto la dinastia di Casa Savoia con Roma capitale dello Stato italiano.
Alla sua volta l'Italia riconosce lo SCV sotto la sovranità del Sommo Pontefice..."

La S. Sede ha perdonato l'Italia unita per le offese ed angherie a suo tempo ricevute, durante i tempi agitati della nostra Unificazione; i "tradizionalisti" invece non perdonano e vorrebbero riaprire la "questione romana" nell'ambito di un più ampio disfacimento dell'Italia unita, da loro sempre detestata, per principio.
Faccio comunque presente che i Patti furono dovuti soprattutto all'iniziativa personale di Mussolini (forse per questo non ne parlano mai) e che proprio durante il Fascismo lo Stato italiano ridiventò "confessionale", dando di nuovo corpo all'art. 1 dello Statuto Albertino, quello del cattolicesimo unica religione dello Stato, riconoscendo il matrimonio cattolico accanto a quello civile, attuando insomma tutta una serie di misure ed iniziative a favore della religione e della Chiesa.
La scristianizzazione in grande è cominciata con la Repubblica democratica e democristiana e il Concilio.
PP

Anonimo ha detto...

NON SONO "NO-VAX" MA NEMMENO UNA VACCA
La "Dittatura Sanitaria" che si serve delle tecniche della biopolitica per estendere il dominio dello Stato perfino sul corpo dei cittadini ha già coniato la categoria "no-vax" per i pazzi contrari a ogni vaccino, ma lo scopo è quello di estenderla a chiunque si opponga alla volontà di rendere obbligatorie le inutili vaccinazioni di massa per malattie stagionali come l'influenza.
E così succede che "negazionista" come chi nega la Shoah è non solo il cretino demente che nega l'esistenza del Covid19, ma anche chi contesta il "modello cinese" di gestire l'infezione virale e preferisce il "modello svedese"; "terrapiattista" non è solo il "minus habens" che pensa di vivere su un disco volante, ma anche chi ritiene che l'uso della tecnologia debba essere limitato dalla tutela della libertà e della privacy; e "no-vax" diventa anche chi invece è "no vacca", cioè chi ritiene che gli esseri umani non debbano venire sottoposti ai metodi della zootecnia per soddisfare le esigenze di bilancio delle holding farmaceutiche quotate in Borsa.
A gente come la Gelmini, in riferimento all'articolo, o alla Lorenzin per il recente passato, dico che sono un "No Vacca" e pertanto: "Vaccinate la vacca di vostra sorella e lasciate in pace i cittadini sani!"
https://lanuovabq.it/it/antinfluenzale-obbligatorio-sbagliato-sul-piano-medico

Anonimo ha detto...

Il diritto se non è fondato sulla Legge di NSGC diventa, com'è diventato, una contraddizione auto/riproducentesi nel tempo e nello spazio. E le leggi precristiane? Tentavi umani di superare le contraddizioni umane. Quello che dovrebbe sempre allarmare è la prolissità del diritto, la verbosità del diritto che entra sempre più nel particolare, denunciando così implicitamente che l'uomo non è stato messo nella condizione di poter sviluppare una dirittura morale affidabile nelle cose della vita.

Anonimo ha detto...


E le leggi precristian? Tentativi umani di superare le contraddizioni umane.

Non sarei così reciso. Il pensiero greco aveva chiaro il concetto della legge (nomos) come regola trascendente la comunità e non esaurita dal diritto positivo di uno Stato. La distinzione tra legge di natura e legge posta dall'autorità civile era netta, la troviamo ben definita in Aristotele e non solo. La legge di natura, oltre che sulla ragione si fondava anche sulla divinità, su valori che erano anche religiosi.
Lo stoicismo sviuppò più ampiamente il concetto di legge di natura.
Dire "leggi precristiane" è una semplificazione, la categoria è troppo vasta. E comprenderebbe solo le leggi positive. Sul carattere sempre imperfetto delle leggi, che possono anche essere ingiuste, il pensiero greco aveva le idee chiare. Anche autori come Cicerone rinviavano a una legge naturale.
Il contrasto drammatico tra legge civile ingiusta e legge naturale fu colto e rappresentato dai Tragici nell'Antigone.
Il diritto "non fondato sulle legge di NSGC" è quello che non solo rifiuta il concetto di legge naturale di origine divina ma anche legifera contro di essa, come oggi. Ma un simile diritto sarebbe stato inconcepibile anche per il mondo greco-romano.

Anonimo ha detto...

Grazie, infatti non ho riflettuto sulle divinità invocate all'inizio dei diversi codici a noi giunti.