Come mai noi che ci sentiamo una popolazione civile, che ci gloriamo della nostra cultura, abbiamo tollerato che sparisse da noi quello che era, in fondo, il fondamento della nostra vita spirituale?
Una volta qui in Italia si studiava latino nelle scuole, a partire dalle Medie inferiori; ora solo in pochi licei. Il latino è stato bandito dalle nostre scuole, e ancor più dalle nostre chiese. Ma se si rompe il legame con i Padri – della Patria, se si vuole, e soprattutto della Chiesa – si perde l’identità e ci si sente come orfani. Di chi siamo figli? O non siamo figli di alcuno? Sia come italiani, sia come fedeli nella Chiesa, la lingua latina era quello che manifestava una precisa identità culturale e religiosa. Conoscere il latino significava attingere la linfa vitale della nostra cultura dalle proprie radici.
Come una pianta non vive se le foglie non si nutrono dei sali minerali che provengono dal terreno, così anche la nostra generazione – che non nasce come un fungo dal nulla – si perde se smarrisce il contatto con il proprio passato. Se questo è vero per un popolo e una cultura, tanto più è vero per la santa Chiesa di Dio, che da quando ha rigettato il latino ha smarrito una profonda unità e la ricchezza della comunicazione liturgica. La liturgia della Chiesa infatti non è rivolta al mondo e tanto meno consiste in un dialogo col mondo: è rivolta a Dio. Nella liturgia della Chiesa gli uomini si rivolgono al Padre eterno e lo pregano affinché Egli continui a donare al mondo non solo benedizione e pace, ma soprattutto il Salvatore (il Figlio) e lo Spirito Santo. Dio non ha lingua: egli intende tutti gli idiomi e soprattutto il linguaggio del cuore; siamo noi uomini che dobbiamo entrare in questo “atto” divino e parteciparvi intensamente per ricevere tutto il dono che Dio ha preparato per noi, ossia Egli stesso nel suo Corpo, Sangue, anima e divinità. Tutto ciò si esprime perfettamente in una lingua che non è affatto “morta”, ma ben viva se si pensa che attraverso quelle parole e quei canti noi entriamo realmente in un rapporto vivo e drammatico con il Signore Gesù.
Si prega meglio in italiano o nelle lingue locali? Queste ultime si usano e si sono sempre usate nella preghiera personale, nella comunicazione intima con Gesù risorto, ma nella liturgia è la comunità, è la Chiesa intera che si esprime, si innalza, si pone come la “Sposa” che implora dallo Sposo ogni bene.
Nella Messa e nella liturgia non sono solo io-singolo, che vado a Dio, ma sono io-Chiesa che supplico e prego per tutti. E per entrare meglio in questo Mistero il latino è incomparabilmente un mezzo più adeguato, provato, sacro.
Quando io nacqui mi ritrovai in una Chiesa che parlava italiano, cantava italiano, suonava italiano con chitarre e organi elettrici. Le canzoni di Chiesa avevano la stessa melodia, più o meno, delle canzoni di Sanremo. Non protestai, perché tutti facevano così e dicevano che andava bene. Ma, crescendo, ho cambiato opinione. Mi sono imbattuto nel canto gregoriano. All’inizio mi era ostico. Poi vi entrai pian piano, ed ora non riesco più a cantare altro. Non è “fissazione”, ma la scoperta di un tesoro. Ne sono stato sempre più attratto. Quando mi fu dato in mano un Kyriale per cantare le Messe in gregoriano, inizialmente non feci caso ad un numero scritto in piccolo in caratteri romani che si trova in alto a destra. In alcuni casi era la X, che è il numero 10. Mi fu poi spiegato che cosa significasse; era il secolo in cui quel canto era stato composto. Fu per me una folgorazione: quel Kyrie veniva cantato, così come mi era giunto tra le mani, da più di mille anni! Quanti monaci, quanti fedeli avevano usato quel Kyrie? Innumerevoli, e in ogni parte del mondo. Quello stessissimo Kyrie è stato allora cantato da san Bernardo, da san Francesco, dalle mistiche renane, da santa Teresa di Gesù, da san Giovanni Bosco; è stato cantato dai contadini scozzesi e nelle missioni del Burkina Faso, da Vescovi e popolani, da Papi e donne di casa, in cattedrali e in pievi sperdute, in chiese di bambù e in altari da campo. Mi domandavo se un canto come, ad esempio, Tu sei la mia vita altro io non ho, che facciamo oggi nelle nostre parrocchie, potrà reggere il logorio di un millennio, e se sarà ancora cantato nelle chiese tra mille anni… Non credo.
E noi abbiamo gettato via tutto per… che cosa? Perso il latino, perso il gregoriano, è sgretolata l’unità.
Diranno senza dubbio che questa è un’esagerazione e che l’unità si fonda su ben altri valori. Certamente anche la Chiesa che celebrava le Messe in latino e cantava in gregoriano non era perfetta, e i peccati ci sono sempre stati; ma questo non è un argomento probante. Faccio solo il confronto tra quello che era e che abbiamo perduto, e quello che siamo e non abbiamo guadagnato. Nella lingua locale non viene espresso meglio il rapporto con Dio e la partecipazione all’ «atto liturgico». La Messa è un evento, un fatto, un atto: non mio, ma di Dio. In quell’atto io sono chiamato ad entrare e parteciparvi, ricevendo, in modo passivo (ma della passività terribile che è la fede, ossia l’accoglienza del Mistero) il Corpo di Cristo e la salvezza eterna. Nella lingua locale tende a prevalere invece la concettualizzazione, la comprensione della singola parola, a discapito del Mistero, della sacralità e della parola evocativa. La Messa nella lingua locale è divenuta più un parlato che un fatto, una seduta piena di suoni piuttosto che un ingresso nella Realtà. Dicono anche che nella Messa in lingua latina le persone non capivano nulla e le vecchine recitavano il Rosario durante la Messa. Sante vecchine! Lo facessero anche oggi, sarebbe una benedizione. Nelle fasi di silenzio adorante della Messa, mentre il sacerdote recitava sotto voce delle preghiere al Padre, ma a nome di tutto il popolo, la vecchina metteva tutto il suo cuore e la sua fede dicendo mentalmente o sottovoce «Ave Maria». È un peccato, questo? Oggi non si dice il Rosario durante la Messa, ma la testa sovente va altrove, perché quello che dice il sacerdote nelle omelie è sovente insipido e noioso, e la distrazione durante il rimanente della Messa assale… Ci si può distrarre anche durante la preghiera eucaristica, seppur detta in italiano, durante l’elevazione e anche dopo la Comunione.
È interessante notare, infine, quello che dicono diversi esorcisti: quando essi fanno le preghiere in italiano, secondo il nuovo rituale distribuito qualche anno fa ad uso degli esorcisti, non succede nulla; mentre se passano agli esorcismi che si facevano fino a poco tempo fa, in latino (e che parole potenti venivano usate!), allora il maligno si scatena. Curioso: il demonio conosce assai bene il latino, e lo teme. Evidentemente egli ne sa di più dei liturgisti odierni. Il demonio, così, fa da ottimo sponsor per il ritorno della lingua sacra nella liturgia. Quando sarà che il latino, con i meravigliosi canti gregoriani, gettato fuori dalla porta, rientrerà finalmente dalla finestra?
Ci salveranno le vecchie zie, intitolava Leo Longanesi un suo saggio, ripreso come titolo poi da Gnocchi e Palmaro. Chissà che per il latino invece non ci salvino il demonio e le sante vecchiette col rosario in mano. [Fonte: Europa cristiana by MiL]
14 commenti:
Il fatto obiettivo che hanno indegnamente sotterrato il Latino vuol dire che il mondo vuole che il demonio debba trionfare. Guai, però, a chi lo avrà permesso!
Non mi convinco.
E quando mai Gesù pregò in latino?
Noi dobbiamo seguire Gesù salvatore, morto e risorto. staccandoci da affetti culturali per questo o quel secolo.
Quante apparizioni mariane nei secoli! Quante esortazioni materne da parte della Madre!
Non si curò mai del latino. Anzi con Bernardetta Soubirous parlava in dialetto. Le insegnò tante cose fra cui la devota genuflessione e il segno della croce ma nessun accenno al latino.
Impossibile che Satana consideri divina una lingua. Magari riconosce il santo che scrisse quelle formule.
Il Maligno teme la santità non le formule.
Una cosa che colpisce è vedere cosa succede nelle altre religioni. Nei centri islamici organizzano corsi di arabo classico per dare la possibilità a tutti anche a chi ha una scolarità molto bassa di leggere il Corano. La memorizzazione del Corano poi è altamente apprezzata. Gli ebrei hanno resuscitato una lingua non più parlata ridandole vita come strumento di comunicazione quotidiana. I pensionati americani protestanti studiano il greco neotestamentario e l'ebraico biblico. In tutto il mondo ha preso piede un movimento che propone lo studio del sanscrito parlato.
https://en.wikipedia.org/wiki/Samskrita_Bharati
Mic ricorda nel suo bel libro come poi ci siano italiani che finiscono per recitare mantra in sancrito.
Solo la Chiesa Cattolica ha buttato a mare il latino. Si potrebbero organizzare corsi in tutte le parrocchie se la Chiesa fosse diversa. Il problema è che a proporlo si riceverebbero se va bene solo sorrisi di compatimento. è un altro dei doni del Concilio, un clero che per lo più disprezza il latino.
C'è molto da replicare all'intervento 9:58, chiaramente sofista. Mi riservo di farlo più tardi. Intanto attendo le vostre osservazioni...
Il paradosso è che, proprio quando le persone hanno iniziato a viaggiare e a spostarsi di frequente verso altre nazioni, la Chiesa abbia deciso di eliminare quella lingua e quella Messa capace di unificare "materialmente" tutti i cattolici sotto lo stesso rito e lo stesso idioma.
A chi ridicolizza la Messa in latino dicendo che non si capisce niente - ma oggi tutti sappiamo leggere e scrivere e Messali, fogli con traduzioni o al massimo internet sono accessibili a chiunque - ribatto di provare, come capitò a me anni fa, a seguire una Messa in Thailandia, ovviamente tutta in tailandese. Dove, oltre a non capire veramente nulla del suo svolgimento - il famoso e famigerato segno della pace non viene compiuto con le strette di mano, poiché il contatto fisico con estranei fra gli asiatici non è molto amato, bensì con un lieve inchino del capo verso i vicini - non era nemmeno possibile raccogliersi in un personale dialogo con Dio, poiché la Messa NO è un profluvio di parole che, se pronunciate in una lingua incomprensibile, fanno l'effetto di un concerto metal sotto alle finestre di casa alle 3 di notte.
"Le insegnò tante cose fra cui la devota genuflessione e il segno della croce ma nessun accenno al latino."
E a quel tempo ce n'era forse bisogno?
Era forse stato abolito il latino nella S.Messa?
No, una tale assurdità non era neppure presa in minima considerazione.
Chiaro: la Madonna di certo non viene dal Cielo per dire cose inutilmente ovvie.
L'intervento delle 9.58 si smentisce con la semplice precisazione che il latino non è lingua sacra per una qualche (risibile) elezione divina, ma perchè ha i caratteri fondamentali della lingua sacra (così come il greco bizantino, lo slavo eccelesiastico etc.). Qui un intervento in materia: https://traditiomarciana.blogspot.com/2017/12/la-questione-della-lingua-nella-liturgia.html
Il latino è lingua attraverso la quale è avvenuta la prima evangelizzazione della europa, se vogliamo tralasciare l'ossatura che insieme al greco diede in ambito religioso, filosofico, giuridico, culturale a tutta la civiltà europea. Che poi il Signore, Maria Santissima, non abbiano difficoltà alcuna ad esprimersi in tutti gli idiomi, non fa meraviglia.
Fa invece meraviglia non renderci conto del significato della perdita di questo patrimonio, anche solo a livello elementare di popolo.
Lo studio del latino è strettamente legato alla morfologia ed alla sintassi dell'italiano e di molte altre lingue.
Per strano che possa sembrare, la sparizione del latino ha caricato la morfologia e la sintassi italiana di tante regole e sotto regole incomprensibili, diventando invece esse comprensibili nella loro origine e vita con lo studio del latino, che diventa una sorta di loro esemplificazione.
La scomparsa del latino ha portato in auge tanti termini 'scientifici' che vengono dal greco, ancor più difficili da intuire.
A parte queste ed altre considerazioni che possono essere recepite come cultura medio alta, nei fatti, risalgo alla mia esperienza di ragazzina delle elementari, dalle ultime classi delle elementari terza, quarta e quinta, si lavorava sulla lingua, grammatica, sintassi, scrittura, memorizzazione, questo era patrimonio che veniva passato a TUTTI.
Questa era una prima formazione del pensiero, della sua capacità di esprimere il suo vissuto, di riportare quello che aveva visto e/o udito e di memorizzare i poeti che meglio si adattavano all'età della fanciullezza e agli studi elementari della geografia, della storia patria.
Questa ossatura, data a TUTTI, consentiva di affrontare e sostenere il carico che via via si sarebbe diversificato dopo le medie o nella scuola tecnica o nelle scuole magistrali o nei licei.
Certo è che vuoi per l'italiano, vuoi per la matematica, vuoi per la storia e geografia le nozioni erano di minore quantità di quelle che si trovano sui tanti libri degli alunni di oggi, ma quelle pur essenziali nozioni le conoscevamo TUTTI. Tutti, cioè alla fine delle elementari, avevamo un patrimonio di regole, tipo la tavola pitagorica, CONDIVISO.
Ora per tornare al nostro latino, non si insegnava certo alle elementari ma, nell'insegnamento era implicito il suo ingresso poco dopo, TUTTI quindi l'avevano in nuce in se stessi, come possibilità concreta.
Quindi nella formazione delle intelligenze, tutte diverse e con tempi di maturazione diversi, era stato gettato un seme che a suo tempo si sarebbe dischiuso vuoi nel lavoro del pescatore, vuoi dello spaccapietre, vuoi dell'operatore ecologico, vuoi della donna pubblica, vuoi del primario d'ospedale, vuoi nel parroco di campagna, vuoi nell'autodidatta.
Il dischiudersi dell'intelligenza significa pensiero capace di muoversi nel mondo distinguendo il bene dal male.
Quindi, pur facendo astrazione in questa rapida carrellata di tutti gli altri insegnamenti di cui l'uomo necessita per diventare tale, guardando solo la lingua latina dalla soglia delle elementari, dove non si insegnava ma, dove ad un certo punto si era certi che si sarebbe insegnato, l'insegnamento, in particolare, dell'italiano era veicolato in modo tale che TUTTI potessero avere l'accesso un domani anche al latino; non si pretendeva allora dai bambini la conoscenza di nozioni da master ma, solo e bene le nozioni elementari, necessarie. Patrimonio di TUTTI negli anni futuri.
Mah... per l'intervento 9:58...richiamiamo cose peraltro forse ben note:
Gesù ve lo volle nascere, romano, quando i romani erano appena giunti in palestina e anzi e ve ne nasceva insieme a Lui l'Imperium; e però, di più, non solo così venendo Lui adempiva allora le promesse antiche, ma, piuttosto, arrecava inoltre le sue proprie promesse ultime e nuove: quelle, ossia e innanzitutto, che sarebbe pur ancora ritornato. Dove infatti le scritture apocalittiche e i Padri della chiesa lasciano ben intendere che la prima manifestazione universale del mistero di quel suo ritorno si sarebbe allora avuta proprio e infine con la apocalisse della caduta temporale della Roma antica; con il termine, poi e perciò, del mondo che era stato umanamente di Gesù: ma e poi dunque con, quindi, la trasfigurazione stessa intanto e anche del ruolo di una così perciò nuova Roma quale e ve ne venisse cioè e anzi a trasmutarsi nella medesima prima trasposizione di quanto stava ben simboleggiato nella stessa Gerusalemme quale allora che è celeste. Quella, e poi e cioè, in cui vi si canta quel canto infatti nuovo dell'Agnello che, dunque, epocalmente, e non avrà poi alluso ad altro se non poi proprio al prodigioso e inarrivabile dono del canto gregoriano latino della rivelazione - piena - di quella Parola di Dio quale e che infine nel latino dunque della stagione della suddetta caduta secolare di Roma, ve se ne vide allora riversate insieme e - da un lato - le versioni primordiali greche dell'annuncio apostolico ebraico, e dall'altro la stessa retroversione ultima e (come accennato), apocalittica, di quegli stessi reperti ancora direttamente pur ebraici del Nuovo testamento stesso. Quei reperti poi e, cioè, che prima quindi del compiersi della fine del mondo antico, pur e, ancora per poco, essi nella Palestina dove dunque veniva intanto compiuta la Scrittura latina ultima come tali intanto e ancora pur e vi sussistevano. Essendovi stati sin lì originariamente tramandati.
Siamo allora così sicuri che, in una vita e nell'altra, il Signore non abbia parlato e pregato in latino..?
"E quando mai Gesù pregò in latino?" Aboliamo il latino!
E quando mai Gesù si fece il segno della croce? Aboliamolo!
Risposta discorsiva: Gesù parlava in aramaico, conosceva il latino o il greco, si esprimeva in queste lingue, era barbuto, era alto o basso? Quante altre domande e curiosità avrebbero potuto avere una risposta, se ci fosse stato, in quel tempo, un registratore e meglio ancora se qualcuno lo avesse ripreso con una videocamera in real time! Peccato, anche, che non abbia compilato un elenco, con note esplicative, di tutti i suoi pensieri, tutte le sue regole, tutte le sue prescrizioni. Insomma, un gran peccato che non ci abbia lasciato un Testo Unico e Completo, per omnia saecula saeculorum, delle volontà del Padre da applicare in questa nostra valle di lacrime!
Abbiamo, sfortunatamente, fra le mani solo le testimonianze di alcuni suoi discepoli, che giuravano di annunciare l'evangelo di Gesù Cristo, quale essi stessi avevano ascoltato de visu, specificando anche modestamente, come scrisse San Giovanni, che "molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro."
Un buon cattolico non avrà mai nulla da eccepire sull'anatema che San Paolo scagliò contro chi, fosse stato costui anche un angelo, avesse annunciato "un Vangelo diverso da quello che vi è stato dato". Ma per tutto ciò che nei vangeli non è detto o non è specificato con opportune annotazioni, come comportarsi? Gli scettici avrebbero risposto: sospendiamo qualsiasi giudizio o valutazione, perchè non abbiamo sufficienti elementi per formulare il giudizio stesso! Allo stesso modo rispondono i neoscettici/relativisti contemporanei, i padroni del discorso bergogliano, di cui sono campioni riconosciuti il predicatore itinerante Enzo Bianchi e il gesuita venezuelano padre Arturo Sosa Abascal . A riguardo del matrimonio, infatti quest'ultimo dichiara: "Intanto bisognerebbe incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù. A quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito". E poi, aggiunge il Generale, "nell'ultimo secolo nella chiesa c'è stato un grande fiorire di studi che cercano di capire esattamente cosa volesse dire Gesù. Ciò non è relativismo, ma certifica che la parola è relativa, il Vangelo è scritto da esseri umani, è accettato dalla chiesa che è fatta di persone umane". "Perciò è vero che nessuno può cambiare la parola di Gesù, ma bisogna sapere quale è stata!". Quanto all'affermazione in Matteo (19,3-6) secondo cui "non divida l'uomo ciò che Dio ha congiunto", "Io mi identifico con quello che dice Papa Francesco. Non si mette in dubbio, si mette a discernimento".
Va oltre il discernimento, lo pseudomonaco di Bose, che comanda sic et simpliciter di tacere su tutto quanto non è detto nel Vangelo. Infatti, egli sostiene, se Gesù parla del matrimonio come di "unione indissolubile e nulla dice in merito all’omosessualità", allo stesso modo, anche la Chiesa "non potendo pronunciarsi", sull'omosessualità deve tacere!
Cari amici, abbiamo qualcosa in comune con questi signori?
BOKO HARAM è odiato e combattuto dagli altri islamici? Non per le stragi ed i ratti. Perché adopera per uso liturgico e non solo per la lettura/preghiera personale una versione del Corano scritta, sì, in lingua araba, ma usando NON l'alfabeto arabo, ma un alfabeto locale derivato dall'ebraico.
La crisi del latino è anche quella del gregoriano, veste preziosa su misura per la liturgia tradizionale.
«Una delle accuse che si fa al gregoriano è che impedisce alla gente di cantare. Ma anche in molte chiese dove si canta in italiano l’assemblea partecipa poco, con il 'coretto' che fa tutto da sé...
Sul gregoriano c’è un grande equivoco: la sua crisi non è musicale ma culturale. Il problema è accogliere la parola di Dio secondo una formula collaudata dalla tradizione.
Il gregoriano non è musica, è preghiera».
Giacomo Baroffio
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2625_Un_piccolo_sussidio_per%20apprendere_rudimenti_del_latino.html
...iniziava il processo di graduale erosione delle radici culturali del nostro popolo, in vista di un definitivo “taglio” delle radici per far posto al Nuovo Ordine Mondiale.
Grazie a Dio, ci sono ancora tante persone, e sempre più giovani, che riscoprono il valore e l'importanza della conoscenza della lingua latina.
Tra queste ci sono alcuni sacerdoti e qui segnaliamo l'iniziativa di Don Romano Nicolini...
Convinto sostenitore della necessità di salvare dalla scomparsa la lingua dei nostri padri, Don Romano si batte da 24 anni cercando di aiutare i ragazzi delle scuole medie ad apprendere le basi della lingua latina.
A questo scopo, egli ha composto un libretto di 15 pagine che invia gratuitamente a tutti coloro che ne fanno richiesta.Si possono chiedere informazioni e il libretto stesso rivolgendosi direttamente a Don Romano
339 84 12 017
nicoliniromano40@gmail.com
In memoria di dom Prosper-Louis-Pascal Guéranger, abate di Solesmes (4 aprile 1805 - 30 gennaio 1875)
«Poiché la riforma liturgica ha tra i suoi fini principali l'abolizione degli atti e delle formule mistiche, ne segue necessariamente che i suoi autori debbano rivendicare l'uso della lingua volgare nel servizio divino. Questo è uno dei punti più importanti agli occhi dei settari. Il culto non è una cosa segreta, essi dicono: il popolo deve capire quello che canta. L'odio per la lingua latina è innato nel cuore di tutti i nemici di Roma: costoro vedono in essa il legame dei cattolici nell'universo, l'arsenale dell'ortodossia contro tutte le sottigliezze dello spirito settario, l'arma più potente del papato. Lo spirito di rivolta, che li induce ad affidare all'idioma di ciascun popolo, di ciascuna provincia, di ciascun secolo la preghiera universale, ha del resto prodotto i suoi frutti, e i riformati sono in grado ogni giorno di accorgersi che i popoli cattolici, nonostante le loro preghiere in latino, gustano meglio e compiono con più zelo i doveri del culto dei popoli protestanti. A ogni ora del giorno ha luogo nelle chiese cattoliche il servizio divino; il fedele che vi assiste lascia sulla soglia la sua lingua materna; al di fuori dei momenti di predicazione egli non intende che accenti misteriosi, che cessano di risuonare nel momento più solenne, il canone della messa. E tuttavia questo mistero lo affascina talmente che non invidia la sorte del protestante, quantunque l'orecchio di quest'ultimo non intenda mai suoni di cui non capisce il significato. Mentre il tempio riformato, una volta alla settimana, riunisce a fatica i cristiani puristi, la Chiesa papista vede senza posa i suoi numerosi altari assediati dai suoi religiosi figli; ogni giorno essi si allontanano dal loro lavoro per venire ad ascoltare queste parole misteriose che devono essere di Dio, perché nutrono la fede e leniscono i dolori. Riconosciamolo, è un colpo maestro del protestantesimo aver dichiarato guerra alla lingua sacra: se fosse riuscito a distruggerla, il suo trionfo avrebbe fatto un gran passo avanti. Offerta agli sguardi profani come una vergine disonorata, la liturgia, da questo momento, ha perduto il suo carattere sacro, e ben presto il popolo troverà eccessiva la pena di disturbarsi nel proprio lavoro o nei propri piaceri per andare a sentir parlare come si parla sulla pubblica piazza. Togliete alla Église française le sue declamazioni radicali e le sue diatribe contro la pretesa venalità del clero, e andate a vedere se il popolo continuerà a lungo ad andare a sentire il sedicente primate delle Gallie gridare: "Le Seigneur soit avec vous"; e altri rispondergli: "Et avec votre esprit". Tratteremo altrove, in modo specifico, della lingua liturgica.»
(da Dom Prosper Guéranger, "L'eresia antiliturgica e la riforma protestante del XVI secolo considerata nei suoi rapporti con la liturgia" - Institutions liturgiques, I², Paris, 1878, pp. 388-407. Traduzione italiana di Fabio Marino, pubblicata in "Civitas Christiana", Verona n° 7-9, 1997, 13-23)
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