Investendo gli Apostoli della sua stessa missione, il Signore li costituì non solo propagatori della parola evangelica, ma anche ministri e dispensatori dei suoi misteri. Attingendo dagli Atti e dalle Lettere degli Apostoli, come pure dalla Tradizione dei primi 5 secoli, si può ricostruire – a grandi linee – il rito della Messa.
L’abbiamo scritto: è Gesù che ha istituito l’Eucaristia, è Gesù che ha detto ai suoi Apostoli come celebrare il Rito più santo e divino che esista: il suo Sacrificio nella Messa. Tutto ci è stato dato, non è lecito cambiare né inventarlo noi, come ha sempre spiegato papa Benedetto XVI (1).
Apostoli e Liturgisti
Dal racconto degli Atti degli Apostoli, è chiaro che esiste già un rituale, semplice sì, ma fisso e completo, seguito uniformemente dagli Apostoli e dai loro collaboratori nell’amministrazione del Battesimo, della Cresima, degli Ordini sacri, dell’Olio per gli infermi. Ci sono alcune antiche e preziose tradizioni in alcune chiese fondate dagli Apostoli, secondo le quali la Liturgia ivi celebrata era ritenuta un patrimonio ricevuto dagli Apostoli stessi. Così la Liturgia di san Marco ad Alessandria d’Egitto, di san Giacomo ad Antiochia, di san Pietro a Roma.
Sant’Ireneo di Lione, già alunno di san Policarpo a Efeso, si riallaccia a san Giovanni evangelista: accennando all’istituzione dell’Eucaristia, dichiara che la forma dell’offerta del Sacrificio la Chiesa l’ebbe dagli Apostoli: «Parimenti Gesù ha affermato che il Calice è il suo Sangue e ha insegnato il nuovo Sacrificio del Nuovo Testamento, che la Chiesa ricevendolo dagli Apostoli, offre a Dio in tutto il mondo» (Cont. Haeres., L. 4, cap. 15, N. 5, PG 7, 1023).
Allo stesso modo si esprime san Giustino nella sua nota Apologia, all’inizio del II secolo: «Cristo ha prescritto di offrire; lo hanno prescritto a loro volta gli Apostoli, e noi facciamo a riguardo dell’Eucaristia, ciò che abbiamo appreso dalla loro Tradizione» (I, 66).
In campo liturgico gli Apostoli si preoccuparono per prima cosa di regolare la celebrazione della Santissima Eucaristia. Già negli Atti degli Apostoli appare, in prima pagina, la «Frazione del Pane» (= la Santa Messa). San Paolo, nella prima Lettera ai Corinzi, insegna il valore liturgico, cultuale di questo atto.
«Il culto e l’amore – scrive Dom Guéranger – che i Santi Apostoli portavano a Gesù con il Quale questa “frazione del Pane” li metteva in contatto, li obbligava, secondo l’eloquente nota di san Proclo di Costantinopoli, a circondarlo di un insieme di riti che si poteva compiere in un tempo abbastanza lungo. Questo santo Vescovo in ciò segue il sentire del suo glorioso predecessore san Giovanni Crisostomo. Innanzi tutto questa celebrazione aveva luogo in una sala dignitosa e ornata; poiché il Salvatore così l’aveva celebrata nell’Ultima Cena, “coenaculum grande, stratum”».
Il luogo della celebrazione era un altare: già non era più una tavola. L’autore della Lettera agli Ebrei lo dice con solennità: «Altare habemus», abbiamo un altare (Eb 13,10).
Così Dom Guéranger, basandosi sulle Lettere degli Apostoli e sulle testimonianze dei Padri della Chiesa, ricostruisce la Messa al tempo degli Apostoli (2). Una volta riuniti i fedeli nel luogo del Santo Sacrificio, il Sacerdote presiedeva innanzi tutto alla lettura delle Lettere degli Apostoli, e di passi dai Vangeli, ciò che ha formato fin dalle origini la “Messa dei catecumeni”. Gli stessi Apostoli avevano stabilito così. San Paolo lo conferma diverse volte: «Quando questa Lettera – scrive ai Colossesi – sarà letta tra di voi, abbiate cura che sia letta nella chiesa di Laodicea, e leggete quindi voi stessi ciò che è indirizzato ai Laodicesi» (4,16). Allo stesso modo, scrive ai Tessalonicesi: «Io vi scongiuro, per il Signore, che questa lettera sia letta a tutti i fratelli santi» (1Tes 5,27).
Questa ingiunzione apostolica diventò legge subito, poiché nella prima metà del II secolo, l’apologista san Giustino testimonia la fedeltà con cui veniva seguita, descrivendo la Messa del suo tempo (cf. Apologia, II). Pochi anni dopo, Tertulliano e san Cipriano confermano questa testimonianza.
Riguardo alla lettura del Vangelo, Eusebio ricorda che il racconto delle azioni e delle parole di Gesù scritto da san Marco «fu approvato da san Pietro per essere letto nelle chiese». San Paolo allude a questo uso definendo san Luca compagno dei suoi viaggi apostolici ed evangelista, come «il fratello che ha lode in tutte le chiese a motivo del Vangelo» (2Cor 8,18).
Il saluto al popolo con le parole “Il Signore sia con voi” era già in uso nell’Antico Testamento (per esempio: Rut 2,4; 2Cr 14,2). «Io sono con voi, tutti i giorni» dice Gesù alla sua Chiesa (Mt 28,20). La Chiesa mantiene questo uso degli Apostoli, come prova questa pratica uniforme alle Liturgie d’Oriente e d’Occidente, come spiega il Canone del Concilio di Braga: «I sacerdoti salutino: “Il Signore sia con voi”. Cui si risponda dal popolo: “E con il tuo spirito”.
Così la colletta che raccoglie i voti del popolo riunito per la Messa appartiene all’istituzione delle origini, come dimostra la concordanza di tutte le Liturgie. Così la conclusione “nei secoli dei secoli”, cui si risponde “Amen” (1Cor 14,16).
La Liturgia eucaristica
Amici, quando siamo a Messa – se questa è celebrata secondo la regola della Chiesa – siamo ancora alla scuola degli Apostoli e di Gesù stesso: è Lui presente tra noi riuniti nel suo nome, è Lui che ci parla e ci chiede la risposta della fede e delle opere. Siamo così introdotti al cuore della Messa, alla consacrazione del pane e del vino che vengono transustanziati nel Corpo e Sangue di Gesù, Presenza reale che assicura la ripresentazione del suo Sacrificio sulla Croce.
Nella preparazione della materia del Sacrificio, alcune goccioline d’acqua sono infuse dal celebrante nel vino del calice, a significare che noi, piccoli come goccioline, siamo uniti a Gesù. San Cipriano insegna che questo uso risale fino alla Tradizione stessa del Signore. Il Concilio di Trento riconosce le incensazioni di istituzione apostolica. Lo stesso san Cipriano ci dice che fin dalla nascita della Chiesa, l’Atto della consacrazione e del Sacrificio di Gesù, era preceduto dal prefazio. Il sacerdote ad alta voce diceva, come ora, Sursum corda (In alto i cuori) cui il popolo rispondeva: Habemus ad Dominum (Sono rivolti al Signore). L’orientazione della Messa è sempre quella di essere appunto rivolti al Signore, ché il centro è solo Lui e mai l’uomo.
Segue il “trisagio”: “Santo, santo, santo è il Signore Dio dell’universo”, che risale addirittura al profeta Isaia che lo sentì cantare davanti al trono di Dio (cf. Is 6,3) e a Giovanni, autore dell’Apocalisse, così come l’aveva sentito cantare presso l’altare dell’Agnello immolato (cf. Ap 4,8). Da allora il “trisagio”, la lode a Dio tre volte santo, è fatto proprio dalla Chiesa nella Liturgia eucaristica, dove il Sacrificio non è mai stato offerto senza che fosse proferito.
A questo punto si apre il grande Canone Romano della Messa, oggi così poco usato. «Chi oserà negare la sua origine apostolica?», domanda Dom Guéranger. Gli Apostoli non potevano lasciare mutevole e arbitraria questa parte essenziale della Messa, che contiene, come uno scrigno prezioso, la Consacrazione del pane e del vino e la loro transustanziazione in Cristo. Se essi hanno regolato molte cose secondarie, tanto più hanno determinato parole e riti del più santo e temibile e fondamentale di tutti i Misteri della Fede. Papa Vigilio, nella sua lettera a Profuturo (5; PL 69,18), scrive: «È dalla Tradizione apostolica che noi abbiamo ricevuto il testo della preghiera del Canone».
Mentre i doni santificati stanno sull’altare, si colloca l’Orazione domenicale del Padre nostro. San Girolamo dice con sicurezza: «È dopo l’insegnamento di Gesù stesso che gli Apostoli hanno osato dire ogni giorno con fede, offrendo il Sacrificio del suo Corpo: “Padre nostro che sei nei cieli”» (Adv. Pelag., c.18). Il sacerdote procede immediatamente alla Frazione del Pane, imitando in ciò non solo gli Apostoli, ma Gesù stesso; che prese il Pane, lo benedisse, lo spezzò prima di distribuirlo. Segue la Comunione a Gesù immolato sull’altare, che ci immedesima in Lui, con il dono di se stesso, il dono cristifico (= che ci fa altri Cristi!).
- Concludendo: la Liturgia istituita da Gesù e trasmessa dagli Apostoli ha dovuto contenere tutto l’essenziale alla celebrazione del divino Sacrificio riguardo alle forme essenziali e ai riti obbligatori per il decoro dei Misteri e per l’esercizio del potere di santificazione che la Chiesa ha ricevuto da Gesù.
- Come si vede, la celebrazione della Santissima Eucaristia è radicata nella Sacra Scrittura e ancora di più nella Tradizione della Chiesa. Ciò non ci meraviglia, considerando che la Liturgia si esercitava dagli Apostoli, e da coloro che essi avevano consacrato vescovi, sacerdoti o diaconi, già prima che si redigesse in modo completo il Nuovo Testamento.
- I Padri della Chiesa, del II-III e IV secolo, frequentemente, parlando di riti e cerimonie in particolare, affermano che sono di origine e di Tradizione apostolica. Così i Padri si richiamavano al periodo più antico della Chiesa e dimostravano quanto fossero ancora vive, presso le varie comunità, le memorie dell’attività liturgica degli Apostoli.
- In tutta l’antichità cristiana, nessuno accenna, come vogliono i protestanti e certa teologia corrente, all’ingerenza della comunità nelle funzioni del culto. La fissazione e la progressiva regolamentazione della Liturgia si mostra sempre compito esclusivo degli Apostoli.
Ed è così che risale a questo periodo (430 circa) la notissima affermazione della Liturgia: Lex orandi Lex credendi, che è propria del papa san Celestino (422-432), il quale scriveva ai Vescovi della Gallia contro l’errore dei pelagiani: «Oltre ai decreti inviolabili della Sede Apostolica che ci hanno insegnato la vera Dottrina, consideriamo anche i Misteri racchiusi nelle formule di preghiere sacerdotali che, stabilite dagli Apostoli, sono ripetute nel mondo intero in modo uniforme in tutta la Chiesa Cattolica, cosicché la regola della fede deriva dalla regola delle preghiera: ut legem credendi, lex statuat orandi».
Ed è così che anche oggi, uno è il Cristo, una è la Chiesa Cattolica, una la Liturgia. Tutto viene da Dio, e non si tocca. [Fonte]
_________________________NOTA
1) Cf. Paolo Risso, La Messa, opera dell’Uomo-Dio, in: Il Settimanale di Padre Pio, n. 45/2017, pp. 7-10.
2) Dom Prosper Guéranger, Istitutiones liturgiques, Parigi 1878, pp. 31ss.
23 commenti:
"La mozione approvata al Comune di Verona a sostegno delle donne che scelgono la vita rinunciando all'aborto, conferma che - malgrado le difficoltà - pochi cattolici determinati e intelligenti possono ottenere validi risultati. E che per i cattolici nel PD non c'è posto".
Stefano Fontana
Fa sempre bene rileggere queste annotazioni, perchè purtroppo è entrato un po' nella mentalità di tutti che tutto si possa, seppur entro certi limiti, modificare, innovare o migliorare.
Invece il nucleo centrale della Messa è stato istituito da Gesù stesso ed è grave incombenza quella di coloro che lo vogliono cambiare. Allo stesso tempo non è corretto pensare che tutto quanto accompagna e avvolge questo nucleo o nocciolo centrale sia inutile o assolutamente relativo, poiché serve ed è finalizzato a meglio preparare, comprendere e dare dignità ed onore a quanto di più grande la Chiesa può offrire al Padre: Gesù Eucaristico.
Domandina semplice semplice, persino un po' naif: ma, secondo voi, il Regnante Pontefice (?) crede nella Transustanziazione? Sa di cosa si tratta? Ne conosce i fondamenti teologici e filosofici?
Lo chiedo perché talvolta ho qualche brutta sensazione, trasferibile anche su moltissimi prelati, sacerdoti, per non parlare di fedeli...
Nel testo c'è un refuso: Rut 2,24 non esiste. Il versetto che riporta "Il Signore sia con voi" è invece Rut 2,4.
A proposito di Tradizione. Cerco di andare il meno possibile alla messa modernista, avendo la Grazia di godere della possibilità di assistere alla S. Messa di sempre.
Ho notato che, se non mi ricordo male su istruzioni bergogliane (o forse ancora precedenti), nella messa modernista le parole del Pater Noster "...e non c'indurre in tentazione" sono state sostituite da "...e non ci abbandonare alla tentazione". Come tutti noi sappiamo, l'originale latino era "et ne nos inducas in tentationem". Ho fatto una breve ricerca su internet è ho recuperato un convincente ed esaustivo commento di don Morselli del 2010 su Messa in Latino sull'inopportunità di questo cambiamento (tra l'altro i prime tre positivi e altrettanto convincenti commenti all'articolo sono di Mic).
Ora, al di là del mero ma decisivo argomento filologico, perché cambiare un testo, fedele all'originale, in vigore da migliaia di anni? Per una irenistica, buonistica, quasi infantile ma ipocrita visione "pastorale" per cui il buon Dio non ci può "indurre in tentazione"? E con San Girolamo, Padre della Chiesa, geniale traduttore che ci ha lasciato quel capolavoro della Vulgata, confermata dogmaticamente dal Concilio di Trento, ove troviamo il "et ne nos inducas in tentationem", come la mettiamo?. Questa sembra essere la risposta della chiesa postconciliare: ma, in fondo, chi era questo San Girolamo dell'oscuro IV secolo, rispetto alla raffinata e sensibilissima mente di quel teologo-canonista vaticano che ha imposto, giocherellando con ginnasiale competenza con la scatola del piccolo filologo, di cambiare una preghiera per renderla più confacente allo spirito conciliare? In fondo era solo una preghiera di origine divina. Lo "spirito del concilio" è una fonte ben superiore.
Silente
Vorrei rispondere, da semplice fedele, alla domanda di Silente delle ore 13,49. Io credo che il Papa non creda alla Transustanziazione. Non ci credono neanche quei preti e Vescovi della Nuova Chiesa (Falsa Chiesa). Qualche prete o Vescovo che usa ancora la talare, penso che ci credano nella Transustanziazione. Ma quelli vestiti completamente in borghese, oppure quelli che portano solo il colletto e lo portano addirittura sfilato da un lato, come stessero per soffocarsi, di sicuro quelli non credono proprio in niente; anzi quelli non recitano neanche il Rosario, né il Breviario, né i Vespri.
Finalmente un ottimo Premio Nobel della Pace, che rischiava di finire all’orrido MeToo. Lo ha ottenuto invece Nadia Murad, la yazida schiava sessuale dell’Isis. Ragazzine col prezzo addosso e alla mercé di uomini barbuti. Bambini lasciati morire di sete in cima a una montagna incantata o trasformati in soldati. Schiere di esseri umani assassinati e gettati in fossati improvvisati ai cigli delle strade. Un intero popolo, con un’antichissima religione, macellato e ridotto in schiavitù. Gente in fila, uccisa e gettata con i bulldozer nelle fosse comuni. O ammassate in templi fatti saltare in aria. Il Nobel a Murad è il Nobel a ragazze come “Suzan”, una ragazza yazida di diciassette anni tenuta prigioniera da un combattente islamista conosciuto come al Russiyah, un ceceno. “Prendeva tre ragazze, le denudava ogni mattina per scegliere chi voleva per quel giorno”. Ce ne sono ancora centinaia in schiavitù di queste povere ragazze. Il fondamentalismo islamico ha riportato la schiavitù sessuale nel nostro tempo. Il Nobel a Nadia è il vero MeToo del nostro tempo infame!
Preghiamo per la ragazza yazida, affinché possa riceve il più grande dei premi: Il Santo Battesimo. Non dimentichiamo che lo yazidismo è l'ultima sopravvivenza dell'antico gnosticismo. Ovvero, che, quando le tribù curde che lo praticano, sono definite da musulmani; zoroastriani; ebrei e Cristiani (anche Curdi) adoratori espliciti del diavolo, è un po' un'esagerazione, ma, nelle linee essenziali, è vero.
Avranno il diavolo nella loro religione (ma bisognerebbe spiegare come) tuttavia gli yazidi, come popolo, hanno fama di gente pacifica e ospitale.
Io non ho niente contro questa ragazza yazida, ma timeo Danaos et dona ferentes. Qui di Danai ce ne sono davvero troppi perché non mi tenga prudente: l'ONU, il comitato del Nobel e Amal Clooney. Tutta gente specializzata nel costruire personaggi basandosi su belle storie, per poi riproporli come testimonial di porcherie. Non è detto che succeda anche nel caso di Nadia Murad, ma...
Narrare in cosa consista una fede esplicitamente (mi si perdoni l'ossimoro) esoterica quale lo yazidismo ( o la religione drusa, per restare da quelle parti), è una fatica di Sisifo. Gli stessi fedeli, sono iniziati un po' per volta (=gnosi). Fatto sta che adorano un idolo che rappresenta un pavone, l'animale che simboleggia l'immortalità, ma anche la superbia. Ed hanno una "teologia" e dei miti che vertono su narrazioni (da quel poco che rendono pubblico ai non adepti) relative ad angeli ribelli, che poi si sono riconciliati con la divinità
E le formule pronunciate sono tutte in latino. Singolare, infine, che debba essere un film dell’orrore a ricordare alla Chiesa cattolica quale potenza essa possa esplicare nei confronti delle forze del male. Ce lo vedete un film horror in cui il prete indossi una casula arcobaleno e faccia il progressista? Ricordate la lezione de L’Esorcista? All’inizio il giovane gesuita vestiva in borghese e suonava il piano a un party; il film si chiude con lui diventato serio, e in abito nero col collarino bianco.
http://www.lanuovabq.it/it/the-nun-lhorror-cattolico-che-da-ragione-alla-chiesa
l giorno del Nobel per la pace ai paladini delle vittime di stupri di guerra tocca ricordare le marocchinate in Ciociaria
"...ma non è certamente cosa altrettanto saggia e lodevole ridurre tutto e in ogni modo all'antico.
Così, per fare un esempio, è fuori strada
- chi vuole restituire all'altare l'antica forma di mensa;
- chi vuole eliminare dai paramenti liturgici il colore nero;
- chi vuole escludere dai templi le immagini e le statue sacre;
- chi vuole cancellare nella raffigurazione del Redentore crocifisso i dolori acerrimi da Lui sofferti;
- chi ripudia e riprova il canto polifonico anche quando è conforme alle norme emanate dalla Santa Sede."
Mediator Dei, Enciclica pubblicata il 20 novembre 1947, poco più di dieci anni prima dell'annuncio del Concilio Vaticano II
9 ottobre, sessantesimo anniversario della morte di Papa Pio XII, oggi Venerabile.
L'ultimo papa "romano", persona di fede e cultura sconfinate, disse qualcosa anche riguardo la liturgia. Più precisamente, dedicò all'argomento addirittura un'enciclica: la Mediator Dei, pubblicata il 20 novembre 1947.
Si tratta di un documento monumentale, sintesi della dottrina cattolica sulla liturgia sino ad allora. Si tratta anche del documento più citato in Sacrosanctum Concilium, qualche anno dopo.
Alcuni stralci:
"Definizione della Liturgia
La sacra Liturgia è pertanto il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre, come Capo della Chiesa, ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all'Eterno Padre: è, per dirla in breve, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra. L'azione liturgica ha inizio con la fondazione stessa della Chiesa."
[...]
"Innovazioni temerarie
Certo, la Chiesa è un organismo vivente, e perciò, anche per quel che riguarda la sacra Liturgia, ferma restando l'integrità del suo insegnamento, cresce e si sviluppa, adattandosi e conformandosi alle circostanze ed alle esigenze che si verificano nel corso del tempo; tuttavia è severamente da riprovarsi il temerario ardimento di coloro che di proposito introducono nuove consuetudini liturgiche o fanno rivivere riti già caduti in disuso e che non concordano con le leggi e le rubriche vigenti. Così, non senza grande dolore, sappiamo che accade non soltanto in cose di poca, ma anche di gravissima importanza; non manca,difatti, chi usa la lingua volgare nella celebrazione del Sacrificio Eucaristico, chi trasferisce ad altri tempi feste fissate già per ponderate ragioni; chi esclude dai legittimi libri della preghiera pubblica gli scritti del Vecchio Testamento, reputandoli poco adatti ed opportuni per i nostri tempi.
[...]
Allo stesso modo si devono giudicare gli sforzi di alcuni per ripristinare certi antichi riti e Cerimonie. La Liturgia dell'epoca antica è senza dubbio degna di venerazione, ma un antico uso non è, a motivo soltanto della sua antichità, il migliore sia in se stesso sia in relazione ai tempi posteriori ed alle nuove condizioni verificatesi. Anche i riti liturgici più recenti sono rispettabili, poiché sono sorti per influsso dello Spirito Santo che è con la Chiesa fino alla consumazione dei secoli, e sono mezzi dei quali l'inclita Sposa di Gesù Cristo si serve per stimolare e procurare la santità degli uomini.
È certamente cosa saggia e lodevolissima risalire con la mente e con l'anima alle fonti della sacra Liturgia, perché il suo studio, riportandosi alle origini, aiuta non poco a comprendere il significato delle feste e a indagare con maggiore profondità e accuratezza il senso delle cerimonie; ma non è certamente cosa altrettanto saggia e lodevole ridurre tutto e in ogni modo all'antico. Così, per fare un esempio, è fuori strada chi vuole restituire all'altare l'antica forma di mensa; chi vuole eliminare dai paramenti liturgici il colore nero; chi vuole escludere dai templi le immagini e le statue sacre; chi vuole cancellare nella raffigurazione del Redentore crocifisso i dolori acerrimi da Lui sofferti; chi ripudia e riprova il canto polifonico anche quando è conforme alle norme emanate dalla Santa Sede.
Come, difatti, nessun cattolico di senso può rifiutare le formulazioni della dottrina cristiana composte e decretate con grande vantaggio in epoca più recente dalla Chiesa, ispirata e retta dallo Spirito Santo, per ritornare alle antiche formule dei primi Concili, o può ripudiare le leggi vigenti per ritornare alle prescrizioni delle antiche fonti del Diritto Canonico, così, quando si tratta della sacra Liturgia, non sarebbe animato da zelo retto e intelligente colui il quale volesse tornare agli antichi riti ed usi ripudiando le nuove norme introdotte per disposizione della Divina Provvidenza e per le mutate circostanze. Questo modo di pensare e di agire, difatti, fa rivivere l'eccessivo ed insano archeologismo suscitato dall’illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza di ripristinare i molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono con grande danno delle anime, e che la Chiesa, vigilante custode del «deposito della fede» affidatole dal suo Divino Fondatore, a buon diritto condannò. Siffatti deplorevoli propositi ed iniziative tendono a paralizzare l'azione santificatrice con la quale la sacra Liturgia indirizza salutarmente al Padre celeste i figli di adozione."
Rispondo alla domanda di Silente, che non è affatto semplice, nè naif:
"....secondo voi, il Regnante Pontefice (?) crede nella Transustanziazione? Sa di cosa si tratta? Ne conosce i fondamenti teologici e filosofici?"..."
La mia risposta alla prima domanda è no.
Lo si deduce dal suo modernismo molto spinto e, in particolare, dalla vicinanzna spirituale e dalla riabilitazione di Lutero, che la dice lunga sulla questione.
Soprattutto se tale aspetto è aggiunto all'avversione per le "gabbie" della Tradizione e della Dottrina, che sono incentrate sulla Presenza Reale di Cristo nell'Eucarestia, essenza della nostra fede.
La mia risposta alla seconda e terza domanda è che, dalla desacralizzazione e politicizzazione della Chiesa che sta attuando con gli altri modernisti al potere, si deduce che, se conosce i fondamenti della Transustanziazione, ne ha quantomeno una conoscenza molto personalizzata e adeguata ai tempi, quindi deformata, deturpata e falsa.
Comunque, da come si comporta e come parla, sappia o non sappia cosa è la Transustanziazione, non ci crede.
Del resto di costui non mi scandalizza più nulla, per il semplice fatto che non lo considero papa.
Per me non è papa, non è la Guida suprema della Chiesa, non è il Vicario di Cristo in terra, A PRESCINDERE dalla vicenda sulla validità o meno della sua elezione e anche se l'elezione fosse stata regolare.
Non parla, non si comporta, non insegna da papa.
E non lo fa, probabilmente, proprio perchè non crede nella Transustanziazione.
E non ci crede perchè, come tutti i protestanti e i modernisti nella Chiesa cattolica, a forza di personalizzare il Vangelo e adeguarlo ai tempi, la fede di perde e l'Ostia diventa un pezzo di pane commemorativo dell'ultima cena.
La lettera è arrivata ieri mattina sul tavolo di Papa Francesco ed è firmata dall'associazione Vocatio, della quale fanno parte gli ex preti. E' dai tempi del Concilio che l'argomento affiora per poi essere ricacciato indietro. Papa Benedetto XVI nel 1967 sul Giornale di teologia scriveva che di fronte alla penuria dei sacerdoti che «in molte parti della Chiesa si fa sentire sempre di più, non si potrà fare a meno di esaminare un giorno con tranquillità questa questione. L'evitarla sarebbe inconciliabile con la responsabilità dell'annuncio della Parola di salvezza al nostro tempo». In tutto il mondo il Movimento Internazionale dei Sacerdoti Sposati conta circa 8.500 persone.
https://www.ilmessaggero.it/vaticano/preti_sposati_lettera_papa_francesco-4028548.html
A me non andrebbe bene e basta con la carta Benedetto XVI !? Perche' mai Dio ci dovrebbe premiare con le vocazioni se abbiamo eletto i peccati a "diritto sacrosanto " ! Infine , in queste famiglie (suppongo piu' preparate almeno p.q.r.il pater familias ) ci sono figli vocati che saranno presto consacrati ?.
Dacci oggi il nuovo sermone quotidiano..
Saviano ad una radio francese: "Centomila immigrati all'anno non sono un'invasione, sono un dono". Certo, soprattutto se abiti in un attico a Manhattan e puoi utilizzare gli immigrati per fare i tuoi sermoni pro-accoglienza.
https://www.facebook.com/giorgiameloni.paginaufficiale/videos/vb.38919827644/342982399594451/?type=3&theater
E in un altro punto forse in un'interista con P. Seewald, J.Ratzinger disse che dopo i preti sposati, qualora accettati, ci sarebbero stati quelli divorziati.
Un passo a destra ed uno a sinistra, come da manuale.
Intanto però gli invertiti erano già o stavano diventando lo zoccolo duro della gerarchia.
Buon proseguimento. Avanti con lo sfascio!
J. Ratzinger in un colloquio con Peter Seewald, Il sale della terra, p. 224,Edizioni
San Paolo, 1997.
"...Quanto più un'epoca è povera di fede, tanto più frequenti sono le cadute. Così il celibato perde di credibilità ed il suo vero messaggio non viene alla luce. Si deve chiarire che i periodi di crisi del celibato corrispondono sempre a periodi di crisi del matrimonio. Infatti noi oggi non viviamo solo la crisi del celibato, lo stesso matrimonio viene sempre più messo in discussione come fondamento della nostra società. Nelle legislazioni degli Stati occidentali esso è sempre più messo allo stesso livello di altri stili di vita e viene così dissolto anche come forma giuridica. La fatica di vivere veramente il matrimonio non è in fondo da meno. In pratica, con l'abolizione del celibato assisteremmo solo alla nascita di un nuovo tipo di problematica, quella dei preti divorziati. La Chiesa evangelica conosce bene questo problema..."
https://www.toscanaoggi.it/Vita-Chiesa/Cei-Assemblea-generale-straordinaria-di-novembre-per-approvazione-Messale-Romano
In arrivo la terza edizione del Messale Bugniniano. Per la CEI esso rappresenterà: «l'opportunità per una formazione capillare, che riconsegni la ricchezza e l'irrevocabilità della riforma liturgica e i suoi punti essenziali: centralità della Parola di Dio, della Pasqua e della stessa assemblea. Ne consegue la necessità di rieducarsi a un'arte celebrativa, non soltanto evitando protagonismi o forme tradizionalistiche, ma promuovendo un'ampia ministerialità: sacerdote, lettore, animatore, cantore… si ritrovano unicamente nell'orizzonte del servizio». Qualificare in questa direzione la celebrazione, prosegue la nota, «significa aiutare il popolo a intuire la bellezza dell'opera di Dio e a vivere la liturgia come trasfigurazione della propria umanità».
Capito? Al bando le "forme tradizionalistiche" e soprattutto la Messa Nuova deve essere vissuta come trasfigurazione dell'umanità di chi vi partecipa!
Gesù Cristo c'entra ancora qualcosa in questo rito?
Domanda retorica, ovviamente...
12 Gennaio
Ho l'impressione che le amicizie che ho con secolari , restino alla periferia del mio essere . Non raggiungono mai il profondo : la' dove vive il mistero del mio essere sacerdotale . Ho degli amici buoni , fedeli , che arricchiscono la mia esperienza e mi completano umanamente ,pastoralmente . Ho degli amici , ma io resto un uomo solo . Capisco che e' la solitudine tipica del sacerdote , del mediatore . E' una solitudine funzionale .
Il suo posto e'infatti la croce , e' sulla croce .
Staccato da terra , staccato da tutti ; elevato verso il cielo , ma non ancora nel cielo . Tale il sacerdote .
Si parla di togliere il celibato al prete per colmare la solitudine umana . Che illusione ! Una sposa potrebbe forse capire l'uomo , ma non il sacerdote . Che se poi venisse tolta questa solitudine dal cuore del sacerdote e come sommersa nella calda tenerezza degli affetti umani , il sacerdote e' finito .
E' soprattutto quando mi sento solo , e come abbandonato dal cielo e dalla terra , che io vivo in pienezza eroica il mio sacerdozio con Cristo e in Cristo crocifisso . Signore , fate che lo capisca sempre .
Avrei bisogno di amicizie veramente sacerdotali .
Padre Enrico Rossetti (domenicano)
Diario.Il cammino di un religioso nella Chiesa che si rinnova .
Pagg.33,34
"O Signore , io sono un filo d'erba , assetato di Te" - (S.Agostino )
"Gratia Dei sum id quod sum ! " (1 Cor.15,10) - Per grazia di Dio pero' sono quello che sono !
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