Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 31 dicembre 2025

Te Deum laudamus 2025

Quest'anno facciamo precedere al Te Deum la prima preghiera della sera che, leggermente modificata, diventa quella di chiusura dell'anno appena trascorso.
Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questo anno. Perdonami il male  commesso, e se qualche bene ho compiuto, accettalo. Custodiscimi nel nuovo anno e liberami dai pericoli. La tua grazia sia sempre con me e con tutti i miei cari. Amen.
Anche quest'anno, per molti versi un annus horribilis — anche per le guerre sempre più devastanti su più fronti — ma che diventa mirabilis nella misura in cui non è comunque mancata la Grazia, il nostro Te Deum manifesta la Lode alle tre Persone della Santissima Trinità, insieme alle invocazioni e ai ringraziamenti al nostro Dio Onnipotente. Chi volesse ascoltarlo, o cantarlo, in Gregoriano può cliccare qui.

Te Deum laudamus, hodie (2025) et semper!

Nella Chiesa cattolica il Te Deum è l'Inno del ringraziamento in prosa ritmica latina; viene tradizionalmente cantato durante alcune solennità come a fine anno, la sera del 31 dicembre — per ringraziare il Signore dell'anno appena trascorso — oppure nella Cappella Sistina dopo elezione del nuovo pontefice, prima che si sciolga il conclave, o ancora a conclusione dei Concili, dopo le canonizzazioni e dopo le definizioni dogmatiche.
Nella Liturgia delle ore secondo i riti romano e ambrosiano, il Te Deum trova il suo posto alla fine dell'Ufficio delle letture, prima dell'orazione conclusiva, nelle solennità, nelle feste dei santi, in tutte le domeniche tranne quelle di Quaresima (e, per il rito ambrosiano, anche quelle di Avvento), nei giorni fra l'ottava di Natale e quelli fra l'ottava di Pasqua.

Una poesia natalizia di San Giovanni della Croce

Una poesia natalizia di San Giovanni della Croce
fuori dall'oscurità, luce

Siamo ancora nel cuore del periodo natalizio e ho pensato che fosse meglio inviare qualcosa di breve e meditativo. Di seguito la mia traduzione di

Cantar del alma ("Canto dell'anima"), di San Giovanni della Croce. Non parla specificamente di Natale, ma il tono, le immagini e i temi ci conducono in profondità nel mistero della nascita di Cristo: un momento eterno nel buio della notte in cui, come cantiamo nella liturgia della Festa, descendit lux magna super terram: una grande luce discese sulla terra. E in ogni caso, la poesia è un linguaggio che resiste alla specificità, un linguaggio che risuona con particolare intensità attraverso il tempo e lo spazio, e che naturalmente si protende oltre se stesso, verso l'universale e il trascendente. 

  • Il titolo completo della poesia di Giovanni è "canto dell'anima che si diletta nel conoscere Dio mediante la fede". Al suo centro, che risuona costantemente di strofa in strofa come una campana di chiesa, c'è una parola, una sillaba, un suono: ("Io so"). Non dobbiamo dimenticare quanto sia immenso il privilegio, quanto profondo il piacere, di conoscere Dio. Qui sulla terra non possiamo conoscerLo come lo fanno i santi e gli angeli, ma grazie all'Incarnazione, la nostra conoscenza può comunque raggiungere un notevole grado di perfezione. Possa la grazia di questo periodo natalizio aiutarci a renderci un po' meno indegni di questo magnifico dono.
E disse: «A voi è dato di conoscere i misteri del regno di Dio».
(Luca 8:10)
Cantar dell'alma che se goza de conocer a Dios por fe
San Juan de la Cruz
La fonte che emana - quanto bene lo so
questa sorgente che scorre,
anche nel buio della notte.

Quella fonte eterna è nascosta,
quanto bene so dove comincia,
anche nel buio della notte.

La sua origine non la conosco,
ché origine non ha,
ma quello che so invece è che
ogni origine da questa fonte viene,
anche nel buio della notte.

So che in effetti non può esserci
una cosa così bella come questa;
So anche che ne bevono,
cose della terra e del cielo,
anche nel buio della notte.

Beh, so che non ha fine,
nessuno può trascendere la sua profondità,
anche nel buio della notte.

La sua luminosità risplende oltre ogni ombra,
So che da essa proviene tutta la luce,
anche nel buio della notte.

Conosco i suoi corsi d'acqua e le sue possenti onde
può inondare il cielo, la terra e l'inferno,
anche nel buio della notte.

Il torrente nato in quella grande sorgente,
Conosco la forza che può portare,
anche nel buio della notte.

Quella fonte eterna è nascosta,
nel pane vivo e vivificante,
anche nel buio della notte.

Qui se ne sta, chiamando le creature, che dell’acqua si sazian anche se al buio Al mondo più vasto chiama;
anche quando la luce è svanita,
creature che alla sua acqua si saziano
viene dato tutto a tutti,
perché è il buio della notte.

Amo quella fonte di luce infinita,
il pane della vita che allieta la mia vista,
anche nel buio della notte.
Robert Keim, 30 dicembre

Arte sacra o pittura religiosa? La risposta del Concilio di Trento

Nella nostra traduzione da Substack.com riprendiamo una interessante riflessione sull'arte sacra basata su un articolo altrettanto interessante da noi tradotto e pubblicato qui.

Arte sacra o pittura religiosa? La risposta del Concilio di Trento
Approfondire una discussione in corso
Robert Lazu Kmita, 30 dicembre

Jacopo Tintoretto (1519–1594), L'Ultima Cena (fonte)

In un recente articolo [vedi] intitolato "Una straordinaria rappresentazione dell'Ultima Cena. L'intuizione artistica di Tintoretto sul dono supremo di Cristo nella Santa Eucaristia",(1) il Dott. Kwasniewski analizza i dettagli del dipinto(2) con l'obiettivo di svelarne il potenziale religioso/teologico/morale. Ecco una delle sue meditazioni più fruttuose:
Tintoretto, come Dante, ci accompagna attraverso il paradiso e l'inferno: vediamo la santità, attiva e contemplativa; vediamo la malizia; e vediamo la tiepida assenza di entrambe. Ma forse il tocco più meraviglioso di tutti in questo dipinto è il fatto che Tintoretto sollevi per noi il velo che separa il regno invisibile da quello visibile, mostrando schiere di angeli che circondano il Figlio di Dio, rendendogli l'omaggio che Gli è dovuto. Spiriti provenienti dai regni della luce, portano con sé la propria luminosità in un'oscurità a cui sono impenetrabili.
Ciò che è molto più significativo, tuttavia, è il modo in cui il Dott. Kwasniewski stabilisce il collegamento tra il carattere catechetico visivo – dogmatico e morale – del dipinto di Tintoretto e il programma estetico del Concilio di Trento (1545-1563). Dogmatico, perché “afferma l'unità dell'Ultima Cena, del sacrificio di Cristo del Venerdì Santo e dell'offerta del Santo Sacrificio della Messa”. Morale, perché “il dipinto è un catechismo sulla vista e la cecità”, quindi un promemoria del nostro stato interiore, della nostra lotta, della nostra scelta.

Sebbene apprezzi la qualità delle meditazioni teologiche che il dott. Kwasniewski offre attraverso la sua interpretazione del dipinto di Tintoretto, la signorina Hilary White, nota amante dell'arte iconografica sacra e della tradizione estetica orientale che la sostiene, ha risposto in un articolo critico, "Quando l'arte religiosa non è sacra" (3) , in cui sostiene che la pittura religiosa non è arte sacra liturgica:
Vorrei soffermarmi su un punto più fondamentale, spesso dimenticato dai cristiani occidentali in generale, e in particolare dai cattolici, quando discutono di dipinti di soggetto sacro: che tipo di opera stiamo effettivamente osservando? Vorrei distogliere un po' l'attenzione dalla minuziosa analisi teologica dell'immagine e parlare del significato dello stile e della composizione.

Perché, secondo qualsiasi definizione funzionale, questo dipinto non può essere definito arte sacra, indipendentemente da quanto sia famoso, da chi lo abbia dipinto per chi e da dove sia esposto. È certamente un soggetto religioso, ma non è arte sacra liturgica. Nello specifico, si tratta di pittura narrativa. E finché non comprenderemo la distinzione, è impossibile capire come un dipinto come questo possa fallire come arte sacra di per sé.
Concisa e chiara, la signorina White afferma categoricamente che, così come il jazz o il rock con testi cristiani non sono e non possono essere musica sacra (che nella tradizione occidentale è solo la musica gregoriana), nemmeno la pittura profana – indipendentemente dal genere che rappresenta o da chi l'ha creata – può essere considerata pittura sacra. Il che è assolutamente vero. Tuttavia, la sua affermazione più forte appare verso la fine dell'articolo, dove critica le basi dell'interpretazione teologica proposta dal Dott. Kwasniewski:
Il problema non è che la sua teologia sia errata, ma che il dipinto stesso non la supporta; la sacralità non è qualcosa che imponiamo a un'immagine attraverso l'interpretazione. All'epoca di Tintoretto, l'antica teologia dell'immagine era scomparsa dall'immaginario occidentale, cancellata e dimenticata, come se non fosse mai esistita.

Non sono d'accordo con il mio amico perché credo che stia cercando di trarre insegnamenti morali ed eucaristici dall'idioma naturalistico e manierista di Tintoretto, come se il dipinto stesso partecipasse all'ontologia sacra, cosa che evidentemente non fa. Credo che stia adottando un approccio a questo dipinto ispirato alle idee gesuite: l'approccio "Dove ti trovi in questa scena?" è un tratto distintivo della spiritualità ignaziana, il che è appropriato per un'opera della Controriforma tridentina, suppongo.

Ma questo ignora la natura dell'opera stessa. L'Ultima Cena di Tintoretto non manifesta fisicamente la realtà divina; mette in scena un evento del passato come un dramma morale. Lo spettatore deve fornire la teologia dall'esterno.
Ciò che Hilary White critica è l'approccio pedagogico-naturalistico in contrasto con l'approccio sacro-iconografico, quest'ultimo canonizzato dal Concilio di Nicea.

Lo stesso tipo di reazioni si può riscontrare in molti libri scritti da autori ortodossi orientali, che accusano sistematicamente la Chiesa cattolica di "naturalismo", "secolarismo", "razionalismo" e altre simili accuse che presumibilmente indebolirebbero la cultura cristiana. Da parte nostra, tuttavia, possiamo mettere da parte tali critiche accusatorie per proseguire una discussione fruttuosa. Da questa discussione deve emergere ciò che la Chiesa cattolica insegna in generale – e ciò che il Concilio di Trento insegna in particolare – riguardo alle immagini e all'arte religiosa.

(Naturalmente, concordo – insieme alla signorina Hilary White – sul fatto che nel mondo occidentale l'arte figurativa religiosa abbia dominato completamente la scena artistica cattolica, finché non sia stata quasi completamente dissolta sotto la pressione del kitsch modernista. Questo fatto richiede una discussione ampia e precisa, più adatta a monografie storiche e teologiche che ad articoli brevi.)

Il Concilio di Trento, la pittura sacra liturgica e la pittura illustrativa narrativa

In sostanza, come mostrerò più avanti, questo concilio epocale abbracciava entrambe le forme d'arte: in primo luogo, quella che stabilisce un legame ontologico tra la rappresentazione (cioè l'icona) e la persona rappresentata (cioè il prototipo), che è in Cielo – nostro Signore Gesù Cristo, la Beata Vergine Maria, gli Angeli e i Santi – e, in secondo luogo, la forma illustrativo-narrativa, a cui appartiene il dipinto di Tintoretto. Dato l'attacco protestante, rivolto iconoclasticamente anche a varie forme di pittura religiosa, durante l'ultima sessione del concilio, la venticinquesima, furono stabiliti alcuni punti di riferimento fondamentali.

Gli amanti delle icone sacre – come la signorina Hilary White – possono essere soddisfatti. Infatti, l'arte sacra – quella fondata sulla "partecipazione" ontologica dell'icona al prototipo, arte destinata alla venerazione e alla contemplazione – è difesa da una precisa sintesi della dottrina del Concilio di Nicea (esplicitamente menzionata nel contesto dei documenti conciliari):
Inoltre, che le immagini di Cristo, della Vergine Madre di Dio e degli altri santi devono essere tenute e conservate in particolare nei templi, e che deve essere loro reso il dovuto onore e venerazione; non perché si creda che in esse vi sia qualche divinità o virtù, per cui debbano essere adorate; o che si debba chiedere loro qualcosa; o che si debba riporre fiducia nelle immagini, come anticamente facevano i Gentili che riponevano la loro speranza negli idoli; ma perché l'onore che viene loro reso è riferito ai prototipi che quelle immagini rappresentano; in tal modo che per mezzo delle immagini che baciamo, e davanti alle quali scopriamo il capo e ci prostriamo, adoriamo Cristo; e veneriamo i santi, di cui portano l'immagine: come, con i decreti dei Concili, e specialmente del secondo Sinodo di Nicea, è stato definito contro gli oppositori delle immagini. (4)
Il Dott. Peter Kwasniewski è supportato anche dall'insegnamento del Concilio di Trento. Infatti, anche il secondo paradigma dell'arte religiosa, quello illustrativo-narrativo ispirato da San Papa Gregorio Magno, è ben fondato dai Padri conciliari. Prima di esaminare ciò che il Concilio di Trento insegna al riguardo, ricordiamo, attraverso una citazione da una delle sue lettere a Sereno, vescovo di Marsiglia, ciò che il Santo Padre ha insegnato:
Una cosa è adorare un'immagine, un'altra è imparare attraverso la storia di un'immagine ciò che deve essere adorato. Infatti, ciò che la scrittura offre a chi la legge, un'immagine lo offre agli ignoranti che la guardano, poiché in essa gli ignoranti vedono ciò che dovrebbero seguire, in essa leggono coloro che non conoscono le lettere.(5)
L'intera dottrina medievale della Biblia Pauperum – che letteralmente era una "Bibbia illustrata" – affonda le sue radici in questi insegnamenti del brillante pontefice che diede il suo nome sia alla Santa Liturgia apostolica sia all'unica forma di musica sacra riconosciuta nella Chiesa cattolica romana. Vediamo quindi chiaramente distinta qui l'iconografia difesa e praticata dalla signorina Hilary White dalla pittura religiosa interpretata con tanta profondità dal dottor Peter Kwasniewski.

Per fissare saldamente l'insegnamento conciliare, offro ora un'ultima citazione riguardante la pittura illustrativo-pedagogica, difesa anche da san Gregorio Magno:
E i vescovi insegneranno con cura questo: che per mezzo delle storie dei misteri della nostra Redenzione, raffigurate da dipinti o altre rappresentazioni, il popolo viene istruito e confermato nel ricordare e nel ripensare continuamente agli articoli di fede; e che da tutte le immagini sacre si trae grande profitto, non solo perché il popolo viene così ammonito dei benefici e dei doni elargitigli da Cristo, ma anche perché i miracoli che Dio ha compiuto per mezzo dei santi e i loro salutari esempi vengono posti davanti agli occhi dei fedeli: affinché rendano grazie a Dio per queste cose; orientino la propria vita e i propri costumi a imitazione dei santi; e siano stimolati ad adorare e amare Dio e a coltivare la pietà. Ma se qualcuno insegnerà o nutrirà sentimenti contrari a questi decreti, sia anatema.(6)
Poiché non ho inteso qui esporre dettagliatamente l'insegnamento del Concilio di Trento, ritengo che le due citazioni da me fornite siano sufficienti a supportare la tesi di questo articolo: non vi è, infatti, alcuna contraddizione tra l'articolo e l'interpretazione del dipinto di Tintoretto proposta dal dott. Kwasniewski, e l'arte sacra rappresentata dall'Icona della Santissima Trinità di Andrej Rublev, difesa e promossa con tenacia e ispirazione dalla signorina Hilary White.

Se alcuni oppositori orientali della dottrina e della Tradizione cattolica hanno utilizzato – e utilizzano ancora – la forma sacro-contemplativa dell'arte religiosa per attaccare la tradizione della pittura religiosa illustrativa e narrativa, credo sia necessario ricordarci costantemente perché la nostra Chiesa ha coltivato entrambe. Se riconosciamo questo, possiamo iniziare a discutere il vero significato dell'arte sacra cristiana e anche quali eccessi, errori e tradimenti abbiano portato al disastro di cui ora contempliamo l'esito.
_______________________
1. Pubblicato sul suo Substack Tradition & Sanity : Una straordinaria rappresentazione dell'Ultima Cena 
Jacopo Robusti, altrimenti noto come Tintoretto (1519–1594), potrebbe non essere un nome familiare come Rembrandt o Van Gogh, ma, come nel caso di tanti grandi artisti, dovrebbe esserlo, soprattutto per i credenti che possono gioire e imparare dalla sua squisita arte, che ha messo al servizio dei misteri della fede cristiana…
2. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Jacopo_Tintoretto_-_The_Last_Supper_-_WGA22649.jpg [Consultato il: 30 dicembre 2025].
3. Il titolo completo dell'articolo è "Quando l'arte religiosa non è sacra. Quel Tintoretto è molto toccante, ma questo non lo rende arte sacra". È stato pubblicato sul Substack dell'autore, The Sacred Images Project : Il Progetto Immagini Sacre 
Quando l'arte religiosa non è sacra L'altro giorno il nostro amico e fratello oblato Peter Kwasniewski ha scritto una bellissima meditazione teologica sul significato eucaristico del dipinto tardo manierista del grande pittore veneziano Tintoretto, l'Ultima Cena, ancora conservato nella chiesa per cui fu dipinto, San Giorgio Maggiore a Venezia...
4. I CANONI E I DECRETI DEL SACRO CONCILIO ECUMENICO DI TRENTO. Celebrato sotto i Sommi Pontefici Paolo III, Giulio III e Pio IV, tradotto dal Rev. J. Waterworth, Londra: Burns and Gates; New York: Catholic Publication Society Company, 1848, pp. 234-235.
5. Traduzione di Celia Chazelle nel contesto del suo articolo, “Immagini, libri e analfabeti: le lettere di Papa Gregorio a Sereno di Marsiglia”, in Word & Image, n. 6, 1990, p. 139.
6. Op. cit. , p. 235.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

martedì 30 dicembre 2025

In Illo Tempore: Domenica nell’Ottava di Natale

Nella nostra traduzione da OnePeterFive la consueta meditazione di P. John Zuhlsdorf che ogni settimana ci consente di approfondire i tesori di grazia ricevuti nella domenica precedente qui. Importante anche per i riferimenti al superamento dei problemi attuali.

In Illo Tempore: Domenica nell’Ottava di Natale

Dio onnipotente ed eterno, Che nella pienezza del tempo ha mandato Suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, ci ha posti nel cuore del gioioso mistero dell’Ottava di Natale.

In questi giorni sacri il tempo sembra sospeso, come se la Madre Chiesa avesse allungato la mano e fermato dolcemente il pendolo. Un solo giorno non può contenere la grandezza della Natività. Otto giorni ci sono concessi per sostare, contemplare il Verbo fatto carne, lasciare che Dio orienti le nostre menti e plasmi i nostri cuori. Riposiamo nel mistero, affinché lo Spirito Santo possa operare in noi, guidandoci nelle profondità di Dio. L’Ottava è una scuola di contemplazione paziente. Siamo invitati a dimorare nella luce di Betlemme.

Intervista: il cardinale Burke sulla liturgia, il Natale e il conclave

Nella nostra traduzione da The Catholic Herald Il cardinale Raymond Leo Burke a Natale, il conclave e perché i giovani cattolici si stanno rivolgendo alla tradizione.

Intervista: il cardinale Burke sulla liturgia, il Natale e il conclave

Il Natale è sempre stato un momento in cui la Chiesa si ferma a ricordare non solo ciò in cui crede, ma anche perché lo crede. La situazione odierna della Chiesa è talvolta segnata da confusione dottrinale, tensioni ecclesiali e volatilità culturale, ma la Festa dell'Incarnazione impone di fare i conti con la verità, con l'autorità e con le perenni pretese di Cristo sulla Sua Chiesa. Poche voci incarnano questa resa dei conti in modo più visibile del Cardinale Raymond Leo Burke.

Già Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e figura centrale in alcuni dei dibattiti più controversi della recente vita cattolica, il Cardinale Burke è diventato, per molti cattolici, un simbolo, a volte controverso e spesso frainteso, di continuità, chiarezza e resistenza alle derive teologiche. Mentre la Chiesa entra in un nuovo pontificato sotto Papa Leone XIV, e mentre le questioni relative a liturgia, autorità, giovani e tradizione si fanno sempre più pressanti, le parole di Burke assumono un peso particolare.

lunedì 29 dicembre 2025

29 dicembre. S. Tommaso Becket vescovo e martire della libertà della Chiesa

Continua la schiera dei martiri dell'Ottava di Natale. Il 29 dicembre 1170, Assassinio di s.Tommaso di Canterbury, martire della libertas Ecclesiae. Enrico II fece pubblica penitenza, ritirando i decreti eversivi e recandosi in pellegrinaggio alla tomba di Becket. Al momento dello scisma, Enrico VIII aprì un processo postumo a Becket dichiarandolo pubblicamente traditore. Nel 1538 il tesoro della cattedrale di Canterbury fu confiscato e le sue ossa ufficialmente bruciate. In realtà furono seppellite alla meno peggio. Un precedente qui.

S. Tommaso Becket vescovo di Canterbury
e martire della libertà della Chiesa


Il Martire della libertà della Chiesa.
Un nuovo Martire viene a reclamare il suo posto presso la culla del Dio-Bambino. Non appartiene ai primi tempi della Chiesa; il suo nome non è scritto nei libri del Nuovo Testamento, come quelli di Stefano, di Giovanni e dei bambini di Betlemme. Tuttavia, egli occupa uno dei primi ranghi in quella legione di Martiri che non ha mai cessato di crescere lungo i secoli, e che attesta la fecondità della Chiesa e la forza immortale di cui l'ha dotata il suo divino autore. Questo glorioso Martire non ha versato il sangue per la fede; non è stato condotto davanti ai pagani o agli eretici, per confessare i dogmi rivelati da Gesù Cristo e proclamati dalla Chiesa. L'hanno immolato mani cristiane; un re cattolico ha pronunciato il suo arresto di morte; è stato abbandonato e maledetto dalla maggior parte dei suoi fratelli, nel suo stesso paese: come è dunque Martire? come ha meritato la palma di Stefano? Perché è stato il Martire della Libertà della Chiesa.

Troppo bello per essere vero? / Un racconto di due Natali

Nella nostra traduzione da Substack.com
Troppo bello per essere vero?
Un racconto di due Natali

Anno dopo anno, dopo anni, ho letto libri, articoli e resoconti giornalistici su così tanti aspetti diversi della religione cristiana, eppure non ho mai visto il problema articolato nel modo che ho in mente. Forse è un segno che mi sbaglio. O forse si tratta di un fatto di dominio pubblico che per qualche motivo non ho mai incontrato, ed è troppo ovvio per meritare una discussione.

Ne parlerò comunque.

La religione cristiana, nonostante le feroci persecuzioni e una serie di ostacoli logistici, conquistò il mondo antico. Il culmine di questa epocale rinascita della civiltà fu il periodo giovanile che chiamiamo Medioevo: mille anni durante i quali praticamente tutti nell'Europa occidentale credevano e praticavano il cristianesimo. "Credere e praticare il cristianesimo" non significa essere un santo. Non mancavano peccatori e mascalzoni nella società medievale. Ma i peccatori, almeno nei loro momenti migliori, erano consapevoli del Dio che aborriva la loro iniquità e sperava nella loro conversione. E i mascalzoni, probabilmente anche nei loro momenti peggiori, desideravano avere fede e far parte della vasta famiglia cristiana che li circondava. Quelli che non lo fecero erano pochi e appartenevano a una delle due categorie generali: musulmani ed ebrei che non avevano alcun interesse a rinunciare alla loro religione ancestrale, e pagani residui, i cui discendenti avrebbero infine abbracciato il Vangelo e affidato la propria vita a un mondo così pieno di Cristo da non essere un regno ma piuttosto un cristianesimo.

San Cirillo di Gerusalemme e la Comunione sulla mano

Riproponiamo alla vostra attenzione l'articolo di don Giuseppe Pace SDB, a proposito della questione relativa alla cosiddetta "Comunione sulla mano", pubblicato nel numero di gennaio 1990 del periodico Chiesa Viva. Al di là della datazione di questo articolo, esso continua a mantenere sostanzialmente la sua validità, purtroppo, poiché le cose a tutt’oggi non sono certo migliorate nella Chiesa. Per molti giovani sacerdoti, questo articolo può rappresentare un valido strumento di informazione.
Nota: P.G.: patrologia greca; P.L.: patrologia latina
ARCHEOLOGITE LITURGICA - SACRILEGIO DILAGANTE

La ghianda è una quercia in potenza; la quercia è una ghianda divenuta perfetta. Il ritornare ghianda per una quercia, posto che lo potesse senza morire, sarebbe un regredire. Per questo nella Mediator Dei (n. 51) Pio XII condannava l'archeologismo liturgico come antiliturgico con queste parole:

«… non sarebbe animato da zelo retto e intelligente colui il quale volesse tornare agli antichi riti ed usi, ripudiando le nuove norme introdotte per disposizione della Divina Provvidenza e per mutate circostanze. Questo modo di pensare e di agire, difatti, fa rivivere l'eccessivo ed insano archeologismo suscitato dall'illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza di ripristinare i molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono, con grande danno delle anime, e che la Chiesa, vigilante custode del Depositum Fidei affidatole dal suo divin Fondatore, a buon diritto condannò».

Di una tale ossessione morbosa - di archeologite - sono preda quei pseudoliturgisti che stanno desolando la Chiesa in nome del Concilio Vaticano II; pseudoliturgisti che talora giungono al punto di spingere con l'esortazione e con l'esempio i loro sudditi a violare quelle poche leggi sane che ancora sopravvivono, e da loro stessi formalmente promulgate o confermate. 

domenica 28 dicembre 2025

L'ombra della mangiatoia è una croce

Nella nostra traduzione da Pillar of Faith il vescovo Strickland ci dona l'ennesimo messaggio che sostiene la nostra fede. Qui l'indice dei precedenti.

L'ombra della mangiatoia è una croce

Siamo ancora nel Natale. La Chiesa insiste su questo. Dispiega la festa su più giorni perché il mistero è troppo grande per essere compreso tutto in una volta. La gioia è reale. Il cielo si è aperto. Dio è venuto tra noi. Il Verbo si è fatto carne, e nulla può annullare quel tripudio. La luce splende, e non è sopraffatta.
Ma questa gioia non è fragile, né ingenua. È abbastanza forte da guardare dritto alla verità.

Ecco perché la Chiesa non ci chiede di lasciarci alle spalle il Natale quando ci pone davanti questi testimoni. Ci chiede di comprendere il Natale più profondamente. Il Bambino nella mangiatoia non è venuto per rendere il mondo confortevole. È venuto per salvarlo. E la salvezza ha un prezzo.

Domenica nell'Ottava di Natale

Ripercorriamo l'anno liturgico perché nella santa routine del mistero della ripetizione, approfondiamo sempre più la nostra fede. Lo stesso rito è ripetizione, ma è sempre nuovo nel sacrificio di Cristo che è reso presente come fosse la prima, ultima, unica volta e ogni volta ci apre o chiarisce le verità eterne che ci sostengono e ci radicano ulteriormente.

Domenica nell'Ottava di Natale
(Se ne celebra l'Ufficio solo se cade il 29, 30 o il 31 dicembre)

Intróitus
Sap. 18, 14-15 - Dum médium siléntium tenérent ómnia et nox in suo cursu médium iter habéret, omnípotens sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit. Ps. 92, 1 - Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et praecínxit se. Glória Patri… Sap. 18, 14-15 - Dum médium siléntium...
Introito
Sap. 18, 14-15 - Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale. Sal. 92, 1 - Il Signore regna, rivestito di maestà: Egli si ammanta e si cinge di potenza. Gloria al Padre… Sap. 18, 14-15 - Mentre tutto era immerso in profondo silenzio…

Di tutti i giorni dell'Ottava di Natale, questo è il solo che non sia regolarmente occupato da una festa. Nelle Ottave dell'Epifania, di Pasqua e della Pentecoste, la Chiesa è talmente assorta nella grandezza del mistero, che evita tutti i ricordi che potrebbero distrarla da esso; in quella di Natale al contrario, le feste abbondano, e l'Emmanuele ci è mostrato circondato dal corteo dei suoi servi. Così la Chiesa, o piuttosto Dio stesso, il primo autore del Ciclo, ci ha voluto far vedere come, nella Nascita, il divino Bambino, Verbo incarnato, si mostra accessibile all'umanità che viene a salvare.

Messa
Fu nel cuore della notte che il Signore liberò il suo popolo dalla cattività, con il Passaggio del suo Angelo, armato di spada, sulla terra degli Egiziani; così pure nel profondo silenzio notturno l'Angelo del gran Consiglio è disceso dal suo trono regale, per recare la misericordia sulla terra. È giusto che la Chiesa, celebrando quest'ultimo Passaggio, canti l'Emmanuele, rivestito di forza e di bellezza, che viene a prendere possesso del suo Impero.
"Mentre il mondo intero era immerso nel silenzio, e la notte era a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è disceso dal suo trono regale del cielo".

sabato 27 dicembre 2025

Mons. Viganò. Gloria in excelsis Deo / Omelia nella Natività del Signore

Qui l'indice degli interventi precedenti e correlati.
Mons. Carlo Maria Viganò
Gloria in excelsis Deo
Omelia nella Natività del Signore

Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonæ voluntatis.
Lc 2, 14
Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno anche voi (Gv 15, 20). Ed è dal momento della Sua Nascita secundum carnem, che Nostro Signore viene perseguitato: ancora in fasce, Lo cercano i soldati di Erode, per uccidere quel Bambino che egli teme possa oscurare il suo potere terreno. Martiri di un falso monarca di nomina imperiale, i Santi Innocenti di cui tra pochi giorni celebreremo la memoria furono i primi – bambini anch’essi – ad essere martirizzati da un potere tanto tirannico quanto illegittimo, che proprio per questo doveva imporsi con la violenza, addirittura sui più piccoli e indifesi. Crudelis Herodes, Deum venire quid times?, recita l’inno dell’Epifania. Crudele Erode, perché temi il Dio che viene? Nuovi Erode, nel corso della Storia e soprattutto in questo tetro crepuscolo che segna il crollo della civiltà cristiana, hanno infierito e infieriscono sui piccoli, per crocifiggere ancora e ancora, nelle Sue membra, il Capo divino del Corpo Mistico. La loro stirpe perpetua attraverso i secoli l’avversione cieca e vendicativa di chi sa di essere un usurpatore e teme l’arrivo del Re, perché esso rappresenterebbe la fine delle sue frodi. Teme ancora di più il Suo ritorno, perché nella Seconda Venuta – questa volta nella gloria sfolgorante del Rex tremendæ majestatis – non sarà Nostro Signore a sfuggire ai Suoi nemici, ma Lui stesso li trascinerà al Suo cospetto e li processerà dinanzi al mondo, e nell’universale evidenza dei loro crimini saranno sprofondati nell’abisso. La violenza dei malvagi nasconde il terrore della consapevolezza di avere letteralmente i giorni contati.

27 Dicembre: San Giovanni, Apostolo ed Evangelista

Percorriamo le tappe più importanti dell'Anno liturgico.
27 Dicembre San Giovanni, Apostolo ed Evangelista

L'Apostolo-Vergine.
Dopo Stefano il Protomartire [qui], Giovanni, l'Apostolo e l'Evangelista, è il più vicino alla mangiatoia del Signore. Era giusto che il primo posto fosse riservato a colui che ha amato l'Emmanuele fino a versare il proprio sangue per il suo servizio, poiché, come dice il Salvatore stesso non vi è amore più grande del dare la propria vita per coloro che si amano (Gv 15, 13). D'altronde il Martirio è stato sempre considerato dalla Chiesa come il supremo slancio della carità, ed ha perfino la virtù di giustificare il peccatore in un secondo Battesimo. Ma dopo il sacrificio del sangue, il più nobile, il più coraggioso, quello che conquista soprattutto il cuore dello Sposo delle anime è il sacrificio della verginità. Ora, allo stesso modo che santo Stefano è riconosciuto come il tipo dei Martiri, san Giovanni ci appare come il Principe dei Vergini. Il Martirio è valso a Stefano la corona e la palma; la Verginità ha meritato a Giovanni prerogative sublimi che, mentre dimostrano il pregio della castità, pongono questo discepolo fra i più nobili membri dell'umanità.

Un canto misterioso: 'Adeste Fideles'

Val la pena soffermarsi sull'Adeste fideles (testo nella nota in calce); ma soprattutto ascoltarlo qui nella versione corale e qui dalla voce di Andrea Bocelli. Qui l'indice degli articoli sulla musica sacra.

Un canto misterioso: Adeste Fideles

Ho più volte accennato, parlando della liturgia, di come essa soffra di una crisi di identità che coinvolge anche la musica sacra. I testi forniti nel Messale sono spesso ignorati nel nome di canti non sempre di qualità adeguata. Questo riguarda anche le grandi feste, come il Natale, anche se c’è da dire che qui c’è un repertorio di canti che costituiscono un bagaglio importante per un repertorio comune nel segno della tradizione.

Un esempio in questo senso è Adeste Fideles, una bella melodia di origine incerta, con le parole di John Francis Wade (diciottesimo secolo). Di questo canto esistono molte traduzioni nelle lingue vernacolari, ma non c’è dubbio che la versione originale in latino ha tutto un altro fascino. Delle origini di questo canto non sappiamo molto. Un articolo che è apparso sul Blog della musica, lo definisce un “canto misterioso”. Certo non è semplice risalire all’autore principale, in effetti è stato attribuito a vari autori e per il testo si è anche parlato di san Bonaventura. La musica è stata attribuita a vari musicisti, tra cui Georg Friedrich Händel. Ma sembra che il compositore fu, appunto, John Francis Wade (1711-1786). Ma chi era Wade? Non ne sappiamo molto, alcuni lo dicono membro del clero, per altri era laico. Quello che sappiamo era che si trattava di un inglese e cattolico, ed essere cattolico non era semplice nell’Inghilterra del XVIII secolo. Egli era un copista di musica e la versione che conosciamo di Adeste Fideles ci è giunta attraverso di lui, datata tra il 1740 e il 1743 (blogdellamusica.eu). Dom Jean Stéphan In un suo libro del 1947 cercò di ricostruire le origini di questo canto (Adeste Fideles. A Study on Its Origin and Development. Buckfast Abbey, South Devon, 1947).

Assist del quotidiano dei vescovi agli islamici nigeriani

Assist del quotidiano dei vescovi
agli islamici nigeriani

Sono anni che le persecuzioni di cristiani in Nigeria si susseguono senza tregua e con dati allarmanti [qui - qui - qui - qui], nel totale disinteresse dell'occidente, interrotto dalle recenti iniziative di Trump.
In questi giorni, dopo i sequestri di massa tra i cattolici e gli avvertimenti di Trump si erano intensificate le azioni violente nel Paese. Poi l'attacco degli Usa nella notte di Natale.
Oggi registriamo un sorprendente assist di Santo Stefano Protomartire agli Islamici nigeriani impegnati nel massacro dei cristiani in Nigeria. Firmato Avvenire.

venerdì 26 dicembre 2025

26 dicembre Santo Stefano protomartire

Precedenti qui - qui
26 dicembre Santo Stefano protomartire

Gesù e santo Stefano.
San Pier Damiani apre il suo Discorso sulla odierna solennità con le seguenti parole: "Abbiamo ancora fra le braccia il Figlio della Vergine, e onoriamo con le nostre carezze l'infanzia di un Dio. Maria ci ha condotti all'augusta culla; bella fra le figlie degli uomini, benedetta fra le donne, ci ha presentato Colui che è bello tra i figli degli uomini e più di tutti essi, colmo di benedizioni. Ella solleva per noi il velo delle profezie, e ci mostra i disegni di Dio compiuti. Chi di noi potrebbe distogliere gli occhi dalla meraviglia di questa nascita? Tuttavia, mentre il neonato ci concede i baci della sua tenerezza, e ci lascia nello stupore con sì grandi prodigi, d'improvviso Stefano, pieno di grazia e di forza opera cose meravigliose in mezzo al popolo (At 6,8). Lasceremo dunque il Re per rivolgere lo sguardo su uno dei suoi soldati? No certo, eccetto che il Principe stesso ce lo ordini. Orbene, ecco che il Re, Figlio di Re, si leva egli stesso, e viene ad assistere alla battaglia del suo servo. Corriamo dunque ad uno spettacolo al quale egli stesso corre, e consideriamo questo porta-bandiera dei Martiri". La santa Chiesa, nell'Ufficio odierno, ci fa leggere l'inizio d'un Discorso di san Fulgenzio sulla festa di santo Stefano: "Ieri, abbiamo celebrato la Nascita temporale del nostro Re eterno; oggi, celebriamo la Passione trionfale del suo soldato. Ieri il nostro Re, rivestito della carne, è uscito dal seno della Vergine e si è degnato di visitare il mondo; oggi, il combattente è uscito dalla tenda del suo corpo, ed è salito trionfante al cielo. Il primo, pur conservando la maestà della sua eterna divinità, ha assunto l'umile cintura della carne, ed è entrato nel campo di questo secolo per combattere; il secondo, deponendo l'involucro corruttibile del corpo, è salito alla magione del cielo per regnarvi per sempre. L'uno è disceso sotto il velo della carne, l'altro è salito sotto gli allori imporporati del suo sangue. L'uno è disceso da mezzo alla gioia degli Angeli, l'altro è salito da mezzo ai Giudei che lo lapidavano. Ieri, i Santi Angeli, pieni di gaudio, hanno cantato: Gloria a Dio nel più alto dei cieli! Oggi, hanno ricevuto giubilanti Stefano nella loro compagnia. Ieri, Cristo è stato per noi avvolto in fasce; oggi, Stefano è stato da lui rivestito della veste dell'immortalità. Ieri, un'angusta mangiatoia ha ricevuto il Cristo bambino; oggi l'immensità del cielo ha ricevuto Stefano nel suo trionfo". Così, la divina Liturgia unisce le gioie della Natività del Signore con l'allegrezza che le ispira il trionfo del primo dei suoi Martiri; e, per di più, Stefano non sarà il solo a ottenere gli onori di questa gloriosa Ottava. Dopo di lui celebriamo Giovanni, il discepolo prediletto; gli Innocenti di Betlemme; Tommaso, il Martire della libertà della Chiesa; Silvestro, il Pontefice della Pace. Ma, in questa splendida scorta del Re neonato, il posto d'onore appartiene a Stefano, il Protomartire che, come canta la Chiesa, ha restituito per primo al Salvatore la morte che il Salvatore ha sofferto per lui. Così meritava di essere onorato il Martirio, questa sublime testimonianza che compensa pienamente Dio dei doni concessi alla nostra stirpe e sigilla con il sangue dell'uomo la verità che il Signore ha affidata alla terra.

La diocesi di Charlotte richiederà ai seminaristi di dedicare un "anno pastorale" extra all'insegnamento, vivendo come laici

Altre novità da Charlotte: innovazioni di dubbia efficacia dal punto di vista della formazione sacerdotale. Ogni seminarista riceverà lo stipendio completo e i benefit, ma dovrà pagare le bollette con lo stipendio da insegnante e non gli sarà consentito indossare abiti clericali. Precedenti a partire da qui - qui - qui.

La diocesi di Charlotte richiederà ai seminaristi di dedicare un "anno pastorale" extra all'insegnamento, vivendo come laici

Leggo su Lifesitenews che la diocesi di Charlotte, guidata dal vescovo Michael Martin OFM, ha in programma di aggiungere un ulteriore “anno pastorale” alla formazione del seminario che, a partire dal prossimo anno accademico, richiederà ai seminaristi di lavorare a tempo pieno nelle scuole cattoliche, vivendo in gran parte come laici comuni.

I cambiamenti nella formazione sacerdotale, annunciati in una nota e-mail del 15 dicembre ottenuta da The Pillar, richiederanno ai seminaristi di trascorrere un ulteriore "anno pastorale" tra i loro studi obbligatori di filosofia e teologia, insegnando a tempo pieno nelle scuole medie o superiori locali, presumibilmente per sperimentare le sfide quotidiane dei fedeli laici che sperano di guidare come chierici.

La Chiesa ci ha tolto il silenzio durante la Messa

Da un articolo del novembre 1969, successivo alla Riforma Liturgica, della giornalista, scrittrice e traduttrice cattolica Orsola Nemi (Firenze, 1903 – La Spezia,1985)

La Chiesa ci ha tolto il silenzio durante la Messa

“La Chiesa ci ha tolto il silenzio durante la Messa, ha tolto la possibilità del colloquio segreto, intimo, di ciascuno con Dio, durante la mezz’ora che per il cristiano è la più importante, la più sacra, la più misteriosa della giornata.

Che cosa è, questa cosiddetta partecipazione alla Messa, se non un atto di profonda sfiducia verso l’opera segreta di Dio nelle anime, un intervento dell’uomo fra il credente e Dio?

I risultati sono palesi e tristi. Durante la Messa non più con Dio: ci dicono, dobbiamo unirci, ma fra noi. Però la Fede, la Speranza, la Carità sono atti individuali, non possiamo compierli senza la Grazia; non ameremo il prossimo se prima non avremo conosciuto Dio. E Dio si manifesta nel silenzio. Ora, durante la Messa non c’è un attimo di raccoglimento.

Ci si alza e ci si siede a comando, si ripetono ad alta voce le preghiere, non so con quale partecipazione, poi si ascolta la predica, infine ci sono i canti; e questo è il momento peggiore. Non si possono onestamente chiamarli canti.

giovedì 25 dicembre 2025

Santo Natale 2025

I nostri più fervidi auguri di
 
Sereno e Santo Natale 2025

O Emmanuel, Rex et legifer noster,
expectatio gentium, et Salvator earum:
veni ad salvandum nos, Domine, Deus noster.
Christus natus est nobis: Venite adoremus!
«La Chiesa da venti secoli predica la nascita di Gesù Bambino, ch’è il mistero più dolce, l’immagine più pura, il conforto più grande che l’umanità mai abbia avuto: Dio-uomo. Se è già una cosa grandiosa, incomparabile, insondabile, impenetrabile e inesauribile il mistero di Dio e il mistero dell’uomo, cos’è il mistero dell’Uomo-Dio? È certamente ancora più inesauribile e insondabile, ma è insieme la risoluzione della tensione fra Dio e l’uomo, fra l’Infinito e il finito, fra la Purezza e la nostra miseria del peccato, è “Dio con noi”, è la soluzione di questo mistero, è il conforto ineffabile. Ecco la gioia di noi cristiani oggi». P. Cornelio Fabro

mercoledì 24 dicembre 2025

L'evento storico più significativo di sempre: la Natività di Nostro Signore Gesù Cristo

Nella nostra traduzione da Substack.com abbiamo un esempio dei “semi di verità”, che i Padri – come λόγοι σπερματικοί/Semina Verbi – attribuivano alle filosofie, anche se l’espressione risulta coniata da Giustino. Secondo i Padri dei primi secoli, compreso S. Agostino, i semina Verbi non fecondano le religioni pagane, alle quali essi riservano giudizi molto severi, quanto piuttosto la filosofia greca e la sapienza dei poeti e delle Sibille. Rimando alla mia nota in calce. È un po' lunga. Quasi un nuovo articolo. Ma meritava completare con riferimenti anche alla situazione attuale.

L'evento storico più significativo di sempre:
la Natività di Nostro Signore Gesù Cristo

Alcune note sul collegamento tra la caverna di Platone e l'iconografia cristiana

Duccio di Buoninsegna (1299–1319), La Natività, 1308 ( fonte )

Mentre ci prepariamo a celebrare l'evento più importante della storia dell'umanità, credo che nulla sia più appropriato di una riflessione sul significato di alcune delle icone più toccanti della storia dell'arte sacra cristiana. Il dipinto di Duccio di Buoninsegna (1299-1319), La Natività con i profeti Isaia ed Ezechiele (1308), è una vera sintesi visiva di questa venerabile tradizione iconografica, ben rappresentata sia nella tradizione bizantina che in quella del Medioevo occidentale.

Buon Natale a tutti voi!

Nessun evento nella storia dell'umanità può essere compreso senza un'attenta riflessione sulle conseguenze di quell'atto che ebbe luogo agli albori della storia: il peccato originale e la caduta dei nostri progenitori, Adamo ed Eva. Come conseguenza di quell'evento sfortunato, tutte le profezie autentiche – in primis quelle che si trovano nei testi sacri dell'Antico Testamento, e in seguito quelle dei visionari pagani di varie culture e tradizioni – parlano, direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente, della venuta del Divino Salvatore. Inquieti e turbati da ansie metafisiche, alcuni degli antichi saggi cercarono soluzioni alla disastrosa condizione dell'umanità. L'ateniese Platone, discepolo di Socrate, ci ha lasciato in eredità una delle descrizioni più profonde dello stato dell'umanità decaduta.

Molti dialoghi di Platone – Fedone, Politeia, Fedro e altri – parlano della condizione umana attraverso metafore entrate a far parte del patrimonio della cultura universale. Chi non ha mai sentito parlare dell'allegoria della caverna? Mi affretto, tuttavia, a sottolineare che non è l'unica descrizione simbolica della condizione umana. Altre parabole platoniche, altrettanto significative sebbene molto meno note, gettano una luce rivelatrice sulla nostra condizione attuale. Scriverò di tutti questi argomenti molto presto. La loro essenza, illuminata da diverse angolazioni dal genio letterario dell'autore, è sempre la stessa.

Avvolti nelle penombre di un mondo crepuscolare, in cui essere e nulla si mescolano misteriosamente, vaghiamo nel labirinto creato dalle nostre illusioni e dai nostri autoinganni, agitati dalle tentazioni di «quel serpente antico, che è chiamato diavolo e Satana, il quale seduce tutta la terra» (Apocalisse 12,9). Invece di prolungare e amplificare un sogno che spesso si trasforma in incubo, Platone propone l'unica soluzione perfettamente logica per chi sa: l'uscita dal labirinto oscuro. In un modo o nell'altro, questo è ciò che tutti gli amanti della Sapienza del passato hanno proposto. Eppure Dio, l'Onnipotente Creatore, ha preparato e realizzato una soluzione che supera tutto ciò che gli antichi saggi avrebbero potuto immaginare.

L'Incarnazione e la Nascita della seconda Persona della Santissima Trinità, Dio Figlio, Gesù Cristo, sfidano la logica umana, così come la Sua morte in Croce e la Sua gloriosa Resurrezione. Veramente divina, la soluzione offertaci dal Logos incarnato porta a perfezione, in modo inimmaginabile, la saggezza di Platone e di tutti i pensatori antichi da lui rappresentati. Quella che segue è una vera storia di Natale. Sebbene in qualche modo filosofica, non è meno drammatica e, allo stesso tempo, permeata dalla luce eterna della Sapienza imperitura.

L'Incarnazione e la Nascita della seconda Persona della Santissima Trinità, Dio Figlio, Gesù Cristo, sfidano la logica umana, così come la Sua morte in Croce e la Sua gloriosa Resurrezione. Veramente divina, la soluzione propostaci dal Logos incarnato porta a perfezione, in modo inimmaginabile, la saggezza di Platone e di tutti i pensatori antichi da lui rappresentati. Quella che segue è una vera storia di Natale. Sebbene in qualche modo filosofica, non è meno drammatica e, al tempo stesso, permeata dalla luce eterna della Sapienza imperitura.

La grotta di Maestro Duccio e la saggezza di Platone
Il dipinto del maestro italiano Duccio di Buoninsegna (1299-1319) rappresenta una vera sintesi di una tradizione iconografica diffusa sia nell'Oriente cristiano che nel mondo occidentale. L'immagine principale che accompagna il mio articolo raffigura la nascita del Salvatore Gesù Cristo, visibile al centro del dipinto, all'interno di una grotta buia. È proprio questa grotta che può fungere da punto focale ricco di significato simbolico, nella direzione aperta dalla celebre parabola di Platone.

Presentato nel Libro VII del dialogo Politeia (di solito tradotto erroneamente come La Repubblica), il testo platonico descrive la condizione umana in modo figurato. Come è prevedibile per un argomento di tale importanza, a guidare la discussione e a rispondere alle domande degli interlocutori è Socrate. Ascoltiamolo:
Immaginate degli uomini che vivono in una specie di caverna sotterranea con un lungo ingresso aperto alla luce per tutta la sua larghezza. Immaginateli con le gambe e il collo incatenati fin dall'infanzia, in modo che rimangano fermi nello stesso posto, capaci solo di guardare avanti e impediti dalle catene di girare la testa. Immaginate inoltre la luce di un fuoco che arde più in alto e a una certa distanza dietro di loro, e tra il fuoco e i prigionieri e sopra di loro una strada lungo la quale è stato costruito un basso muro, come gli espositori di spettacoli di marionette hanno dei tramezzi davanti agli uomini stessi, sopra i quali mostrano le marionette.

"Tutto quello che vedo", disse.

“Guarda anche, dunque, uomini che portano oltre il muro utensili di ogni genere che si elevano al di sopra del muro, e anche immagini umane e forme di animali, lavorate in pietra, legno e ogni materiale, alcuni di questi portatori presumibilmente parlano e altri sono silenziosi.”

«Strana immagine quella di cui parli», disse, «e strani prigionieri».

"Come noi", dissi; "perché, per cominciare, dimmi, pensi che questi uomini avrebbero visto qualcosa di loro stessi o degli altri, se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna di fronte a loro?"

"Come potrebbero", disse, "se fossero costretti a tenere la testa ferma per tutta la vita?"

"E ancora, non varrebbe lo stesso per gli oggetti trasportati da loro?"

"Certamente."

«Se dunque fossero in grado di parlare tra loro, non credi che supporrebbero che, nominando le cose che vedono, stanno nominando gli oggetti che passano?»

"Necessariamente."

"E se la loro prigione avesse avuto un'eco dal muro di fronte, quando uno dei passanti avesse emesso un suono, pensi che avrebbero supposto che a parlare fosse stato qualcun altro oltre all'ombra che passava?"

«Per Zeus, non lo so», disse.

“Allora, in ogni caso, tali prigionieri riterrebbero che la realtà non sia altro che l'ombra degli oggetti artificiali.”

"Inevitabilmente", ha detto.(1)
Pur appartenendo al mondo pagano precristiano, il dialogo dimostra quanto avessero ragione, tra gli altri, i santi Giustino Martire e Filosofo e Clemente Alessandrino: prima della venuta di Cristo Salvatore, anche i sapienti del mondo pagano, guidati con discrezione dalla Provvidenza, parlavano dei misteri della vita eterna. Questo spiega perché troviamo le loro figure dipinte sulle pareti di numerose chiese sia nel mondo cristiano orientale che in quello occidentale.

Nel testo sopra citato troviamo una straordinaria descrizione dello stato dell'umanità decaduta. Sebbene nei dialoghi platonici non incontriamo nulla di equivalente al "peccato originale", vi troviamo tuttavia una sorprendente comprensione delle sue conseguenze. Ecco come queste vengono presentate attraverso l'allegoria della caverna.

Il primo punto riguarda la nostra condizione, quella dei discendenti di Adamo ed Eva. Le catene che tengono immobili il nostro collo e la nostra testa, incapaci di volgerci verso “il mondo dell’invisibile”, sono simboli di quell’ignoranza derivante dalla mutazione della facoltà cognitiva avvenuta in conseguenza del peccato originale. Siamo stati accecati. Siamo stati accecati perché abbiamo perso le grazie che producevano nell’anima umana la conoscenza infusa all'inizio posseduta da Adamo ed Eva. Sebbene questa non fosse ancora la visione beatifica, ciò che essi furono comunque in grado di conoscere – attraverso una grazia dotata di eccezionali virtù epistemologiche, donata da Dio stesso – supera di gran lunga qualsiasi cosa possiamo immaginare. Dopo la Caduta ci troviamo incatenati nell’oscurità dell’ignoranza che deriva dall’incapacità di contemplare per mezzo di un intelletto illuminato dalla grazia. Dominati dalla conoscenza razionale (cioè discorsiva), in cui il sillogismo corretto è il risultato più alto a cui possiamo aspirare, e allo stesso modo dalla conoscenza empirico-sensoriale, siamo incapaci di vedere direttamente il mondo di Dio, degli angeli e dei suoi santi.

L'ignoranza, tuttavia, non è tutto. Se ogni persona potesse riconoscere all'istante questa miserabile condizione, questo di per sé sarebbe già qualcosa. Perché allora non si sarebbe ingannati dalla conoscenza inferiore che ora possediamo. Il nostro più grave problema attuale è che ci sembra che ciò che conosciamo attraverso i nostri sensi sia tutto – e che tutto ciò che è conosciuto in questo modo sia l'unica realtà – quando in realtà, come dice Platone, è qualcosa di meramente effimero e illusorio. La Rivelazione cristiana ci dice ancora di più: tutto ciò che ora conosciamo è destinato alla distruzione. Il mondo, come lo vediamo ora, avrà una fine – nel fuoco. Solo dopo di ciò i giusti di Dio avranno accesso a un "nuovo cielo e una nuova terra", conoscendo – come dice San Paolo Apostolo – "faccia a faccia". Eppure ora, senza un'attenta riflessione, giungiamo a considerare vero e reale ciò che in realtà è solo un miscuglio di essere e non essere, o, nei termini rivelati della Sacra Scrittura, di bene e male.

Secondo Platone, la funzione eccezionale di "colui che sa", l'amante della saggezza, è quella di aiutare gli altri a emergere da questo stato di ignoranza. Questa, per lui, è la philo-sophia (ovvero "l'amore per la saggezza"). Esponente di antiche tradizioni sapienziali la cui origine va ricercata nella conoscenza adamitica degli inizi, il pensatore ateniese è una guida spirituale affine a Pitagora, Socrate o Patañjali. Ognuno di loro predicava, nel contesto della propria cultura, una fuga dal mondo decaduto attraverso una vita di ascesi e contemplazione, intesa ad aiutare coloro che la seguivano a raggiungere la Saggezza. Ciononostante, il fallimento nel raggiungere l'immortalità era evidente a tutti, poiché tutti i saggi pagani morivano senza risorgere. L'uscita dalla caverna non era altro che un sogno intermittente.

Prigionieri del nulla
Ma cos'è, dopotutto, la caverna dei prigionieri descritta da Platone? È un mondo di ombre oscure, considerato – a causa dell'ignoranza metafisica – l'unica realtà da coloro che vi sono tenuti prigionieri. Non avendo mai avuto la possibilità di vedere il Paradiso, è facile giungere a negarne l'esistenza. Priva di accesso al Regno dei Cieli, l'umanità decaduta è giunta a credere che ciò che ci circonda sia tutto ciò che esiste. Uno dei grandi pensatori che denunciarono questa illusione fu il genio supremo della metafisica cristiana: Sant'Atanasio (c. 296–373).

Il grande Dottore Alessandrino descrisse la discesa dell'umanità decaduta lungo il pendio verso il nulla: creati dal nulla, dopo aver rifiutato – in Adamo ed Eva – il sacro comandamento del Creatore ("dell'albero della conoscenza del bene e del male, non ne mangerai"), rotoliamo indietro verso il nulla da cui siamo stati creati. Corrotta, la natura umana è diventata simile a una terra arida e completamente priva d'acqua. Profonde fenditure la solcano, frammentandola. L'armonia originaria è stata sostituita da uno stato caotico di guerra continua. L'assassinio di Abele da parte del fratello Caino inaugura la lunga catena dell'odio. Al posto della luce benedetta della grazia, che ha trasformato la natura originaria in un giardino fertile, l'oscurità del nulla si rivela attraverso i vuoti spalancati che si aprono nella natura decaduta.

Se adottassimo la metafora preferita di un altro Santo Padre, Gregorio di Nissa, la natura umana – come un vaso creato per accogliere nel suo vuoto il contenuto luminoso della grazia – ricevette, attraverso l'inganno del diavolo, il piombo (o fango) di quella che Sant'Atanasio chiamava "corruzione". In effetti, sia l'umanità che il cosmo entrarono, sotto l'influenza di questa corruzione, in un vero e proprio processo di entropia e dissoluzione, che solo Dio Salvatore può interrompere. Ecco perché nessun saggio prima di Cristo Salvatore fu in grado di risolvere la tragedia della condizione umana. Se Dio non fosse intervenuto, l'umanità si sarebbe autodistrutta attraverso la generalizzazione e l'istituzionalizzazione del peccato.

L'oscurità su cui siamo sospesi, il vuoto in cui siamo rinchiusi, è – per usare le parole di Platone – la “caverna” in cui la nostra stessa disobbedienza ci ha imprigionati. L'amore per Dio, l'Essere supremo e assoluto, è stato sostituito dall'amore per il nulla, consegnatoci sotto forma di illusioni e menzogne in cui viviamo avvolti senza rendercene conto. È come se, invece di amare il suo sposo che le dona l'anello di fidanzamento più bello che si possa immaginare, la sposa amasse l'anello, dimenticando e ignorando completamente colui che glielo ha offerto. L'idolatria non era e non è altro che un'altra forma di questa illusione pseudo-metafisica: invece di adorare il Creatore, gli uomini adorano le creature – o, in versioni più recenti, adorano se stessi in modo egocentrico ed egomaniacale. Solitari e spesso perseguitati, saggi come Socrate si sforzarono di convincere i loro contemporanei che il vero mondo, la vera vita, si trova altrove. Ma il loro fallimento dimostrò che la missione che stavano cercando di compiere li superava.

Lo stupefacente piano divino nascosto
Dio conosceva tutte queste cose perfettamente – e conosceva anche la soluzione, assolutamente inconcepibile per noi: l'incoerenza ontologica del nostro mondo, che era come una striscia di celluloide che si disintegrava sotto il fuoco covante sotto la sua superficie illusoria, può essere superata solo da Colui che conosce il segreto dei segreti: il potere di quella luce che Tolkien chiamava "la Fiamma Imperitura" – la grazia santificante che Adamo ed Eva persero, ingannati dal diavolo, in Paradiso. Questa grazia non può essere ottenuta con alcun meccanismo, con alcun atto o con alcuna forma di violenza fisica; solo Dio può concederla a coloro che diventano Suoi amici.

Questa grazia, quindi, può essere ricevuta solo attraverso un dialogo cuore a cuore tra persone: l'umile essere umano faccia a faccia con le tre Persone della Santissima Trinità. Ahimè! Quale distanza separa la creatura decaduta dal Creatore: non mille, un milione o un miliardo di anni luce, ma una distanza infinita! Proprio per questo, per mostrarci che desidera esserci vicino, Dio ha fatto la cosa più inaspettata: è venuto, come una sfera di fuoco soprannaturale, in mezzo alle nostre tenebre. Lui, il Sole del regno eterno, è disceso nella grotta in cui siamo prigionieri. Questo miracolo divino è esattamente ciò che le icone cristiane tradizionali ci presentano.

Ma cosa vediamo in loro? Un punto incandescente nella profonda oscurità del mondo decaduto. Questo è il Bambino divino stesso, Gesù di Nazareth, nato da Maria, la moglie di Giuseppe. Le gerarchie celesti, rappresentate dagli angeli che guardano con stupore il Bambino appena nato, sono scosse. La Vergine stessa è scossa. In molte icone bizantine, la Regina del Cielo e della Terra, con il volto oscurato da profonda meraviglia, è voltata dall'altra parte rispetto alla mangiatoia dove giace il Bambino. Anche San Giuseppe è sconcertato. Chi può comprendere un simile evento?

Andrej Rublev (?–1430), Natività del Signore

La nascita verginale, come la Resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, è l'articolo più controverso della nostra fede. Oggi, in mezzo alla valanga multimediale, si possono vedere video in cui eruditi rabbini affermano che una cosa del genere è impossibile: il Signore dei Signori e Dio degli Dei, il grande Dio Onnipotente, non può diventare uomo. Privati della luce della grazia soprannaturale della fede, non possono accettare che Dio possa umiliarsi incarnandosi. E non sono i soli. Tutte le religioni monoteiste lo negano. L'Induismo ha inventato sofisticate teorie sugli avatar della Divinità suprema solo per dirci ciò che sostiene l'insegnamento eretico chiamato docetismo (dal greco dókēsis "apparizione, fantasma"): che Dio può assumere solo un aspetto umano. In altre parole, Egli si limita a "fingere" di essere umano attraverso un trucco, attraverso un'illusione.

Fede cristiana eterna e infallibile
Contro tutte queste speculazioni, la fede cristiana confessa tuttavia qualcosa di veramente straordinario: che Dio Figlio, la seconda Persona della Santissima Trinità, si è incarnato. Gesù di Nazareth non è semplicemente un grande saggio, come Buddha, Lao-Tse o Milarepa, né semplicemente un'“apparizione” sotto la quale la divinità si è manifestata giocosamente. No. Gesù di Nazareth è pienamente e veramente Dio e pienamente e veramente uomo: un'unica Persona nella quale, per un atto divino, la natura divina e la natura umana sono unite senza essere confuse, e distinte senza essere divise.

Giunti a questo punto, riconosciamo: non è stata la nostra ragione, né il genio dei filosofi o dei grandi pensatori a offrirci questo insegnamento, ma la Rivelazione della luce eterna, che – superando di gran lunga la nostra capacità di comprensione – sostiene le nostre menti affinché, per comando della nostra volontà messa in moto dalla grazia, possiamo aderire agli insegnamenti eterni di Dio. Per questo san Francesco di Sales sottolineava che, di fronte ai misteri divini, la ragione è impotente. Nemmeno il più grande logico – lo stesso Aristotele – sarebbe capace, con la forza del suo intelletto, di scoprire tali insegnamenti, perché sono accessibili alla nostra mente solo per grazia. Per questo è vitale la nostra preghiera per coloro che non credono, per coloro che dubitano: pregando, chiediamo al Padre delle grazie di illuminare coloro che abitano nelle tenebre, o coloro che, per vari motivi, hanno spento la luce donata nel Battesimo.

Eppure, per pregare, guardiamo attentamente le icone della Natività del Salvatore e lasciamoci permeare dallo stesso sacro stupore provato dalla Santa Vergine Maria davanti al Bambino divino. Se riusciamo a malapena a immaginare cosa significhi toccare Dio, possiamo immaginare cosa significhi portarlo, come una madre, nel proprio corpo e – miracolosamente – darlo alla luce rimanendo perpetuamente vergini? Le mie parole non possono illuminare tali misteri, ma possono invitarvi a meditare per meravigliarvi, e a meravigliarvi per pregare, specialmente per coloro tra noi che si allontanano dal cammino della salvezza ignorando o addirittura negando tali verità eterne.
Robert Lazu Kmita, 23 dicembre
_____________________________
1. Cito la traduzione di Paul Shorey: Platone in dodici volumi, volumi 5 e 6, Cambridge, MA, Harvard University Press; Londra, William Heinemann Ltd., 1969.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

Nota di Chiesa e post-concilio
Il pensiero post-illuminista, che purtroppo ha avuto la sua influenza anche all’interno della Chiesa per effetto dell’abbandono del principio aristotelico della non contraddizione, ha portato all’affermazione che le diverse religioni sono tra loro complementari: ognuna conterrebbe i “semi di verità”, che invece i Padri – come λόγοι σπερματικοί / Semina Verbi – attribuivano alle filosofie, anche se l’espressione risulta coniata da Giustino.[1]
Secondo i Padri dei primi secoli, compreso S. Agostino, i semina Verbi non fecondano le religioni pagane, alle quali essi riservano giudizi molto severi, quanto piuttosto la filosofia greca e la sapienza dei poeti e delle Sibille.
Invece, a partire dal Vaticano II:
« fuori dei confini della chiesa visibile, e in concreto nelle diverse religioni, si possono trovare “semi del Verbo”; il motivo si combina spesso con quello della luce che illumina ogni uomo e con quello della preparazione evangelica (Ad gentes, nn. 11 e 15; Lumen gentium, nn. 16-17; Nostra aetate, n. 2; Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, n. 56).
La teologia dei semi del Verbo inizia con san Giustino. Di fronte al politeismo del mondo greco, Giustino vede nella filosofia un’alleata del cristianesimo, perché essa ha seguito la ragione; ma ora questa ragione si trova nella sua totalità soltanto in Gesù Cristo, il ‘Logos’ in persona. Solamente i cristiani lo conoscono nella sua integrità. Di questo ‘Logos’ però è partecipe tutto il genere umano; perciò da sempre c’è stato chi è vissuto in conformità con il ‘Logos’, e in questo senso ci sono stati “cristiani”[2], pur avendo essi avuto soltanto una conoscenza parziale del ‘Logos’ seminale. C’è molta differenza tra il seme di una cosa e la cosa stessa; ma in ogni modo la presenza parziale e seminale del ‘Logos’ è dono e grazia di Dio. Il ‘Logos’ è il seminatore di questi “semi di verità” ».
Nella sua ripresa moderna, quindi, la formula è applicata proprio alle religioni non cristiane, secondo due significati. Il primo è anche quello del Concilio Vaticano II, nei cui documenti i ‘semina Verbi’ sono la misteriosa presenza di Cristo salvatore in tutte le religioni, in quanto esse possono avere di “vero e santo” e quindi anche di salvifico, sempre però attraverso Cristo per vie che solo lui conosce. Il secondo compare in alcune correnti teologiche della seconda metà del XX secolo, secondo le quali le religioni non cristiane avrebbero capacità salvifica non mediata ma propria, perché esprimerebbero molteplici esperienze del divino, indipendenti e complementari, e Cristo – piuttosto che l’unica Via necessaria – sarebbe il simbolo di questa molteplicità di esperienze e di percorsi dell’intelletto e dello spirito.
La proposizione di cui al punto 1 della Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis humanae : «...la verità non si impone che per la forza della verità stessa, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore» è falsa in relazione alle verità del cattolicesimo. Infatti, le verità contenute nella Rivelazione apostolica, di origine divina, custodite nel Depositum fidei, oltrepassano il nostro intelletto che le accoglie e le comprende solo con l'aiuto della grazia santificante; mentre la Fede, oltre che adesione dell'intelletto e del cuore, è anche misterioso dono di grazia. Tra l'altro, dare per scontata la diffusione della verità "da se stessa", senza un annuncio (εὐαγγέλιον - vangelo) che la veicola da parte di un testimone che l'ha accolta e la vive, significa non tener conto delle conseguenze del peccato originale che ha ferito e indebolito l'intelligenza e la volontà rendendole soggette all'errore. È la grazia, di cui il testimone è portatore intessuto e riverberante dalle sue parole e azioni, che opera. Se perdiamo questa consapevolezza, siamo fuori strada.
Ecco perché anche Leone XIV non parla di evangelizzazione (dov'è più il munus docendi?). E può confermare Fratelli tutti e la Dichiarazione di Abu Dhabi. Per lui l'annuncio efficace deriva dall'aver vissuto l'incontro con Dio, "trasmettendo non dottrina ma la propria amicizia con Cristo attraverso lo stile di vita, non solo ideologia". La prima via di evangelizzazione resta “la testimonianza di una vita autenticamente cristiana, abbandonata in Dio e donata al prossimo”... Poi parla di educazione integrale, e ben venga; ma le verità della fede? Almeno finora è cambiato lo stile, ma non la sostanza. _____
1. «Tutto ciò che rettamente enunciarono e trovarono via via filosofi e legislatori, in loro è frutto di ricerca e speculazione, grazie ad una parte di Logos. Ma poiché non conobbero il Logos nella sua interezza, che è Cristo, spesso si sono anche contraddetti» (Seconda apologia, X, 2-3).
Anche Giustino, più che le altre religioni, valorizza la ricerca filosofica e morale dell’uomo. Egli percepisce che lo sforzo di comprendere il bene e la verità insito nell’uomo ha a che fare con Dio e con il suo Logos, sebbene in forma incompleta ed anche contraddittoria: «Ciascuno infatti, percependo in parte ciò che è congenito al Logos divino sparso nel tutto, formulò teorie corrette; essi però, contraddicendosi su argomenti di maggior importanza, dimostrano di aver posseduto una scienza non sicura ed una conoscenza non inconfutabile. Dunque ciò che di buono è stato espresso da chiunque, appartiene a noi cristiani. Infatti noi adoriamo ed amiamo, dopo Dio, il Logos che è da Dio non generato ed ineffabile, poiché Egli per noi si è fatto uomo affinché, divenuto partecipe delle nostre infermità, le potesse anche guarire. Tutti gli scrittori, attraverso il seme innato del Logos, poterono oscuramente vedere la realtà. Ma una cosa è un seme ed un’imitazione concessa per quanto è possibile, un’altra è la cosa in sé, di cui, per sua grazia, si hanno la partecipazione e l’imitazione» (Seconda apologia, XIII, 3-5). Nella prima apologia, aveva fatto derivare la dipendenza di Platone e Socrate dal Logos anche dal fatto che, a suo dire, essi avrebbero letto il Pentateuco e, quindi, avrebbero imparato da Mosè i buoni insegnamenti che si trovano nei loro scritti: «Quando Platone disse: ‘La colpa è di chi sceglie, Dio non è responsabile’, prese il concetto da Mosè, poiché Mosè è più antico anche di tutti gli scrittori greci. Tutte le teorie formulate da filosofi e poeti sull’immortalità dell’anima, o sulle punizioni dopo morte, o sulla contemplazione delle cose celesti, o su simili dottrine, essi le hanno potute comprendere e le hanno esposte prendendo le mosse dai Profeti. Per questo appaiono esserci semi di verità presso tutti costoro. Li si può però accusare di non aver inteso giustamente, quando si contraddicono tra loro» (Prima apologia, XLIV, 8-9).
2. Commissione Teologica Internazionale, Il cristianesimo e le religioni, 1996, n. 43

Imparare il latino liturgico, lezione 23

Nella nostra traduzione da Via Mediaevalis, approfittiamo del lavoro di uno dei tanti appassionati studiosi d'oltreoceano.
 Per chi è completamente digiuno di latino e ha interesse a colmare questa lacuna, così diffusa nelle ultime generazioni — e purtroppo anche tra i sacerdoti —, può trovare i rudimenti indispensabili per comprendere il latino ecclesiastico e porre le basi di un maggiore approfondimento in genere favorito dalla frequentazione delle liturgia dei secoli. Un piccolo inconveniente è dato dalla taratura per lettori anglofoni; ma penso agevolmente colmabile dall'efficacia del metodo. 
Qui l'indice degli articoli dedicati alla Latina Lingua, per le lezioni precedenti.

Imparare il latino liturgico, lezione 23
Le antifone O

Clicca qui per un elenco di tutte le lezioni precedenti.

Le Antifone O sembrano essere piuttosto note oggigiorno, ma nel caso non le conosceste, sono preghiere che la Chiesa canta come parte dei Vespri durante gli ultimi giorni di Avvento. Ce ne sono sette, una per ogni giorno dal 17 al 23 dicembre. Dato che siamo ormai nel pieno della fase delle Antifone O dell'Avvento, dedicherò questo post alle prime tre di queste sette preghiere. Vi fornirò la versione latina, una traduzione letterale in inglese e alcuni commenti esplicativi per aiutarvi a utilizzare questi testi per lo studio della lingua.

17 dicembre
O Sapientia (O Sapienza), quae ex ore Altissimi (voi che dalla bocca dell'Altissimo siete usciti) prodiisti (siete usciti), attingens a fine usque ad finem (raggiungendo da un capo all'altro), fortiter suaviterque (fortemente e dolcemente) disponens omnia (disporre/ordinare tutte le cose): veni ad docendum nos (vieni ad insegnarci) viam prudentiae (la via della prudenza).

Il suffisso -que (come in fortiter suaviterque ) è un altro modo per dire "e" in latino. Alcuni spartiti di canto (incluso quello sopra) hanno il -que attaccato a disponens. Non so perché. Nota l'uso di forme verbali che terminano in -ens, che modificano il sostantivo Wisdom e corrispondono alle forme "-ing" in inglese. La parola docendum (da docere, "insegnare") è chiamata gerundio. Non abbiamo ancora studiato i gerundi, ma la costruzione ad + gerundio è un modo per esprimere lo scopo di un'azione: veni ad docendum = venire ad insegnare o allo scopo di insegnare.