Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 7 dicembre 2014

Sulla Musica Sacra. Risposte ad alcune obiezioni

Amici miei, mi chiedo e vi chiedo. Sbaglio se, nel convenire con voi sulla necessità che ciò che è appropriato e appartiene alla Santa e Divina Liturgia anche in campo musicale vada custodito e recuperato con passione e buona volontà, temo tuttavia che allo stato attuale sia impossibile tornare ad uno splendore originario? Cosa che richiederebbe comunque il simultaneo corrispondente recupero della fede viva di clero e popolo. Inoltre, al punto in cui siamo, penso che la rieducazione musicale possa avvenire con gradualità, a partire da quanto è realisticamente possibile. Senza l'ottica del minimo sindacale; ma puntando al meglio. Consapevoli che è un'azione congiunta e che necessita, in primis, del coinvolgimento autoritativo di quel clero che, oltre agli effetti della crisi, già presente ante-concilio e dell'iconoclastia post-conciliare, oggi nec rubricat nec cantat per uno strano e diffuso contagio trasmesso dall'attuale Capo. Contagio che, col predecessore, neanche a parlarne. Con le dovute eccezioni, naturalmente. Ma ho l'impressione che stiamo camminando nel deserto... senza scoraggiarci, però! Del resto vi mostrate belli tosti ed agguerriti e immagino che questa vis riusciate a travasarla nel vostro impegno, del quale ci piacerebbe conoscere anche qualche frutto. Sono certa che non ne manchino...
P.S. - L'estetismo "merlettaro" non appartiene né a questo blog né ai suoi normali frequentatori, escluso a volte qualche lettore occasionale. Potremmo per favore lasciar fuori dal discorso la sartoria sacra e merletti calzari e fibbie - che sono i soliti elementi messi in risalto con pregiudizio denigratorio dai detrattori della tradizione - e venire al sodo? Se c'è qualche 'luogo' o contesto che privilegia queste cose, prima o poi inaridirà da sé.

Risposte ad alcune obiezioni

Su indicazione della "padrona di casa" del presente pregevole sito, ci dedicheremo con piacere - magari a puntate alterne - alla risposta ai principali e più appetitosi commenti che vengono apposti in calce ai nostri interventi.
Per quanto riguarda la prima puntata, abbiamo potuto notare, da parte di alcuni tra i molti lettori, un certo qual disappunto verso i fatti storici che abbiamo cercato di mettere in evidenza. Disappunto che si può riassumere:
  1. nell'invito a non confondere la filologia con la pratica musicale liturgica;
  2. nella sottolineatura dell'inutilità di un dibattito circa alcune questioni attinenti la storiografia della musica sacra;
  3. nell'invito a non mettere sullo stesso piano gli odierni orrori musicali e le trivialità del passato.
A tali commenti (e non alle beghe condominiali tra portinaie della tradizione e criptosedevacantisti dai gusti - musicali e non solo - non propriamente aderenti al Trimeloni o al Vismara) intendiamo rispondere, ringraziando chi li posta - e continuerà a farlo - per l'interesse dimostrato. E' bello avere riscontri positivi o essere sollecitati a sviluppare qualche argomento, nell'ottica di uno sviluppo della conoscenza del patrimonio musicale ecclesiale e degli affascinanti interrogativi che esso suscita.

Il merletto batte... dove la storia duole?

Cominciamo, perciò, dall'invito a non confondere, sovrapporre e mescolare la filologia con la pratica musicale liturgica. Detto invito si configura quindi come una necessità di non estendere l'ambito degli studi musicologici e le relative deduzioni alla corrente prassi liturgica.
Se apriamo il dizionario Devoto-Oli (prima edizione) alla voce "filologia", troviamo le seguenti tre definizioni:
  1. La disciplina relativa alla ricostruzione ed alla corretta interpretazione dei documenti letterari di un ambiente culturale definito: filologia classica, romanza, italiana
  2. L'indirizzo rappresentativo degli studi filologici nell'ambito di una determinata area o epoca di civiltà, rel. ai metodi e agli intenti: la f. alessandrina, romantica
  3. estens. Lo studio dei caratteri e dello svolgimento culturale di una data comunità.
Filologia non è quindi solo ricostruzione e interpretazione corretta di documenti e indirizzo rappresentativo di studi, ma è anche studio dei caratteri e dello svolgimento culturale di una comunità quale che sia. Nel nostro caso, la filologia non è solo lo studio delle fonti autentiche del gregoriano (filologia gregoriana, o meglio paleografia), non è solo un indirizzo rappresentativo di studi (scuola di Solesmes, ad esempio) ma è anche uno studio di uno svolgimento culturale, di una pratica religiosa di una comunità amplissima come quella cattolica, con particolare riferimento a dati ambiti storici, antropologici e geografici. Studi già stimolati ed apprezzati da Pio X, il quale nel Motu Proprio "Tra le sollecitudini" al n. 3 afferma: «...il canto gregoriano... che gli studi più recenti hanno sì felicemente restituito alla sua integrità e purezza». E questo lo scrisse in anni, l'inizio del Novecento, nei quali il gregoriano era ancora ben lontano dalla sua "integrità e purezza": chissà, dunque, cos'avrebbe mai potuto scrivere Papa Sarto se a quell'altezza cronologica la scuola paleografica di Cardine avesse raggiunto le vette filologiche che raggiunse negli anni Sessanta. 
E a tal proposito occorre sottolineare un particolare di non poco conto: ma, riguardo al gregoriano, in primis, cos'è la filologia a livello meramente pratico? Quali benefici ha apportato, in concreto, nella prassi liturgica che si crederebbe eclissata dalla filologia stessa? E' davvero un inutile orpello destinato a «trasformare tutte le Messe in accademie musicologiche»? 
In realtà, per chiunque abbia un minimo di conoscenza non limitata alla "messa degli angeli", non è possibile non riconoscere che la filologia, segnatamente quella gregoriana, non ha fatto altro che consegnare il canto della Chiesa come esso stesso è stato concepito dalla Tradizione cattolica. Essa, sviscerando, magari anche accademicamente, perché no?, il patrimonio neumatico ha solamente (ri)portato alla luce l'antico vettore della lex orandi, (ri)offerto al rito la sua dimensione sonora plasmata dalla e nella Actio del Signore. In questo caso, dunque, la filologia non può che coincidere con l'interpretazione (fossimo biblisti diremmo "esegesi") che la Chiesa vuole insegnare di ogni singolo passo liturgico musicato. E se rispettare la rigida esegesi delle Scritture richiesta dalla dottrina cattolica, sia pur veicolata dalle melodie gregoriane filologicamente (e provvidenzialmente) restaurate, è fare dell'accademia musicologica allora, sì, onorati di farla.
Altro aspetto da valutare riguardo la filologia è il considerare che questi studi sono, sotto molti punti di vista, assimilabili agli studi storici (possiamo anche parlare, accanto alla filologia musicale, di storiografia musicale) e con essi ne condividono diverse metodologie. Parimenti, negli studi filologici e storiografici così come in quelli storici, su diverse questioni vi sono opinioni controverse e non vi è identità di vedute tra gli studiosi anche per mancanza di dati certi ed oggettivi.  
Per fare un esempio concreto, questa volta di stampo strumentale, nella musica antica certe opere non sono attribuibili con certezza a questo o a quell'autore ma si può tutt'al più individuare una metodologia compositiva assimilabile a questa o a quella scuola. Accade però che vengano prima o poi ritrovati manoscritti (anche firmati) che ne chiarificano con evidente certezza la paternità. Nessuno si sognerebbe mai, una volta stabilita con certezza la paternità di una data composizione, di tacciare di ignoranza chi ne era precedentemente all'oscuro, ma non si potrebbe certo permettere, a coloro i quali sostenevano una attribuzione errata, di persistere senza prove significative nel loro errore "perché si è sempre fatto così". Allo stesso modo, non si vuole accusare le generazioni molto precedenti alle nostre di aver, per esempio, cantato un gregoriano pasticciato, permesso l'esecuzione di musica triviale nelle sacre funzioni e via dicendo, ma non si può permettere che ai nostri tempi venga riproposto ciò che già allora era sbagliato ancorché fatto inconsapevolmente. (E questo, va detto - sia pure per inciso -, al netto di una certa corrente - di scuola Bartolucci, buonanima, ammirabile compositore e insigne condottiero della Sistina - che vorrebbe, invece, un ritorno al gregoriano dell'Ottocento, virile, gridato, come nei "secoli di ferro". Difficile est satiram non scribere.)
Non si può cioè trasformare l'ignoranza invincibile in ignoranza colpevole, e questo discorso va fatto con maggior forza in questi tempi di vivacità del laicato tradizionale, ove più che mai la conoscenza della musica sacra (accanto alla conoscenza delle sacre scritture, del catechismo, dello svolgimento delle cerimonie ecc.) risulta importante per solidificare la propria cultura personale e cementare nella fede, nella speranza e nella carità (che vuol dire anche riconoscere di non essere dei tuttologi e lasciare certi posti e certe decisioni a chi ne ha le competenze) i nostri Coetus (che - detto ancora una volta per inciso - normalmente non rischiano di sciogliersi per colpa dei musici, ma per colpa anche di una assenza di figure responsabili a livello ecclesiale che solidifica la presenza dei vari "papponi" della messa antica, per la più parte invisa ai cattolici normali i quali, presto o tardi, si allontanano confondendo la "lex orandi et credendi" della messa tradizionale con la "lex vivendi et agendi" dei vari "supporter").
Riflettere su certe questioni in modo "filologico", dunque, non significa preconizzare riforme specialistiche (già compiute, e vedremo come), ma osservare come storicamente l'ingegno umano e l'azione dello Spirito Santo abbiano riportato alla luce una miniera di dati musicali, prassi liturgiche e consuetudini per alcuni secoli totalmente dimenticati; non significa sospirare vuoti archeologismi ma comprendere l'evoluzione del repertorio (evoluzione spesso indipendente dalle volizioni papali, e proprio per questo meritevole di studio e- in certi casi- di biasimo). Significa, cioè, amare la Chiesa e i compositori che con la loro musica, per zelo o per guadagno, l'hanno onorata, riflettendo sui contesti storici, liturgici e sociali che hanno portato certe composizioni ad essere scritte "in quel modo" e non diversamente (e questo vale per il gregoriano come per il "Miserere" di Gregorio Allegri, ricordato nei tempi moderni principalmente grazie a un fanciullo prodigio che lo trascrisse a memoria); significa anche comprendere la storia di una evoluzione organica e complessa, che non può essere ridotta ad un insieme di colpe (così come non si può pensare, a scorno di qualche millenarista patologico, che la parziale redistribuzione dei salmi nell'Ufficio operata da Pio X sia la radice dei mali dell'uomo moderno) ma è frutto di variabili che, per causa anche di una corrente di studio a carattere progressista, non sono state ancora affrontate in un'ottica di "Summorum Pontificum" (ossia di una liturgia risalente al 1962 da celebrarsi cinquant'anni più tardi).

Concludendo la prima obiezione, abbiamo già in parte risposto alla seconda obiezione (l'inutilità di porre certe questioni) ma, a scanso di equivoci, riteniamo necessario eviscerarla meglio.
Già nel "numero zero" della nostra rubrica avevamo spiegato il nostro interesse a porre una questione storiografica della musica sacra, motivandola con l'assenza di tali riflessioni periodiche presso i siti tradizionalisti più frequentati. In aggiunta, era nostra intenzione confutare le "oleografie" o le "fantasie" di una certa parte del mondo tradizionale e di una larga parte del mondo progressista circa la musica del preconcilio. Queste erano e sono le nostre intenzioni, così come nostra intenzione era quella di provocare un salutare "turbamento" in chi dava certe cose false per vere, e ad invitarlo a una lettura più critica e oggettiva del passato liturgico musicale anche e soprattutto per contrastare meglio la decadenza attuale (per affrontare il "nemico" bisogna conoscerlo, e conoscere anche quanto di giusto egli dice per poter controbattere con maggior forza ove egli sbaglia). E' evidente che ciascuno può liberamente scegliere ove abbeverarsi, e continuare tranquillamente a credere nell'esistenza di un "gregoriano di sempre" e di una "musica sacra di sempre". Non ci si stupisca però delle risate che siffatte affermazioni provocano in un qualsiasi conoscitore della musica sacra (sia esso ateo o credente), e non ci si stupisca del perché molti cori gregoriani preferiscano animare dignitose messe in Novus Ordo piuttosto che interfacciarsi con nostalgici sempre pronti ad alzare il feticcio del "Liber Usualis di sempre" con la scusa dell'"è comunque meglio delle chitarre".

"Questa o quella per me pari sono…"

Siamo quindi giunti alla terza obiezione (l'invito a non mettere sullo stesso piano schitarrate e messe operistiche), obiezione non priva di fascino e di correttezza ma anch'essa portatrice di un possibile fraintendimento.

Sempre nel "numero zero" avevamo anche detto che la chiave di lettura della nostra "controstoria" della musica sacra sarebbe stata il differente trattamento degli abusi da parte dell'autorità (prima riprovati, ora incoraggiati). Ed effettivamente per molti di noi, anzi, per tutti noi, una messa "operistica" sarebbe "meglio" di una "schitarrata". Ma che cosa significano questi due termini?
Se "operistico" è sinonimo di stile teatrale, ci viene in aiuto anche qui Pio X, che al numero 6 del citato Motu Proprio, ci dice che «fra i vari generi della musica moderna, quello che apparve meno acconcio ad accompagnare le funzioni del culto è lo stile teatrale, che durante il secolo scorso fu in massima voga, specie in Italia. Esso, per sua natura presenta la massima opposizione al canto gregoriano ed alla classica polifonia e però alla legge più importante di ogni buona musica sacra. Inoltre, l'intima struttura, il ritmo e il cosiddetto convenzionalismo di tale stile non si piegano, se non malamente, alle esigenze della vera musica liturgica.» Si parla cioè di incompatibilità "ontologica" fra stile teatrale e stile di Chiesa, a causa della struttura, del ritmo e dello stile di tale musica. Non viene qui espresso un giudizio "estetico" circa dette opere, ma viene fornito un giudizio "liturgico" motivato. 

Non è ancora così scontato, anche nell'ambito tradizionalista (del quale - e qualcuno, ormai, invocherà il Cielo - ci sentiamo di far parte), distinguere il buono e il giusto dal gusto personale. Ciò significa che certe opere, quali il "Te Deum" di Berlioz, possono trovare collocazione in Chiesa a livello concertistico, non però a livello di liturgia (del resto, un'opera del genere non sarebbe ammessa anche a cagione della lunghezza, della forma, e di altre questioni che vedremo analizzando meglio il documento citato). 
Se "operistico" è anche sinonimo di "un pezzo d'opera solamente suonato", allora ancor di più non può essere ammesso in Chiesa, neanche (in linea teorica) a livello concertistico. Chi di noi gradirebbe sentir suonare, come nell'Ottocento, le note e le armonie di "Libiam ne' lieti calici" all'offertorio? Chi di noi riuscirebbe a trovare il necessario raccoglimento immaginandosi nella mente un'atmosfera popolata da etilisti, giovinastri e mignotte? (A tal proposito Pio X nel succitato Motu proprio al n. 5: «Nondimeno... si dovrà attendere con maggior cura perché le composizioni musicali di stile moderno che si ammettono in Chiesa...non abbiano reminiscenze di motivi adoperati in teatro...»).
Secondo molti, poi, l'oggettiva superiorità del melodramma rispetto al Symbolum 77 (e su questo non ci piove) dovrebbe far sorvolare sulla non liturgicità: l'esigenza liturgica dovrebbe, quindi, tollerare e piegarsi al male minore. Sicuri che questa possa essere la strada giusta da percorrere? Perché, a forza di "de gustibus" e di tolleranza, a rigor di logica, anche la canzonetta anni Settanta può essere considerata (anzi, lo è) da schiere di cattolici oratorial-parrocchiali "bella". E il "va beh, non è proprio liturgico, ma pazienza, è così bello…" non è forse lo stesso mantra che ci ha condotti alla devastazione che, lo stesso lettore, giustamente, denuncia?
Se "schitarrate" è sinonimo di melodie da centri sociali, ci si trova assolutamente d'accordo nel deprecarne la presenza nelle nostre liturgie. Se "schitarrate" significa però una qualsiasi musica prodotta dalla chitarra (strumento che, purtroppo, da profano che era è diventato "sacro" o quantomeno sinonimo di musica cattolica), ci sentiamo di lanciare una provocazione. Non sarebbe bello, in mancanza dell'organo, poter ascoltare qualche intavolatura per liuto (ossia riduzioni di parti vocali di un mottetto, per esempio) eseguita egregiamente alla chitarra? Non potrebbe favorire il raccoglimento ed evitare i latrati disumani delle voci (scoperte e non) che si sentono durante certe liturgie (quando non ricalcano l'effetto campeggio)? Non potrebbe contribuire all'elevazione tecnica e culturale di tanti "schitarratori" rendendo le nostre liturgie, in mancanza dell'organo, meno penose e più fruttuose sotto molti aspetti?
Perché la sostanza, in fondo, rimane: da un punto di vista liturgico, la messa operistica tanto anelata e la messa beat hanno ontologicamente esattamente lo stesso esecrabile valore liturgico. "Per me pari sono": un giro di polka al postcommunio o un giro di Sol all'offertorio, parafrasando von Bulow, hanno, in liturgia, entrambi e allo stesso modo, lo stesso valore che, in campo morale, ha un delitto.

Occorrerebbe infine, in qualche caso, prestare maggior attenzione nell'utilizzo degli oggetti e delle parole, per non farne usi impropri che risultano grotteschi o penosi. Come una chitarra potrebbe essere usata egregiamente in una radunanza giovanile o, in caso di necessità e col permesso dell'ordinario, suonata con perizia in una funzione liturgica (e non come caso di "malamusica" nelle nostre italiche assemblee domenicali), così qualche pizzomerlettaro coetusvagante potrebbe dedicarsi "all'arte sua" (studio di cerimonie, indumenti sacri ecc..) fornendo contributi costruttivi alla storia della sartoria sacra (ah, chissà quanta "filologia del merletto" si potrebbe gustare… altroché quella musicologica), lasciando le altre arti a chi ne ha le competenze e non trattando i lettori come dei bambini ai quali si deve per forza raccontare "che tutti vissero insieme felici e contenti". Estendendo i merletti ai calzari e alle fibbie, potremmo davvero dire "sutor nec ultra crepidam!"...
Pino Delsignore e Tony Dellachiesa

15 commenti:

Luisa ha detto...

Un blogger di Mil testimonia il suo stupore nell`aver letto su "Cattolici romani" la soppressione del "Tu es Petrus" all'inizio dell'omaggio alla statua dell'Immacolata in piazza di Spagna, effettivamente su CR leggo il commento di un blogger che, dopo aver sfogliato
il libretto della celebrazione per l’Atto di venerazione all’Immacolata, conferma quella soppressione.
Non è facile per tutti considerare e ammettere che quella decisione sia stata presa da Bergoglio stesso o da chi, conoscendo i suoi "gusti", precede i suoi stessi desideri.

Flavio B. ha detto...

Ma c'è ancora la musica sacra?

Er Pappone ha detto...

Questo noisissimo post trasuda elitarismo e supponenza da capo a fondo, come avrà capito chi è riusicito a non addormentarsi prima di arrivare alla fine.
Ci sarebbero da dire mille cose ma fotunatamente non ce n'è bisogno perchè persone come queste stanno calde calde nelle torri d'avorio della loro superiorità e fanno tutto sommato poco danno nei coetus dai quali dopo aver disgustato con i loro modi altezzosi i pochi fedeli che hanno osato avvicinarli si allontanano o vengono provvidenzialmente allontanati poco dopo le loro nocive apparizioni(magari per tornare a cantare il gregoriano 'puro' nelle rare e soporifere funzioni nouvus ordo che lo utilizzano per la autogratificazione del parroco sitle PAul VI-Maritain del momento), ometttendo il gloria all'introito e col versetto ripetuto al graduale che permette ai fedeli di farsi un bel pisolino prima del Vangelo lieti di sapere che nel duomo di Tubinga nel X secolo forse sotto il Vecovo Gurbardo nelle feste dei patroni secondari si faceva così, almeno risulterebbe da una aggiunta di mano ingnota a un lacerto di palinsesto reperito nel 1894 e parzialmente illeggibile a causa di macchie di pesce fritto cui detto il folgio di guardia aveva fatto a un certo punto da involto),
Certo è chiaro che oggi il movimento tradizionale ha bisogno soprattutto che vengano posti in evidenza tutti i veri o presunti limiti di Bartolucci, del Vismara e del Trimeloni, dei calzari e delle fibbie e del liber usualis, come ha soprattuto bisogno che emergano figure come i nostri due pseduo-anonimi a portare spesso - col verbo della loro sapienza e spesso con arroganza maleducata- problemi organizzativi e divisioni nei coetus.
Per cui bene fanno i "papponi" del momento a isolare questi virus nocivi che così almeno torneranno a suonare l'organo nelle funzioni dei vescovacci modernisti che li sussidiano quotidianamente a condizione di non sapere che i suddetti suonatori ogni tanto si dilettano onanisticamente con l'organo in una messa tradizionale (dicendone poi in privato peste e corna perchè non li lasciano dar libero sfogo alla loro perizia erudita nelle celebrazioni). Insomma ci sono gli ingovantoni pvogvessisti che oh mio Dio contessa non ci capiscono e ci sono quei puzzoni tvadizionalisti volgavoni che oh mio Dio mavchesa non ci obbediscono a noi che siamo tanto sapienti... Ragazzi su' anche ad essere dissociati c'è un limite.
Ho scritto sin troppo e vado a far qualcosa di utile, cioè ripassrmi con il bieco usualis usato con frutto in tutte le comunità tradizionali non sterili del mondo qualche antifona per le prossime funzioni.
Dicono solo una cosa: dire che il Messale VO oggi in vigore è una Messa creata nel 1962 è affermazione che squalifica da sè sola tutto l'intervento dei due pseudo anominmi ed anche i loro precedenti.

mic ha detto...

Lo vedo come un bel match tra supponenze. Ma non lo trovo molto costruttivo.

Anonimo ha detto...

Ringrazio Er Pappone perchè mi ha fatto ridere come non mi succedeva da tanto tempo. La sua è una risposta intelligente e,appunto,spiritosa allo scritto in oggetto. Cesare

Er solito pappone ha detto...

Cara Mic,
Non è costruttivo l'intento di partenza, e nemmeno il pregresso che - per chi sa leggere fra le righe e gli pseudonimi - ci sta dietro.
Sono i papponi - e non gli eruditi - che hanno fatto rinascere la Messa tradizionale.

lister ha detto...

... magari è: "Sutor, NE ultra crepidam" :D

Anonimo ha detto...

alla faccia dei filologi!

murmex ha detto...

Anch'io ho riso dell'arguzia del Pappone . Sono musicalmente una ignorantona , ma avendo una voce discreta mi sono messa a imparare il gregoriano su internet tramite lo Studio mediolanensis del maestro Vianini , semplicemente ripetendo e ripetendo , mi pare con buoni risultati . Lo canto in casa , come preghiera , cercando di adattarlo ai diversi momenti (non il Dies irae a Natale...)e anche in giardino , vincendo la timidezza e il timore che qualcuno mi senta dal di fuori . Pensando al Mistero eucaristico , cuore della nostra devozione , mi paiono una ottima preparazione Ave Verum , Adoro Te devote , Iesu dulcis memoria...Chissà che questo non dia frutti ,oltre che per l'edificazione personale , anche nell'incoraggiare altri , magari i più giovani , a uno studio serio ...

Anonimo ha detto...

ho letto con piacere l'intervento dei due filologi e la replica di pappone (credo sia il pizzomerlettaro dell'altra puntata. Posto che gli interventi dei due giovani (o dei due vecchi?)sono davvero eccessivamente tecnicistici per la mia modesta cultura, mi pare che questo pappone ce l'abbia con loro non si sa bene perché (fatti e nomi, non chiacchiere), e da come parla mi ricorda uno di quei ministranti un po' attempati col ragazzino o la signorina al seguito, a seconda delle tendenze; il livore non è mai giustificabile!

mic ha detto...

Ricordo che questo blog non è il teatro di controversie e di polemiche tra appartenenti ad opposte fazioni.
Vale sia per gli autori che per papponi e Anonimi vari.

E' indubbio che lo stesso tono dell'articolo richiama interventi di questo tipo.
Poiché uno degli autori è uno studioso serio, non credo che gli si attagli questo tipo di comunicazione.

Attendo, dai lettori, domande serie e contributi equilibrati
mentre spero e mi attendo dagli autori, se vorranno gratificarci di altre puntate, di introdurci alle altezze (pur passando dalle inevitabili débâcles) ed aprirci il forziere dei tesori più belli che la musica sacra vi ha depositato nei millenni, a maggior gloria di Dio e per l'edificazione e la gioia dei credenti.

mic ha detto...

Anzi, dirò di più.
Poiché immagino che la rubrica abbia già un percorso tracciato, Invito gli autori a rendercene partecipi.
Per le nuove puntate chiuderò ai commenti.
Chi vorrà fare domande, osservazioni o contributi è pregato di inviarli alla casella

romaperenne@gmail.com

Su questa pagina ormai non chiudo; ma spero ricevere domande, richieste, esigenze che possono giovare agli approfondimenti o chiarir meglio qualunque aspetto della trattazione.

Pulex ha detto...

Vorrei ringraziare gli autori per questa rubrica (e per la prima puntata in particolare), perche da non-italiano sono assai ignorante sulla situazione di musica sacra in Italia, anche nel passato. Un paio di pensieri:
1. Gli autori scrivono: "la parziale redistribuzione dei salmi nell'Ufficio operata da Pio X sia la radice dei mali dell'uomo moderno". Certo non la radice di tutti i mali, ma una riforma a lungo termine dannosa. Incidentalmente, e importante per uno gregorianista, non solo salmi sono stati redistribuiti, ma anche tantissimi antifone per hebdomadam sono state rimosse e introdotte nuove.
2. "nel Motu Proprio "Tra le sollecitudini" al n. 3 afferma: «...il canto gregoriano... restituito alla sua integrità e purezza». E questo lo scrisse in anni, l'inizio del Novecento, ...: chissà, dunque, cos'avrebbe mai potuto scrivere Papa Sarto ..." Si faciamo di filologia, il vero 'ghostwriter' fui uno gesuita (qui rubricat et bene cantat), padre Santi, e lo ha scritto gia nella fine del Ottocento. Vede il libro di P. Combe, OSB, sulla storia di Solesmes e sul divenire di questo motuproprio.
3. Una schola competente puo bene cantare anche utilizzando Liber Usualis. Pero e chiaro che un buono direttore di schola dovrebbe studiare almeno un poco di semiologia e farsi familiare con vari scuole d'interpretazione.

Turiferario ha detto...

Era assai lungi da me la volontà di proclamare l'inutilità della filologia e di decretarle il bando dal consesso umano come fece Platone per i poeti: viva la filologia, solo che non tutti devono per forza diventare filologi. E' bene ad esempio che vi sia una filologia dantesca, ma non tutti coloro che si avvicinano alla Divina Commedia devono conoscere l'esistenza di un ramo alfa e di un ramo beta della tradizione del testo, sapendo collocare al loro interno i codici antecedenti al Boccaccio. Che poi i risultati ottenuti da coloro che hanno studiato per tutta la vita queste cose vadano a beneficio anche degli "indotti" che non lo hanno fatto è sicuramente vero. Per essere onesti fino in fondo bisognerebbe però anche aggiungere che nella filologia - in ogni filologia - c'è anche una buona dose di filologismo, ovvero di gusto per il trastullo su questioni di lana caprina e sulla frazione del capello in quattro per il puro gusto di farlo e di esercitare dall'alto una magisteriale "acribia". Non dico che la filologia sia questo, ma purtroppo genera e ospita al suo interno anche questo. Sono partito dalla metafora del testo della Divina Commedia, e con essa concludo: immaginiamo un gruppo di persone che quasi miracolosamente siano riuscite a mettere le mani su un esemplare del poema dantesco scampato a cinquant'anni di proscrizione, divieto e distruzione deliberata. Ora l'hanno fra le mani, possono cominciare a leggerlo, a cercare di capirlo. Magari possono contare sull'aiuto di qualche anziano che ha conosciuto l'epoca antecedente la proscrizione. Ora, la loro priorità è forse sapere che tipo di edizione hanno fra le mani, se abbia o meno un apparato critico, se sia corretta filologicamente, e quale sia la più corretta fra quelle esistenti, ecc. ecc.? O non è piuttosto prioritario, in quelle condizioni, leggerla, capirla, impararla, far capire ad altri che la Divina Commedia è un testo importante e non cartaccia da macero? La situazione di chi oggi cerca di "rimettere in piedi" una messa cantata in gregoriano non è molto diversa... Con il che non si nega affatto l'utilità, nel contempo, di uno studio specialistico dal quale possono venire ottime cose.

Anonimo ha detto...

Intervallo :
https://www.youtube.com/watch?v=UfkyR6Nfeo0