Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 28 giugno 2017

don Curzio Nitoglia. Una questione attuale sull'intenzione dei Sacramenti

Introduzione 

Alcuni valenti teologi contemporanei ritengono, con  un fondamento nella realtà, che le riforme dei Riti sacramentali fatte dopo il 1968 abbiano la tendenza di rendere l’intenzione oggettiva del Ministro difforme da quella creduta e insegnata dalla Chiesa e quindi invalida. 

La conclusione mi sembra esagerata e non corrispondente alla verità. Infatti la sana teologia insegna che l’intenzione oggettiva del Ministro, per rendere valido il sacramento, consiste nel fare ciò che fa la Chiesa  (Concilio di Trento, DS 1611)[1] e non consiste nel credere ciò che essa crede e insegna, cosa che renderebbe la validità dei sacramenti soggetta a una miriade di dubbi negativi e soggettivi, i quali porterebbero allo scrupolo universale. Quindi dalla premessa, realmente fondata, dei suddetti teologi non si può dedurre la conclusione, indebita, della invalidità in sé dei nuovi Riti dei sacramenti, ma al massimo si può arguire che la nozione teologica dei Ministri post-conciliari riguardo ai sacramenti non sempre sia in sintonia con quella della Chiesa, il che, però, non invalida di per sé il sacramento, anche se può portare il Ministro al peccato grave contro la fede e all’eresia personale. In breve il sacramento è valido in sé, ma potrebbe essere gravemente illecito da parte del ministro.    

L’intenzione del Ministro dei sacramenti deve essere alla portata di tutti i comuni fedeli

«I sacramenti sono istituiti per tutti e sono alla portata di tutti i fedeli. Quindi anche la valutazione dei loro elementi (materia/forma/intenzione oggettiva) deve essere fatta in base a un criterio accessibile a tutti e non riservato a una élite di persone» (Pietro Palazzini, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1953, vol. X, col. 1579, voce “Sacramenti”). 

Padre Giuseppe Perini scrive: “Non sarebbe stato più semplice dire, ad esempio, che il Ministro deve avere l’intenzione di ‘amministrare il sacramento’, di cui sta compiendo il Rito, oppure di ‘fare ciò che Cristo ha istituito’? Certamente queste intenzioni sono pienamente sufficienti per darci un sacramento, ma non sono alla portata di tutti gli eventuali Ministri. Per esempio, Ministro del Battesimo potrebbe essere anche un non-cristiano, il quale compiendo il Rito può arrivare all’intenzione di fare ciò che fanno i cristiani, cioè la Chiesa, ma non oltre, non avendo la nozione di sacramento e di grazia” (I Sacramenti, vol. II, Battesimo, Confermazione e Eucarestia, Bologna, ESD, 1999, p. 110).

Leone XIII nella Lettera Apostolicae curae del 1896 (DS 3318) insegna che l’intenzione oggettiva del Ministro la si riconosce quando “un Ministro nell’effettuare e amministrare un sacramento si è servito correttamente della materia e della forma richieste, eseguendo il Rito esattamente, e perciò stesso si deve ritenere che ha inteso fare ciò che fa la Chiesa”.
Attenzione a non ridurre la Chiesa ad una specie di Accademia “gnostica” fatta di eletti, filosofi e teologi provetti.

Natura dell’intenzione sacramentale

Infatti mons. Antonio Piolanti[2] (I Sacramenti, Firenze, LEF, 1956, II ed., Città del Vaticano, LEV, 1990, p. 237)  spiega: «Per la validità del sacramento è sufficiente l’intenzione implicita e indistinta di fare ciò che fa la Chiesa; intenzione che potrebbe trovarsi anche in un pagano, che si proponesse, sebbene sprovvisto di nozioni sulla Chiesa, di compiere il rito secondo l’intenzione di chi domanda il Battesimo. Innocenzo IV (Decr.,lib. III, tit. 42, cap. 1, DS 646) si esprime così: “Se uno va da un saraceno e gli dice: ‘battezzami’ e questi lo battezza, ritenendo che da una semplice immersione non possa derivare altra conseguenza all’infuori di un bagno, ma intendendo bagnarlo secondo le intenzioni di chi richiede il Battesimo, se anche crede che il sacramento non può operare alcunché, egli viene validamente battezzato”». 

Quindi il saraceno, l’ebreo o l’ateo che battezza un moribondo che glielo chiede - in caso di necessità - certamente non ha la fede cattolica e probabilmente non la conosce, ma è sufficiente che dica “voglio fare ciò che tu mi hai chiesto di fare”. Ora ciò che gli viene chiesto in quel momento è di amministrare un sacramento, facendo ciò che fa la Chiesa e il Battesimo è valido. Non è una questione di saper ciò che vuole la Chiesa, ma solo di fare ciò che essa fa.

Voler fare ciò che fa la Chiesa e non credere ciò che crede la Chiesa

È un lapalissiano che «per fare ciò che fa la Chiesa si richiede l’intenzione di fare ciò che fa e non ciò che crede o che intende la Chiesa. Perché il sacramento sia valido si richiede che il Ministro intenda solo di fare ciò che fa la Chiesa e non di conferire la grazia, quantunque sia convinto che la Chiesa sbagli e che il rito sia privo di ogni efficacia».[3] Quindi anche i Ministri modernisti, se applicano le rubriche date loro dalla Chiesa, ordinano i sacerdoti, consacrano i vescovi e amministrano la cresima validamente. 

Qui si evince il passaggio indebito che si commette quando si passa dall’eventuale pericolo di cambiamento, da parte del Ministro, della nozione del sacramento all’invalidazione del sacramento in sé e per sé. Un conto è “credere” un conto è “fare” e coloro che propugnano la tesi della probabile invalidità dei nuovi sacramenti confondono il credere (la fede o la dottrina) del Ministro colla sua volontà di fare. 

Giuseppe Rambaldi aggiunge: «L’intenzione sacramentale del Ministro è quella di fare ciò che fa la Chiesa, non è necessario che il Ministro intenda o voglia il fine del sacramento, ma deve volere fare ciò che fa la Chiesa, invece se ha l’intenzione di non fare ciò che fa la Chiesa il sacramento è invalido (DB 1318)»[4] (Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1951, vol. VII, coll. 70-73, voce “Intenzione nel Ministro dei Sacramenti”). 

I migliori manuali di teologia morale[5] insegnano comunemente che è di fede che il Ministro deve avere l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa (Conc. di Trento, DB 854). Infatti il Ministro è  un rappresentante di Cristo e della sua Chiesa, quindi deve subordinare la sua volontà a quella di Cristo e della Chiesa. Il Ministro non deve intendere quello che intende la Chiesa, cioè il fine del sacramento (per la Cresima la pienezza dello Spirito Santo, che rende il battezzato perfetto cristiano; per l’Ordine il potere di offrire il Sacrificio della Messa e di confezionare i sacramenti), ma è sufficiente l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa anche se non ci crede o se la reputa erronea. 

In breve Cristo è l’Autore, l’Istitutore dei sacramenti e solo lui ha il potere di salvare, mentre il Ministro è uno strumento intelligente e libero nelle mani di Cristo, che può agire anche mediante uno strumento interiormente difettoso (mancanza di fede o di grazia), il quale esercita solo un semplice ministerium. S. Tommaso d’Aquino specifica: “la virtù del sacramento proviene solo da Cristo vero Dio e vero uomo” (S. Th., III, q. 64, a. 2, ad 1um).    

Il dubbio metodico sull’intenzione dei sacramenti

Tuttavia se ci si lascia prendere dal dubbio metodico o dallo scrupolo non si ha più nessuna certezza, si può dubitare di tutto: il sacerdote che mi ha battezzato voleva fare ciò che fa la Chiesa? Il sacerdote che mi assolve è veramente sacerdote? Il celebrante vuol fare ciò che fa la Chiesa? La risposta la dà la sana teologia: materia/forma/intenzione oggettiva a partire dall’applicazione corretta, esterna e visibile delle rubriche. Gli altri “argomenti” o meglio “dubbi negativi” (senza motivi reali e fondati) non vanno presi sul serio. 

Soprattutto facciamo attenzione a non seminare dubbi negativi (senza fondamento oggettivo) quanto alla validità dei sacramenti posteriori al 1968; a non fare il gioco del diavolo, il quale semina dubbi infondati che turbano; cerchiamo, dunque, di fare il gioco dell’angelo, che dà certezze oggettivamente rassicuranti.[6]

Dove sarebbe la Chiesa se non vi fosse più sacerdozio, episcopato, sacramenti ed il sommo Pontificato? Infatti questi sono elementi essenziali alla Chiesa: Gesù l’ha fondata così e così dovrà perdurare “tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt., XXVIII, 20). Occorre distinguere tra decorosità e non-sussistenza. È pacifico che vi sono molte cose indecorose ed illecite nell’ambiente ecclesiale conciliare e post-conciliare, ma la non esistenza della gerarchia, del sacerdozio e dei sacramenti annullerebbe la Chiesa come Cristo l’ha fondata, il che è impossibile perché Gesù ha promesso pure che “le porte dell’inferno non prevarranno contro di Essa” (Mt., XVI, 18). 

Conclusione 

Infine concludo con una nota personale, che può essere utile a chi si sente assalito dai “dubbi sacramentali”: essendo stato ordinato sacerdote da monsignor Marcel Lefebvre e questi essendo stato consacrato vescovo da mons. Liénart, che era massone e anche satanista come dichiarò in un’omelia lo stesso monsignor Lefbvre, da alcuni “dubitanti” io sono considerato non validamente ordinato sacerdote. Ma questa obiezione non mi ha mai turbato poiché la consacrazione episcopale di monsignor Lefebvre è avvenuta oggettivamente nel rispetto dei tre elementi costitutivi del sacramento dell’ordine sacro e particolarmente (quanto all’intenzione di Liénart) vi è stata l’applicazione esterna e visibile delle rubriche, dalla quale soltanto si evince l’intenzione di fare un rito sacro o ciò che fa la Chiesa, anche se - da massone e “satanista” - non intendeva né credeva  ciò che intende e crede la Chiesa.
d. Curzio Nitoglia
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1. Questa formula era già stata usata dal 1414 al 1418 nel Concilio di Costanza (DS 1262), dal 1438 al 1445 nel Concilio di Firenze, e dopo il Concilio tridentino sarà usata nel 1690  nel Decreto contro i Giansenisti (DS 2328) ed infine da Leone XIII nella Lettera Apostolicae curae del 1896 (DS 3318).
2. Antonio Piolanti (Predappio, 7 agosto 1911 - Città del Vaticano, 28 settembre 2001). Conseguì la Laurea in utroque jure nell’Università del Laterano nel 1925, (di cui divenne Rettore nel 1957) presso la quale nel 1945 gli fu affidata la cattedra di Introduzione alla Teologia e successivamente quella di  Teologia Sacramentaria. Di questa seconda materia fu titolare per molti anni anche nella Pontificia Università Urbaniana o De Propaganda Fide ed è reputato comunemente uno dei più grandi esperti della seconda metà del Novecento in questa materia. Per alcuni decenni tenne la vice-presidenza dell’Accademia Romana San Tommaso d’Aquino, assicurandole una notevole attività anche nei tempi duri dell’anti-tomismo “conciliare”. “Conoscitore profondo di tutti i campi della teologia, mons. Piolanti ha pubblicato una vasta serie di opere, nelle quali con chiarezza di stile, acutezza d’indagine e vastità di documentazione espone tutti i misteri della fede cristiana, in particolari quelli che toccano Cristo, la Chiesa, l’antropologia soprannaturale e la sacramentaria. Le linee del suo pensiero sono chiaramente quelle della scuola romana di cui insieme col card. Pietro Parente (A. Ottaviani, L. Bogliolo, C. Fabro, F. Spadafora, S. Garofalo, L. Ciappi, G. Roschini, F. Càrpino, D. Composta, P. C. Landucci, P. Palazzini, F. Roberti, G. Ricciotti, E. Lio, F. Amerio, U. Degli Innocenti, L. M. Carli, R. Pizzorni, U. M. Lattanzi, P. Dezza, G. Mattiussi, F. M. Cappello,  B. Gheradini e G. Perini) è stato in questo secolo uno dei più validi e autorevoli rappresentanti. I punti fermi della sua riflessione teologica sono: fedeltà alle direttive del Magistero ecclesiastico, convinta adesione agli immutabili princìpi della metafisica di S. Tommaso d’Aquino, esclusione categorica di qualsiasi avventura teologica e di cedimento alle mode” (G. B. Mondin, Dizionario dei Teologi, Bologna, ESD, 1992, p. 471-472, voce Piolanti Antonio). Cfr. AA. VV., Cinquant’anni di magistero teologico. Scritti in onore di mons. Antonio Piolanti, Città del vaticano, Lateranum, 1985.
3. Cfr. G. Rambaldi, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1951, vol. VII, coll. 70-73, voce “Intenzione del Ministro” ; Id., L’oggetto dell’Intenzione sacramentale  nei teologi dei secoli XVI e XVII, Roma, 1944. 
4. Alcuni reputano che i “Ministri postconciliari” non abbiano l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa cattolica essendo membri della “chiesa conciliare” formalmente separata dalla Chiesa cattolica. Ora 1°) “in teologia sacramentaria quanto all’intenzione del ministro si dice solo la Chiesa senza specificare ‘cattolica’. Volutamente non si dice la Chiesa cattolica, in quanto il ministro desidera fare ciò che Cristo ha istituito” (Antonio Piolanti, I Sacramenti, Città del Vaticano; LEV, [1956] 1990, p. 237). 2°) inoltre la Chiesa romana ha definito che il Luteranesimo è una setta o chiesuola fuori della Chiesa di Cristo, mentre non vi è nessuna definizione dogmatica del Papa o della Chiesa (Papa più Episcopato) che riguarda la “chiesa conciliare” come sussistente fuori della Chiesa cattolica; il  termine “chiesa conciliare” è stato usato dal card. Benelli in un’intervista e può essere ripreso nella disputa polemica, ma non nel linguaggio teologico in senso stretto. 3°) infatti non si può parlare in maniera strettamente teologica (anche se è consentito farlo  nella polemica) di una “chiesa conciliare” formalmente distinta da quella cattolica, poiché la Chiesa deve sussistere semper eadem sino alla fine del mondo, perciò il soggetto o l’essere Chiesa (Papa/Vescovi, successori di Pietro/degli Apostoli) è semper idem sia prima che dopo il Concilio Vaticano II, mentre l’agire, l’oggetto o la dottrina insegnata può avere modalità diverse: dogmaticamente e infallibilmente, oppure pastoralmente e non infallibilmente. Quindi nell’oggetto, ossia nell’agire e nella dottrina insegnata pastoralmente dal Vaticano II, si possono trovare delle novità (nova non nove) in rottura con la Tradizione della Chiesa, senza che l’essere o  il soggetto Chiesa sia venuto meno o abbia perso la sua indefettibilità o continuità apostolica da S. Pietro sino all’ultimo Papa regnante, canonicamente eletto ed accettato dalla Chiesa universale (cfr. B. Gherardini, Divinitas, n. 2/2011). Quindi il dubbio positivo e fondato non sussiste oggettivamente. 4°) infine «“Riordinazione” è un termine moderno, con cui si indica l’uso invalso in alcuni periodi, e soltanto in alcuni ambienti, di ripetere l’Ordinazione ritenuta invalida perché compiuta da Ministri eretici, scismatici, deposti o scomunicati. […]. Il Concilio di Trento ha definito infallibilmente (sess. VII, De Baptismo, can. 4; DB 860) la validità del Battesimo conferito dagli eretici, ma si è astenuto dal dichiarare valide le Ordinazioni conferite da Ministri eretici, non perché su questo punto potesse sussistere dubbio, ma per non porre la dottrina di alcuni autori cattolici in opposizione con una verità oramai di fede» (Antonio Piolanti, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, V ed., 1957, pp. 354-356, voce “Riordinazioni”).  
5. Cfr. B. Merkelbach, Summa theologiae moralis, Parigi, 3 voll., 1932-1933; H. Noldin, Summa theologiae moralis, Bressanone, 3 voll., 1899-1900; D. Prümmer, Manuale theologiae moralis, Bressanone, 3 voll., 1915.
6. Cfr. S. Ignazio da Loyola, Esercizi Spirituali, Regole per il discernimento degli spiriti, n. 315: “Lo spirito cattivo causa nelle anime tristezza e tormenti di coscienza, pone impedimenti, ostacoli ed inquieta con false ragioni. Al contrario lo spirito buono infonde coraggio, forza, consolazione, buone ispirazioni e pace, allontanando ogni ostacolo e impedimento”.

31 commenti:

Anonimo ha detto...



Il card. Achille Liénart era sicuramente un "novatore" come dicava Amerio e giocò un ruolo fondamentale al Vaticano II, in senso negativo, facendo saltare l'ordine del giorno al primo giorno del Concilio, 13 ottobre 1062, inizio della rivoluzione neomodernista nella Chiesa (vedi Iota Unum di R. Amerio, par. 47 intitolato: "La reiezione del Concilio preparato. La rottura della legalità conciliare").
Se era anche formalmente massone (e "satanista") avrà appartenuto a qualche Loggia. O era solo una diceria?

Anonimo ha detto...

Perchè usare la terminologia "ministri post-conciliari"?
Il Consacrato è sempre lo stesso prima e dopo il concilio (uno dei tanti concili della storia della chiesa).
Perchè infettare con il microbo del dubbio la fede dei fedeli?
I Sacramenti sono tutti validi a prescindere dell'età anagrafica dei sacri ministri.

Latinista ha detto...

È interessante rileggere ogni tanto queste considerazioni, ma mi chiedo se non sia prevista una disciplina per il caso di simulazione.

Intendo dire: sono validi un matrimonio o un battesimo rappresentati per esempio al cinema o in teatro?
Materia e forma, almeno nel caso del battesimo, è facile che siano corrette, e gli attori hanno tutto l'interesse e l'intenzione di fare appunto come fa la Chiesa, solo che non vogliono ottenere l'effetto sacramentale; ma don Curzio sottolinea che è sufficiente l'intenzione di compiere quel certo atto, mentre non è rilevante il fine che gli si vuole dare.
Dunque il sacramento è valido? E se no, che cosa lo rende invalido?
Sarei grato a chi mi desse una risposta documentata.

A proposito, quale Vi risulta che sia la materia del matrimonio? I catechismi tacciono, la risposta non è ovvia, e ne ho sentito diverse che potevano essere giuste.
Anche qui grazie a chi sapesse rispondere, magari indicando fonti del magistero che mi erano sfuggite.

Anonimo ha detto...

Se sto cucinando un pollo arrosto, anche se sono vegetariano, anche se odio il pollo, ma lo cucino a regola d'arte, la pietanza cucinata sarà un buon pollo arrosto, anche se le intenzioni e i desideri del cuoco erano rivolti altrove. E chi assaggia il pollo non lo sente certo meno buono o meno pollo solo perché il cuoco interiormente aveva intenzioni opposte.

Alessandro ha detto...

Al signor anonimo che fa gli esempi del pollo, dico: stiamo parlando di Sacramenti non di un pranzo! Inoltre il pollo/sacramento riformato NON è cucinato/confezionato a regola d'arte ma secondo ricette scrause e inventate dal cuoco(Montini/Bugnini) che aveva in mente tutt'altro, basta leggere lìenciclopedico volume nel quale Bugnini osa financo mettere in dubbio la validità o l'efficacia dei Sacramenti di sempre!

http://nullapossiamocontrolaverita.blogspot.it/2014/10/monsignor-lefebvre-da-questa-unione.html

tralcio ha detto...

La memoria è qualcosa di più del ricordo o della banca dati.
E’ molto di più dell’occasione di una ricorrenza o del far sfoggio di erudizione, alla Pico della Mirandola.
Biblicamente il cuore è là dove risiedono l’intelligenza, la volontà e la memoria.
Il cuore, pertanto, sta oltre la sua posizione (nel petto) e la sua nota funzione (di pompare il sangue).
Il cuore vuole ciò che intuisce con sapienza e ricorda e ri-conosce, trovandolo degno di bene e di amore.
La memoria è dunque qualcosa che non si limita alla storia, perché la supera.
Nell’uomo, fatto di anima e spirito immortale e non solo di un corporeo spazio-tempo mortale, c’è esperienza di a-temporalità e di una memoria non confinata nella storia, anche se la storia ne è visitata.
La liturgia è memoria(le) di un fatto storico, ma che sconfina nell’eternità.
E’ questa ulteriorità che il cuore dell’uomo può ri-conoscere e adorare, credendo, sperando e amando.
Non chiudiamo la liturgia in una memoria storica, o la fede nella sua mera esperienza storica, come prassi.
Se lo facessimo svanirebbe l’eternità di Dio, prerogativa di un cuore ardente di zelo per la volontà di Dio.
Faremmo memoria di qualcosa che è a nostra misura e saremmo noi la misura che giudica la storia.
Tutt’altro la liturgia, sottratta alle misure dello spazio-tempo di un mondo soggetto alla signoria del Ribelle.
Per permissione divina il nostro spirito può chiudersi in questa gabbia, persino celebrando il Suo Signore.
Il nostro “cuore” può diventare prigioniero di illusioni, sensualità e idee, credendosi persino “come Dio”.
Le nostre conoscenze, le banche dati e d’affari, diventano i criteri del cuore umano incapace di Dio.
Sacramenti non del segno efficace della Grazia Divina eterna, agente nella storia, ma segni dei nostri idoli vani che disseminano la storia di guerre, di morte e di peccato.

irina ha detto...

Un vecchio sacerdote mi disse: " Se Giuda battezza, è Cristo che battezza."

Don Francesco ha detto...

A teatro gli attori hanno l'intenzione di "fingere ciò che fa la Chiesa", non di "fare" ciò che essa fa; dunque, in virtù di tale intenzione non retta il sacramento è invalido. D'altra parte un'intenzione corretta, unita alla materia e alla forma convenienti, può produrre il sacramento anche in una condizione insolita o addirittura sacrilega. Un caso tipico di scuola è la discussione relativa alla validità della consacrazione di un intero panificio da parte di un sacerdote... Questione non banale, bensì molto lunga e articolata.

Faccio notare che l'intenzione richiesta per la validità di un sacramento è quella di fare ciò che fa la "chiesa", non la "chiesa cattolica"; basta dunque l'intenzione di voler fare ciò che fa quella che il ministro "soggettivamente" ritiene essere la chiesa di Cristo. Sono sicuro che questa affermazione stupirà qualcuno. E tuttavia è facilmente riscontrabile se si considera, ad esempio, il battesimo amministrato dai protestanti o la cresima amministrata dagli ortodossi. Protestanti e ortodossi vogliono entrambi fare ciò che fa la chiesa, ma non certo la chiesa cattolica, bensì quella chiesa che ciascuno rispettivamente ritiene essere la vera chiesa. Questa è una grande tutela per la validità dei sacramenti! Si capisce che un ministro modernista potrebbe confezionare validamente il sacramento se - posti materia e forma validi - avesse tuttavia un concetto oggettivamente erroneo della vera chiesa, ma soggettivamente certo (un modernista in buona fede). Ne consegue che la "corruzione dell'intenzione" è un fenomeno molto difficile (per fortuna) e tale difficoltà è una tutela che Nostro Signore ha posto sulla validità dei sacramenti.

Infine circa il matrimonio. Materia e forma del matrimonio sono il "consenso": rispettivamente il consenso espresso (materia) e l'espressione del consenso (forma). Unici ministri del sacramento sono gli sposi (contro Melchiorre Cano "qui extra chorum canit", gli scismatici orientali e alcune nuove strane tendenze di Amoris Laetitia). Si capisce che anche in questo caso per la validità del matrimonio non è richiesta la fede dei nubendi/ministri, ma è sufficiente la retta intenzione di voler fare ciò che fa la Chiesa.

Anonimo ha detto...

L'argomento dell'articolo è di fondamentale importanza e tra i più delicati e complessi. Il migliore commento letto finora è senz'altro quello di don Francesco, che tuttavia non prende posizione esplicita sulle affermazioni conclusive di don Nitoglia. Quest'ultimo bravo sacerdote, di meritevole studio e coraggio, dice purtroppo anche qui delle mezze verità (in quanto ignora volutamente gli studi e le obiezioni contrari ai suoi, sfuggendo alle correzioni) e sembra non tenere conto della situazione reale che stiamo vivendo. Faccio solo due esempi per brevità. Nitoglia deplora la riforma del rito della consacrazione episcopale (il più importante di tutti i riti) voluta da Paolo VI, con molte considerazioni storiche e teologiche, ma poi la salva in extremis giustificando il cambiamento della formula decisiva dicendo che è stata desunta legittimamente e validamente dal rito cattolico greco-bizantino di ordinazione episcopale. Ciò è falso; o meglio è vero solo a metà, in quanto la formula in cui si dice all'ordinando "Ricevi lo Spirito principale...", oltre che ad essere modificata in senso ambiguo (Principale? = spirito di governo? = altro?) ed eretico nei confronti della SS.ma Trinità (lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, non è una virtù donata dal Padre al Figlio e da questi agli Apostoli, come dice la nuova formula), è contenuta sì nei rituali di ordinazione bizantini, ma non è affatto la formula consacratoria!!! E' invece la formula di insediamento, o di accompagnamento al trono episcopale dell'eletto, già consacrato in precedenza. E' dunque un rito conclusivo di consegna della giurisdizione! Nitoglia tace su questo. Secondo esempio. Ho assistito ad un battesimo di un bimbo, amministrato da un sacerdote di chiara professione modernista, che raccoglie attorno a sè moltissime persone che si considerano una comunità particolare. La formula usata è stata: "Lorenzo, sei battezzato nel nome di Gesù Cristo". Poi lo ha sollevato in alto e lo ha mostrato a tutti dicendo. "Ora Lorenzo è entrato nella nostra comunità". In questo modo ha violato la forma canonica e ha mostrato nel gesto e nell'omelia concomitante di considerare il battesimo non come atto religioso, ma atto sociale, duplicando secondo san Tommaso i motivi di invalidità. Questo tipo di cerimonie, mi dicono, sta avvenendo sempre più spesso qui in Italia e denota un marcato difetto di intenzione. Potrei citare casi analoghi sull'Eucaristia, ma qui mi fermo. Per approfondire consiglio il seguente video.
(Perché le nuove ordinazioni sono invalide)
www.youtube.com/watch?v=7E83lfCL1rQ
oppure:
www.youtube.com/watch?v=2Rh9VvIoBAI
TEOFILATTO

Anonimo ha detto...

Io però a questo punto devo fare una domanda, perché c'è una cosa che non capisco.

Un tempo era ovvio quali fossero le intenzioni della Chiesa a riguardo dell'Eucarestia. Il dubbio del sacerdote sulla Presenza Reale era dunque un dubbio personale, poteva essere una debolezza di cui egli stesso si doleva, oppure anche un solido convincimento personale, però sapeva di essere lui un'eccezione all'interno della Chiesa. Quindi era chiaro per lui quali fossero le intenzioni della Chiesa.

Ora il contesto è diverso: ci sono vescovi e teologi che dicono chiaramente che quello è solo un pezzo di pane "in memoria" di un evento passato e preti che durante l'omelia dicono chiaramente eresie in tal senso. Questi si sentono parte della Chiesa e credono che le intenzioni della Chiesa siano quelle; non si sentono non più eccezioni, anche perché in seminario o a qualche conferenza li hanno formati così. C'è dunque l'intenzione di fare come la Chiesa, ma una loro idea peregrina della Chiesa.

Credo che Don Francesco abbia risposto con quel "oggettivamente erroneo... ma soggettivamente certo", ma francamente ho bisogno di un'ulteriore spiegazione. Cosa sarebbe poi un "modernista in buona fede"?

Notate che in quello che sto chiedendo VO/NO non è determinante sulla validità del Sacramento di per sé; se non che il NO è stato un tassello nel portare, lentamente ma inesorabilmente, a questa situazione.

Che ne pensi, Mic? ha detto...

Ieri sera, un amico. Come non dargli ragione. E non diamo tutta la colpa a Bergoglio e alla situazione attuale, per favore.
"Posso dire una cosa che mi esce dal cuore?
Io non sopporto più il mondo cattolico. Non voglio più essere associato a esso.
A questi piangina. Sanno solo frignare. Non hanno nulla di virile
Ha ragione Nietzsche: È la negazione di tutto ciò che è forza".
"Noi non siamo degni di quello che diciamo di venerare".
Alla mia richiesta di autorizzarmi a pubblicare queste sue parole mi ha esternato un'altra perplessità importante che condivido: quella cioè di evitare il profluvio di retorica da parte di chi "vive sui social per fare la sua crociata virtuale quotidiana".

Alessandro ha detto...

@ fabrizio giudici

in effetti le sue obiezioni sono fondate e condivise dai card. Bacci e Ottaviani che nel loro celeberrimo "Breve Esame critico" si chiedono con preoccupazione se

"I sacerdoti che in un prossimo avvenire, non
avranno ricevuto la formazione tradizionale e che si affideranno al Novus Ordo col fine di ‘fare ciò
che fa la Chiesa’, consacreranno validamente? È lecito dubitarne!"

Alessandro ha detto...

IRINA
il Battesimo non fa testo, anche lei o io possiamo essere validi ministri del Sacramento. Invece un prete divenuto satanista, nel contesto di una messa nera, non può più consacrare validamente perche' manca l'intenzione di fare cio' che fa la Chiesa, ossia di offrire l'Oblatio Munda a Dio! La messa di Montini è di fatto diversa da quella cattolica e molto simile a quella luterana. Orbene un sacerdote validamente ordinato, nel contesto di una "messa" luterana, non potrebbe consacrare validamente perchè mancherebbe l'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, l'unica vera Chiesa. I sofismi cui si riferiva don Francesco cadono, perche' l'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa è ovviamente inteso ciò che fa l'unica Chiesa quella cattolica! Quindi un sacerdote che volesse consacrare una panetteria intera non potrebbe farlo perchè mancherebbe, come detto sopra, l'intenzione di offrire l'Oblatio Munda così come la Chiesa prevede che debba essere offerta! Quanto al Battesimo, anche quello amministrato da un protestante è valido in quanto, in questo caso, l'intenzione, pur non essendo esplicitamente quella di fare ciò che fa la Chiesa, coincide perfettamente con essa: ossia quella di venire giustificati col Battesimo, figli adottivi di Dio e fino all'uso di ragione, quando consapevolmente il battezzato sceglierà di appartenere alla setta protestante, si separerà materialmente dall'Una Sacta!

irina ha detto...

@"...A questi piangina. Sanno solo frignare. Non hanno nulla di virile..."

Giustissimo. Non è solo il mondo cattolico. E' ovunque. Personalmente credo che dipenda dalla perdita di identità femminile e maschile. Da questa perdita ha preso corpo la figura dell'androgino. E' una battaglia aperta, tutti noi siamo chiamati a combattere.

@"...quella cioè di evitare il profluvio di retorica da parte di chi "vive sui social per fare la sua crociata virtuale quotidiana".

Grande rischio.La sera, un tempo, si leggeva, si scriveva, si riceveva, si ascoltava la radio, musica o teatro. Ora molte di queste attività insieme sono state sostituite dal computer. E' male cadere nella retorica,è bene essere nella crociata. Nel confronto serrato. Questi pensieri affinati quotidianamente, letti o non letti da tanti o da pochi, hanno poi una loro vita ed entrano a far parte dell'opinione. Quindi ridirli migliorandoli, dirne di nuovi, correggersi e correggerne altri è bene, a mio parere. E' un buon esercizio, è bene che lo spazio dei pensieri sia occupato da pensieri buoni tesi a migliorarsi.

Don Francesco ha detto...

Effettivamente l'argomento è immenso e non può essere trattato in alcuni commenti ad un post.

La tesi che ho riferito circa la vera nozione di "intenzione" è tratta da A. Piolanti, I Sacramenti, 1959, p. 236, il quale a sua volta cita san Roberto Bellarmino: "mi domanderai: quale è la conseguenza se qualcuno intende fare ciò che fa una Chiesa particolare e per di più nell'errore, che tuttavia egli ritenga per vera, come per esempio quella di Ginevra, senza tener conto della Chiesa romana? Rispondo che anche questa intenzione è sufficiente. Infatti colui che intende di fare ciò che fa la Chiesa di Ginevra, vuol fare solo ciò che è della Chiesa universale; anzi egli intanto desidera fare ciò che fa quella chiesa, in quanto la ritiene un membro della vera Chiesa universale, sebbene in pratica erri quanto alla conoscenza della vera Chiesa. Non è però tale errore del ministro che toglie l'efficacia al sacramento, bensì la mancanza di intenzione" (De sacramentis, I, c. 27).

Quanto al problema delle Ordinazioni episcopali, anche qui ho sempre notato molta imprecisione.
Si discute sempre circa la provenienza della nuova formula e la teologia trinitaria ivi espressa.

A parte il fatto che anche l'antica formula ha una certa vaghezza di espressione, che tale formula è stata per così dire "individuata col bisturi" solo da Pio XII e che la teologia trinitaria ivi espressa non può essere considerata eretica per la dottrina delle appropriazioni, si dimentica però un dato fondamentale. La consapevolezza circa la "sacramentalità dell'episcopato" è una dottrina moderna (inizia a svilupparsi all'epoca del concilio di trento e viene affermata per la prima volta dal concilio vaticano II). Tale consapevolezza, tuttavia, non era diffusa presso gli antichi, i quali consideravano l'episcopato una "consacrazione". Prima di parlare della "forma" dell'Ordinazione episcopale (nome moderno), occorrerebbe chiarire se veramente di ordine si tratta.
Pare strano che le più agguerrite critiche contro la validità della nuova consacrazione provengano da ambienti fieramente avversi ad ogni dottrina "in odore di innovazione", tra le quali può essere certamente collocata quella della sacramentalità dell'episcopato.

Luisa ha detto...

O quando la concelebrazine è preferibile alla celebrazione individuale, lo vuole e lo impone il vescovo di Roma:

http://blog.messainlatino.it/2017/06/francesco-impone-la-concelebrazione-nei.html

Anonimo ha detto...

Riguardo alle ultime cose dette da Don Francesco noto le seguenti. Quanto dice Piolanti/Bellarmino è vero, ma solo riguardo al Battesimo.
Quanto all'episcopato, ciò che dice Don Francesco è solo un'opinione tra le tante. Non deve interessare da quale ambiente provenga una sentenza, né chi l'ha detta, ma se è fondata. E' vero tuttavia che san Tommaso d'Aquino si esprimeva sull'episcopato in modo non ancora sufficientemente chiaro, rispetto alle precisazioni tridentine (per farla breve).Il rito di Ordinazione episcopale era già stato studiato e diligentemente riordinato appena nel 1947 da Pio XII, che individuava il nocciolo della formula consacratoria in un' espressione di assoluta e inequivocabile chiarezza. Non si capisce dunque la necessità per Paolo VI di sovvertire tutto il rituale, a meno di indurre al sospetto che egli avesse l'INTENZIONE di cambiare ciò che fa la Chiesa, cosa perversa, ma modernisticamente possibilissima. Temo che Don Francesco non abbia visionato il video da me sopra citato, né abbia letto le 2 fonti (inglese e tedesca) ivi citate. L'assenza si nota macroscopicamente.
TEOFILATTO

Anonimo ha detto...

P.S.
Nel rito bizantino di cui sopra lo "spirito principale" è chiaramente un dono dello Spirito Santo, come altrove analogamente lo spirito di fortezza è dato ai martiri e lo spirito di sapienza è dato ai dottori. Nella trasposizione della formula al nuovo rito romano, invece, lo "Spirito principale", indicato con la maiuscola, figura forzatamente, ma chiaramente come terza Persona della Santissima Trinità. Non credo che la dottrina delle appropriazioni possa reggere di fronte a così temeraria e indebita trasformazione.
TEOFILATTO

Anonimo ha detto...

L'Episcopato è o non è la pienezza del Sacerdozio ministeriale? E' ovvio che sia un Sacramento dal momento che rientra tra i poteri del SOLO Vescovo quello di ordinare altri sacerdoti: potere che non può essere delegato. Scusi don Francesco, se il sacerdozio presbiterale viene trasmesso mediante un Sacramento, quello dell'Ordine, la pienezza di tale Sacerdozio invece con cosa verrebbe trasmessa? Sa vero che la sola consacrazione episcopale trasmette, a chi non li avesse ancora ricevuti, tutti i gradi del Sacerdozio? E allora a che serve blaterare di "alcuni pensano altri credono etc"! Basta usare la testa altrimenti se è cosi irrilevante la Consacrazione episcopale, si potrebbe usare la formula "Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sim sala bim", e lo stesso neo Vescovo, grazie ad un sim sala bim, andrebbe a disporre del potere di Ordine col quale trasmettere il Sacerdozio Sacramentale. Quanti inutili sofismi per arrivare a negare che il nuovo rito sia nato ambiguo per evidente intenzione di coloro che lo hanno cnfezionato. Altrimenti perchè andare a prendere appositamente la formula consacratoria di un cerot Ippolito, verosimilmente scomunicato, poi riconciliatosi, della cui formula restano testimonianze incomplete e inaffidabili quando Pio XII 20 anni prima aveva personalmente e infallibilmente dotato la Chiesa di una formula valida e chiarmanete esprimente la Grazia che effettua sul candidato? Occorre farsele queste domande prima di fare spallucce di fronte ad un problema così dirimente per la vita della Chiesa!

Anonimo ha detto...

NON SONO D'ACCORDO CON ALCUNE STRAMBE TEORIE SU PAPA SIRI ma l'analisi proprosta è accurata e degna di nota:

http://www.exsurgatdeus.org/2016/04/06/la-ruspa-nella-chiesa/

Anonimo ha detto...

In efetti il problema non è da poco e le conseguenze di una semplice pretesa riforma di un Sacramento possono essere devastanti per la Chiesa stessa che, se solo fosse possibile, potrebbe vedersi privata della Succssione Apostolica. Per questo Papa Pacelli, con l'autorità di Vicario di Cristo, ha voluto dotare la Chiesa di un rito ineccepile! E' dunque inutile tirare in ballo San Tommaso o altri eminentissimi teologi, dal momento che, quando su una questione discutibile o controversa, interviene il Sommo Pontefice nell'esercizio della propria Suprema Autorità(certo l'intervento deve avvenire senza contraddizioni rispetto a quanto già è stato definito, anche l'immenso San Tommaso deve farsi da parte e a maggior ragioni ogni altro teologo o sedicente tale! Se dunque Papa Pacelli ha ritenuto opportuno intevenire in tal senso e il suo intervento non ha contraddetto alcunchè di definito, chi è don Francesco o chicchessia per riaprire la questione!

Anonimo ha detto...

@Anonimo11:51. Credo che lei abbia tutto il diritto di dubitare dell'intenzione e della forma nuova del sacramento dell'Ordine, tuttavia mi permetto di rilevare una inesattezza quando dice che un candidato potrebbe ricevere l'episcopato anche senza avere ricevuto gli ordini inferiori, poiché l'episcopato li conterrebbe tutti. In realtà non è così. Si cita il caso di sant'Ambrogio che, dopo il Battesimo e la Confermazione, in giorni successivi fu ordinato prima diacono, poi presbitero e, l'ultimo giorno, vescovo. Anche l'attuale codice proibisce di ordinare "per saltus", cioè saltando gli ordini precedenti, anche se, pare, san Girolamo ed altri furono ordinati presbiteri senza mai essere stati diaconi. Per l'episcopato, invece, è assolutamente necessario che l'ordinando sia prima consacrato presbitero, poiché (come dice san Tommaso) l'episcopato non è per l'Eucaristia (lo è il presbiterato_sacerdozio), ma per il governo dei presbiteri e degli altri fedeli. Se uno fosse ordinato vescovo senza prima essere stato sacerdote, quell'ordinazione sarebbe nulla, non essendoci "materia apta". Così dicono tutti i manuali.
TEOFILATTO

Anonimo ha detto...

@teofilatto
accetto la correzione, pensavo fosse illecita come procedura non sapevo che fosse addirittura invalida! Grazie del chiarimento. Ciononostante quel che importa è che il Papa(PioXII) ha stabilito infallibilmente una formula consacratoria essenziale per la validità della consacrazione, e con ciò ogni disputa riguardo la necessità o meno di una formula precisa cade nel nulla perchè appunto il Papa stesso in forza della propria autorità ha decretato quanto contenuto nella Cost. Apostolica Sacramentum Ordinis. Lìoggetto di discussione non è dunque più disponibile. Resta da capire quale necessità ci fosse dopo soli 20 anni di cambiare suddetta formula consacratoria in favore oltretutto di un'altra di origine ambigua e, a detta di molti, praticamente inventata dal liturgista dom Botte che avrebbe mentito a Montini facendogli credere che fosse in uso nei riti siro copti. C'è evidentemente qualcosa che non quadra in tutta questa triste storia. E' impossibile non evincere da ciò l'intenzione di cambiare ciò che la Chiesa ha sempre fatto nel corso della sua storia! Senza contare che i frutti odierni non fanno altro che confermare abbondantemente questi dubbi!

Don Francesco ha detto...

Mi spiace che alcuni si irritino così tanto a proposito dei rilievi ce ho fatto; tuttavia i fatti sono testardi.

1) Il luogo da me citato di san Roberto Bellarmino, citato a sua volta da Piolanti, non si riferisce all'intenzione del Battesimo, ma all'intenzione sacramentale in generale; questo è un dato ineccepibile, poiché tale trattazione si trova nella parte generale dei sacramenti delle rispettive opere (de sacramentis in genere). Il caso del battesimo è una esemplificazione estensibile a tutti i sacramenti.

2) Circa la materia e la forma del sacramento dell'ordine non si può assolutizzare alcunché. Innanzi tutto nei diversi riti cattolici le parole di consacrazione differiscono molto tra loro. Per lunghissimo tempo la Chiesa latina ha creduto essere materia e forma dell'Ordine la sola "traditio instrumentorum" (cfr. Concilio di Firenze-Ferrara, decretum pro iacobitis); Pio XII ha riordinato il rito delle ordinazioni mettendo in evidenza l'imposizione delle mani (avvicinandosi con ciò alla visione orientale) e quelle espressioni del Prefazio consacratorio che più manifestavano il senso della consacrazione, isolandole anche graficamente dal contesto e impedendone il canto. Nessuno, tuttavia, si è mai sognato di accusare papa Pacelli di aver mutato la sostanza del sacramento.

3) La sacramentalità dell'episcopato non è dottrina dogmaticamente definita. Se L'episcopato non è un sacramento, è un sacramentale e tutta la questione della forma corretta cade. Se è un sacramento, può certamente essere considerato inopportuno, ma non certo invalidante il cambio della forma, purché il senso permanga il medesimo.

4) La nuova forma nella versione italiana è la seguente:

EFFONDI ORA SOPRA QUESTO ELETTO
LA POTENZA CHE VIENE DA TE, O PADRE,
IL TUO SPIRITO CHE REGGE E GUIDA:
TU LO HAI DATO AL TUO DILETTO FIGLIO GESÙ CRISTO ED EGLI LO HA TRASMESSO AI SANTI APOSTOLI,
CHE NELLE DIVERSE PARTI DELLA TERRA
HANNO FONDATO LA CHIESA COME TUO SANTUARIO, A GLORIA E LODE PERENNE DEL TUO NOME.

A mio avviso non contiene eresie trinitarie.
Lo Spirito Santo è detto "potenza che viene dal Padre": si tratta di un'appropriazione: benché la potenza si predichi di ciascuna persona della santissima Trinità essa può essere giustamente "appropriata" ovvero detta in modo speciale dello Spirito Santo.
Lo SS è detto "dato" dal Padre al Figlio: ciò è vero sia a livello di processione intratrinitaria, sia a livello di missione.
Lo SS è detto "trasmesso" dal Figlio agli apostoli: si tratta anche qui della missione dello Spirito Santo che procede eternamente dal Padre e dal Figlio, ed è inviato nel tempo agli Apostoli.

Ciò detto, si può certamente contestare la "necessità" di cambiare il rito con una riforma tanto invasiva come quella di Paolo VI.

Anonimo ha detto...

don Francesco:

va bene essere buoni e pensare bene di tutti ma non ingenui. Occorre valutare tutto il contesto in cui è avvenuta una riforma liturgica. Nel nostro caso sono molte più le ombre che le luci. Detto questo è evidente che la formula contenga delle eresie trinitarie che solo arrampicandosi sugli specchi si posso eludere. Oltretutto stiamo una riforma effettuata mediante constituzione apostolica da Pio XII 20 anni prima. oltre al non manifesta necessità di cambiarla c'è da chiedersi se sia stato lecito farlo nelle modalità in cui è stato fatto. La traditio apostolica cui si riferisce Montini è un documento inattendibile, così come è inattendibile questo Ippolito e ad ammetterlo, obtorto collo, è addirittura l'autore stesso della riforma che fece storcere il naso a non pochi vescovi allora, i quali la accettarono perchè SOLO proveniente dal Pontefice il quale è infallibile nel disporre l'adozione di riti validi da adottarsi in tutta la Chiesa. Capisco che un sacerdote come lei debba difendersi da questi tremendi dubbi che potrebbero mettere in discussione la validità dei suoi ordini, ma nascondersi dietro ad un dito dicendo che va tutto bene sempre e comunque non penso sia soluzione perchè ad agire mediante i Ministri è Nostro Signore e lei può convincersi di ciò che vuole ma se Lui non agisce in quanto non soffisfatte le condizione per le quali si è obbligato con la Sua Chiesa non sarà certo lei con le sue arrampicate sugli specchi a cambiare le cose. In materia di Sacramenti occorre certezza non opinioni e secondo me, abbia pazienza ma questi nodi primo o poi dovranno essere risolti. Eviti di essere più testardo dei fatti, quelli vero però: Ossia che è stata stravolta, senza alcun motivo valido, una disposizione pontificia in materia sacramentaria e i frutti di tutto questo sono inequivocabili e se frequenta questo blog non possono non esserle chiari!

Anonimo ha detto...

Inoltre a leggere bene la formula consacratoria odierna a me sorge il dubbio che sia uno slancio poetico che non dice praticamente nulla di quello che dovrebbe. Senza contare la reale difficoltà nel riconoscere lo Spirito Santo nella dicitura "Spiritum principalem".

Anonimo ha detto...

Ringrazio Don Francesco dei suoi chiarimenti, che non mi trovano irritato, bensì preoccupato della sicumera con cui don Nitoglia intende liquidare i dubbi sulla validità dei nuovi riti sacramentali. In questo ha perfettamente ragione l'Anonimo delle 16:22. Voglio da parte mia precisare che quanto ho detto scaturisce da ricordi di letture fatte in passato, per cui non dispongo all'istante dei testi originali per fare verifiche e rilievi. Così mi permetto nuovamente di dissentire da don Francesco sul punto 1)Bellarmino/Piolanti. La ragione è pratica: impossibile che la chiesa di Ginevra potesse celebrare validamente sacramenti come la Cresima, l'Ordine, l'estrema Unzione e altri, quando Calvino non li considerava affatto sacramenti. Perciò l'assunto generale sui sacramenti si applica sicuramente al Battesimo, ma non automaticamente è estensibile a tutti i sacramenti e in ogni caso. Sul punto 2)rilevo: è vero che le formule sono molto diverse da rito a rito, ma la tradizione costante della Chiesa è che per principio la formula deve essere chiara e univoca, cosa che non avviene col rito di Paolo VI, altrimenti perché continueremmo ancora a discutere? 3) Una dottrina della Chiesa perché sia certa non abbisogna necessariamente che sia definita da un dogma. Storicamente il dogma viene proclamato prevalentemente quando una verità viene messa in discussione. Così è verità di fede, anche se non dogmatica, la verginità di Gesù Cristo, oltreché di Maria, l'esistenza degli angeli, ecc. Quindi non andiamo a mettere in dubbio la sacramentalità dell'episcopato, altrimenti crolla tutto. Qui non si può temerariamente scherzare: si può fare a meno di un sacramentale (benedizione, incensazione,scapolare, medaglia, campana, panino di sant'Antonio, ecc.) ed essere ugualmente cattolici, ma non si può essere nella Chiesa cattolica senza la successione episcopale. 4) Non ho sotto gli occhi la formula latina del nuovo rito in cui suona l'espressione "Spirito principale", per cui non è possibile discutere con sicurezza sul testo italiano fornito da don Francesco, quand'anche fosse la traduzione ufficiale della CEI. Ricordo però che nel testo latino si parlava anche di "rore = rugiada", che qui non vedo, per cui ho seri motivi per ritenere che la nuova formula adottata, benché letteralmente in italiano possa essere non eretica, tradisca invece un adattamento terribilmente forzoso, a causa del cambio di destinazione (da consegna della giurisdizione ad atto di consacrazione) proprio per non essere formalmente eretica. Di più. La faccenda diventa enormemente intrigante se si considera l'assenza di necessità e di opportunità di una simile riforma. A che pro, giustamente in molti si chiedono, questo cambiamento? Qui sorge un terribile sospetto, che s'incrocia con la nuova interpretazione conciliare dell'episcopato. Nonostante la Nota Praevia della Lumen Gentium, rimangono tutti i dubbi sulla giurisdizione dei vescovi che, secondo le nuove teorie, non verrebbe attribuita dal Primato di giurisdizione del Sommo Pontefice, ma sarebbe automaticamente ricevuta nell'atto di consacrazione. Ecco quanto potrebbe nascondere l'astuta formula con lo "spirito principale": un autentico cambiamento dottrinale nascosto tra le pieghe di un nuovo Pontificale Romano. E non ci sarebbe da preoccuparsi?
TEOFILATTO

Anonimo ha detto...

Io ovviamente non ho nessuna possibilità, né quindi intenzione, di prendere parte al dibattito, ma voglio ringraziare Don Francesco e gli altri per queste spiegazioni. Un po' di materiale da studiare...

Don Francesco ha detto...

Intervengo un'intima volta, promesso!

1) io non intendo difendere la validità dei miei ordini... bensì l'indefettibilità della Chiesa! Se la nuova consacrazione dei vescovi è invalida, la chiesa è finita, molto semplicemente. Il papa, non essendo vescovo, non sarebbe neppure papa (né formaliter né materialiter); conseguentemente sarebbero invalide le nomine cardinalizie e non vi sarebbe più modo di creare un collegio validamente deputato ad eleggere un nuovo papa, secondo le vigenti norme canoniche. La successione apostolica, estinta nella sua dimensione materiale (che presuppone la validità degli ordini), sarebbe ormai irrimediabilmente estinta anche nel suo aspetto formale (l'autorità). E non citatemi la tesi di Cassiciacum che, come noto a chi la conosce bene nella sua originaria formulazione, non può reggere senza una successione apostolica almeno materiale.

2) Circa l' "afflato poetico" della nuova formula è facile affermare che l'antica è ancor più poetica con quel "rore sanctifica": forse che Dio santifica l'uomo attraverso la rugiada? o non piuttosto attraverso la grazia? é chiaro che anche l'antica formula è poetica.
Circa le "esplicite eresie trinitarie" della nuova formula, gradirei mi si facesse qualche esempio, tenendo conto però delle delucidazioni che ho dato (che, garantisco, non sono "arrampicanti sullo specchio", ma principi elementari di ermeneutica teologica). Se i principi basilari di processione, missione, appropriazione vengono considerati un sofisma... sarà meglio evitare di leggere le questioni relative alla Santissima Trinità dell' immenso (come qualcuno qui sopra lo ha definito) san Tommaso... vi trovereste di fronte a qualcosa che non potreste non considerare che un "immenso guazzabuglio" di sofismi e sofisticherie!
A chi si scandalizza per tale formula, consiglio la lettura dei testi dei padri apostolici e apologeti... lì sì che, se si "decontesualizza" l'opera, c'è veramente da sussultare.

3) Circa la questione Piolanti/Bellarmino è inutile che io replichi; è sufficiente verificare i testi dei quali ho dato estremi precisi... se poi si vuole continuare a parlare in base a "ricordi di letture passate", fate pure.

4) sulla sacramentalità dell'episcopato dissento nettamente. La negazione di tale sacramentalità non pregiudica proprio nulla ed è stata la dottrina comune della chiesa almeno per millecinquecento anni.
Il signor Teofilatto compie un'operazione curiosa quando difende a spada tratta la sacramentalità dell'episcopato e poi rifiuta decisamente la collazione della giurisdizione in virtù della stessa ordinazione. E' vero che le due dottrine in sé e per sé non sono correlate, ma è pur vero che tradizionalmente sono procedute insieme: chi voleva la sacramentalità dell'episcopato era pronto a difendere anche una certa collazione di giurisdizione, quanto meno in termini "dispositivi". E' per questo che Guerard des Lauriers, a differenza di mons. Lefebvre, era tenace avversario della sacramentalità dell'episcopato.

Anonimo ha detto...

Sono contento in definitiva che don Francesco abbia fatto saltare il coperchio. Restavo stupito che la tesi di don Nitoglia passasse indenne da critiche fondate e mi domandavo a che gioco stesse giocando questo tradizionalismo che, invece di suonare energicamente la sveglia per i troppi addormentati da troppo tempo, ci rasserenava dicendo che, tutto sommato, a parte le brutture e i cattivelli, la Chiesa andava avanti a meraviglia nella sua integrità. Non è proprio così. Questa serie di commenti dimostra se non altro che il problema della revisione dei sacramenti è gravissimo e non basta un articoletto seguito da qualche lacerto di studi teologici per esaurire un argomento che andrebbe affrontato con ponderose ricerche in sede accademica. Tuttavia non posso non rispondere ad alcune frasi di don Francesco, non per il gusto di ripicca, ma per segnalare che lo studio della questione non deve finire qui e per lanciare un appello agli specialisti della materia (se c'è n'è ancora qualcuno che abbia il coraggio di esporsi e di faticare).
1) L'indefettibilità della Chiesa non sarà mai compromessa fino a quando sulla faccia della terra esisterà almeno un vescovo validamente ordinato. Constatiamo che ce ne sono ancora tanti sia di rito latino nella galassia tradizionalista come nei riti orientali sia cattolici uniati, che non cattolici (addirittura a centinaia). Questo deve bastare per la successione apostolica senza gridare alla tragedia. La giurisdizione, invece, è un'altra cosa e non dipende né dall'ordinazione, né dal conclave. Anch'io dissento dalla tesi di Cassiciacum: per la dottrina cattolica la somma autorità della Chiesa, che risiede nel papato, non deriva dai cardinali elettori, ma direttamente da nostro Signore al momento dell'accettazione del candidato. La modalità vigente di scelta del papa attraverso il conclave ha "soltanto" un migliaio di anni ed è di diritto ecclesiastico, non divino, e necessita dunque dell'esistenza di validi e ortodossi cardinali. Molti come don Francesco, poiché temono che l'invalidità dell'episcopato renda invalida tutta la gerarchia impedendo l'elezione cardinalizia del papa, non vogliono neppure discutere l'argomento. Qui sta l'errore: ci si fascia la testa prima e senza di averla rotta. Spiego meglio. Il codice di diritto canonico e le costituzioni apostoliche riguardanti il conclave, non possono contenere e prevedere tutti i casi possibili e immaginabili. Anticamente san Basilio diceva all'incirca che in tempi normali la Chiesa seguiva le sue leggi, ma in tempi eccezionali di crisi (l'arianesimo) si praticava l'analogia e il buo senso. Ora siamo in piena crisi e la tesi dell'invalidità non deve essere respinta solo per paura delle conseguenze. Se fosse estinto il cardinalato e inapplicabili gli attuali regolamenti canonici, è normale che la vera Chiesa (i veri cattolici superstiti: ci penserà il tempo e il Signore ad indicare quali; non tocca a noi farlo!) ritorni a scegliere il Papa coi criteri in uso nell'antichità. Non confondiamo la successione petrina con la successione apostolica. La giurisdizione viene non dagli uomini, ma direttamente da Dio e questo non sarà mai precluso anche in futuro finché esisteranno vescovi cattolici (ovviamente privi di giurisdizione: come alla morte di san Pietro). Aggiungo però, rammentando la visione di Leone XIII il 13 ottobre 1884, che Lucifero sfidò Nostro Signore promettendo di distruggere la Chiesa in un centinaio d'anni, cosa che effettivamente si sforza di fare distruggendo la fede e i sacramenti, come è sotto i nostri occhi. Non meravigliamoci dunque che la tendenza perseguita con queste ordinazioni invalide possa essere tale, ma confidiamo piuttosto nella promessa di Cristo per cui le porte degli inferi alla fine non prevarranno. (SEGUE)
TEOFILATTO

Anonimo ha detto...

SEGUITO. 2)Effettivamente il dibattito trinitario non è una barzelletta e l'ipotesi della formula eretica andrebbe studiato da veri specialisti, ma non cambiamo le carte in tavola. Qui non si tratta di testi più o meno poetici, ma di testi che necessitano di avere un significato chiaro, esaustivo e inequivocabile. Il testo di Pio XII parlava esplicitamente di ricevere lo Spirito Santo per avere la "somma/pienezza dell'episcopato": più chiaro di così non si può. Il testo di Paolo VI farfuglia di uno "Spirito principale", già invocato dal re Davide nel Salmo 50 e che fa l'occhiolino alla teoria modernista della collegiatà episcopale di governo della Chiesa.
3)Concordo col principio generale, ma l'applicazione pratica si restringe ai casi possibili.
4)Se si ammette che il carattere sacramentale dell'episcopato è dottrina diversa dalla giurisdizione presunta (assolutamente non cattolica, ma scismatica)in virtù dell'ordinazione, non deve interessare la storia personale di chi l'ha detto in un modo o in un altro o quando l'ha datto. Non c'entra niente.
Ad meliora!
TEOFILATTO