Il pressappochismo imperante e la prassi ateoretica che manifestamente caratterizzano la Chiesa postconciliare inducono a far tesoro di puntualizzazioni come quelle che seguono, tratte dal Sito di Don Curzio Nitoglia.
L’individualismo antipolitico è un’ideologia innaturale
Natura e politica[1]
Siccome per natura l’uomo è animale razionale e libero (fatto per conoscere il vero ed amare il bene) e socievole (fatto per vivere in Società civile o politica), neppure Dio potrebbe concedere allo Stato e all’individuo, che sono entrambi una sua creatura naturale, il potere di contraddire la loro ragion d’essere o finalità (conoscere il vero, amare il bene, vivere in Società politica-naturale e religiosa-soprannaturale, essendo stato l’uomo elevato all’ordine soprannaturale da Dio) e dar loro il diritto di essere indifferenti o neutrali in materia di retta ragione individuale, sociale e religiosa. La libertà filosofica o religiosa è contro-natura, la tolleranza filosofica o religiosa è sempre un male che si può permettere de facto per evitare un male maggiore, mai volere per principio. Lo insegna la sana ragione, la vera teologia, la Tradizione apostolica e il Magistero della Chiesa[2]. L’ignoranza invincibile scusa l’individuo dal peccato formale, ma non gli dà il diritto di fare pubblicamente il male e propagare in foro esterno e pubblicamente l’errore, poiché oggettivamente egli si trova nell’errore e nel male, i quali non hanno nessun diritto all'esistenza, alla propaganda e all’azione pubblica[3].
Una delle finalità della Chiesa oltre la conversione delle singole anime è la dilatazione del Regno di Dio su tutta la terra.Questo Regno è “principalmente spirituale, ma secondariamente anche di ordine politico o temporale” (Pio XI, Quas primas, 1925). Quindi la libertà religiosa è contro la finalità della Chiesa come Cristo l’ha voluta, non solo è contro-natura, ma anche contro la Rivelazione. L’apostasia delle Nazioni da Dio, che era stata propugnata dai laicisti e dagli anti-cristiani, purtroppo oggi ha invaso le menti anche degli uomini di Chiesa (v. Dignitatis humanae personae, 7 dicembre 1965). L’ideale o la meta apostolica alla quale tutti (laici e chierici) siamo chiamati è la instaurazione del regno di Dio già sulla terra, pur se imperfettamente, per ottenerlo perfettamente in Paradiso. Quindi prima dobbiamo convertirci veramente e vivere abitualmente in Grazia di Dio e poi potremo portare Cristo nella famiglia, nell’ambiente di lavoro e nella Società civile. Questo è l’ordine da seguire per “instaurare omnia in Christo” (S. Pio X). “Nemo dat quod non habet”: se non si è cristiani interiormente e veramente non si può restaurare la Cristianità. “Politique d’abord” (Charles Maurras) significa iniziare a costruire una casa dal tetto e non dalle fondamenta perché, se si conquista il potere del Governo e si fanno leggi cristiane, ma il Governante non è cristiano e neppure i cittadini, la “restaurazione” è solo esteriore e superficiale e quindi dura come un fuoco di paglia. La Polis è un insieme di famiglie e di uomini: prima viene l’individuo che unito ad altri forma una famiglia, la quale assieme ad altre famiglie forma un villaggio e più villaggi uno Stato. La Civitas o Polis sarà cristiana e ordinata nella misura in cui coloro che ne fanno parte sono ordinati e cristiani. Solo poi lo Stato ha il dovere di mantenere l’ordine e proteggere la vita virtuosa. Ma non si può cominciare con la fine, sarebbe una contradictio in terminis o un “contro-senso”, “il principio = il principio; la fine = la fine; il principio ≠ la fine”. Aristotele (Politica) e San Tommaso (De regimine principum) insegnano che “la politica è la virtù di prudenza applicata alla Società”, mentre la ‘prudenza individuale’ si chiama “monastica” e quella ‘familiare’ si dice “economia”. Leone XIII insegna che i primi e veri cristiani “fecero in pochissimo tempo penetrare il Cristianesimo non solo nelle loro famiglie, ma nell’esercito, nel senato e perfino nel palazzo dell’Imperatore”[4]. Non si è cominciato dal Palazzo imperiale, ma dal singolo cristiano per giungere al Palazzo.
La modernità (N. Machiavelli[5] † 1527, T. Hobbes[6] † 1679, J. Locke[7] † 1704) ribalta la dottrina sulla natura socievole dell’uomo e lo presenta come un individuo “a”/ o addirittura “anti-politico”, “a”/ o “anti-sociale”. Quindi l’ordine sociale e politico non è più un dato naturale, ma un qualcosa di artificiale e soggetto a manipolazioni umane.
La concezione aristotelica ha influito su pensatori come S. Tommaso d’Aquino e sulla ‘Seconda Scolastica’ soprattutto spagnola del Cinque-Seicento (Francisco de Vitoria, Juan Mariana, Roberto Bellarmino, Francisco Suarez e Gabriele Vasquez). Si può affermare, senza timore di esagerare, che la filosofia politica aristotelica contiene una concezione completa dell’uomo e della Società civile, la quale prolunga sino alla Rivoluzione francese o alla modernità la sua influenza, tanto da poter essere considerata la “filosofia politica comune e ufficiale dell’Europa pre-rivoluzionaria”[8]. Infatti secondo Aristotele l’ordine politico o di relazioni sociali (lo Stato), cui gli uomini e le famiglie danno origine, parte dall’unione iniziale tra maschio e femmina “in vista della riproduzione e della conservazione della specie umana”; da qui nasce la famiglia, che è una Società imperfetta, la quale si cura dei “bisogni quotidiani”, e che unendosi ad altre famiglie forma un “villaggio, il quale ha di mira i bisogni non-quotidiani”[9] e giunge a formare una Comunità o Società civile, che è una Società perfetta, la quale consente pienamente di “vivere in modo felice e buono, ossia secondo virtù”[10]. Questa è la finalità interna per natura all’uomo, che tende così naturalmente alla formazione della famiglia e della polis o Stato per poter vivere virtuosamente[11]. Solo nella Società civile o politica e non da solo o isolatamente l’uomo perviene alla realizzazione piena e perfetta delle sue potenzialità. Onde l’uomo è “animale socievole per natura”[12] e lo Stato è Società civile perfetta, mentre la famiglia è ancora imperfetta e deve unirsi ad altre famiglie per formare un ‘villaggio’ e assieme ad altri villaggi uno Stato. Il fine dello Stato è il “vivere virtuosamente bene”[13]. Onde “il buon governo è quello in cui si bada al vivere virtuosamente o bene, mentre il cattivo governo è quello in cui si vive malamente o viziosamente”[14].
Secondo Machiavelli, invece, la politica è una tecnica per conquistare e mantenere il potere (nel senso deteriore del termine) e non è più come per l’“aris/tomismo” la virtù di prudenza applicata alla vita sociale o civile[15]. La politica con Machiavelli cessa di essere una virtù e diventa un “vizio”, ossia la ricerca o la brama di successo, di potenza, di ‘potere’ nel senso deteriore del termine mediante la “simulazione e dissimulazione”[16]. Secondo la modernità, “natura” dice “conflitto” e “non-socievolezza” o “non vita in società comune”. Politica, invece, dice “ordine individuale e comune”. Quindi l’uomo, secondo la filosofia pratica o morale sociale della modernità, non è per natura socievole o politico, ma naturalmente ‘a-sociale’ o ‘anti-sociale’ e conflittuale, rivale, nemico o bellicoso e solo per un patto aliena la sua individualità e libertà, che lo rende assolutamente indipendente, conferendola ad un’Autorità, affinché lo aiuti a vivere fisicamente al riparo dall’aggressività altrui.
Da questo principio machiavellico derivano due scuole di pensiero. La Prima Scuola, insistendo per eccesso o radicalmente sul carattere individualistico, bellicoso e ‘a-sociale’ dell’uomo, postula uno ‘Stato assoluto’ o Leviatano (T. Hobbes † 1679) oppure uno ‘Stato etico’ (W. F. Hegel † 1831[17]), il quale è necessario per far vivere gli uomini assieme, eliminando con la forza ogni conflittualità insita nella natura di ciascuno (“homo homini lupus”, Hobbes). Questa Scuola di pensiero concede poco spazio all’individuo e tutto o moltissimo allo Stato (Statolatria), ma sempre antropocentricamente per assicurare l’assoluta indipendenza dell’Individuo soprattutto da Dio e dalla Legge naturale-divina oggettiva ed immutabile.
La Seconda Scuola insiste per difetto (tendendo a ridimensionare la distruttività della conflittualità umana) sull’individualismo liberale e fa dello Stato una mini-entità solamente utile (utilitarismo) e non naturale né necessaria (come era lo ‘Stato assoluto’ di Hobbes o lo ‘Stato etico’ di Hegel) al vivere in comune (Locke † 1704). Essa concede il massimo spazio all’individuo e il minimo allo Stato, sempre antropocentricamente per la dignità assoluta dell’Individuo, che viene fatto coincidere con la Divinità.
Come si vede ciò che accomuna l’iper-statismo (di Hobbes e Hegel) e il mini-statismo (di Locke † 1704, Mises † 1973, Hayek † 1992, Notzick † 2002 e Friedman † 2006) è la filosofia antropocentrica, secondo cui “la natura umana è indipendente da qualsiasi relazione”[18] con Dio o gli altri uomini. Da questo errore teoretico sulla natura dell’uomo come Individuo assoluto (da “ab-solutus”, sciolto da) e bastante a se stesso segue l’errore pratico sulla filosofia politica, che presenta l’uomo non naturalmente in relazione con gli altri o non-socievole. Quindi l’individuo è perfetto in sé indipendentemente dalla famiglia e dalla Società civile, la quale è necessaria (Hobbes-Hegel) oppure solo utile (Locke) per mantenere il ‘semplice vivere’ fisico-materiale o l’ordine pubblico e non per completare la natura umana al fine di ‘vivere virtuosamente’[19] ed ottenere il benessere comune temporale intellettuale-morale subordinatamente a quello spirituale. L’uomo allora diventa un Ego-ista pratico (e non è più un animal naturaliter socialis), al quale è necessario (Hobbes-Hegel) o conveniente (Locke † 1704; von Mises † 1973; von Hayek † 1992; R. Notzick † 2002; M. Friedman † 2006) organizzare uno Stato per raggiungere la sicurezza in ordine al ‘semplice vivere’ e sopravvivere fisicamente e materialmente. Per la modernità (sia pan-statista sia individualista) l’uomo è realmente tale se è “sciolto” (“ab-solutus”) dalla volontà altrui, anche da quella di Dio, e solo il proprio interesse, comodo o necessità di sicurezza per la sopravvivenza o il semplice ‘vivere fisico’ lo spinge a legarsi ad altri in uno Stato. L’uomo è il padrone di se stesso e concede allo Stato (tramite un “patto” e non per natura) un potere su di sé solo per assicurarsi la libertà dalla violenza altrui, che gli permetta di sopravvivere. La Società civile è un’invenzione o artefatto dell’uomo (e non un dato di natura) per la tutela della propria libertà e proprietà personale e per il mantenimento di relazioni disciplinate con gli altri[20]. Quindi non bisogna equivocare e pensare che il ‘pan-statismo’ di Hobbes e lo ‘Stato etico’ di Hegel siano una negazione dell’antropocentrismo, dell’Individuo assoluto e dell’individualismo. No! Essi sono soltanto una creazione dell’Individuo, per mantenere la sicurezza del suo vivere o sopravvivere, della sua proprietà privata e per essere tutelato dagli altri. Soltanto l’hegelismo di sinistra o collettivismo materialista marxista ha negato la proprietà privata dell’individuo, ma sempre pensando di renderlo libero dall’Altro, cioè da Dio e ogni Autorità che partecipa finitamente e creaturalmente quella divina. Il principio e fondamento teoretico della politica o prassi moderna è l’Antropocentrismo Integrale che è Ateismo Radicale, in maniera esplicita in Marx ed implicita in Machiavelli (ateismo camuffato da “pragmatismo” machiavellico), Hobbes (ateismo mascherato da “agnosticismo-utilitaristico”) ed Hegel (ateismo mascherato da “panteismo-spiritualistico”).
Il Fine Dello Stato – per la modernità – non è la ‘vita virtuosa’ come per Aristotele[21] e San Tommaso, ma il vivere sic et simpliciter, ossia fisicamente e materialmente. La Società civile è la creazione dell’uomo per mezzo della quale egli realizza un “ordine” artificiale (‘massimo’ per Hobbes ed Hegel e ‘minimo’ per Locke) in cui l’Individuo possa essere difeso dal disordine naturale o dall’aggressività bellicosa intrinseca all’uomo. Insomma la Società è un male in quanto limita la libertà assoluta dell’Individuo, ma è un male assolutamente necessario (Hobbes-Hegel) oppure solamente conveniente (Locke), poiché senza di essa non sarebbe possibile organizzare una convivenza pubblica e civile. La modernità ha decretato il divorzio teoretico tra natura e grazia, tra ragione e fede e il divorzio pratico tra natura e politica. L’avversione per la politica o il concepirla come “innaturale” è il segno distintivo della modernità e dell’antropocentrismo individualistico. Invece la Filosofia Classica e la Teologia Scolastica concepiscono l’uomo come naturalmente socievole o politico. Quindi esse non avversano la politica, che è una virtù. [Del resto la "socievolezza" non è altro che l'impronta della comunicazione intra-Trinitaria, inscritta nella persona - ndR]
Autorità e Società
Per Aristotele e San Tommaso non sussiste Società politica o religiosa senza un’Autorità. La Società è formata dalle quattro cause: materiale (le famiglie), efficiente (Dio autore della natura), finale (bene comune temporale subordinato a quello spirituale), formale (la volontà insita nella natura umana di unirsi per vivere assieme). L’Autorità è una proprietà o accidente necessario della Società, come la “risibilità” o capacità di ridere è una proprietà necessaria dell’uomo. Quindi come l’uomo, pur se non ride sempre in atto, non può mancare della capacità di ridere, così nella Società deve esserci un’Autorità, la quale, pur se non agisce sempre in atto, ha sempre in atto o formalmente la capacità di dirigere e governare le famiglie, che si sono unite nella Società.
SAN TOMMASO D’AQUINO scrive: “se […] è naturale per l’uomo vivere in società, è necessario che ci sia un’Autorità [in atto o formalmente] che governi gli uomini. […] Qualora non vi fosse [in atto o formaliter] qualcuno che si occupasse del bene comune, il popolo [o i fedeli] si frantumerebbe nei suoi componenti. […]. Quindi è necessario che oltre ciò che spinge al bene di ciascuno, vi sia [in atto o formalmente] qualcosa che si occupi del bene comune”[22].
Il Marxismo[23] o l’Anarchismo socialista[24] affermano che l’Autorità è sempre negativa e portatrice di sfruttamento. Il Liberalismo Moderato (Locke) e l’Anarchismo Liberale Radicale o mini-archismo (F. A. von Hayek † 1992[25], L. von Mises † 1973[26], R. Notzick † 2002[27], Milton Friedman † 2006) asseriscono che l’Autorità è un male in quanto limita la libertà dell’Individuo, ma è un male assolutamente necessario, poiché senza di essa non sarebbe possibile organizzare una convivenza pubblica e civile.
“In principio non erat Auctoritas nisi a Deo”. Poi, secondo la concezione politica moderna, è il popolo che dà l’Autorità a chi è eletto come suo rappresentante. Quindi l’Autorità non viene più da Dio, il quale o è negato esplicitamente (ateismo marxista) oppure implicitamente (agnosticismo liberal-democratista). Il soggetto dell’Autorità è il popolo, che trasmette all’eletto solo l’esercizio dell’Autorità della quale il popolo mantiene il possesso o proprietà, come un proprietario che affitta una casa di cui mantiene il possesso o la proprietà e concede all’affittuario solo l’uso o l’esercizio. Secondo la modernità (sia liberale che comunista[28]) la democrazia moderna o democratismo (essenzialmente diversi dalla “democrazia” classica o “politia”) è l’unica e migliore forma di governo, mentre la monarchia e l’aristocrazia sono cattive in sé.
La Democrazia classica invece ritiene che la Società è opera di ragione e volontà naturale e non di istinti sub-razionali (utilità o necessità cieca). I governanti ricevono l’Autorità da Dio, anche se sono stati scelti dal “popolo” (che non è mai la “massa”, ma la “sanior pars Societatis”). Il fine dell’Autorità è quello di dirigere la Società civile e i suoi membri (famiglie e cittadini) verso il benessere comune temporale subordinato a quello spirituale (“vivere virtuosamente”). Invece per il liberalismo l’Autorità e la Società hanno una finalità minima: garantire la pace tra gli uomini (che in sé sono bellicosi), la sicurezza, l’ordine, la proprietà privata, la libertà e la ‘vita non-virtuosa ma puramente fisica’. Attenzione! anche lo Statalismo esagerato hegeliano (di destra e di sinistra) concede allo Stato molto potere, ma sempre per favorire e garantire la massima libertà dell’Individuo, che è il creatore, il centro e il fine dello Stato (antropocentrismo radicale). Questo è il “peccato originale” della modernità, dal quale derivano due correnti o rami principali: il democratismo liberale (Locke †1704: Hayek †1992, Mises †1973, Milton Friedman † 2006, R. Notzick † 2002) e lo pan-Statalismo hegeliano (Hobbes-Hegel: Marx e Gentile).
Prossimamente vedremo la Dottrina Politica di Aristotele, S. Tommaso e della ‘Seconda e Terza Scolastica’[29] riprese e rilanciate da Pio XII, il quale ha tentato di raddrizzare la via storta che stava prendendo l’umanità dopo la modernità (verso la fine della seconda guerra mondiale) e alle soglie della post-modernità o nichilismo filosofico (iniziato nel dopo-guerra ed esploso religiosamente nel 1962-65 e socialmente e culturalmente nel Sessantotto). Papa Pacelli ha cercato di far riprendere all’uomo la strada tracciata dai princìpi immutabili della filosofia aristotelico/tomistica e del Magistero tradizionale della Chiesa, ma purtroppo l’uomo contemporaneo ha preferito la filosofia del “nulla” e la teologia della “morte di Dio” alla filosofia dell’essere e alla voce del Pastore.
d. Curzio Nitoglia
_____________________________[1])Come manuale di base cfr. Raimondo Spiazzi, Enciclopedia del pensiero sociale cristiano, Bologna, ESD, 1992.
[2])Cfr. S. Gregorio Nazianzeno († 390), Hom. XVII; S. Giovanni Crisostomo († 407),Hom. XV super IIam Cor.; S. Ambrogio († 397), Sermo conta Auxentium; S. Agostino († 430), De civitate Dei (V, IX, t. XLI, col. 151 ss.); S. Gelasio I († 496), Epist. ad Imperat. Anastasium I; S. Leone Magno († 461), Epist. CLVI, 3; S. Gregorio Magno († 604), Regesta, n. 1819; S. Isidoro Da Siviglia († 636), Sent., III, 51; S. Nicola I, Epistul. Proposueramus quidam (865); S. Gregorio VII († 1085), Dictatus Papae (1075), I epistola a Ermanno Vescovo di Metz (25 agosto 1076), II epistola a Ermanno (15 marzo 1081); Urbano II († 1099), Epist. ad Alphonsum VI regem; S. Bernardo Di Chiaravalle († 1173), Epistola a papa Eugenio III sulle due spade; Innocenzo III (†1216), Sicut universitatis conditor (1198), Venerabilem fratrem (1202), Novit ille (1204); Innocenzo IV († 1254), Aeger cui levia (1245); S. Tommaso D’Aquino († 1274), In IVum Sent., dist. XXXVII, ad 4; Quaest. quodlib., XII, a. 19; S. Th., II-II, q. 40, a. 6, ad 3; Quodlib. XII, q. XII, a. 19, ad 2; Bonifacio VIII († 1303), Bolla Unam sanctam (1302); Cajetanus († 1534), De comparata auctoritate Papae et Concilii, tratt. II, pars II, cap. XIII; S. Roberto Bellarmino († 1621), De controversiis; F. Suarez († 1617), Defensio Fidei catholicae; Gregorio XVI († 1864), Mirari vos (1832); Pio IX († 1878), Quanta cura e Syllabus (1864); Leone XIII († 1903), Immortale Dei (1885), Libertas (1888); S. Pio X († 1914), Vehementer (1906); Pio XI (†1939), Ubi arcano (1922), Quas primas (1925), Pio XII († 1958), Discorso ai Giuristi Cattolici Italiani, 6 dicembre 1953.
[3])Pio XII, Discorso al V Convegno Nazionale dell’Unione Giuristi cattolici italiani, 6 dicembre 1953.
[4]) Immortale Dei, 1885.
[5])N. Machiavelli, Opere di Niccolò Machiavelli (1631-1632 postume), Editore Salerno, Roma, 2006. Cfr. L. Strauss, Pensieri su Machiavelli (1958), tr. it., Milano, Giuffrè, 1970.
[6])T. Hobbes, Leviatano (1651), tr. it., Bari-Roma, Laterza, 2001, VII ed.
[7])J. Locke, Due Trattati sul governo e altri scritti politici (1690), tr. it., Torino, Utet, 1982, III ed.
[8])G. Bien, La filosofia politica di Aristotele (1973), tr. it., Bologna, Il Mulino, 2000, p. 339.
[9])Aristotele, Politica, Libro I, 1251a – 1252b.
[10])Aristotele, Politica, Libro III, 1281a.
[11])Aristotele, Politica, Lib. I, 1253a.
[12])Aristotele, Politica, Lib. I, 1253a.
[13])Aristotele, Politica, Lib. III, 1281a.
[14])Aristotele, Politica, Lib., III, 1280b.
[15])Aristotele, Etica nicomachea, Lib. VI, 1140a, 24 – 1140b, 10. Civile viene dal latino civis ossia il cittadino membro di una civitas o Stato. Civile è tutto ciò che ha raggiunto un certo grado di sviluppo sociale, intellettuale, morale, economico e tecnologico, mentre incivile è ciò che manca di tutto questo (N. Zingarelli). Lo stesso si può dire del termine “politico” e “a-politico”, “sociale” e “a-sociale”.
[16])N. Machiavelli, Il Principe, in Opere di Niccolò Machiavelli, cit., vol. I, tomo 1, pp. 82-83.
[17])W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto (1821), tr. it., Roma-Bari, 1987; Id., Scritti politici (1798-1831), tr. it., Torino, Einaudi, 1972.
[18])C. B. Macpherson, Libertà e proprietà alle origini del pensiero borghese. La teoria dell’individualismo possessivo da Hobbes a Locke (1962), tr. it., Milano, Isedi, 1973, II ed.,p. 303.
[19])Secondo l’aristotelismo tomistico il fine dello Stato non è la ‘semplice vita fisica’ (come per l’Individualismo), ma la vita moralmente e virtuosamente buona, ossia la vita morale, intellettuale e spirituale.
[20])Cfr. L. Strauss, Diritto naturale e storia (1953), tr. it., Venezia, Neri Pozza, 1957, pp. 200-245.
[21])Aristotele, Etica nicomachea, Lib. VI, 1141b, 24-35.
[22])S. Tommaso D’Aquino, De regimine principum, Lib. I, cap. 1.
[23])K. Marx – F. Engels, L’ideologia tedesca (1932 postumo), tr. it., Roma, Editori Riuniti, 1958; Id., Manifesto del partito comunista (1848), tr. it., Milano, Rizzoli, 2004, IIIa ed.; V. Lenin, Stato e rivoluzione (1917), tr. it., Roma, Editori Riuniti, 1970, IIa ed.; F. Engels, Antidühring (1878), tr. it., Roma, Editori Riuniti, IIa ed., 1971; Id., L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), tr. it., Roma, Editori Riuniti, 1963; K. Marx, Per la critica dell’economia politica, (1859), tr. it., Roma, Editori Riuniti,1957.
[24])M. Bakunin, Rivolta e libertà, tr. it., Roma, Editori Riuniti, 1973.
[25])F. A. von Hayek, Legge, legislazione,libertà. Una nuova enunciazione dei principi liberali della giustizia e dell’economia politica (1973), tr. it., Milano, Il Saggiatore, 1986; Id., La società libera, (1960), tr. it., Formello, Seam, 1998.
[26])L. von Mises, Problemi epistemologici dell’economia, tr. it., Roma, Armando, 1988; Id., La mentalità anticapitalistica, Roma, Armando, 1988; Id., Socialismo. Analisi economica e sociologica (1922), tr. it., Milano, Rusconi, 1990.
[27])R. Notzick, Anarchia, Stato, utopia (1974), tr. it., Milano, Il Saggiatore, 2005. Vi sono autori ultra liberali che oltrepassano anche la teoria dello “Stato minimo” di Notzick e asseriscono la totale anarchia liberale, libertaria, liberista e libertina, cfr. Murray N. Rothbard, L’etica della libertà (1982), tr. it., Macerata, Liberilibri, 1996; Id., Per una nuova libertà. Il manifesto libertario (1974), tr. it., Macerata, Liberilibri, 2004.
[28])I regimi comunisti si sono chiamati “Repubbliche democratiche popolari socialiste” sovietiche o cinesi. Volendo significare che l’unica vera democrazia è quella repubblicana e socialista o popolare, mentre per il liberalismo la vera democrazia è quella individualista e libertaria.
[29])La “Terza Scolastica” è nata con Leone XIII e il rilancio del neo-tomismo tramite l’enciclica Aeterni Patris (1879). Essa è stata continuata da San Pio X, Benedetto XV, Pio XI e Pio XII. I filosofi che si sono contraddistinti in quest’epoca sono: Gaetano Sanseverino, Matteo Liberatore, Giovanni Cornoldi, Serafino Sordi, Luigi Taparelli-D’Azeglio, Tommaso Zigliara, Felice Cavagnis, Giovan Battista Franzelin, Felice Cappello, Alfredo Ottaviani, Reginaldo Garrigou-Lagrange, Francesco Olgiati, Sofia Vanni-Rovighi, Tomas Tyn, Cornelio Fabro, Battista Mondin, Dario Composta, Alfonso Maria Stickler, Reginaldo Pizzorni, Tito Sante Centi, Pietro Parente, Antonio Piolanti e Brunero Gherardini.
2 commenti:
Chiaro e istruttivo.
Preciso come sempre don Curzio.
Personalmente (ma è appunto solo una sensibilità personale), rispetto all'aristotelismo-tomismo, preferisco l'apocalittica del Marchese di Valdegama, quasi, a parer mio, un erede ottocentesco del vescovo di Ippona.
http://www.totustuustools.net/pvalori/Fornari.htm
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