Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 8 marzo 2018

François Philosophe

Ringraziamo di cuore il lettore che ci invia questo suo interessante lavoro che, dalla sapiente recensione di un testo che vale la pena conoscere, ci apre ulteriori ambiti di comprensione sul fenomeno Bergoglio.

Sotto la direzione di Emmanuel Falque e Laure Solignac è stato recentemente stampato, per le edizioni Salvator di Parigi, il volume François philosophe, testo che raccoglie i contributi di sette intellettuali cattolici in altrettanti saggi dedicati ad indagare la filosofia di papa Francesco sviluppando quanto dibattuto al convegno  “Philosophie du papa François” svoltosi il 18 ottobre 2016 per iniziativa della Facoltà di filosofia dell’Istituto cattolico di Parigi.

Sin dall’introduzione i due curatori riconoscono che l’attuale Pontefice sembra «marquer une radicale rupture avec ses prédécesseurs»[1] e che il parlare di Francesco è volutamente lontano dalla forma accademica della teologia e della filosofia avendo optato per un deciso pastoralismo.

Non per questo si deve negare una “filosofia di papa Francesco” anzi, è la tesi del volume, «le pape François est “philosophe”»[2]. E tale filosofia di Francesco, benché quasi mai esplicita nei riferimenti, è riconosciuta chiaramente fondata in autori quali Maurice Blondel, Gaston Fessard, Michel de Certeau, ma anche Miguel de Unamuno, Romano Guardini, Ismael Quiles, Paul Ricoeur, Luigi Pareyson, etc., di cui Francesco adotterebbe le prospettive riplasmandole nel suo disegno pastoral-teologico.

Il volume è decisamente elogiativo, si direbbe quasi apologetico, di Francesco e non lo nasconde, tuttavia la serietà delle analisi e l’autorevolezza degli autori fanno si che la lettura si riveli decisamente interessante per comprendere il “fenomeno Bergoglio” nel suo fondamento ideale.
Dei sette capitoli ne considereremo in particolare tre che per contenuto risultano maggiormente significativi nel tracciare il ritratto filosofico di Francesco.

Monsignor Philippe Bordeyne, rettore dell’Istituto cattolico di Parigi, nel suo Une philosophie de l’homme capable: le pape François et Paul Ricoeur,[3] legge Francesco e il suo Magistero rintracciandovi una consistente eredità ricoeuriana, in particolare in sede antropologico/morale.
Il padre gesuita Juan Carlos Scannone, uno dei “maestri” della teologia del pueblo, dedica pagine intense al parallelo tra l’azione in papa Francesco e la filosofia dell’azione di Blondel[4] collocando il pensiero-azione bergogliano dentro l’eredità blondeliana, se pur reinterpretata originalmente da Francesco.

Il professor Giovanni Ferretti, accademico italiano esperto di filosofia contemporanea, riconosce il pensare di Bergoglio come ermeneutico e tale da trovare felice confronto con l’ermeneutica di Luigi Pareyson, in particolare con il Pareyson di Verità e interpretazione del 1971.

Bordeyne, partendo dalla citazione della Philosophie de la volonté di Ricoeur che Francesco fa al numero 85 della Laudato si’, indaga l’apporto ricoeuriano al Magistero di Bergoglio, con particolare attenzione all’enciclica citata e all’esortazione apostolica Amoris laetitia. Se l’antropologia relazionale di Bergoglio rimanda al Ricoeur in dialogo con la Scuola di Francoforte, è il tema bergogliano della «réconciliation des pôles opposés»[5] a fare sintesi tra Ricoeur e Guardini.
Come suggerisce poi il titolo del contributo, la radice ricoeuriana dell’insegnamento di Francesco è compresa principalmente nel suo lato antropologico espresso dalla philosophie de l’homme capable di Ricoeur.

L’orizzonte antropologico-morale della Amoris laetitia, in particolare i capitoli VII e VIII, è riconosciuto da Bordeyne come «une morale de la liberté»[6], «une antropologie de la liberté»[7]; libertà ricoeurianamente compresa come «liberté en situation»[8]. Lo stesso discusso capitolo VIII, proprio sul punto controverso della responsabilità morale, è letto come ricoeuriano ed è visto come determinante per consentire la svolta esistenzialista di Francesco nell’affrontare le questioni morali[9], svolta tutta segnata dallo smarrimento dell’oggettività[10]. È ciò che il rettore chiama «audace spiritelle et pastorale»[11] e riconosce essere trasposizione dell’antropologia ricoeuriana.

Altro tema ricoeuriano nel Magistero di Francesco è la reconnaissance, tema che porta con sé tutto il peso dell’eredità hegeliana[12].  In Ricoeur la philosophie de la reconnaissance «reste profondément marquée par le schéma hégélien»[13] mentre in Francesco l’influenza di Romano Guardini e di Ismael Quiles porta, secondo Bordeyne, ad una antropologia dell’unità: unità nella diversità, diversità riconciliata (AL, 139), unità multiforme (EG, 228), «pacification dans les différences»[14] secondo il principio che l’unità è superiore al conflitto (AL, 228). Rispetto allo schema hegeliano della lutte pour la reconnaissance o alla dialettica ricoeuriana tra amore e giustizia[15] l’unità multiforme della diversità riconciliata costituisce una indubbia evoluzione della dialettica, non una sua sconfessione. Evoluzione nel senso di oltrepassamento lungo la stessa direttrice data dalla negazione del principio logico-metafisico di non contraddizione, in fondo dunque una radicalizzazione di Hegel.[16]

Il teologo gesuita Scannone intende leggere l’azione pastorale di papa Francesco avvalendosi della filosofia dell’azione di Blondel, non però supponendo una relazione diretta quanto mediata tra il filosofo modernista e il papa argentino. La mediazione sarebbe data dagli Esercizi ignaziani[17] interpretati da Gaston Fessard[18]  in senso hegeliano-blondeliano e riconosciuti da Peter Henrici[19] come fondamentale ispirazione dell’opera di Blondel.

Anche per padre Scannone il principio di Evangelii Gaudium per il quale l’unità è superiore al conflitto è capitale per la comprensione della “filosofia” di Francesco. Principio che Scannone lega alla lezione di Ismael Quiles e allo stesso Blondel. Questo principio è dunque lungamente considerato da Scannone proprio a partire dal testo di Evangelii Gaudium che parla di comunione delle differenze, di unità multiforme, di diversità riconciliata, dei conflitti che generano nuovi processi.

La riconciliazione non è per via di giustizia o per soluzione veritativa del conflitto ma «ne se donne qu’à un plan supérieur […] conserve et transforme les différences en une riche multiformité de vie plus abondante et renouvelée […] Cela rappelle non seulement la dialectique (ni hégélienne ni marxiste) des oppositions de pôles de Guardini, mais également la dialectique blondélienne».[20] Lo schema bergogliano è quello «de la dialectique blondélienne de l’action».[21]

In particolare è la «loi de la solidarité des forces discordantes»[22] a essere riconosciuta come tesi blondeliana pienamente riscontrabile nel pensiero di Francesco. Dove Blondel parla di parallelogramma delle forze, Bergoglio utilizza l’immagine del poliedro (EG, 236)[23] espressione di una «multiplicité de forces distinctes».[24]

La diversità riconciliata è, per Francesco, «un don de l’Esprit»[25] ma è dono instabile, processuale, in divenire che una nuova tensione destabilizza nuovamente provocando un nuovo processo di armonizzazione delle diversità.[26]

A questo punto padre Scannone sente l’esigenza di precisare che «Pour les tensions bipolaires de ce processus ascendant, il n’utilise pas le terme “contradiction”, come Hegel, mais, come Guardini, il parle de “contra position”, terme qui doit également être applique à la dialectique blondélienne de l’action, quand le philosophe d’Aix, parle d’alternatives et d’oppositions».[27]

Accomuna anche Francesco e Blondel la concezione non-intellettuale della conoscenza chiamata sapienziale e posta dentro l’azione[28], l’opposizione blondeliana tra volontà volente e volontà voluta che Scannone individua nel paragrafo 222 di Evangelii Gaudium  e la contrapposizione tanto blondeliana quanto bergogliana all’integrismo cattolico in nome della «logique de l’amour»[29] così che la filosofia blondeliana può essere ritenuta a buon titolo ispiratrice, se pur non diretta, del Magistero di Francesco.[30]

Il saggio forse più notevole e interessante è però quello del professor Ferretti, intitolato Une philosophie de l’unité et de la multiplicité: le pape François et Luigi Pareyson, dove l’accademico italiano, considerando soprattutto l’esortazione Evangelii Gaudium, intende il pensiero di Francesco come «pensée herméneutique»[31] ed in particolare come ermeneutica pareysoniana.

Al dire di Ferretti, per Pareyson come per Francesco, «le problème des différences est assurément le problème le plus urgent de notre époque»[32] al punto che la filosofia pareysoniana e la pastoralità bergogliana  hanno come proprio criterio il rispetto e la valorizzazione delle differenze in un orizzonte integralmente ermeneutico.

Scrive Ferretti: «le pape François est sa critique d’une vision objectivement fixe, immuable et définitive de la vérité ou des normes de la vie chrétienne, une vision qui ne tient pas compte de la réalité où elles sont comprises et vacues par les personnes dans leur horizon culturel et linguistique, et dans la concrétude de leur situation de vie»[33] sottolineando che per Francesco (EG, 41) «une formulation parfaitement orthodoxe puisse transmettre une fausse idée de Dieu ou de l’homme»[34] se non adeguata ai cambiamenti culturali attuali. La verità, per Francesco, è sempre storica ed esistenziale.

Un vero e proprio «changement de paradigme»[35] operato da Francesco, un «nouveau paradigme de la raison herméneutique»[36] sostituisce il paradigma «démonstratif et objectivant» nel pensiero della Chiesa. E tale nuovo paradigma è sorprendentemente prossimo alla «philosophie herméneutique de Pareyson».[37]

Secondo Ferretti il principio dell’ermeneutica pareysoniana[38] espresso in Verità e interpretazione può offrire un paradigma per comprendere il pensiero ermeneutico di papa Francesco. Così anche la variante personalista/esistenzialista[39] successivamente formulata in Esistenza e persona. Abbiamo riconosciuta in Bergoglio la categoria pareysoniana «de l’inobjectivabilité de la vérité»[40] e della esistenzialità della verità.

L’inobjectivabilité de la verité costituisce un principio fondamentale per comprendere il senso della molteplicità. Per Pareyson «la vérité de l’être est bien présente dans les interprétations diverses que les personnes en donnent (avant tout dans leur être même en tant que rapport avec l’être), mais elle nous est présente sans s’identifier à aucune des interprétations».[41]

A questo criterio pareysoniano Ferretti riconduce l’insegnamento di Evangelii Gaudium sulla positività delle differenze, sulla necessità di integrare e armonizzare le diversità. E quest’opera di armonizzazione è da Francesco attribuita allo Spirito: «l’unité de l’Esprit harmonise toutes les diversités» (EG, 230).

Questa azione dello Spirito opera la pacificazione tra le differenze in una diversità riconciliata non statica ma dinamica non logica ma esistenziale. Un continuo rinnovamento caratterizza questa pace che è nella ricchezza delle diverse interpretazioni della verità, tra loro in relazione di comunicazione dialogica reciprocamente arricchente.

Nella filosofia ermeneutica di Pareyson non esiste e non può esistere «un hypothétique point de vue général à partir duquel nous pouvons contempler toutes les diverses interprétations de la vérité»[42], ogni interpretazione è vera dal suo punto di vista[43] e l’armonia superiore tra le diverse interpretazioni è appunto dialogica. Una simile concezione parrebbe lontana e inconciliabile con la filosofia cristiana, con la idea cattolica di verità, con la possibilità stessa del dogma eppure Ferretti, con buone ragioni, la giudica «en profonde résonance avec la pensée du pape François».[44]

Tutto ciò, ne è ben consapevole Ferretti, implica «une profonde révision dialogique du christianisme».[45]

Il volume, sintetizzato nelle Conclusioni dall’arcivescovo di Poitiers monsignor Wintzer, mostra un Francesco che «avance en marchant» con moto progressivo e il cui pensiero è dato immanente nell’azione pastorale stessa. Un pensiero-prassi che è riconosciuto come ermeneutico e volontarista, anti-intellettualista se non proprio irrazionalista, un’antropologia dell’ «homme tactile»[46] a dire il primato del sensibile sul razionale quasi ritrovando in Francesco certe ossessioni della de-ellenizzazione[47] e certi paradigmi delle teologie/ideologie indigeniste (ad esempio la razionalità e la logica classica comprese come una ipoteca greca della cultura occidentale e dunque relativizzate in un quadro multiculturale ed extraeuropeo) , esistenziale e con un non celato anti-nomismo/anti-giuridicismo.

Con estrema sicurezza il volume, non polemico anzi apologetico dunque per ciò stesso ancor più significativo nella radicalità delle conclusioni, afferma con serena tranquillità che in papa Francesco la verità si identifica con l’azione sul modello blondeliano, che la conoscenza non è intellettuale ma «existentielle»[48], che papa Francesco sposa «une philosophie de la complexité»[49] per la quale il vero e il falso, il bene e il male si colgono sempre sfumati in una infinita gamma di grigi, nella penombra di una indeterminatezza mai pienamente superabile, che la verità è intesa ermeneuticamente con il linguaggio concepito come «constructeur de l’être».[50]

Conclude l’arcivescovo Wintzer parlando della priorité du chemin: «Penseur du chemin, François choisit de la vivre: il est un papa qui marche».[51] Il volume è così riassunto autorevolmente da un Successore degli Apostoli che, mentre riconosce Francesco «philosophe, théologien, pasteur, directeur de conscience»[52], ne afferma, e nel modo più netto quanto plaudente, il pensiero come processuale, aperto, in divenire, intrinsecamente progressista perché progressivo, praxistico, in ultima analisi dunque essenzialmente rivoluzionario.

Papa Francesco è giustamente riconosciuto filosofo e nel senso più pieno che la post-modernità concepisce di questa parola, non dunque come conoscitore accademico della disciplina, tanto meno come colui che si cimenta criticamente con le scienze, i sistemi e le diverse scuole filosofiche, ancor meno nel senso classico di indagatore razionale del Reale. Piuttosto Francesco è filosofo nel senso di portatore di un pensiero originale e innovativo, di una novità che genera uno sconvolgimento in un quadro concettuale dato. E tutto ciò - qui la grande novità del filosofo Bergoglio – più come prassi che come teorizzazione o, meglio, con la formulazione teorica[53] che è quasi una didascalia esplicativa, in taluni casi anticipatrice, della prassi quotidiana di un pontificato rivoluzionario.

Il filosofo Francesco non si limita quindi a teorizzare il primato dell’esistenziale, della pastorale, del soggettivo, non è primariamente un teorico della praxis, la sua “filosofia” è prima di tutto agita che pensata e formulata, è prassi in divenire che rivendica a sé un primato sul teorico, sul pensiero e, come tale, si pone come post-filosofia o Überphilosophie, come un oltrepassamento del teorico dove la teoria è essa stessa dentro la prassi.

Con grande lucidità gli autori considerati hanno riconosciuto e segnalato forti legami tra il Magistero di Francesco e la filosofia di Blondel, di Ricoeur e di Pareyson e, tuttavia, è forse sfuggito loro il dato più significativo e cioè il passaggio da una filosofia teorizzata ad una prassi-filosofia/teologia e cioè proprio il compimento delle istanze anti-oggettive dai tre (contraddittoriamente) ancora oggettivate (nella teorizzazione) nel pensiero-prassi di Francesco vissuto, pertanto, come sottratto al vaglio della contraddizione perché, appunto, dato come fatto.

La “filosofia” di Francesco non è dunque principalmente coglibile nei suoi scritti quanto piuttosto nella sua azione di cui gli scritti sono, come detto, appena una didascalia. Ecco allora il limite del volume: non aver sviluppato scientificamente una fenomenologia di Francesco[54] e una epistemologia filosofico-teologica del pensiero-prassi di papa Bergoglio. Solo dal complementare apporto di questi due studi si potrebbe veramente cogliere, ben oltre la lettera dei documenti papali, la portata rivoluzionaria della Überphilosophie bergogliana.

Parlare di pensiero-prassi e di Überphilosophie non significa negare all’azione di papa Francesco una significativa portata dottrinale, anzi significa proprio riconoscere in Francesco, nella sua azione, la pretesa di luogo teologico, la pretesa cioè di una azione originale e originaria dunque originatrice di novità di cui la dottrina non potrebbe che farsi espressione.

Di vera rivoluzione si tratta, di capovolgimento dell’ordine teoria/prassi, oggettivo/soggettivo, pensiero/azione, dottrina/pastorale con l’azione pastorale, la vita ecclesiale (intesa come l’esperienza esistenziale dei credenti), lo stesso sentire comune profano che si fanno generatori di dottrina nuova, anzi dottrina processuale in prassi.

A dire del filosofo e teologo barnabita padre Giovanni Scalese, Ordinario per l’Afganistan, il discorso tenuto da papa Francesco l’11 ottobre 2017 al Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione nell’occasione del venticinquesimo anniversario di promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica segnerebbe una svolta nel pontificato, da una prassi autonoma dalla dottrina ad una dottrina che evolve conformandosi alla prassi.

Dopo aver dichiarato che la pena di morte «è in sé stessa contraria al Vangelo»[55] suggerendo così una revisione del numero del  Catechismo della Chiesa Cattolica dove invece se ne ammette la legittimità, papa Francesco riconosce che tale affermazione differisce da quanto insegnato e praticato dalla Chiesa sino ad oggi, ma ciò per lui non fa problema. Procede dunque con una breve ma significativa considerazione sull’evoluzione dottrinale determinata anche da «la mutata consapevolezza del popolo cristiano»[56]:

 «La Tradizione è una realtà viva e solo una visione parziale può pensare al “deposito della fede” come qualcosa di statico. La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare. Questa legge del progresso secondo la felice formula di san Vincenzo da Lérins: «annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate» (Commonitorium, 23.9: PL 50), appartiene alla peculiare condizione della verità rivelata nel suo essere trasmessa dalla Chiesa, e non significa affatto un cambiamento di dottrina.

Non si può conservare la dottrina senza farla progredire né la si può legare a una lettura rigida e immutabile, senza umiliare l’azione dello Spirito Santo. «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri» (Eb 1,1), «non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio» (Dei Verbum, 8). Questa voce siamo chiamati a fare nostra con un atteggiamento di «religioso ascolto» (ibid., 1), per permettere alla nostra esistenza ecclesiale di progredire con lo stesso entusiasmo degli inizi, verso i nuovi orizzonti che il Signore intende farci raggiungere».[57]

Molti commentatori hanno sottolineato il giudizio innovatore di Francesco sulla pena capitale, quasi nessuno si è invece soffermato a considerare come qui Francesco, parlando del deposito della fede, lo sottometta ad una imprecisata legge del progresso che addirittura coinciderebbe con l’azione dello Spirito Santo.

Tra i pochissimi ad aver colto la forza dell’affermazione padre Scalese che così scrive:
«Ho l’impressione che al discorso di Papa Francesco debba essere attribuito un carattere in qualche modo “programmatico” di quella che, a parer mio, sarà la seconda fase del suo pontificato. Mi sembra che in genere si sia portati a sottovalutare il valore di certi interventi pontifici. Avvenne la stessa cosa con Evangelii gaudium: a molti, me compreso, parve una semplice esortazione apostolica post-sinodale, che raccoglieva i risultati del Sinodo del 2012 sulla nuova evangelizzazione; non ci si accorse, o per lo meno non ci si rese sufficientemente conto, che essa conteneva buona parte del programma che sarebbe stato attuato durante il pontificato. Cosí ora credo che il discorso di tre settimane fa potrebbe contenere le linee operative che saranno seguite nella fase B del pontificato.

Perché parlo di una seconda fase del pontificato? Perché ho l’impressione che ci troviamo di fronte a una svolta. La fase A del pontificato di Papa Bergoglio è stata caratterizzata da quella che lui ha chiamato, in Evangelii gaudium, “conversione pastorale” (n. 25). C’è stato chi ha parlato, a questo proposito, di “cambio di paradigma”; noi, forse con una certa audacia, abbiamo parlato di “rivoluzione pastorale”. La caratteristica di questa prima fase è stata la sottovalutazione della dottrina in favore della pastorale: la dottrina — è stato insistentemente ripetuto — non cambia; ciò che cambia è l’atteggiamento della Chiesa verso le persone. L’evento piú significativo di questa prima fase è stato, senza alcun dubbio, la pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris laetitia.

Si ha l’impressione che il discorso dell’11 ottobre segni il passaggio a una nuova fase, nella quale, pur ribadendo che la dottrina non cambia, si pone l’accento sull’esigenza che essa progredisca. Finora […] si era preferito non parlare di dottrina, se non per svalutarla, e concentrarsi sulla pastorale. Ora invece si riprende il discorso sulla dottrina, per dire che essa deve evolversi per rispondere alle sfide dei tempi che cambiano. Non so se ci si renda conto del cambiamento di prospettiva. Inviterei i miei lettori a rileggere attentamente il discorso del Papa per rendersi conto di tale mutamento.

Non saprei dire se questa svolta fosse prevista fin dall’inizio, e faccia quindi parte di una precisa strategia, o se piuttosto si sia resa necessaria dopo aver appurato che non è possibile ignorare la dottrina. È un’illusione pensare che sia possibile attuare una pastorale che non abbia alle spalle una dottrina ben definita. Se la dottrina dice A e la pastorale fa B, è evidente che c’è qualcosa che non quadra; per cui o si cambia la pastorale o si cambia la dottrina. Visto che ormai è la pastorale ad avere la precedenza, è abbastanza comprensibile che si pensi a una revisione della dottrina.

[…] Il grande assertore dello sviluppo del dogma è stato San Vincenzo di Lerino (V sec.), richiamato dal Papa nel suo discorso: «[christianae religionis dogma] annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate». Forse può essere utile riprendere la citazione completa (Commonitorium, c. 23 [n. 29]). Dopo aver descritto le leggi dello sviluppo nel mondo della natura, San Vincenzo afferma:
Ita etiam christianae religionis dogma sequatur has decet profectuum leges, ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate, incorruptum tamen inlibatumque permaneat et universis partium suarum mensuris cunctisque quasi membris ac sensibus propriis plenum atque perfectum sit, quod nihil praeterea permutationis admittat, nulla proprietatis dispendia, nullam definitionis sustineat varietatem.

Non è la prima volta che Papa Francesco “taglia” San Vincenzo di Lerino. Lo aveva già fatto in Evangelii gaudium, alla nota 45, dove, riprendendo un passaggio del discorso di Giovanni XXIII per l’apertura del Concilio Vaticano II («Est enim aliud ipsum depositum Fidei, seu veritates, quae veneranda doctrina nostra continentur, aliud modus, quo eaedem enuntiantur»), aveva tralasciato la frase: «eodem tamen sensu eademque sententia», che è un’espressione paolina (1Cor 1:10) usata da San Vincenzo di Lerino, a sua volta ripreso dal Concilio Vaticano I».[58]

Sembra sottesa l’idea di una Rivelazione ancora aperta[59]. è pure abbattuta ogni distinzione tra storia sacra e storia profana, tra Chiesa e mondo. L’evoluzione dei costumi e delle mentalità è intesa come manifestazione dello Spirito così che Zeitgeist e Spirito Santo si fanno viepiù indistinguibili mentre l’assenza del principio di non contraddizione è assodata nel divenire processuale della dottrina.
Se la lettura di padre Scalese fosse esatta - e solo il proseguo del pontificato (ovvero lo sviluppo fattuale del pensiero-prassi bergogliano) ce lo potrà dire -saremmo di fronte ad un perfetto schema dialettico tesi, antitesi, sintesi con la tesi rappresentata dalla Dottrina, l’antitesi dalla innovazione ermeneutica e pastorale visibile in una prassi esistenziale dei credenti diversa dalla Dottrina (vecchia). La sintesi sarebbe la Dottrina Nuova figlia della prassi innovatrice. La Dottrina Nuova sarebbe, ovviamente, nuova solo rispetto alla Dottrina (vecchia), sarebbe invece vecchia rispetto al vissuto sempre in progressivo mutamento dei credenti (dell’umanità) e così destinata ad essere sempre superata e dunque annichilita  come dottrina se non intesa come mera formalizzazione/fissazione di un particolare momento del pensiero-prassi della Chiesa (dell’umanità). Avremmo così un pensiero-prassi non strettamente e forse non consapevolmente hegeliano che si dà come antitesi e sintesi d’una hegeliana dialettica riplasmatrice del Cattolicesimo.

Il filosofo Francesco non è, come ben evidenziato da diversi autori del volume,  hegeliano nel senso di una sua appartenenza di scuola, potrebbe persino ritenersi anti-hegeliano nella sua istanza esistenzialista e antisistematica e tuttavia il suo pensiero-prassi è tutto nell’eredità di Hegel come lo sono gli autori cui trae alimento. Francesco invera Hegel nella vita della Chiesa senza riconoscersi nel sistema hegeliano così come invera quanto i modernisti avevano “ingenuamente” teorizzato più d’un secolo fa senza per questo insegnarne formalmente le dottrine. E proprio in questo consta il cuore del suo essere, a buon diritto, post-modernamente filosofo e teologo.
Francesco Nominedeo
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1. E. Falque, L. Solignac, Ouverture, in E. Falque, L. Solignac (sous la direction de), François philosophe, Salvator, Paris 2017, p. 9.
2. Ivi, p. 10.
3. Ivi, pp. 13-39.
4. La philosophie blondélienne de l’action et l’action du papa Francois, ivi, pp. 41-65.
5. Ph. Bordeyne,  Une philosophie de l’homme capable: le pape François et Paul Ricoeur, ivi, p. 14.
6.  Ivi, p. 21.
7. Ivi, p. 22.
8. Ivi, p. 22; quella proposta da Amoris laetitia è «une morale de la liberté “en situation” (AL, 273)» p. 25.
9. «Cette approche nuancée de l’imputabilité permet au pape de renouver les liens entre vie morale et vie spirituelle» (ivi, p. 27). Ciò che Bordeyne chiama vie spirituelle deve essere inteso nel quadro esistenzialista/personalista non trattandosi affatto della “spiritualità” classica per la quale la vita spirituale presuppone lo stato e la vita di grazia la quale presuppone necessariamente la conformità del soggetto alla (oggettiva) legge di Dio. In Francesco, invece, la spiritualità è menomata dell’ascetica, privata di oggettività e de facto compresa con categorie esistenzialiste.
10. «Cela lui permet de justifier que certaines persone puissent être en état de grâce alors même qu’elles ont trasgressé la fidélité à l’alliance conjugale» (ivi, p. 28).
11. Ivi, p. 28.
12. Il «thème hégélien de la lutte pour la reconnaissance» (ivi, p. 33) mediato da Ricoeur.
13.  Ivi, p. 35.
14. Ivi, p. 37.
15. Cfr. P. Ricoeur, Liebe und Gerechtigkeit. Amour et justice, J.C.B. Mohr, Tübingen 1990.
16. Se in Hegel il principio di non contraddizione è risolto dialetticamente, nel pluralismo pacificato di Francesco la contraddizione è risolta mentre è data ovvero neppure è data come contraddizione. In ciò si potrebbe quasi dire che il filosofo Francesco rigorizza (prassiologicamente) Hegel!
17. Scannone scrive di «une admirable convergence entre ces trois textes […] entre les Exercices ignaciens, l’exhortation apostolique Evangelii Gaudium et la quatrième partie de la première Action» 18. (J. C. Scannone, La philosophie blondélienne de l’action et l’action du papa Francois, in E. Falque, L. Solignac (sous la direction de), François philosophe, cit., p. 49).
19. Cfr. G. Fressard, La dialectique des Exercices spirituels de saint Ignace de Loyola, Aubier, Paris 1956. Cfr. P. Henrici, Blondels Option und die ignatianische Wahl, ein Beispiel vom Verhältnis von Philosophie une Theologie (1975), in P. Henrici, Philosophie aus Glaubenserfahrung. Studien zum Frühwerk Maurice Blondels, Albert, Freiburg-München 2012, pp. 178-195.
20. Scannone, cit., p. 54.
21. Ivi, p. 57.
22. M. Blondel, Principe élémentaire d’une logique de la vie morale, Colin, Paris 1903.
23. Anche Ferretti, nel suo saggio, segnala come significativa l’opzione di Francesco per il modello del poliedro: «le pape introduit d’une manière originale le modèle du polyèdre, en op position à celui de la sphère, pour imaginer d’une certaine façon cette intégration dans un tout qui, pour être supérieur aux parties, n’opprime pas les différences des parties» (G. Ferretti, Une philosophie de l’unité et de la multiplicité: le pape François et Luigi Pareyson, in E. Falque, L. Solignac (sous la direction de), François philosophe, cit., p. 114).
24. Scannone, cit., p. 56.
25. Ivi, p. 58.
26. Cfr. J. M. Bergoglio, Quelques réflexions sur l’union des âmes, cit. in Scannone, cit, p. 59.
27. Scannone, cit., p. 59; analoga esigenza l’avverte pure il professor Ferretti: «Le modèle de totalité n’est pas celui, dialectique, d’inspiration hégélienne ou marxiste, mais le modèle de Guardini des “oppositions polaires” qui caractérisent toute réalité vivante d’une façon positive» (Ferretti, cit. p. 115).
28. Identificare, come fa Scannone, la conoscenza così concepita con la conoscenza per connaturalità di cui scrive san Tommaso risulta improprio e non fondato.
29. Scannone, cit., p. 64.
30. Conclude Scannone: «La philosophie du premier illumine la profondeur théologique de l’action pastorale du second, et celle-ci montre dans la pratique la valeur humaine et chrétienne de la pensée blondélienne» (Scannone, cit., p. 65).
31. G. Ferretti, Une philosophie de l’unité et de la multiplicité: le pape François et Luigi Pareyson, in E. Falque, L. Solignac (sous la direction de), François philosophe, cit., p. 89.
32. Ivi, p. 92.
33. Ivi, p. 93.
34. Ivi, p. 94.
35. Ivi, p. 95.
36. Ibidem.
37. Ibidem.
38. «De la vérité il n’y a qu’interprétation, et il n’y a d’interprétation que de la vérité» (L. Pareyson, Verità e interpretazione, Mursia, Milano 1971, p. 53).
39. «Dire que l’homme est rapport à l’être, c’est comme dire que l’homme est interprétation de la vérité, que chaque homme singulier est une interprétation de la vérité» (L. Pareyson, Esistenza e persona, Il Melograno, Genova 1985, p. 20).
40. G. Ferretti, Une philosophie de l’unité et de la multiplicité: le pape François et Luigi Pareyson, in E. Falque, L. Solignac (sous la direction de), François philosophe, cit., p. 98.
41. Ivi, p. 102.
42. Ivi, p. 119.
43. «la vérité est présente toute entière dans les diverses interprétations» (ivi, p. 118).
44. Ivi, p. 119.
45.Ivi, p. 120.
46. P. Wintzer, Un pape qui marche: quelques éléments de la philosophie du pape François, in E. Falque, L. Solignac (sous la direction de), François philosophe, cit., p. 175.
47. Ferretti non le considera affatto ossessioni ma anzi, dopo aver affermato che «la déshellénisation du christianisme est possible» (Ferretti, cit., p. 109), osserva che quanto scrive Francesco in Evangelii Gaudium, 41 porta a concludere che «la déshellénisation peut être nécessaire» (ibidem).
48. Ivi, p. 174.
49. Ivi, p. 172.
50. Ivi, p. 174.
51. Ivi, p. 175
52. Ivi, p. 176.
53. Ad esempio l’esortazione Evangelii gaudium, l’enciclica Laudato si’ o ancora l’esortazione Amoris laetitia.
54. Sul modello di U. Eco, Fenomenologia di Mike Bongiorno, 1961, in U. Eco, Diario minimo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1963.
55. Francesco, discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti all'incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, Mercoledì, 11 ottobre 2017.
56. Ibidem.
57. Ibidem.
58. Querculanus (pseudonimo di p. G. Scalese), Fase B?, in http://querculanus.blogspot.it/2017/10/fase-b.html.
59.  Non “ingenuamente” come nel montanismo della Nuova Profezia o in certe eresie medioevali. Piuttosto in senso modernamente ermeneutico con l’interpretazione che è l’unica verità della Rivelazione e l’interpretazione che è sempre necessariamente processuale e cangiante. La Rivelazione si darà dunque continuamente nell’incessante azione ermeneutica.

29 commenti:

irina ha detto...

Non ho ancora finito la lettura, devo andare. Un solo pensiero:

Se si ascolta con attenzione, un bambino, un vecchio, anche il più bizzarro tra i viventi, si riesce a tirar fuori una bibliografia di peso: quella meglio conosciuta da chi ascolta.

Anonimo ha detto...

Concordo con Irina, questi studi somigliano tanto alle recensioni della critica davanti a un quadro di Pollock, Rothko o Fontana, rappresentano il nulla cosmico, eppure hanno delle recensioni che potrebbero riempire intere biblioteche.
Le vere opere d'arte sono quelle dei critici stessi che riescono a tirar fuori significati reconditi, mirabolanti e infiniti là dove c'è il niente assoluto.

Dorotea Lancellotti ha detto...

L'8 MARZO CHE VOGLIO FESTEGGIARE per me e per tutte le donne... Auguri veri ;-)
"Donna se' tanto grande e tanto vali che qual vuol grazia ed a te non ricorre sua disïanza vuol volar sanz'ali."
Con tali versi Dante propone un modo per orientarsi verso mete più alte e più vere (la grazia cui si anela) attraverso di lei, la Donna che tanto grande e tanto vale.
Avs Maria!

Anonimo ha detto...

Se si ascolta con attenzione, un bambino, un vecchio, anche il più bizzarro tra i viventi, si riesce a tirar fuori una bibliografia di peso: quella meglio conosciuta da chi ascolta.

Concordo. Non so se avete presente il film "Oltre il giardino" ("Being there"), interpretato ai massimi livelli da Peter Sellers. Il protagonista è un minorato mentale, sempre vissuto come giardiniere alle dipendenze di un gentile signore, e totalmente isolato dal mondo. Per circostanze fortuite, capita in casa di un influente politico e le sue frasi banali tipo "prima si semina poi si raccoglie" vengono interpretate come i consigli di un grande esperto di politica ed economia, tanto che sul finale si intuisce che potrebbe addirittura venire candidato alle presidenziali.

Francamente l'unico pensiero strutturato di Papa Francesco mi pare riassunto in due punti: il primo, una qualche versione di apocatastasi (dove al massimo all'inferno ci resta qualche diavolo e qualche "rigido"); il secondo, "faccio quello che voglio senza rendere conto a niente e a nessuno".

Anonimo ha detto...

Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell'essere umano nella gioia e nel travaglio di un'esperienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita.

Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente il tuo destino a quello di un uomo, in un rapporto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita.

Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita sociale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità e della tua costanza.

Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l'indispensabile contributo che dai all'elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del « mistero », alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità.

Grazie a te, donna-consacrata, che sull'esempio della più grande delle donne, la Madre di Cristo, Verbo incarnato, ti apri con docilità e fedeltà all'amore di Dio, aiutando la Chiesa e l'intera umanità a vivere nei confronti di Dio una risposta « sponsale », che esprime meravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire con la sua creatura.

Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani.

Giovanni Paolo II

Silvano ha detto...

https://www.maurizioblondet.it/prepararsi-al-collasso-dei-debiti/

Anonimo ha detto...

Mah, giuro, in questi penosi 5 anni di regno, mai mi è passato per la mente che fosse un filosofo, sinceramente sarebbe come dire che la terra è quadra perché così la dipinge e la vede il soggetto preso in questione.......però Basquiat è meglio di Pollock. Un pensiero per tutte le donne del blog, che mi paiono la maggioranza, ma il retropensiero è che lo siete 365 giorni all'anno e non solo l'8 marzo, con tutto il rispetto per le operaie morte. Lupus et Agnus.

Ad Superna semper intenti ha detto...

Il testo è interessante ma pecca di un grave limite perché giudica Francesco prevalentemente in confronto con la filosofia e la cultura attuale o del novecento.
È come giudicare Basilio Magno (per fare un esempio) sulla scorta della cultura platonica o neoplatonica indicando come il santo cappadoce vi abbia attinto. Giudizio parziale e fuorviante!

Quando ci avviciniamo ad un autore ecclesiastico si deve, al contrario, notare in lui in quale misura esiste continuità con la tradizione cristiana che lo precede pur dinnanzi a qualche apparente discontinuità dovuta all'utilizzo di un nuovo linguaggio. Oltre a ciò, si deve notare come la perenne fede si sia incarnata nel nuovo contesto culturale. Basilio Magno, formato asceticamente (questa è la prima formazione ed è la più importante, oggi dimenticatissima!) e maturato nella fede, si era pure formato accademicamente in quelle che erano le migliori scuole del tempo.

Ha saputo dunque "tradurre" simbolicamente il contenuto della fede nel linguaggio del suo tempo (non di rado forgiando nuovi significati alle parole pre-esistenti, perché il primato per un cristiano va sempre alla fede, non al significato profano delle preesistenti parole!).

L'eresia nel Cristianesimo si contraddistingue, invece, proprio per aver PIEGATO i significati cristiani in quelli non cristiani, utilizzando filosofie e termini ancora pienamente pregni di valori culturali precedenti al Cristianesimo.

Per esprimersi, il Cristianesimo ha bisogno di fare una cultura simile ma DIFFERENTE da quella del contesto che lo circonda altrimenti non esprime più se stesso.

Con questi chiari riferimenti in mente, ognuno può ben capire dove si colloca Francesco e come, questo libro che ne giudica il pensiero in modo elogiativo, ne distrugga completamente la figura, dal punto di vista prettamente e tradizionalmente cristiano.

mic ha detto...

Con questi chiari riferimenti in mente, ognuno può ben capire dove si colloca Francesco e come, questo libro che ne giudica il pensiero in modo elogiativo, ne distrugga completamente la figura, dal punto di vista prettamente e tradizionalmente cristiano.

Conoscendo l'autore dell'articolo, credo che ne sia ben consapevole!

Anonimo ha detto...

Sono veramente stupito dai primi commenti. Se non si capisce che papa Francesco ha una sua ben netta filosofia si finisce col denigrarlo senza costrutto.
Ebbene papa Francesco invece è a suo modo filosofo ed il libro lo rende evidente.
Il punto è che la sua filosofia sostanzialmente hegeliana (ne fa fede la negazione del principio di non contraddizione comune a tutti gli adepti), aperta all’esistenzialismo e al primato dell’azione e dell’ermeneutica, è – come ben evidenziato da Nomadeo – radicalmente rivoluzionaria, immanentista, giustificatrice dell’esistente e del suo evolvere, quindi serva del potere e incompatibile col Cristianesimo.
Cosa dobbiamo ancora aspettare per non considerarlo più vicario di Nostro Signor Gesù Cristo??
Con buona pace di don Curzio, un conto è un pessimo papa ed un altro è un papa eretico che per di più odia tutto ciò che attiene alla nostra fede (ricordo la tesi di San R. Bellarmino).
Non capirò mai, come ho avuto modo di dirgli personalmente, chi (prof. Radaelli) fa strame della teologia di papa Francesco e poi se ne proclama figlio o chi ancora demolisce lo pseudo-cattolicesimo dell’emerito e poi lo supplica di ravvedersi.
Anch’io spero che, soprattutto l’emerito, rinsaviscano, ma mi sembra enormemente più urgente aprire gli occhi a chi in questi anni non si è accorto di nulla.
La verità comunque si fa strada. Francesco Lamendola con l’articolo la nefasta giornata del perdono ha finalmente evidenziato la estraneità con la fede cattolica di quanto detto da Giovanni Paolo II il 12 marzo 2000. È un episodio che conosco a fondo perché ha causato una rottura insanabile tra aderenti ad un cenacolo mariano familiare, spaccatosi tra chi non concordava e chi continuava a scommettere sull’infallibilità del papa polacco.
Inutile ripetere che l’inizio è stato il Concilio Vaticano II: da allora una nuova religione è in fieri, mentre la nostra viene denigrata, tradita, venduta (v. Cina).
OS

mic ha detto...

«La donna che nel paganesimo era caduta al più infimo grado di abbiezione, fu dal Cristianesimo elevata a tanta dignità che essa meritò in Caterina di essere fatta partecipe del Gerarca Supremo del governo universale della Chiesa, e di entrare quasi arbitra e moderatrice nei destini del mondo. Certo è che nel mirare la missione altissima e la virtù e le opere meravigliose di Caterina, ella ci apparisce la più gran donna che abbia formata il Cattolicismo».

(La Civiltà Cattolica, Anno VIII, Serie III, Vol. VIII, 4 dicembre 1857, p. 592)

Rr ha detto...

Lupus,
sec. alcune cose che ho letto qua e là, pare che le operaie non morirono affatto. O se morirono, non fu l’8 di marzo. O non a New York. O forse non erano neanche operaie. Insomma una “fake news” d’ antan , di cui si servi Vladimir per la solita propaganda.
Vladimir: non Putin, Lenin.

Anonimo ha detto...

Appare sempre più evidente lo scollamento di questo Pontificato con quelli precedenti, appare sempre più evidente che ciò che si vuole ribadire NON è la Dottrina sociale della Chiesa, ma ‘la chiesa sociale di papa Francesco’ con tutto il suo stile e con tutta l’imposizione al suo specifico magistero SOCIALE senza dottrina.
(Cit. Ester Maria ledda)

Ad Superna semper intenti ha detto...

Fuori argomento ma ne vale la pena.

Su "opportune importune" il solito Baronio se ne esce dicendo che i martiri cristiani sono morti per delle idee cristiane, a differenza dei modernisti che non si sacrificherebbero di certo per le loro idee eretiche.
Questo concetto l'ho più volte confutato ma vale la pena, qui, rifarlo di nuovo perché tocchiamo esattamente i fondamenti del Cristianesimo. Incollo la critica (breve!) perché è molto importante che venga considerata.
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I cristiani non muoiono per delle idee, i cristiani muoiono per Cristo, sentito ed esperito nella Grazia, e la cosa è profondamente diversa.
Nel primo caso siamo davanti ad un Cristianesimo ridotto a idealismo (dove implicitamente Cristo non ci riguarda ma ci tocca solo una ideologia - ortodossa o meno questo è secondario - che desumiamo dalla rivelazione).
Nel secondo caso il soggetto agente e sotto gli occhi di chi lo testimonia e muore è Cristo, e la pratica ascetica e spirituale sono centrali nella vita ecclesiale, non marginali o pensate per soli "colli torti" o anime femminee.
Questo può sfuggire o non essere sufficientemente valutato solo da chi ha perso le essenzialità e le ha confuse con le idee, appunto, poiché si pensa che solo le idee e il puro ragionamento sia espressione di serietà.
Ma le idee non sono nulla se divengono fine se stesse, sono una camera a specchi dove si può discettare di tomismo o di esistenzialismo cristiano all'infinito e poi vivere contrariamente a ciò che si dice ...
Così si vede ancora una volta e ancora di più come certo tradizionalismo cattolico raggiunge le stesse conclusioni (idealistiche) dei progressisti. D'altra parte sono entrambi frutti dello stesso albero...

irina ha detto...

"...Ebbene papa Francesco invece è a suo modo filosofo ed il libro lo rende evidente..."

A loro modo tutti sono filosofi, basta vivere e si raccolgono pensieri; anche negli ambienti più poveri, spiritualmente e culturalmente, si trova una filosofia, ormai stracciata ma, è presente. Spesso ho usato la parola orecchiante che meglio definisce, a parer mio, la sua situazione. Orecchianti, in molti campi lo siamo tutti.In alcuni campi però, non abbiamo usato solo l'ascolto, più o meno distratto, ma abbiamo applicato molte altre nostre capacità. Da Francesco uno si sarebbe aspettato l' aver metabolizzato, assimilato, più profondamente la parola di NSGC, così non è stato. Quel suo filosofare fa da filtro alla parola di NSGC e non viceversa come dovrebbe essere ad un certo punto della vita. Forse l'abito del cristiano, che viene dato al Battesimo, non è mai diventato suo proprio, non è stato individualizzato. Sono misteri insondabili, dove solo NSGC sa mettere le mani.

Anonimo ha detto...


Generalizzazioni e oscurità

-- "La donna che nel paganesimo era caduta nel più infimo grado di abiezione"

Detto così, è una generalizzazione inaccettabile. Cornelia, madre dei Gracchi, tanto per
ricordare un nome, dice qualcosa? Sarebbe più esatto dire che l'abiezione della donna la si riscontra soprattutto nel paganesimo decadente, quando avanzavano certe mode orientali e si erano perse le virtù di un tempo, le donne volevano essere uguali, divorziavano, abortivano.
Nell'epoca della Repubblica, per le madri italiche avere 6 o 8 figli era cosa normale. La matrona nella società romano-italica era molto rispettata.

-- Appare oscura la distinzione tra "idee cristiane" e "Cristo".

Le "idee [e i valori] cristiani" per i quali si dovrebbe testimoniare anche a prezzo della vita, non sono forse le idee che si ricavano dall'insegnamento di Cristo, testimoniato nei Vangeli, dalla Tradizione e mantenute nel Deposito della Fede dall'insegnamento costante del Magistero, sino al Vaticano II escluso?
X.

Anonimo ha detto...


L'elogio iperbolico della donna, in generale, fatto da GPII, lubrifica la superbia femminile

Sino a che punto si accorda con quanto dice "della donna" san Paolo nelle sue Epistole?
Mi sembra che di elogi ne dispensi piuttosto pochi. Ancor meno agli uomini, del resto.
Ci vedeva giustamente tutti, maschi e femmine, come peccatori che sarebbero andati in dannazione se non si fossero convertiti a Cristo. Tutto il resto non contava. Invece oggi
conta solo tutto il resto e nessuno viene più considerato cristianamente ossia come peccatore bisognoso della salvezza!
Alle donne san Paolo spiega che non devono comandare, che devono sposarsi, far figli, non pretendere di parlare in pubblico, essere modeste, pie, virtuose, fedeli. Agli uomini, che
devono rispettare le loro donne e trattarle con onore; hanno autorità su di esse ma anch'essi vengono dalla donna e quindi non c'è da vantarsi per l'autorità di cui devono godere su di esse, perché così Dio ha voluto. Ricorda poi loro il peccato di Eva: fu essa la prima a trasgredire, per vanità, e Adamo, sciocco, la seguì (invece di darle una sberla, questo però san Paolo non lo dice, è una mia aggiunta, si capisce).
Insomma, GPII e in generale la Gerarchia postconciliare hanno sconsideratamente posto le basi di un femminismo cattolico, una cosa particolarmente ripugnante.
(Quando si elimineranno le Giornate Mondiali di questo e di quello, a cominciare da quella della Donna? Sono festività ipocrite, all'insegna di buoni sentimenti nei quali non crede nessuno)
Z.

Anonimo ha detto...

"la sua filosofia sostanzialmente hegeliana"
è vero, confrontandosi con una antitesi (per esempio Lutero) riesce sempre a farne una sintesi.

Anonimo ha detto...

@OS

Credo che Irina abbia ben sintetizzato con "A loro modo tutti sono filosofi, basta vivere e si raccolgono pensieri". L'idealismo hegeliano, e non solo, permeano tutta la società moderna. Se vado al circolo ARCI vicino a casa mia, sicuramente trovo il barista impregnato di idee che affondano le proprie radici in quelle filosofie. Ne devo dedurre che quel barista è filosofo? O semplicemente che è figlio del proprio tempo?

Per quanto riguarda la mia personale opinione, credo che veramente Bergoglio abbia pochissime idee, tranne che lui è intelligentissimo e capisce tutto e, finalmente, dopo una vita di frustrazioni (perché non c'è stato incarico che abbia ricoperto in cui non sia stato contestato) ora può imporsi al mondo, non avendo autorità umane a cui obbedire e godendo dell'appoggio di tutti i media. Lascia liberi di scorrazzare quelli che hanno contribuito alla sua elezione, e alcuni di questi - tipo Kasper - possono certamente essere definiti filosofi ed avere sviluppato un pensiero coerente.

irina ha detto...

@ Z.

Anche qui questo argomento, non è mai stato affrontato in modo cattolico, nè cristiano se vogliamo metterci dentro anche eretici e scismatici, visto che anche loro il problema l'hanno. Ora non posso dedicare che pochi minuti ancora, quelli necessari per sottolineare l'importanza che riveste questo tema, che necessita di essere affrontato, senza pregiudizi e senza ideologie ma, secondo quanto ci viene dalla Rivelazione, dalla Tradizione di sempre.

Anonimo ha detto...


Perplessità "filosofiche"

Che "l'idealismo hegeliano" permei tutta o quasi la società moderna è affermazione che lascia a mio avviso del tutto perplessi.
Le idee dominanti nella società moderna vengono piuttosto da altre fonti: dalla psicoanalisi, da Nietzsche, dall'esistenzialismo, dalla sociologia volgare, dal marxismo volgare, dallo scientismo (mito della scienza che tutto spiegherebbe, anche la morale), dall'odio per la trascendenza e la vera religione (irreligiosità spesso mascherata da pseudoreligiosità di tipo esoterico), e chi più ne ha più ne metta: il tutto confluente in un irrazionalismo a sfondo nichilista sicuramente non riconducibile a Hegel, ma nemmeno ad un Marx.
PP

Anonimo ha detto...

Un piccolo link che può aiutare ad approfondire certe tematiche:

http://traditioliturgica.blogspot.it/2018/03/ideologia-o-realismo-cristiano.html

Grazie per l'attenzione.

Anonimo ha detto...

Penso che con "idealismo hegeliano" si intenda piuttosto il pensiero immanentistico che permea la società, di cui Hegel fece un sistema. La filosofia di Bergoglio, come modo di vedere il mondo, è impregnata dell'idealismo che lui accolse dalle fonti che gli autori del suddetto libro elencano. La società odierna è atea perché immanentista. Questo modo di rapportarsi alla realtà rimanendo sempre nel soggetto fece di Dio una proiezione e delle cose una mia rappresentazione. Da qui la deriva e l'incrociassi di differenti sistemi filosofici.

Epifanio

Anonimo ha detto...


Sul supposto "hegelismo" di Bergoglio e del nostro tempo

Si evince dall' articolo che, se c'è un'influenza di Hegel nel "pensiero"di
Bergoglio si tratterebbe comunque di un Hegel di seconda mano ossia come
filtrato nelle categorie di Blondel, Ricoeur, Pareyson...C'è anche Maritain, mi
pare. Non basta evocare il tema della "lotta per il riconoscimento" o della
"conciliazione" degli opposti per parlare di una sostanziale presenza di Hegel.
Queste categorie sono diventate comuni nella filosofia contemporanea ma, più
che come appaiono nella Fenomenologia dello Spirito, come rielaborate da Marx
e in ultimo dalla Scuola di Francoforte. Non basta nemmeno, a mio avviso,
veder apparire (o creder di vederlo) uno schema del tipo tesi-antitesi-sintesi, per
parlare di "hegelismo". Quello schema lo ritroviamo anche nel marxismo cosiddetto
"volgare", nella filosofia della natura di Engels e come canone ossessivo nel
materialismo dialettico sovietico, felicemente defunto (a quanto pare).
Ma a parte questo, a me sembra che non si possa dire, nel caso di Bergoglio, che la Dottrina rappresenti la tesi rispetto alla antitesi della nuova pastorale, che dovrebbe produrre la sintesi della Nuova Dottrina. E per questo motivo: la tesi non può essere la Dottrina di sempre per il semplice motivo che la dottrina, come concetto di principi e verità che precede l'azione e ne verifica la correttezza dogmatica, per Bergoglio semplicmente non esiste. Prima viene blondelianamente (e non, hegelianamente) l'azione, che si costruisce la sua dottrina muovendo dalla prassi stessa, dal suo "farsi", per così dire. Allora: prima viene l'idea eterodossa di un'azione che non ha bisogno della dottrina di sempre, per far scaturire una dottrina aderente ai nuovi bisogni dell'umanità ossia agli errori dilaganti nel Secolo ateo e miscredente. Qui non abbiamo alcuna "dialettica" ma solo la contrapposizione di una concezione gravemente eterodossa del cristianesimo a quella ortodossa. Lo scontro è frontale e bisogna renderlo tale anche per il popolo, cosa che dovrebbero fare i famosi Dubia, che finora invano stiamo aspettando.
Circa il senso del principio d'immanenza come inteso oggi, direi che siamo ben oltre Hegel (che certo ha aperto la via, per molti aspetti), siamo all'immanentismo dell'etica "della situazione", del "progetto" heideggeriano, dell'essenza dell'uomo vista nella sua semplice esistenza o Dasein (concetto che Hegel avrebbe sicuramente aborrito).
PP

Delta del fiume o delta del fumo ? ha detto...

Cosa dicono gli ex anglicani sulla comunione ai divorziati risposati
http://blog.messainlatino.it/2018/03/cosa-dicono-gli-ex-anglicani-sulla.html

Anonimo ha detto...

Caro Z,

Riguardo al suo commento dell’8 Marzo alle 20:50, le consiglio di leggere questo http://isoladipatmos.com/amoris-laetitia-concupiscenza-e-matrimonio-il-pensiero-dellapostolo-paolo/ articolo, onde evitare di dogmatizzare ciò che nemmeno la Chiesa ha mai dogmatizzato.

Salve.

Marco Porfili

Anonimo ha detto...

ma c'era bisogno ?
https://benedettoxviblog.wordpress.com/2018/03/11/attico-bertone-la-versione-del-cardinale-ristrutturazione-e-unione-dei-due-appartamenti-concordate-con-bergoglio/

Anonimo ha detto...


# Marco Porfili

Grazie del cortese invito. Ma in certe isole preferisco non avventurarmi,
per via dei bassi fondali.
Cordialmente,
Z.

Anonimo ha detto...

Oh , meno male mi preoccupava che non ci fossero ....
http://www.catholicherald.co.uk/commentandblogs/2018/03/09/analysis-married-priests-likely-to-be-on-2019-synod-agenda/