Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 4 giugno 2023

Per una formazione tradizionale dei sacerdoti diocesani

Ringrazio Rex Novae e riprendo l'interessante articolo di don Claude Barthe riguardante il problema della carente formazione sacerdotale dei seminari diocesani post-conciliari e delle diverse iniziative volte a superare il deficit ormai universalmente riconosciuto come concausa di una crisi non più eludibile. Problema nel problema è che nonostante il riconoscimento delle radici conciliari della crisi, si tende ad un superamento che rischia di arrivare a soluzioni ambigue per effetto di un conservatorismo ibrido di conio pur sempre conciliarista.

Per una formazione tradizionale dei sacerdoti diocesani
Don Claude Barthe

Uno dei principali segni dell’attuale crisi è il crollo nel numero delle vocazioni sacerdotali nelle diocesi. In altri contesti, tradizionali o molto conservatori, continuano a sbocciare. Anche in questo caso, come in altri ambiti già esaminati in precedenza – catechismo, liturgia, predicazione sui fini ultimi – si tratterebbe di riportare al centro della Chiesa ciò ch’è stato ricacciato alla periferia, nella fattispecie la formazione dei sacerdoti secondo un modello tradizionale.

Vivere nella dinamica del provvisorio
Nei diversi articoli, che abbiamo pubblicato per prender parte ad una riflessione su di una vera riforma della Chiesa, abbiamo insistito sul fatto che convenga puntare ad una situazione futura, ancora non avviata, cioè ad un processo di transizione verso un ritorno all’ordine (magisteriale, liturgico), a partire da una situazione attuale, in cui coloro che sono consapevoli del disordine, in nome dell’istinto della fede (sensus fidei -ndr), sono stati costretti ad organizzarsi per salvare il salvabile (preservare il catechismo, la liturgia, le vocazioni).

Ma queste misure di salvaguardia devono essere assunte in vista del fine da raggiungere, una restaurazione nel pieno senso della parola. Per farlo, bisogna convincersi che per il momento ci si trova in una «dinamica del provvisorio». È l’espressione di Frère Roger di Taizé, la cui prospettiva, quella di un fumoso romanticismo ecumenico, non è evidentemente la nostra, salvo per quanto concerne la denuncia di un pericolo d’accomodamento, ch’è poi il suo argomento-chiave: a Taizé, si ha la convinzione che quanto ci caratterizzi «un giorno dovrà sparire», che i nostri attuali elementi organizzativi siano «strumenti, che ci permettono di mantenerci nella speranza», che non siano altro che «dati provvisori»[1].

Questo pericolo esiste oggi da parte di sacerdoti e vescovi, che gestiscono una Chiesa plasmata dallo spirito del Concilio e che non giungono ad immaginare che se ne possa uscire. Nel migliore dei casi, essi riducono i loro sforzi per superare la crisi a dei tentativi riformisti, senza una radicale messa in discussione (cercando cioè di andare alle radici della stessa crisi), tentativi, che, con la forza della rivoluzione, si rivelano sempre deludenti. Ma questo pericolo esiste anche in tutti coloro che, in varia misura, siano entrati nell’«opposizione» – liturgia, teologia, catechismi, scuole cattoliche, seminari – e che sembrano non immaginare – loro non più – che si possa un giorno uscire dalla situazione di marginalità, in cui viene confinata la loro azione, tanto che venga tollerata (FSSPX) quanto che venga ufficialmente validata, ma come realtà fuori dalla norma comune (istituti ex-Ecclesia Dei).

Va considerato come le comunità tradizionali (ed anche quelle conservatrici, come la Comunità Saint-Martin) dipendano di fatto storicamente dalla fondazione da parte di mons. Lefebvre a Friburgo, in Svizzera, nel 1969, poi a Ecône nel 1970-71, di una casa di formazione sacerdotale, causa ed elemento essenziale della costituzione di una comunità[2]. Il seminario era dunque il cuore di un’associazione sacerdotale (detta, vigente il vecchio Codice di Diritto canonico, «pia unione») di diritto diocesano, eretta nel 1970 nella diocesi di Friburgo e soppressa nel 1975. Con l’internazionalizzarsi di tale società, altri seminari sono stati fondati in Germania, Stati Uniti, Argentina. Quando, a partire dal 1988, sono stati creati gli istituti Ecclesia Dei come società apostoliche di diritto pontificio, esse hanno riprodotto questo schema, ciascuna con il suo proprio carisma, di società destinate principalmente alla formazione tradizionale (liturgia, filosofia, teologia) di sacerdoti in seminari concepiti per questo scopo, Wigratzbad, Gricigliano, Courtalain, ecc. in funzione della celebrazione della messa tradizionale.

Tale specificità attira sempre nuovi candidati ed in gran numero – almeno relativamente al contesto di crollo proprio dei seminari diocesani -, ma la loro identità liturgica, che ne è il cuore, li spinge anche ai margini, il che significa che i sacerdoti, formati in questi seminari, hanno un apostolato, certo, relativamente importante[3], tuttavia ben distinto dall’apostolato «ordinario» delle parrocchie e delle diocesi.

Sull’importanza delle zone di confine
Questa netta divisione in territori separati impedisce o ostacola considerevolmente una tradizionalizzazione liturgica, catechetica, dell’intero spazio ecclesiale, senza che ciò significhi l’adozione immediata nelle parrocchie ordinarie del rito antico. Ma questa tradizionalizzazione liturgica rappresenterà il cuore della transizione ecclesiale da promuovere. È, se si vuole, il grosso boccone da far digerire, essendo generalmente il resto – filosofia, teologia, omelie, catechesi tradizionale – «ciò che va con» la liturgia.

Ecco perché attualmente sono di maggiore interesse queste zone di frontiera: parrocchie personali dedicate alla liturgia tradizionale, che si integrano canonicamente nel paesaggio diocesano ed, in certi casi rari, possono essere anche affidate a sacerdoti diocesani; parrocchie «ordinarie», in cui preti diocesani hanno adottato la liturgia tradizionale, il più delle volte accanto alla liturgia nuova; diocesi in cui queste zone di frontiera si sono moltiplicate, come quella di Fréjus-Tolone in Francia, di Albenga in Italia, tra le più significative, ma l’una e l’altra sono state prese di mira con misure disciplinari. È inoltre in queste diocesi, che si è potuto e che si potrà trovare, in tempi di maggiore libertà, dei seminari disposti ad impegnarsi in questo cammino di tradizionalizzazione, come è avvenuto, ad esempio, nella diocesi di Ciudad del Este, in Paraguay, con il suo fiorentissimo seminario di San Giuseppe, aperto nel 2004, ma rimesso in linea dieci anni più tardi.

In ogni caso, occorre fare nel clero diocesano un’infusione – qualora la metafora non sembrasse inopportuna – di sacerdoti di formazione tradizionale. Un’evoluzione in questo senso suppone un duplice movimento, da parte dei vescovi e da parte delle comunità tradizionali o molto conservatrici.

Da parte dei vescovi, presuppone un’ufficializzazione di preti di questo tipo, formati e ordinati in comunità tradizionali oppure educati nelle diocesi ed auto-riciclatisi, per così dire, ma la cui pratica liturgica ha finora respinto o mantenuto ai margini. Allo stesso modo ciò presuppone un’autentica integrazione delle comunità tradizionali o delle comunità più conservatrici nell’apostolato ufficiale. Se è vero che, per entrare con decisione in un processo di transizione, la pratica dell’usus antiquior come forma eminente della liturgia rappresenterà un criterio per l’avvio di un risanamento, è altrettanto vero che una lex orandi perenne è il segno di una lex credendi immutata.

Ci si consenta di rinviare ad una piccola opera, [4] [La messa dalla parte dritta. Un nuovo movimento liturgico], in cui trattiamo gli elementi di una «riforma della riforma» ovvero di un processo graduale di passaggio, più o meno rapido, da uno stato «ordinario» della liturgia parrocchiale ad uno stato tradizionale (orientamento verso il Signore, ripresa progressiva dell’uso della lingua liturgica latina, comunione sulle labbra, utilizzo del canone romano, uso dell’offertorio tradizionale), il tutto aiutato dalla presenza parallela e considerata come normale – meglio, normativa – della forma tradizionale del rito romano.

Ma è importante anche che i gruppi, gli istituti, le comunità, mantenuti ai margini, accettino i rischi di perdita della propria identità, che inevitabilmente comporta il fatto d’esser ricondotti «al centro». Questi rischi sono molto reali, l’esperienza lo prova: la normalizzazione non sia scipitezza.

Queste comunità tradizionali, insistiamo, sono sorte concretamente dalla crisi attuale come sorta di palliativi. È chiaro che la stragrande maggioranza dei giovani, che si rivolgono ad esse per entrare nel clero, normalmente sarebbe entrata nel clero diocesano e questa osservazione vale anche per le comunità più conservatrici fondate dopo il Concilio. Qualora, dunque, si considerino queste comunità come vivai di preti formati in modo tradizionale, esse possono essere in grado di alimentare le diocesi e le parrocchie con tali sacerdoti, a condizione che si stabilisca un alto grado di fluidità. Tali comunità potrebbero aiutare eventualmente i preti diocesani, che lo desiderino, a completare o rettificare la propria formazione, essere in una parola luoghi di… riciclaggio. Ed anche in un secondo tempo, come fecero in passato le congregazioni specializzate nella formazione del clero diocesano (la Compagnia di San Sulpicio) o le congregazioni in grado di svolgere questo servizio (Eudisti, Spiritani, Lazzaristi), farsi carico dei seminari diocesani, facendo sì che la correttezza dottrinale si coniughi con la coltura di una competenza scientifica adeguata dal punto di vista teologico, storico, esegetico.

* * *
L’evocare i figli di M. Olier, di san Jean Eudes, di Claude Poullard des Places, di M. Vincent rimanda alle comunità, che hanno animato questa parte essenziale – il cuore del suo cuore – della Controriforma ossia la formazione del clero e l’inquadramento dei seminari. Evidentemente la «temperatura» cristiana del nostro tempo non potrebbe, ahimé!, essere paragonata al fuoco ardente del «secolo dei santi», secondo l’espressione di Padre Amelote, biografo di Condren. Tuttavia è chiaro come le intuizioni di questi grandi fondatori, che non sono state necessariamente seguite fino in fondo e che possono essere ampliate, restino di grandissimo interesse. È il caso della formazione dei seminaristi in una comunità di preti legati ad una parrocchia, quella di Saint-Nicolas-du-Chardonnet d’Adrien Bourdoise e quella di Saint-Sulpice de Jean-Jacques Olier. Non è forse l’idea, che aveva animato la creazione da parte del cardinal Lustiger di un sistema specifico di formazione dei seminaristi – idea che peraltro non era più stata interamente sviluppata – in luoghi annessi alle parrocchie, con corsi seguiti in una scuola avente il rango di università? Poiché, se è evidente che la formazione dei preti dev’essere oggi sostanzialmente quella spirituale, filosofica, teologica voluta dalla riforma tridentina, bisognerà anche adattarla in funzione di un contesto completamente differente, non solamente dal XVII e XVIII secolo – o anche da periodi ancora ricchissimi dal punto di vista delle potenzialità ecclesiali, quali furono gli Anni Trenta e Cinquanta del XX secolo -, bensì differenti addirittura dalla situazione dell’immediato post-Concilio, quando, in pieno incendio, l’urgenza della salvaguardia prevalse su qualsiasi altra considerazione.
Don Claude Barthe
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[1] Frère Roger, Dynamique du provisoire [Dinamica del provvisorio], Presses de Taizé, 1965 ? p. 100.
[2] Mons. Lefebvre ha insegnato una spiritualità sacerdotale sul modello della Scuola francese, ricevuta tramite Claude Poullard des Places e Padre Libermann, rispettivamente fondatore e rifondatore dei Padri dello Spirito Santo e ciò fin alle audacie teologiche di questa scuola. Allo stesso modo, la qualificazione del carattere sacerdotale come una certa partecipazione all’unione ipostatica.
[3] Nella detta città francese, l’apostolato domenicale dei preti della FSSP e quello dei preti della FSSPX riunisce, ciascuno, più fedeli di quanti ne riuniscano le messe in cattedrale.
[4] Carnet Hora Decima, edizioni de l’Homme Nouveau, 2010. (https://hommenouveau.aboshop.fr/common/product-article/19)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

IN FESTO SS. TRINITATIS ("Benedicta sit")

Benedicta sit sancta Trinitas atque indivisa Unitas: confitebimur ei, quia fecit nobiscum misericordiam suam. (Ps.8,2) Domine, Dominus noster, quam admirabile est nomen tuum in universa terra!
V Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto. Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculorum. Amen. – Benedicta sit (usque ad Ps.).

Anonimo ha detto...

LE RELAZIONI TRA LE DIVINE PERSONE

La fede, che i santi patriarchi e profeti che ricevettero dal cielo prima dell’Incarnazione del Figlio di Dio, i Santi Apostoli l’hanno ascoltato dal Signore stesso, durante la Sua vita terrena e, formati dal magistero dello Spirito Santo, essi hanno non solamente predicato con la parola, ma anche affidato allo scritto per la salutare istruzione della posterità. Questa fede proclama un solo Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Ma la Trinità non sarebbe veritiera se una sola e medesima persona si chiamasse Padre, Figlio e Spirito Santo.

Infatti se la persona del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo fosse unica come unica è la loro sostanza, non si avrebbe motivo di denominarla veramente Trinità. Al contrario, vi sarebbe vera Trinità ma questa Trinità non sarebbe un solo Dio, se il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo fossero separati dalla diversità delle nature, come essi sono distinti l’uno dall’altro dalla proprietà delle persone. Ma è veramente della stessa natura del solo vero Dio Trinità non solamente essere Dio unico, ma anche di essere Trinità; perché lo stesso vero Dio è Trinità nelle persone e Unico in una unica natura.

Grazie a questa unità di natura, tutto il Padre è nel Figlio e lo Spirito Santo, il Figlio è tutto nel Padre e lo Spirito Santo, e lo Spirito Santo è anche tutto nel Padre e nel Figlio. Nessuno di essi sussiste al di fuori della sua relazione con le altre Persone, perché nessuno rispetto alle altre precede nell’eternità, sorpassa in grandezza, trascende in potenza. Infatti il Padre, quanto all’unità della natura divina, non è più antico o più grande del Figlio e dello Spirito Santo; allo stesso modo l’eternità e l’immensità del Figlio non sono più antiche o più grandi di quelle dello Spirito Santo e non possono, per natura, precederle o superarle.

FESTA DELLA SS. TRINITA'

S.FULGENZIO,
Inter opera Augusti, tom.3

Breviario Romano, Mattutino, Letture del II Notturno

Anonimo ha detto...

Gesù non ha detto: "Andate in tutto il mondo a dialogare" ma "andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura, fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".
Molto poco inclusivo, eh?