Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 1 ottobre 2018

Vultum Dei quaerere, cercare il volto di Dio: è ancora lecito?

Ripropongo, in quanto drammaticamente attuale, un testo pubblicato nel 2016, che stavo riprendendo nell'intento di approfondire alla luce dei successivi documenti Gaudete et exultate e Cor orans. Sospendo la mia fatica, riproponendomi di riprenderla se trovassi ulteriori spunti, dopo aver esaminato con l'attenzione che merita il recente trittico di Aldo Maria Valli che riporto a seguire.
Vi sto invitando ad un'analisi lunga e impegnativa; ma ho preferito raccogliere qui tutto il materiale per evitare la dispersione di collegarsi alla tripartizione seguita dall'Autore.
Tutto è iniziato con la deprecabile persecuzione dei Francescani e delle Francescane dell'Immacolata. Il documento Vultum Dei quaerere è la conferma dei timori da me espressi [qui] quando si cominciò a parlare di una “rifondazione” della vita religiosa, scoprendo che tra i cambiamenti rivoluzionari in atto, in un'intervista pubblicata da L'Osservatore Romano il 1 agosto 2014, il card. João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, affermava che Bergoglio lo aveva incaricato di rivedere la costituzione Sponsa Christi di Pio XII perché preconciliare (discorso collegato con quanto stava appunto accadendo alle Francescane dell'Immacolata). 

Vultum Dei quaerere: una Costituzione apostolica per il “rinnovamento” della vita claustrale.

Porta la data del 29 giugno 2016 ed è stata resa nota, passando quasi inavvertita, il 22 luglio scorso, ma è destinata ad avere una profonda incidenza su quello stato di vita che rappresenta la punta di diamante della Chiesa, quella vocazione che nel Corpo mistico esprime e realizza nel modo più estremo e radicale l’amore per Dio, senza il quale – è santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Doctor Ecclesiae, ad affermarlo – gli Apostoli non avrebbero annunciato il Vangelo e i Martiri non avrebbero versato il loro sangue, in quanto esso solo spinge all’azione i membri della Chiesa.
La posta in gioco dal punto di vista soprannaturale (l’unico adeguato da cui valutare la reale portata delle decisioni ecclesiastiche) è quindi altissima.

Chi, suo malgrado, si è familiarizzato con l’ecclesialese post-conciliare fiuta subito nel testo idee, intenti e movenze tipici di quel “rinnovamento” della vita religiosa che, di fatto, ne ha provocato quasi ovunque la scandalosa decadenza, avendo avuto per effetto la sua riduzione ad un genere di vita piccolo-borghese che si differenzia dal corrispettivo secolare solo per una comoda esenzione dalla necessità di lavorare e di assumersi responsabilità effettive. Non è il caso di infierire, insistendo su quel che è diventata la pratica concreta dei voti: quello di povertà (che esclude il possesso non solo nominale, ma anche di fatto), quello di castità (che esige la continenza perfetta) e quello di obbedienza (che comporta la rinuncia alla propria volontà individuale).

Veniamo al documento in questione. Ci sia consentita, per cominciare, qualche osservazione di carattere generale, nella speranza che non suoni irriverente a motivo dell’esigenza di obiettività e di franchezza da cui scaturisce. Innanzitutto, la vita monastica sembra concepita in funzione di qualcos’altro (testimonianza, segno, profezia...), piuttosto che per Dio solo e poi, di riflesso, come esempio per gli altri e sorgente di fecondità apostolica. È forse tramontato, nella Chiesa, il primato assoluto di Dio, unica giustificazione legittima e plausibile delle vocazioni contemplative?
A partire da questa prospettiva distorta vengono date disposizioni spesso vaghe o astratte, miranti a risolvere problemi per lo più non reali, ma sollevati per ragioni di sapore ideologico, derivate da ideali irrealistici ed eventualmente idonee a far da copertura a intenti surrettizi.

Occorre altresì rilevare che le citazioni inserite nel testo (Scrittura, Padri, Magistero) sono spesso forzatamente piegate a conferma del discorso, di tono tipicamente modernista: siccome la vita claustrale è una sfida per il nostro tempo, bisogna cambiarla. Si fatica a comprendere la logica di tale tacito assunto, a meno che non si voglia snaturare la vocazione che fin dalle origini costituisce il più efficace antidoto contro la corruzione e l’intiepidimento del popolo cristiano. Il sospetto è confermato dall’insistenza del decreto sulla necessità di formazione permanente, collaborazione tra monasteri, appartenenza a federazioni: è difficile non pensare ad una volontà di ingerenza nella vita monastica e a un metodo di indottrinamento, visti i bei risultati prodotti sui religiosi in genere dallo studio della cattiva teologia e dall’influenza degli organismi associativi…

Per non rimanere nell’astratto, a mo’ di esemplificazione citiamo alcuni passi della Costituzione apostolica apponendovi rispettosamente delle osservazioni sulla base dell’immutabile dottrina e prassi propria della tradizione cattolica.
Al paragrafo 3 si parla di ricerca sempre incompiuta di Dio: ciò è ammissibile solo a livello soggettivo, non a livello oggettivo, dato che la Rivelazione divina si è compiuta in Cristo. Al numero 4 si legge poi: «Le comunità di oranti, e in particolare quelle contemplative, […], non propongono una realizzazione più perfetta del Vangelo ma, attuando le esigenze del Battesimo, costituiscono un’istanza di discernimento e convocazione a servizio di tutta la Chiesa». La prima parte della proposizione, contenente la negazione, è in modo evidente falsa, dato che la vita religiosa è sempre stata considerata via di perfezione evangelica; la seconda parte (quella affermativa) è semplicemente incomprensibile.
§ 6: si evoca «l’unico Signore che offre pienezza alla nostra esistenza». Si intende solo la vita terrena? E la vita eterna? Et exspecto resurrectionem mortuorum et vitam venturi saeculi!
§§ 7-8: rinnovamento adeguato alle mutate condizioni dei tempi; mutate condizioni socio-culturali: la perfezione evangelica non va bene a tutti i tempi e luoghi? Visto che gli attuali tempi e condizioni sono segnati dall’ateismo pratico di massa, i contemplativi dovrebbero forse adeguarsi ad esso?
§ 8: «Questo tempo ha visto un rapido progresso della storia umana: con essa è opportuno intessere un dialogo». Bisogna precisare di quale tipo di progresso si parli, dato che al progresso tecnologico non corrisponde un progresso morale. Ci chiediamo inoltre in che consista il dialogo con la storia, a meno che non si intenda ciò che la Chiesa ha sempre fatto: interpretare e giudicare eventi e processi storici alla luce del Vangelo.
§ 13: la configurazione al Signore Gesù è un obiettivo che si è sempre perseguito con l’ascesi, la preghiera e l’esercizio della carità, non anzitutto con la formazione intellettuale, che nelle suore suscita spesso, al contrario, accese ambizioni e rivendicazioni. Si auspica altresì un’integrazione delle dimensioni umana, culturale, spirituale e pastorale: quale sarebbe, di grazia, la dimensione pastorale della vita claustrale?
§ 15: si richiedono tra nove e dodici anni di formazione prima della professione definitiva. Ci vuole il dottorato per farsi suora di clausura? Non risulta che santa Teresa d’Avila avesse studiato a Salamanca, pur valendosi di dotti direttori spirituali.
§ 16: si mette in guardia dal ripiegamento su sé stessi. Ma può l’autentica vita contemplativa correre questo rischio? Non è piuttosto il modo più efficace, in senso soprannaturale, di sovvenire alle necessità della Chiesa e del mondo? Ignorato il dovere primario della lode di Dio, inoltre, si slitta subito sull’intercessione per le “periferie”…
§ 18: si richiede una «spiritualità che vi faccia diventare figlie del cielo e figlie della terra, discepole e missionarie». Figlie della terra le monache lo sono già per natura; non si è mai sentito, peraltro, che la spiritualità serva a diventarlo di più. Come, poi, diventare missionari in clausura, se non con l’intercessione ed eventualmente con l’irradiazione di una vita crocifissa che attiri le anime a Dio?
§ 20: ermeneutica esistenziale della Sacra Scrittura: è proprio quella che ha portato tanti cristiani e religiosi a ripiegarsi su di sé, respingendone l’interpretazione tradizionale e magisteriale.
§ 22: spezzare insieme il pane: non è il sacerdote che celebra la Messa? Che cosa “spezzano” gli altri? Bisogna seguire quel gesuita che ingiungeva ai fedeli di condividere l’ostia consacrata con il vicino? O allora l’Eucaristia è semplice “pane” e non il Corpo e Sangue di Cristo? «Nell’Eucaristia lo sguardo del cuore riconosce Gesù»: non era la fede teologale a riconoscerlo?
§ 25: mutua appartenenza: il consacrato, per definizione, appartiene a Dio solo.
§ 31: «La pluralità di modi di osservare la clausura all’interno di uno stesso Ordine deve essere considerata una ricchezza e non un impedimento alla comunione, armonizzando sensibilità diverse in una unità superiore. Tale comunione potrà concretizzarsi in diverse forme di incontro e di collaborazione, soprattutto nella formazione permanente e iniziale». È uno dei punti più sovversivi. Le diverse forme di incontro e collaborazione comportano di fatto la fine della clausura stretta. In che cosa consiste poi l’unità superiore in cui si armonizzano sensibilità diverse? Cosa bisogna fare, concretamente, se nello stesso Ordine non vige la medesima prassi, in barba alla Regola e alle Costituzioni? Non si tratta di idee, ma di diverse scelte di vita e dei frutti che ne conseguono.
§ 32: occorre «trovare un rapporto equilibrato tra la tensione verso l’Assoluto e l’impegno nelle responsabilità quotidiane, tra la quiete della contemplazione e l’alacrità nel servizio». I monaci non sono forse tesi verso l’Assoluto in ogni istante e non praticano la contemplazione anche nel lavoro? C’è forse opposizione tra i due aspetti della loro vita? Si avverte un’insufficiente comprensione della contemplazione e una visione materialistica del lavoro.
§ 35: tutti i mezzi che la Chiesa propone per il dominio di sé e la purificazione del cuore: sarebbe interessante sapere quali sono e quando oggi la Chiesa li propone. «L’ascesi è anche mezzo per prendere contatto con la propria debolezza»: non era un mezzo per superarla? Basta l’esperienza quotidiana dei propri peccati per prendere abbondantemente contatto con essa…
§ 36: partecipazione alla costruzione di un mondo più umano e quindi anche più evangelico. Lo scopo della vita contemplativa è celeste, come quello di tutta la Chiesa: preparare la Gerusalemme di lassù. Inoltre, basta che il mondo sia più umano perché sia anche più evangelico?
La Conclusione dispositiva del documento (ossia la parte che dovrebbe contenere le disposizioni di legge) suona per molti versi incomprensibile e risulta inapplicabile sul piano giuridico. Esempi:
Art. 1: non è affatto chiaro quali siano i canoni del Codice che rimangono derogati in quanto risultano direttamente contrari a qualsiasi articolo della presente Costituzione. Inoltre la deroga agli Statuti generali delle monache stabiliti da Pio XII (deroga che è di fatto un’abrogazione) tocca l’essenza stessa della vita claustrale, in quanto essi riguardano la rigida disciplina regolare, la legittima autonomia dei monasteri e i diversi tipi di clausura in relazione alla professione semplice o solenne.
Art. 4: come si fa a valutare se il Signore è il centro della giornata e se le celebrazioni comunitarie sono incontro vivo con Lui? Esiste un criterio applicabile dall’esterno? E, nel caso, quale sarebbe?
Art. 7: le superiore, oltre a curare la propria formazione, devono essere «guidate da un reale spirito di fraternità e di servizio, per favorire un clima gioioso di libertà e di responsabilità». Lo “spirito” con cui si fa qualcosa è oggetto del diritto? Come si verifica questo? Inoltre: la vita monastica non si fonda forse sull’obbedienza?
Art. 8: i requisiti per una reale autonomia di vita di un monastero indicati nel testo sono vaghi e privi di rilevanza giuridica; sono pertanto inadeguati rispetto al fine di «mettere in atto un processo di accompagnamento per una rivitalizzazione del monastero, oppure per avviarne la chiusura». La preoccupazione espressa ha lo stesso sapore della sollecitudine per la rimozione di vescovi che non avrebbero preso provvedimenti sufficienti nei casi di pedofilia nel clero.
Art. 9: «Inizialmente tutti i monasteri dovranno far parte di una federazione». La costituzione di federazioni, solo raccomandata da Pio XII (Cost. Ap. Sponsa Christi [21 novembre 1950], art. 7), sembra resa obbligatoria, almeno inizialmente: cioè fino a quando? Arrivato l’ipotetico termine, un monastero ne può fuoriuscire? Le confederazioni di diversi Ordini, invece, vanno solo favorite.
Art. 10: «Ogni monastero […] chieda alla Santa Sede quale forma di clausura vuole abbracciare, qualora si richieda una forma diversa da quella vigente». È il punto più rivoluzionario: si introduce surrettiziamente il principio che un monastero possa cambiare tipo di clausura, pur «rispettando la propria tradizione e quanto esigono le Costituzioni». Oltre questa contraddizione latente, non è chiaro chi e come possa decidere il cambiamento, mentre è del tutto illogico chiedere ad un’istanza superiore che cosa si vuole fare (a meno che non sia la Santa Sede stessa a dover abbracciare la clausura…).
Art. 13: «Ogni monastero preveda nel suo progetto comunitario i mezzi idonei attraverso i quali si esprime l’impegno ascetico della vita monastica». Tali mezzi sono già previsti dalla tradizione; basta ricuperarla, senza alcun bisogno di elaborare farraginosi progetti comunitari.
In sintesi, è del tutto assente la prospettiva dei diritti di Dio e del servizio disinteressato che Gli è incondizionatamente dovuto. Manca altresì una chiara distinzione tra il livello giuridico e quello spirituale, tra il foro esterno e il foro interno, che assicura la libertà interiore di un religioso. Le disposizioni hanno generalmente un carattere non pertinente ad un testo legislativo, il quale, non essendo una predica né un fervorino, deve contenere unicamente norme applicabili e verificabili nella prassi. 
Le uniche disposizioni concrete toccano la formazione, la clausura e l’autonomia dei monasteri, ciò che fa fiutare un intento dissimulato di manipolazione, destrutturazione e controllo. Dato che la vita claustrale femminile gode di buona salute, generalmente, solo nei monasteri sui iuris di tendenza tradizionale, è difficile rimuovere il sospetto che li si voglia “normalizzare”, ossia appiattire sul desolante scenario dell’odierna vita consacrata e piegare a quella visione illuministica che la ammette soltanto in funzione di scopi sociali e umanitari.

Idee vecchie di quasi tre secoli; il nuovo, in realtà, è nel ritorno all’antico. Non per nulla i monasteri e i conventi di più rigida osservanza rigurgitano di vocazioni, senza bisogno di pseudo-spiegazioni psicologizzanti.
Com’è tristemente noto, però, gli istituti che non si adeguano ai capricci del regime sono condannati, uno dopo l’altro, al rullo compressore del commissariamento.

Ma anche questa tempesta passerà e tutti gli aguzzini, uno dopo l’altro, dovranno presentarsi al giudizio divino. Chi invece, come ai tempi della rivoluzione francese, avrà perseverato nonostante e contro tutto potrà crescere in santità e ricevere la ricompensa dei fedeli servitori e amici di Dio.

* * *
Qualcuno vuole liquidare il monachesimo? 
Aldo Maria Valli

Vultum Dei quaerere e Cor orans:
ovvero come colpire l’autonomia dei monasteri

Nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo (19 marzo 2018) a un certo punto, nella sezione dedicata a L’attività che santifica, si legge:  “Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione” (n. 26).
Come mi succede spesso con Francesco, ho letto e riletto più volte il passaggio, con crescente sconcerto. Il mio collega Marco Tosatti, di fronte a quelle parole, ha commentato: “Saranno felici le suore di clausura e i religiosi contemplativi. In cinque righe il Pontefice regnante liquida un paio di millenni di monachesimo contemplativo, maschile e femminile”.

Ciò che colpisce è la confusione unita alla superficialità, il tutto condito con il livore. Come sarebbe a dire che “non è sano amare il silenzio”? E come si può pensare che amare il silenzio voglia dire “desiderare il riposo”? E come si può pensare che “ricercare la preghiera” sia qualcosa da contrapporre al servizio? E perché mettere “l’incontro con l’altro” in cima a tutto quando, semmai, ciò che conta è l’incontro con Dio?

Tutto in quelle parole mi sembra sbagliato, frutto di una visione difficilmente comprensibile. In ogni caso non ci ho più pensato.

Poi, pochi giorni dopo l’uscita di Gaudete et exsultate (documento che non mi convince sotto molti altri aspetti), il Vaticano rende nota Cor orans, istruzione applicativa sulla vita contemplativa femminile, che porta la data del 1° aprile 2018 e le firme del cardinale João Braz de Aviz e di monsignor José Rodríguez Carballo, rispettivamente prefetto e segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

Testo prolisso (108 pagine nell’edizione della Libreria Editrice Vaticana), Cor orans è una sorta di manuale di applicazione di Vultum Dei quaerere, la costituzione apostolica sulla vita contemplativa femminile firmata da Francesco il 29 giugno 2016.

La cosa curiosa è che Vultum Dei quaerere (sempre nell’edizione della Libreria Editrice Vaticana) conta 62 paginette, contro le 108 del manuale che serve per applicarla. Perché tanto puntiglio? Che cosa c’è in  gioco?

Colpito negativamente dalle parole di Gaudete et exsultate riportate all’inizio, ho riletto Vultum Dei quaerere sotto una nuova luce e mi sono accostato a Cor orans con un certo sospetto. Mi sono chiesto: dove sta l’inganno? Vuoi vedere che davvero qualcuno è al lavoro, per usare il termine di Tosatti, per liquidare il monachesimo (in questo caso femminile)?

Vultum Dei quaerere all’apparenza è un documento che elogia coloro che compiono la scelta della vita contemplativa all’interno di comunità “poste come città sul monte e lampade sul lucerniere” (n. 2), ma, in concreto, come ha osservato Hilary White su The Remnant  (qui) se lo si legge con gli occhiali messi a disposizione da Cor orans si scopre che la costituzione è una sorta di “palla da demolizione” del monachesimo, almeno così come la Chiesa l’ha conosciuto fino a oggi.

Stiamo per entrare in un campo eminentemente giuridico e quindi complicato. In questi casi sembra che l’autorità cerchi di prendere i destinatari per sfinimento, così che a un certo punto dicano: va bene, avete ragione voi. Ma non bisogna arrendersi tanto facilmente.

Con Vultum Dei quaerere si fa piazza pulita di ciò che la Chiesa ha prodotto in precedenza in materia: articoli del Codice di diritto canonico, costituzione apostolica Sponsa Christi di Pio XII (1950), istruzione Inter praeclara della Sacra congregazione per i religiosi (1950), istruzione Verbi sponsa sulla vita contemplativa e la vita delle monache (1999). Nelle disposizioni finali il tono è perentorio: superare tutto. Ma perché? Con quale scopo?

Leggendo con attenzione si scopre che la questione è l’autonomia (a tutti i livelli) dei monasteri. È questa autonomia che si vuole colpire. È questa autonomia, antica e radicata, che si vuole superare. E di nuovo torna la domanda: perché?

Prima di rispondere occorre ricordare che cos’è un monastero e quale valore ha la sua autonomia.

All’interno di un ordine religioso (San Benedetto, San Domenico, Santa Chiara eccetera), ogni monastero nasce come piccola isola di un arcipelago, nel quale i collegamenti con gli altri monasteri sono spontanei e comunque blandi. Contrariamente alle case delle congregazioni religiose femminili, i monasteri di monache sono sui iuris: significa che, in relazione al regime interno, sono autonomi e indipendenti. Hanno quindi il diritto di governarsi da soli senza essere soggetti ad altri superiori oltre a quello interno, eletto dal capitolo. L’abbadessa, o priora, governa la comunità senza che i suoi atti siano verificati, moderati o confermati da un altro superiore maggiore. I monasteri non hanno tra loro relazione o subordinazione alcuna in quanto al regime, ma sono assolutamente e perfettamente indipendenti. Tra loro e con l’ordine religioso sono uniti da vincoli morali e spirituali, in quanto riconoscono tutti il medesimo fondatore o la medesima fondatrice, professano la stessa regola, godono degli stessi privilegi, si aiutano con suffragi e con la fratellanza di orazioni e comunicazioni spirituali. In base all’autonomia, i sudditi si aggregano per tutta la vita alla comunità e con la professione s’incorporano direttamente ad essa, prima ancora che all’ordine. Ecco perché ogni monastero ha il suo noviziato e lo spirito comune dell’ordine offre  in ciascuno di essi modalità particolari, con uno spiccato carattere familiare, così che i membri formino una famiglia permanente sotto il governo dell’abbadessa o priora.

Per ciò che riguarda l’esterno, i monasteri dipendono dal papa come loro superiore supremo, ma sono anche sottoposti alla vigilanza (non all’autorità) dell’ordinario del luogo o dei superiori dell’ordine maschile corrispondente, se sono ad esso collegati. L’autonomia e la mutua indipendenza dei monasteri, “ottenuta piuttosto di fatto che di diritto” (art. VII, par.2 degli Statuti generali delle monache di Pio XII, 1950), derivano dall’organizzazione e dal carattere particolare che la regola di San Benedetto diede all’istituzione monastica e in particolare, per i monasteri femminili, è la diretta conseguenza della stretta clausura e della vita contemplativa, alla quale le monache si dedicavano totalmente ed esclusivamente.

Le norme applicative della regola, ossia le costituzioni e gli eventuali altri codici, dopo aver ricevuto l’approvazione della Santa Sede, possono variare da un singolo monastero a un altro. Le differenze tra monasteri dello stesso ordine, pur poggiati sulla stessa regola, possono quindi essere notevoli. Ogni monastero, di solito radicato nella realtà locale, declina la propria spiritualità in modo originale, dando vita a tradizioni che attraverso i secoli rendono i monasteri stessi altrettanti universi completamente unici e diversi tra loro.

Ma ecco che a un certo punto entra in campo un nuovo soggetto: si tratta delle federazioni. Previste dalla costituzione apostolica di Pio XII Sponsa Christi (21 novembre 1950), che le incoraggia e raccomanda, ma non le impone, le federazioni vogliono essere uno strumento per l’aiuto reciproco. Siamo nel dopoguerra e moltissimi monasteri versano in condizioni critiche, anche per quanto riguarda i beni materiali. Le federazioni di monasteri nascono quindi come organizzazioni di supporto. Di fatto però, nel corso degli anni, finiscono col mettere a repentaglio l’autonomia attraverso continue intrusioni nella vita comunitaria e pressioni psicologiche perché tutte le comunità si uniformino alla linea dettata dalla maggioranza. Spesso ci sono conseguenze negative sulla vita spirituale delle singole monache. Inoltre l’alternanza tra due autorità (da una parte l’abbadessa, dall’altra la presidente della federazione) crea conflitti e confusione, esponendo le monache, almeno quelle più fragili e meno preparate a fronteggiare i drammi di coscienza, alla paura di mancare all’obbedienza e ai voti, senza contare le spaccature all’interno delle comunità e i continui disturbi alla vita di contemplazione.

Insomma, in base a questa esperienza devastante, un provvedimento sensato sarebbe stata l’abolizione delle federazioni, o per lo meno un loro deciso ridimensionamento, così da consentire il rispetto delle tradizioni religiose sotto ogni profilo (spirituale, liturgico) e il ritorno alla piena autonomia. Invece avviene esattamente il contrario. Con Vultum Dei quaerere, infatti, le federazioni sono rese obbligatorie e Cor orans, attraverso i suoi 289 punti, lo ribadisce nel dettaglio, inserendo i monasteri all’interno di una struttura burocratica che non ha nulla a che fare con la loro indipendenza ma, anzi, sembra fatta apposta per svilirla. Infatti oltre alle federazioni abbiamo le associazioni dei monasteri, le conferenze dei monasteri, le confederazioni, le commissioni internazionali e le congregazioni monastiche. Tutti organismi dotati di loro organi di governo, secondo una logica che sembra mutuata da quella dei partiti politici e dei sindacati.

Questa ossessione per l’organizzazione piramidale e il controllo oscura completamente il senso più profondo della vita monastica. Orazione e adorazione diventano quasi un dettaglio. In primo piano c’è invece la struttura, pensata per mortificare l’autonomia e “normalizzare” le comunità.

Ma è tutta l’impostazione ad apparire distorta. In Cor orans un campanello d’allarme suona subito, al punto 19, dove leggiamo: “Un monastero di monache, come ogni casa religiosa, viene eretto tenuta presente l’utilità della Chiesa e dell’Istituto”. Come sarebbe a dire “tenuta presente l’utilità”? Da quando in qua per una comunità di contemplative si pone come fondamentale il criterio dell’utilità? E in che modo, poi, si può determinare l’utilità di un monastero nel quale le suore, magari di stretta clausura, trascorrono la vita in preghiera? In che modo un monastero, per giustificare la propria esistenza, può dimostrare di essere “utile”?

Il criterio dell’utilità si collega a quello dell’azione. Sei utile se accogli il migrante, se curi il malato, se educhi il bambino, se aiuti il povero. Ma se sei un monastero di vita contemplativa, la tua “utilità” è di altro tipo.

Al documento però non sembra interessare più di tanto la qualità della vita di preghiera, che in fin dei conti corrisponde all’identità stessa di un monastero. Ciò che Cor orans fa con grande impegno è invece sottolineare la necessità della “continuità” con il Concilio Vaticano II e la sua teologia, alla luce delle mutate condizioni sociali. Dunque, se una comunità monastica, in virtù della sua spiritualità e di una tradizione secolare, volesse per esempio pregare e rendere gloria a Dio mediante il rito antico, sarebbe fuori legge?

Continueremo in un prossimo articolo l’esame dei nodi critici dell’istruzione applicativa Cor orans, che mettendo a rischio autonomia e indipendenza dei monasteri costituisce un attacco a un secolare e prezioso patrimonio di fede.

Vultum Dei quaerere e Cor Orans: tra ambiguità e incongruenze

Nel precedente articolo ci siamo occupati del rischio che i monasteri femminili stanno correndo, sotto il profilo della loro autonomia e quindi della loro stessa vita, a causa dei contenuti di Vultum Dei quaerere, la costituzione apostolica sulla vita contemplativa del 29 giugno 2016, e di Cor orans, l’istruzione applicativa sulla vita contemplativa femminile, documenti che rendono obbligatoria l’affiliazione dei monasteri alle federazioni.

Proprio in Cor orans, balza agli occhi la richiesta che i monasteri, tramite le federazioni, “superino l’isolamento” (n. 7). Ma il fatto che un monastero si isoli, vista la sua natura, dovrebbe essere un valore da promuovere, non un limite da superare.

Troviamo poi la richiesta che i monasteri, tramite le federazioni, “promuovano l’osservanza regolare e la vita contemplativa” (n. 7), ma l’esperienza ha dimostrato che le federazioni non hanno fatto questo. In realtà esse hanno imposto uscite continue e confronti, hanno introdotto disturbi e squilibri, e in tal modo non hanno favorito la vita contemplativa, ma l’hanno piuttosto minata, perché uscite, riunioni, discussioni e corsi sono fattori che nulla hanno a che fare con la spiritualità di chi decide di ritirarsi dal mondo per vivere nella preghiera.

Ma il documento, soprattutto, mette a repentaglio l’autonomia giuridica del monastero. Leggiamo infatti che “l’autonomia giuridica deve essere costantemente verificata dalla Presidente [della federazione], a suo giudizio” (n. 43). Inoltre (n. 45) se le monache sono meno di cinque perdono il diritto di eleggere la propria superiora e “in tal caso la Presidente federale è tenuta a informare la Santa Sede” in vista della nomina di una “Commissione ad hoc”.

Proseguiamo. Al n. 54 leggiamo che l’affiliazione alla federazione “è una particolare forma di aiuto che la Santa Sede viene a stabilire in particolari situazioni in favore della comunità di un monastero sui iuris che presenta un’autonomia solo asserita, ma in realtà assai precaria o, di fatto, inesistente”. Ma quali sarebbero queste “particolari situazioni”? Chi le stabilisce? Secondo quali criteri? E chi può dire che un’autonomia è “solo asserita”? Se la presidente di una federazione stabilisce che una comunità ha un’autonomia “solo asserita” chi può assicurare che il suo sia un giudizio imparziale?

In realtà la preoccupazione principale sembra non quella di fare di tutto per garantire la vita delle comunità, ma di arrivare, attraverso lo strumento della federazione, alla loro soppressione. Leggiamo al n. 55: “L’affiliazione si configura come un sostegno di carattere giuridico che deve valutare se l’incapacità di gestire la vita del monastero autonomo in tutte le sue dimensioni sia solo temporanea o irreversibile, aiutando la comunità del monastero affiliato a superare le difficoltà o a disporre quanto è necessario per addivenire alla soppressione di detto monastero”. Capolavoro di ipocrisia: quello che è detto un “sostegno” per il “monastero autonomo” è invece, in pratica, l’organismo che ha su di esso il potere di vita o di morte.

E il potere della federazione è confermato al n. 56, dove si stabilisce che nella “Commissione ad hoc”, in parole povere un tribunale, dovrà entrare la “Presidente della Federazione”.

Un’espressione ambigua si trova al n. 70, dove scopriamo che “fra i criteri che possono concorrere a determinare un giudizio riguardo alla soppressione di un monastero” c’è la “fedeltà dinamica” nel vivere e trasmettere il carisma. Che significa “fedeltà dinamica”? La fedeltà è fedeltà. Se non c’è la fedeltà c’è l’infedeltà, il tradimento. Essere “dinamici”, nell’ottica di Cor orans,  vuol dire forse adeguarsi al mondo? Cedere al modernismo? O piegarsi ai diktat della federazione?

Altra ambiguità al n. 72, dove, a proposito dei beni di un monastero soppresso, scopriamo che la Santa Sede può disporre di attribuirli “alla carità” oltre che alla federazione o alla “Chiesa locale”. Che significa “carità”? A chi andranno i beni? E in base a quali criteri?

Al n. 74 viene detto che la vigilanza “necessaria e giusta” sui monasteri deve essere “esercitata principalmente – se non esclusivamente – mediante la visita regolare di un’autorità esterna ai monasteri stessi”, e al n. 75 si precisa che tale compito spetta alla “Presidente della Congregazione monastica femminile”, “al superiore maggiore dell’Istituto maschile consociante” e “al vescovo diocesano”, ma al successivo n. 111 scopriamo che “la Presidente della Federazione, nel tempo stabilito, accompagna il Visitatore regolare nella visita canonica ai monasteri federati come convisitatrice”. In pratica, una supervisione che, ancora una volta, assegna un grande potere alla federazione.

Vediamola un po’ più di vicino, allora, questa federazione di monasteri. La sezione di Cor orans ad essa dedicata è la seconda, dove in primo piano viene messa (n. 86) l’esigenza che i monasteri “non rimangano isolati”, perché “valore irrinunciabile” è quello della “comunione”. Ma chi l’ha detto? La parola stessa, monastero, dal latino monastērĭum e dal greco antico μοναστήριον (monastḗrion), deriva da  μόνος (mónos: solo, unico), e μονακός (monakós) vuol dire solitario, eremita. Il vero valore irrinunciabile del monastero non sta certamente nella comunione, né con altri monasteri né con altre realtà religiose, ma nella sua unicità e anche nel suo isolamento.

Ma le contraddizioni non finiscono qui. Al successivo n. 87 si dice che “la federazione è costituita da più monasteri autonomi che hanno affinità di spirito e di tradizione e, anche se non sono configurate necessariamente secondo un criterio geografico, per quanto possibile, non devono essere geograficamente distanti”. Di nuovo viene da chiedersi: perché? Che importanza può avere tutto questo? L’unico disegno che si vede dietro tali indicazioni, ancora, è di affermare il ruolo e la funzione della federazione. Un ruolo che arriva fino a garantire “l’aiuto nella formazione iniziale permanente” e promuovere “lo scambio di monache e di beni materiali”, con tanti saluti all’autonomia del monastero!

E a proposito di autonomia, enunciata a parole ma nei fatti negata, ecco che al n. 93 il documento svela le carte: “A norma di quanto disposto nella Costituzione apostolica Vultum Dei quaerere, tutti i monasteri inizialmente devono entrare in una Federazione”. Quell’”inizialmente” dice tutto: di fatto si tratta di un obbligo inderogabile. E l’affiliazione ha un significato precipuo: amministrare i beni dei monasteri.

Al n. 98 leggiamo: “Per tenere viva e rafforzare l’unione di monasteri (di nuovo: come se fosse questo lo scopo decisivo del monastero, ndr), attuando una delle finalità della Federazione, viene favorita tra i monasteri una certa comunicazione di beni, coordinata dalla Presidente federale”.

“Una certa comunicazione di beni”? Che significa? L’unica cosa chiara è che se ne deve occupare la federazione, nella persona della sua presidente.

E che dire del successivo n. 99? Eccolo: “La comunicazione dei beni in una federazione si attua mediante contributi, doni, prestiti che i monasteri offrono per altri monasteri che si trovano in difficoltà economica e per le esigenze comuni della Federazione”. Contributi, doni, prestiti? E chi decide chi dona a chi, chi presta a chi? E in quale misura? E per quali motivi? Ovviamente decide la federazione, che così acquisisce un ulteriore potere. Con tanti saluti, di nuovo, all’autonomia dei singoli monasteri.

Con gli esempi si potrebbe continuare a lungo. A un certo punto, sempre a proposito di beni (argomento principe), si stabilisce che presso la federazione dovrà essere costituito “un fondo economico (cassa federale)” il cui scopo è quello di “realizzare le finalità federative”. Quali? Non è chiaro. Molto chiaro è invece che il fondo sarà amministrato dalla presidente della federazione, specie per quanto riguarda (n. 109) “l’alienazione dei beni dei monasteri totalmente estinti”.

La presidente della federazione ha un potere enorme. Ma chi la controlla? Chi ha autorità su di lei? Al n. 110 scopriamo che sarà eletta “dall’Assemblea federale” e che “non è una Superiora maggiore”. Di fatto, la presidente della federazione sta al di sopra anche delle superiori maggiori, il che determina, di nuovo, un vulnus per l’autonomia e l’indipendenza del monastero, tanto è vero che (n. 141) ci saranno norme che le suddite saranno tenute ad osservare anche contro la volontà della propria abbadessa, e la presidente della federazione potrà addirittura decidere in merito al passaggio di una monaca da un monastero all’altro, anche a fronte di un rifiuto da parte della superiora maggiore (n. 122).

Pure a proposito delle visite (di ogni tipo: canoniche, materne, sororali) la discrezionalità della presidente della federazione (“ogni volta che la necessità lo richiede”) è totale. In più, al termine delle visite la presidente “indica per iscritto alla Superiora maggiore del monastero le soluzioni più adatte ai casi e alle situazioni emerse durante la visita e ne informa la Santa Sede” (n. 115). Insomma, la presidente comanda e la superiora esegue. E l’autorità del vescovo che fine ha fatto?

Nel successivo punto (n. 116) scopriamo poi che la presidente della federazione, durante la visita canonica, verifica che siano osservate “le norme applicative” stabilite da Vultum Dei quaerere. Ecco che cosa interessa. Non la vita di preghiera, non la penitenza, non il digiuno, non la qualità della vita fraterna, non le relazioni tra sorelle, non la fedeltà al carisma, ma l’aderenza alle nuove norme.

Circa, in particolare, la formazione iniziale, se la presidente scopre che, a suo insindacabile giudizio, qualcosa non va, come procede? Informa la superiora? Ne parla con le monache? No, “informerà la Santa Sede” (n. 117).

Che si tratti di un intervento dal significato punitivo lo si desume dall’uso ripetuto del verbo “deferire”. Se il monastero non si mostra disponibile e pronto ad accogliere tutti i comandi nel campo della formazione, la presidente “deferisce la cosa alla Santa Sede”, e lo stesso avviene “per coloro che sono chiamate a esercitare il servizio dell’autorità”. Insomma, controllo e dominio totali.

Interessante è poi scoprire che il potere della presidente della federazione arriva fino al punto di scegliere “i luoghi più adeguati” nei quali tenere i corsi di formazione (i monasteri non vanno bene? Pare di no. Infatti attualmente le federazioni scelgono luoghi “adeguati” quali alberghi e resort) e stabilire la durata dei corsi stessi. Quanto deve durare un corso? Una settimana? Un mese? Un anno? Non si sa. Ma niente paura: ci pensa la presidente della federazione.

Un’altra conseguenza chiara è che le monache dovranno uscire piuttosto spesso dal monastero. Stabilito (n. 133) che l’assemblea federale ha il compito di “promuovere un adeguato rinnovamento” (ma perché? Chi lo dice che il rinnovamento sia un valore?), il documento prevede ben tre tipi di assemblea: ordinaria, intermedia e straordinaria. In una logica che sembra appartenere più a un partito politico o a un sindacato che alla vita contemplativa, le monache sono coinvolte in un tourbillon di incontri assembleari che si aggiungono a tutte le altre uscite, per i corsi, le riunioni, le visite eccetera. Uno strano modo di tutelare e promuovere la vita di preghiera e contemplazione.

Molti altri sono i punti che negano nei fatti l’autonomia dei monasteri e ne mettono a rischio la vita religiosa. Si pensi alla figura della segretaria della federazione (che, come la presidente, dura in carica sei anni, contro i tre della maggior parte delle superiore dei monasteri), la quale può risiedere in un monastero di sua scelta, circostanza che ha determinato danni immensi: intrusioni, sotterfugi, confronti, conflitti tra segretaria e abbadessa.

In Cor orans la sezione dedicata alla separazione dal mondo (l’aspetto più significativo nella vita delle monache) è la terza, dove vediamo che la Santa Sede ha rimaneggiato l’istruzione Verbi sponsa del 1999.

Per i mass media è questa la parte che più delle altre ha fatto notizia, perché vi si trovano le norme sull’uso dei mezzi di comunicazione nei monasteri, ma dal punto di vista sostanziale ciò che conta è quanto si prevede a proposito di clausura papale, ovvero quella conforme alle norme stabilite dalla Sede apostolica.

Qui ciò che più colpisce è l’abolizione dell’aggettivo “grave” che in Verbi sponsa era ripetutamente usato a proposito di obbligatorietà della clausura, uscite e ingressi.  Per esempio, se in precedenza si diceva che “la concessione della licenza di entrare e di uscire richiede sempre una causa giusta e grave” (VS n. 15), ora  si parla soltanto di “giusta causa” (CO, n. 194).

Anche in questa sezione non mancano le contraddizioni (per esempio si dice che la vigilanza sull’osservanza della clausura spetta al vescovo diocesano o all’ordinario religioso, ma subito dopo si dice che in deroga a quanto disposto dal Codice di diritto canonico il vescovo e l’ordinario non intervengono nella concessione delle dispense) e le ambiguità, ma forse il vertice dello sconcerto lo si raggiunge nella sezione dedicata alla “formazione permanente” (altra definizione tratta dal mondo, come se fare la monaca fosse una professione) dove non si parla mai, ripeto mai, di preghiera. Si dice invece (n. 237) che “ogni monaca è incoraggiata ad assumere la responsabilità della propria crescita umana, cristiana e carismatica, attraverso il progetto di vita personale, il dialogo con le sorelle della comunità monastica, e in particolare con la Superiora maggiore, così come attraverso la direzione spirituale e gli appositi studi contemplati negli Orientamenti per la vita monastica contemplativa”. Ora, a parte la forma (gli studi contemplati per la vita contemplativa), provate a sostituire alla parola “monaca” la parola “manager”: vedrete che non cambierà gran che. La dimensione è tutta orizzontale, di tipo tecnico e funzionalistico. Non si parla di Dio, di adorazione, di vita di preghiera. Sembra  che per fare la monaca l’importante sia frequentare “gli appositi studi”.

Il testo poi sembra non rendersi conto dei problemi pratici quando afferma (n. 263) che “compete alla Superiora maggiore con il suo Consiglio, tenendo conto di ogni singola candidata, stabilire i tempi e le modalità che l’aspirante trascorrerà in comunità e fuori dal monastero”. Si può immaginare il disturbo arrecato alla comunità monastica dal dentro-fuori, ma, soprattutto, viene da chiedersi: come può essere  possibile questo doppio regime? Dove va a vivere una giovane quando è fuori se non è tanto ricca da permettersi un appartamento? E se poi viene chiamata a trascorrere alcuni mesi in monastero che cosa fa? Mantiene comunque un appartamento che non usa? Va in albergo? Va dai genitori? E se arriva dall’estero?

Il documento sembra scritto da chi non conosce, o non vuole conoscere, le reali condizioni di vita nei monasteri.

Fine dell’autonomia, burocratizzazione, abbandono della tradizione.
La strada sbagliata di Cor orans e Vultum Dei quaerere


Proseguiamo l’analisi di Cor orans, l’istruzione applicativa sulla vita contemplativa femminile, il documento che rende operativi i principi contenuti in Vultum Dei quaerere, la nuova costituzione apostolica sulla vita contemplativa femminile.

Quelle che Cor orans definisce “disposizioni finali” assomigliano molto a minacce.
Prima di tutto è scritto nero su bianco che entrare in una federazione è un “obbligo”, il che di per sé mette fine all’autonomia dei monasteri stessi. Poi si specifica che “tale obbligo vale anche per i monasteri associati ad un Istituto maschile o riuniti in Congregazione monastica autonoma”. E infine ecco il diktat: “I singoli monasteri devono ottemperare a questo entro un anno dalla pubblicazione della presente Istruzione, a meno che non siano stati legittimamente dispensati. Compiuto il tempo, questo Dicastero (la Congregazione  per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, ndr) provvederà ad assegnare i monasteri a Federazioni o ad altre strutture di comunione già esistenti”.

Insomma, non si scappa. Ma colpisce anche il fatto che nell’intero documento troviamo ben undici deroghe ad altrettanti articoli del Codice di diritto canonico. Una vera rivoluzione. Domanda: tali deroghe, tutte specificamente approvate dal papa, non sono forse un po’ troppe per un’istruzione, ovvero per un documento che, in fin dei conti, dovrebbe solo avere una funzione applicativa della legge?

L’impressione, più che legittima, è di trovarsi di fronte a un diritto speciale per le monache, un modo di procedere che di fatto è la morte del diritto perché salta tutti i passaggi necessari per la tutela della giustizia e impedisce il ricorso contro i provvedimenti.

La parola “obbligo” compare ripetutamente, coronando così un documento il cui tono è in molte parti minaccioso e senza precedenti nei confronti di quella che un tempo era considerata la parte eletta della Chiesa, alla quale ci si rivolgeva con particolare delicatezza, e ora invece sembra, al più, una frangia tollerata.

Cor orans ha un contenuto ispirato a doppiezza. Da un lato si ribadisce l’autonomia dei monasteri, ma dall’altro l’autonomia è scardinata attraverso l’obbligo di affiliarsi alle federazioni.

Bisogna poi notare che i cambiamenti introdotti sono sostanziali rispetto alla vocazione monastica. Non si tratta solo di sfumature. Di fronte a Cor orans una monaca può avvertire che i nuovi contenuti non sono consoni ai voti già emessi. Si pensi alla nuova fisionomia dei monasteri, che vanno a perdere la propria autonomia, e anche all’obbligo di partecipare a corsi esterni.

L’esperienza degli ultimi decenni insegna che le federazioni hanno causato danni notevolissimi alla vita dei monasteri e alle singole monache. Eppure si insiste su questa strada e anzi la si fa diventare l’unica opzione possibile, all’insegna di un generico “rinnovamento” che di certo non è un valore per la vita di preghiera e di contemplazione.

Tra le righe ciò che viene detto, e anzi imposto, è che le contemplative devono cambiare il loro stile di vita, ma a supporto di una tale pretesa non vengono fornite spiegazioni che abbiano realmente a che fare con questioni spirituali e religiose. Tutto il documento si occupa invece di organizzazione, strutture, assemblee, corsi.

L’ispirazione di fondo è una sola: ri-orientarsi. Ma verso dove? Certamente non verso Dio, bensì verso il mondo e verso l’azione. Che si parli di clausura, formazione o ascesi, ciò che conta sembra essere introdurre cambiamenti.  Controllo centralizzato, fine dell’autonomia e burocratizzazione sono gli strumenti, il che è quanto meno singolare se si pensa all’insistenza di Francesco a favore dei processi di decentralizzazione nella Chiesa.

Nella conferenza stampa di presentazione di Cor orans (15 maggio 2018), monsignor José Rodríguez Carballo, giustificando i nuovi provvedimenti, ha sostenuto: “Di fatto, il Dicastero ha dovuto più volte constatare con rammarico l’esistenza di monasteri non più in grado di portare avanti una vita dignitosa, senza che ci fosse una legislazione che dicesse quando e come intervenire al riguardo: l’aver colmato questa lacuna legislativa è sicuramente uno dei punti più importanti e più attesi dell’istruzione”. Ora, ammesso che le norme introdotte da Cor orans siano le più efficaci per intervenire nei confronti dei monasteri che non conducono una vita “dignitosa” (ma che significa dignitosa?), non si vede perché, in concreto, tali norme debbano condizionare la vita di tutti i monasteri, anche di quelli ben vivi e desiderosi di mantenere la propria identità e le proprie tradizioni.

L’affiliazione alla federazione diviene un obbligo, salvo dispensa che può essere concessa dalla Santa Sede “per ragioni speciali, oggettive e motivate”. Ma dovrebbe essere il contrario: l’autonomia dovrebbe essere la condizione normale, salvo la necessità di affiliarsi alla federazione per motivi speciali.

Nella conferenza stampa monsignor Carballo ha sostenuto inoltre che “l’Istruzione, come già prima la Costituzione, riflette molto bene quanto le stesse monache hanno chiesto nelle risposte al questionario che alcuni anni fa era stato inviato a tutti i monasteri del mondo”, ma sulla base di testimonianze possiamo dire che questa circostanza risponde al vero solo in minima parte. Molti monasteri non sono nemmeno stati interpellati. Se davvero tutti i monasteri avessero ricevuto un questionario e avessero risposto, il dicastero avrebbe avuto bisogno di anni e anni per elaborare il tutto.

Il nuovo assetto ha insomma il sapore di una normalizzazione. Come spiega, per esempio, Marian T. Horvat (qui), ciò che si vuole è che le monache cambino il proprio stile di vita, con l’aggiornamento come stella polare e senza la possibilità di fare ricorso al diritto per rivendicare la propria autonomia e libertà, perché proprio il diritto è stato usato per imporre la rivoluzione.

Il cardinale Braz de Aviz è stato chiaro quando ha detto (qui) che i religiosi che non seguono il Concilio Vaticano II stanno uccidendo loro stessi. Essere inseriti nel mondo, non chiudersi ai cambiamenti della vita moderna: queste le indicazioni date dal prefetto, perché i contesti sono cambiati e “Dio non è statico”.

Se questa è l’ispirazione di fondo, si capisce meglio lo spirito delle nuove norme. Anche nella vita contemplativa il collegamento con il mondo e con le “povertà” deve avere il sopravvento. “Pregate e intercedete per tanti fratelli e sorelle che sono carcerati, migranti, rifugiati e perseguitati”, chiede Cor orans (n. 6).  Siamo sicuri che le monache già lo fanno, perché pregano per tutti.

Aggiornarsi, non guardare al passato e alla tradizione, cambiare: la richiesta che arriva dai vertici vaticani è pressante e sembra ignorare del tutto il fatto che, nella generale crisi delle vocazioni, gli unici ordini che attirano davvero le nuove generazioni sono quelli che, ben radicati nella tradizione, conservano la loro identità a tutti i livelli, anche dal punto di vista liturgico. Perché i giovani, oggi più che mai, non sono attirati dalle analisi sociologiche applicate alla vita della Chiesa, non dai corsi di aggiornamento e dalla “formazione continua”, ma dall’incontro autentico con Cristo nel silenzio orante.

Chi sembra guardare al passato in realtà è proprio chi continua a indicare il Vaticano II come punto di riferimento obbligatorio, ignorando la richiesta di autenticità e di amore per la tradizione che sta emergendo sempre più chiaramente, in controtendenza rispetto a certi dogmi modernisti che hanno ampiamente fatto il loro tempo.

Del resto i risultati dei processi di “liberazione” di religiosi e religiose sono sotto gli occhi di tutti. Non chi si è radicato nella tradizione, ma chi l’ha abbandonata per abbracciare il mondo ha prosciugato il proprio patrimonio spirituale, a forza di aggiornamenti e aggiustamenti.

No, non saranno i corsi di formazione, le federazioni, la centralizzazione e l’uniformazione a rinvigorire la vita contemplativa. La strada è tutt’altra ed è indicata da quei religiosi e quelle religiose che nel silenzio e nell’isolamento coltivano la relazione di preghiera con Dio secondo tradizioni originali e radicate e offrono le loro vite per la conversione di tutte le anime.

Un grande mistico, don Divo Barsotti, che decise di vivere la propria vita di preghiera nell’isolamento, diceva che la Chiesa oggi cade in un grande equivoco quando pensa di dover liberare dalla povertà e non dal peccato.  L’assistenza sociale non sostituisce l’amore cristiano e nessun processo di “rinnovamento” potrà rafforzare la fede, la speranza e la carità. In un mondo pienamente secolarizzato la strada dei religiosi non è quella di secolarizzarsi a loro volta. “Non incontri l’uomo, se prima non hai incontrato Dio… La vera comunione col mondo si ha quando si è separati dal mondo, perché se noi non entriamo in rapporto col Signore, si perde di vista il Tutto” (Divo Barsotti, I cristiani vogliono essere cristiani).

Lasciamo che religiosi e religiose incontrino Dio senza essere disturbati.
Aldo Maria Valli

15 commenti:

Mariano ha detto...

Nel mese di ottobre i cattolici hanno la consuetudine di venerare la Madre Santissima recitando il Rosario nelle Chiese o nelle case private; anzi l'Immacolata stessa, apparendo a Lourdes nell'anno 1858, si mostrò con il Rosario in mano,per invogliare a recitarlo, con il suo stesso esempio.
Quando recitiamo il Rosario, quindi, facciamo di certo un gran piacere alla Madre Divina e attiriamo grandi benedizioni da parte di Dio su noi stessi e le nostre famiglie. SK1267
San Massimiliano Maria Kolbe

irina ha detto...

Grazie per riproporre tanti studi attenti sul superficiale ed ideologico magistero attuale. Costoro non hanno mai pregato, nè hanno mai letto un libro di spiritualità claustrale ove la purificazione, vissuta sulla propria pelle, e le grazie ricevute e le malattie sopportate, e gli attacchi dei demoni e il riposo elargito e la Parola di Dio udita e le visioni avute sono lì ridette in tutta la loro semplice drammaticità e nella profonda unione con Cristo a cui sono poi state elevate.
Costoro non solo sono ignoranti 'de ceppo', ma sporcano tutto ciò che toccano con il falso ideologico che è l'unica caratteristica della loro mente e della loro interiorità.
Cerchiamo di pregare Maria Santissima affinchè tolga dai fedeli di NSGC i pesi eretici che vengono riversati a pioggia da questo magistero farlocco, pesi e confusione che si assommano alle nostre naturali mancanze quotidiane.

Ave Maria ! ha detto...

OMNI DIE DIC MARIAE

Omni die dic Mariae
mea laudes anima
Eius festa eius gesta
cole splendidissima.

Pulchra tota sine nota
cuiuscumque maculae,
fac me mundum et iucundum
Te laudare sedule.

Ipsam cole, ut de mole
criminum te liberet
hanc appella, ne procella
vitiorum superet.

Ut sim castus et modestus,
dulcis, blandus sobrius
pius, rectus, circumspectus,
simultatis nescius.

Clemens audi, tuae laudi
quos instantes conspicis:
munda reos, et fac eos
donis dignos coelicis.

Virgo sancta cerne quanta
perferamus iugiter
tentamenta et sustenta
nos, ut stemus fortiter.

https://www.youtube.com/watch?v=eDak4EKm3vg

Fa parte della mia piccola personale evangelizzazione , nella penombra di una Chiesa vuota lo canto a bassa voce alla Madre di Dio . Questa estate , in un posto di villeggiatura , oltre a far visita a tutte le Chiese aperte e vuote ( bellissime , piene di polvere , ma grondanti la fede stratificata dei fedeli ) , ogni giorno in una delle stesse ci fermavamo a recitare con calma e a voce alta il Santo Rosario in latino e in ginocchio . I turisti entravano e uscivano , ma ,invariabilmente sentivamo qualcuno che diceva :" Shhh ! Fate silenzio , stanno pregando !"

mic ha detto...

Ave Maria 10:35

Grazie! Ave Maria!

Anonimo ha detto...

Mic, hai superato gli 11 milioni di visite, non dici niente?

Catholicus-Rieti ha detto...

Dall'«Autobiografia» di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine, di cui oggi ricorre la Festa
(Manuscrits autobiographiques, Lisieux 1957, 227-229)
Nel cuore della Chiesa io sarò l'amore

Siccome le mie immense aspirazioni erano per me un martirio, mi rivolsi alle lettere di san Paolo, per trovarvi finalmente una risposta. Gli occhi mi caddero per caso sui capitoli 12 e 13 della prima lettera ai Corinzi, e lessi nel primo che tutti non possono essere al tempo stesso apostoli, profeti e dottori e che la Chiesa si compone di varie membra e che l'occhio non può essere contemporaneamente la mano. Una risposta certo chiara, ma non tale da appagare i miei desideri e di darmi la pace.
Continuai nella lettura e non mi perdetti d'animo. Trovai così una frase che mi diede sollievo: «Aspirate ai carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di tutte» (1 Cor 12, 31). L'Apostolo infatti dichiara che anche i carismi migliori sono un nulla senza la carità, e che questa medesima carità è la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace.
Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi offrì il cardine della mia vocazione. Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall'amore. Capii che solo l'amore spinge all'azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l'amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l'amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l'amore è eterno.
Allora con somma gioia ed estasi dell'animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l'amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio.
Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l'amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà.

mic ha detto...

Anonimo 11:58

Ti ringrazio. Non me n'ero accorta.
Cosa vuoi che dica? Sono felice e grata al Signore se la mia buona volontà, insieme alle vostre, può essere utile per il bene di molti e per la Sua maggiore gloria...

Faccio quel che posso ha detto...

La mia ricerca del Volto di Dio spesso e volentieri sosta al Carmelo di Monza ( quello virtuale) in cui mi piace seguire P. ANTONIO MARIA SICARI sia nei Ritratti di Santi che nelle Lezioni di Scuola di Cristianesimo .

https://www.youtube.com/watch?v=JUhZO9odDk0
http://www.mec-carmel.org/documenti/

Ma anche P.Giorgio Maria Fare' ( giovane e divertente) nelle Catechesi sull'Eucarestia ( io sono alla n . 8) e nelle Catechesi relative al libro del Card.Sarah "La forza del silenzio"(siamo alla n.5)

https://www.youtube.com/watch?v=6vPmaK9DnMw
https://www.veritatemincaritate.com/2018/10/ciclo-di-catechesi-la-forza-del-silenzio-lezione-5/

Dal Carmelo ha detto...

Noi non siamo "qualcuno" , siamo il Castello Interiore in cui risiede SUA MAESTA' .Grati al Signore Gesu' di appartenerGLI . Noi siamo iscritti nello stato di famiglia di Dio e dobbiamo avere questa consapevolezza . Ne abbiamo consapevolezza ?

A. M. Sicari:
IL DONO DI TERESA D'AVILA ALLA CHIESA E AL MONDO
https://www.youtube.com/watch?v=eZFqIKPCnBw

Beati Zelia e Luigi Martin Ritratti di Santi con Padre Antonio M. Sicari
https://www.youtube.com/watch?v=KWhloZ5zW30

Inizio di ogni giornata : Offerta del proprio cuore al Signore
“Mio Dio Ti offro il mio cuore, prendilo, se vuoi, in modo che nessun altro lo possegga, ma soltanto Tu, mio buon Gesù”.

Anonimo ha detto...

Triduo alla B. V. del Santo Rosario
(Si ripete ogni giorno la seguente orazione)

Degnati benevolmente, o Maria Regina del Rosario, di esaudirci. Gesù ha riposto nelle Tue mani tutti i tesori delle Sue Grazie e delle Sue misericordie.
Tu siedi, coronata Regina, alla destra del Tuo Figlio, splendente di gloria immortale su tutti i cori degli Angeli.
Tu distendi il Tuo dominio per quanto sono distesi i cieli, e a Te la terra e le creature tutte sono soggette.
Tu sei l’onnipotente per grazia, Tu dunque puoi aiutarci. Se Tu non volessi aiutarci, perché figli ingrati e immeritevoli della Tua protezione, non sapremmo a chi rivolgerci. il Tuo Cuore di Madre non permetterà di vedere noi, Tuoi figli, perduti. Il Bambino, che vediamo sulle Ttue ginocchia e la mistica corona che miriamo nella Tua mano, ci ispirano fiducia che saremo esauditi. E noi confidiamo pienamente in Te, ci abbandoniamo come deboli figli tra le braccia della più tenera fra le madri, e, oggi stesso, da Te aspettiamo le sospirate grazie, Amen.
Salve Regina.
B.V. del Santo Rosario, prega per noi!

Nel giorno della festa

Regina del Santo Rosario, in questi tempi di così grande empietà, manifesta la Tua potenza con i segni delle Tue vittorie, e dal trono, ove siedi dispensatrice di perdono e di grazie, pietosamente guarda la Chiesa, il Vicario di Cristo e ogni ordine di ecclesiastici e laici e il mondo intero.
Affretta l’ora della misericordia, anche se le nostre innumerevoli colpe vanno sempre più maturando l’ora del castigo. A noi supplichevoli, ottieni la grazia di vivere da giusti in terra per raggiungere tra i giusti in Cielo, mentre, o Madre nostra, Ti salutiamo e acclamiamo: Regina del Santo Rosario, prega per noi.Amen
Salve Regina.
B. V. del Santo Rosario, prega per noi!

Anonimo ha detto...

http://www.settimanaleppio.it/dinamico.asp?idsez=7&id=1594
La Messa al tempo degli Apostoli
dal Numero 4 del 28 gennaio 2018
Prof. Paolo Risso

mic ha detto...

Stralcio dall'articolo introduttivo: quanto viene osservato vale per moltissimi recenti documenti che si vorrebbero magisteriali.

...Veniamo al documento in questione. Ci sia consentita, per cominciare, qualche osservazione di carattere generale, nella speranza che non suoni irriverente a motivo dell’esigenza di obiettività e di franchezza da cui scaturisce. Innanzitutto, la vita monastica sembra concepita in funzione di qualcos’altro (testimonianza, segno, profezia...), piuttosto che per Dio solo e poi, di riflesso, come esempio per gli altri e sorgente di fecondità apostolica. È forse tramontato, nella Chiesa, il primato assoluto di Dio, unica giustificazione legittima e plausibile delle vocazioni contemplative?
A partire da questa prospettiva distorta vengono date disposizioni spesso vaghe o astratte, miranti a risolvere problemi per lo più non reali, ma sollevati per ragioni di sapore ideologico, derivate da ideali irrealistici ed eventualmente idonee a far da copertura a intenti surrettizi.

Occorre altresì rilevare che le citazioni inserite nel testo (Scrittura, Padri, Magistero) sono spesso forzatamente piegate a conferma del discorso, di tono tipicamente modernista: siccome la vita claustrale è una sfida per il nostro tempo, bisogna cambiarla. Si fatica a comprendere la logica di tale tacito assunto, a meno che non si voglia snaturare la vocazione che fin dalle origini costituisce il più efficace antidoto contro la corruzione e l’intiepidimento del popolo cristiano. Il sospetto è confermato dall’insistenza del decreto sulla necessità di formazione permanente, collaborazione tra monasteri, appartenenza a federazioni: è difficile non pensare ad una volontà di ingerenza nella vita monastica e a un metodo di indottrinamento, visti i bei risultati prodotti sui religiosi in genere dallo studio della cattiva teologia e dall’influenza degli organismi associativi...

Anonimo ha detto...

E' il preconciliare che non va piu' bene , si deve procedere in tempi rapidi all' attuazione del Concilio così come e' stato interpretato . Il momento e' favorevole per realizzare finalmente il sogno di quelli che al Concilio riuscirono ad infiltrare "lo spirito" fin'ora troppo a lungo trattenuto , vuoi da l' H.V. di Paolo VI , vuoi da Veritatis Splendor di GPII e Domine Jesus .... e il Dio solo misericordioso aiuta . Dio non e' piu' anche Giustizia . Dio e' Babbonatale .

Non siamo poi così ingenui ha detto...

L’uomo sarà felice solo quando avrà finalmente ucciso quel cristianesimo che gli impedisce di essere uomo. Ma non sarà attraverso una persecuzione che si ucciderà il cristianesimo, ché semmai la persecuzione lo alimenta e lo rafforza. Sarà attraverso l’irreversibile trasformazione interna del cristianesimo in umanesimo ateo con l’aiuto degli stessi cristiani, guidati da un concetto di carità che nulla avrà a che fare con il Vangelo (Ludwig Feuerbach, L’essenza del cristianesimo).
Il programma non poteva essere più netto né più esplicito; altrettanto chiaro ed evidente è il fatto che, nella Chiesa attuale, la sua realizzazione è decisamente a buon punto. Una delle fondamentali direttrici di azione è stata quella che lo stesso Feuerbach, riconosciuto quale capo indiscusso della sinistra hegeliana, aveva preconizzato: ladissoluzione della teologia in antropologia, il cui merito principale va ascritto, non a caso, ai gesuiti. Un’altra direttrice importante è stata la demolizione e demonizzazione della morale: la rivoluzione sessantottina, pervertendo radicalmente i costumi, ha trasformato la maggioranza dei cattolici in atei professi (quelli che hanno pubblicamente rinnegato la fede) o meramente pratici (quelli che continuano a considerarsi membri della Chiesa pur vivendo in modo totalmente contrario al suo insegnamento). Se il Magistero recente, almeno in via teorica, era riuscito a tenere in piedi ancora qualcosa, in questi ultimi cinque anni si è provveduto con sorprendente accanimento a spazzare via quel poco che rimaneva.
https://gloria.tv/article/Hf7CG4vFHUAu1yKhog6DXPTmG

Sacerdoti fedeli ha detto...

Catechesi P. Giorgio Maria Farè sulla Fede (Frate Carmelitano-Monza)

https://www.google.it/search?q=Catechesi+P.+Giorgio+Maria+Far%C3%A8+sulla+Fede+5%C2%B0+video&oq=Catechesi+P.+Giorgio+Maria+Far%C3%A8+sulla+Fede+5%C2%B0+video&aqs=chrome..69i57j69i61&sourceid=chrome&ie=UTF-8

Utilizziamo i mezzi di comunicazione per accrescere la nostra Fede , la nostra ricerca del Volto di Dio .
Anche questa e' preghiera .