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martedì 4 giugno 2013

"Papa Francesco dovrebbe andarci piano quando parla di religioni non cattoliche"

Un articolo del National Catholic Reporter. Esempio di discorso pretenzioso, che non tiene conto che  è peculiarità di ogni fede la convinzione di essere nel giusto e non si vede perché il Papa o i cattolici debbano astenersi dall'affermare la propria. I termini in cui Bill Tammeus si esprime sono di disprezzo e di pretesa arrogante. Se sono questi gli interlocutori con i quali la Chiesa si ostina a dialogare, si comprendono le ragioni dell'affievolimento di tanti suoi principi.

Fin da quando ha avuto inizio la Riforma protestante di circa 500 anni fa, i protestanti hanno comprensibilmente disprezzato l'idea che la chiesa cattolica romana sia la sola vera chiesa cristiana. Invece i leader della chiesa cattolica hanno sempre rivendicato nel corso dei secoli che lo fosse in vari modi.

Quello che ha suscitato il maggior risentimento sotto Papa Giovanni Paolo II si trova nella Dominus Iesus, emessa nell'agosto 2000 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, allora presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger, futuro Papa Benedetto XVI.

La dichiarazione affermava che le chiese fuori della Chiesa cattolica "non sono Chiese in senso proprio". E aggiungeva: "... la Chiesa di Cristo, malgrado le divisioni esistenti fra i cristiani, continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa cattolica".

Non ne derivano buoni rapporti ecumenici, anche se conosco molti cattolici, che direbbero che questo è Verità con la V maiuscola e che le relazioni ecumeniche sono essenzialmente una stravaganza teologica.
Eppure, in un mondo così radicalmente diviso sulla religione, mi  interrogo sull'opportunità di offrire volontariamente una gomitata in un occhio per le persone al di fuori della propria tradizione fede.

E' per questo che sono stato sorpreso e deluso quando recentemente ho udito papa Francesco parlando alle e a proposito delle religiose citare papa Paolo VI. Ecco la citazione: "E una dicotomia assurda pensare di poter vivere con Gesù, ma senza la chiesa, seguire Gesù al di fuori della chiesa, amare Gesù e non la chiesa."

Sarei scioccato di apprendere che Paolo VI si riferisse a tutti i rami del cristianesimo, e non solo alla Chiesa cattolica. E se davvero si riferiva solo alla chiesa cattolica, è Francesco (per mezzo di Paolo), sta forse dicendo che io, come presbiteriano, non posso seguire Gesù al di fuori del cattolicesimo? Questo è quello che sembra affermare, e penso sia rischioso sottolinearlo così presto nel suo pontificato.

Anche se questo non è esattamente quello che voleva dire, ora sarà obbligato a spiegarsi più pienamente ai mondi protestante e ortodosso, molti membri dei quali senza dubbio interpretano le recenti le parole del nuovo papa esattamente come le interpreto io.

Sia chiaro che non sto affatto criticando l'atteggiamento religioso esclusivista. Dopo tutto, ogni religione lo ha. E' per questo che noi siamo separati. Ma, per esempio, l'affermazione dei mormoni secondo la quale dopo la sua risurrezione, Gesù sarebbe andato in quella che adesso è l'America a predicare a gente che era emigrata nel Nuovo Mondo 600 anni prima è una pretesa esclusivista che non cerca di denigrare la fede degli altri.

Al contrario, l'affermazione che questa o quella religione o questo o quel ramo di una religione sia l'unica vera religione e che le altre comunità di fede non siano religioni "in senso proprio" colpirà tutte le altre fedi come un attacco arrogante contro di esse.

Quindi il problema non sono pretese esclusiviste come "Maometto era un profeta" o "Buddha raggiunse l'illuminazione". Lo sono invece le affermazioni che respingono le altre fedi come irrilevanti, che è esattamente il motivo per il quale gli atteggiamenti cristiani sull'ebraismo sono così ripugnanti.

Nei primi secoli, era più facile fare affermazioni religiose esclusiviste arroganti perché spesso era improbabile che qualcuno al di fuori della fede da cui tali affermazioni venivano pronunciati li avrebbero mai uditi. Oggi, tuttavia, ogni parola del papa o di qualsiasi altro leader religioso pronunciata in pubblico è immediatamente disponibile in quasi tutto il mondo.

Di , Benedetto XVI si è cacciato in problemi più di una volta proprio per la mancata consapevolezza di come potrebbero essere prese le sue parole. (Un buon esempio è discorso di Ratisbona del 2006, in Germania , per cui i musulmani si sono sentiti offesi). Ogni membro della Chiesa universale dovrebbe aver fatto tesoro di quell'episodio.

Non cogliere come le proprie parole potrebbero essere intese è un modo di procedere rischioso. Se Francesco ha iniziato a percorrere questa strada, spero che possa fare presto marcia indietro.
Bill Tammeus  |  29 maggio 2013

[Bill Tammeus, autorevole presbiteriano ex editorialista religioso premiato da parte del The Kansas City Star, cura quotidianamente il blog "Faith Matters" per il il sito dello Star e una rubrica mensile per The  presbiterian Outlook. Il suo ultimo libro, scritto con il rabbino Jacques Cukierkorn, tratta di storie di persone salvate in Polonia durante l'olocausto. La sua mail wtammeus@kc.rr.com .]
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[Traduzione a cura di Chiesa e post concilio]

5 commenti:

Marco ha detto...

Gentile Mic, hai per caso un recapito mail di Gnocchi e Palmaro? Grazie

Anonimo ha detto...

La dichiarazione affermava che le chiese fuori della Chiesa cattolica "non sono Chiese in senso proprio". E aggiungeva: "... la Chiesa di Cristo, malgrado le divisioni esistenti fra i cristiani, continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa cattolica".

Ora lo so che tuberò i Benedetto XVI's boys, ma già questa affermazione si dissocia dalla tradizione e dal magistero ante-concilio, proprio nell'avverbio "pienamente" ed è un sunto della teologia modernista della "comunione parziale". Infatti con affermazioni come queste derivanti dal concilio è chiaro che si sia potuto largamente sviluppare il concetto secondo cui in ogni confessione cristiana si trovi la Chiesa di Cristo, diminuita ma comunque presente, evitando invece di chiamare questi "cristiani" con il loro proprio nome e cioè eretici.

Sant'Agostino infatti insegnava:

“In molti punti gli eretici sono con la Chiesa, in qualche altro no; ma, a causa di questi pochi punti in cui si separano dalla Chiesa, non serve loro a nulla di essere con Essa in tutto il resto” (S. Augustinus, In Psal. 54, n. 19; PL 36, 641).

Benedetto XVI invece ha presentato l'eresiarca Lutero come un riformatore, un uomo spirituale; di lui oltre ad altre bellissime frasi ne ha lodato "la passione profonda per Dio che fu la molla della sua vita e dell’intero suo cammino"(cfr BXVI)

Direi che Papa Francesco non è ancora arrivato a tanto ma tutto lascia pensare che potrà anche superare il suo amato predecessore, pseudo-tradizionalista.

Juan da San Mattia

Anonimo ha detto...

Caro Juan,
in quel "pienamente" e "soltanto" io non vedevo la "comunione parziale".

Ora che mi ci fai pensare, effettivamente c'è un "pienamente" di troppo e la citazione di S. Agostino è quanto mai pertinente.

Anonimo ha detto...

Cara Mic,
quando io ho approfondito e scoperto tutto l'impianto teologico che c'è dietro l'insegnamento degli ultimi Papi sono rimasto profondamente deluso.
Addirittura Ratzinger, diversamente dai suoi predecessori, ha cercato di sviluppare una teoria che facesse coincidere concetti opposti tramite un'ermeneutica, detta -come tutti sappiamo- della continuità, in cui questa parola era soltanto in relazione cronologica e relativa al soggetto Chiesa. Cerco di spiegarmi: La Chiesa nel tempo muta la dottrina e la continuità è garantita dal fatto che la Chiesa nel suo magistero può dire anche cose in contrasto con quelle passate purché non dica che per quel tempo passato in cui le ha pronunciate non erano giuste. Quindi la continuità è totalmente autoreferenziale.
Cosa cambia dall'ermeneutica della rottura?
Cambia che chi sostiene questo pensiero dice che la Chiesa del passato ha sbagliato, è intollerante verso le cose antiche ed ha un atteggiamento aggressivo verso la tradizione. Il fine delle due ermeneutiche è però il medesimo: che si accetti, in un modo o nell'altro il modernismo. Infatti quello che si richiedeva alla FSSPX non era altro che accettare la supremazia del Magistero sulla Tradizione.
A questo proposito la Fraternità SPX ha pubblicato i testi dei colloqui dottrinali ed i punti più spinosi sono proprio quelli che io ho elencato.
Se la Fraternità avesse firmato l'accordo lo scopo pseudo-tradizionalista del pontificato di Benedetto XVI avrebbe raggiunto la sua realizzazione: non ci sarebbe stata più una voce dissonante circa le nuove dottrine introdotte dal Concilio. Tuttavia non è andata così. L'ermeneutica della continuità rifiutata proprio da coloro ai quali "in primis" era rivolta perde uno dei suoi motivi di propagazione. Per gli altri tradizionalisti incorporati nella Chiesa basta il lavoro tipico di GPII, cioè "un colpo al cerchio ed una alla botte".
Adesso che è stato sdoganato anche il VO, siamo prossimi alla "PAX AUGUSTEA" nel mondo cattolico. Il problema è che celebrare il VO con un impianto dottrinale eroso e fatiscente serve solo a continuare il pseudo-tradizionalismo inaugurato dal genio di "Benedetto XVI" e condiviso, per lo più inconsapevolmente, dai suoi fans.

JDSM

Anonimo ha detto...

Il processo che descrivi, col papa attuale ha raggiunto uno stadio più avanzato. Il problema è che l' inquinamento precedente ha già sviato molti. Ormai certe difformità con la tradizione non sono nemmeno riconosciute dai piú.