Nella nostra traduzione da European conservative un interessante articolo sul ruolo notevole e importante del canto nella Divina Commedia. Con piacere lo condivido perché penso che nell'attenzione e approfondimenti che notiamo riproporsi sui tesori della nostra cultura possiamo riconoscere gli anticorpi alla cancel culture e l'antidoto al terribile degrado della civiltà occidentale, che molto ci sorprende e ci allarma. I più attenti tra voi avranno potuto trovarci un parallelo tra i commenti nella pagina dell'articolo precedente qui. Cito (è molto interessante): ""Il traduttore della Divina Commedia in russo è Mikhail Lozinskij. Faceva le traduzioni nell'assedio di Leningrado. Intorno a lui le persone morivano di fame, e lui pensava alle terzine di Dante. Forse questa cosa lo ha salvato. Nonostante tutto, è bene concentrarsi sulle cose belle; chi diventa depresso e spaventato è perso. Resistiamo.
La voce russa di Dante, M.L. Lozinskij: “Ho offerto sette anni della mia vita ad onorare intensamente la memoria di Dante e sono felice di aver portato l’opera a compimento. Tre cantiche, cento canti, 14233 versi non è poco. Le terzine rimate sono un metro estremamente difficile. La struttura della lingua russa è lontana da quella italiana. Molti punti della “Divina Commedia” sono oscuri. Vi hanno lavorato alacremente commentatori di ogni paese, discutendo. Capitava di dover scegliere tra le loro spiegazioni. E lì dove il testo di Dante permetteva interpretazioni diverse, bisognava fare in modo che anche il testo russo potesse essere letto in due o tre chiavi diverse. Nell’arco di questi sette anni ho lavorato anche ad altre cose. Per la traduzione di Dante ho impiegato, nei fatti, 576 giorni di lavoro, peraltro accadeva che in una giornata intera riuscissi a tradurre appena sei versi, ma accadeva anche che ne traducessi 69, in media comunque traducevo circa 24 versi al giorno... più mi addentravo nella “Divina Commedia”, più mi inchinavo dinanzi alla sua grandezza. Nella letteratura mondiale si erge come una catena montuosa, adombrata da null’altro”. (Lettera di Michail Lozinskij, il geniale traduttore della Divina Commedia)"".
La voce russa di Dante, M.L. Lozinskij: “Ho offerto sette anni della mia vita ad onorare intensamente la memoria di Dante e sono felice di aver portato l’opera a compimento. Tre cantiche, cento canti, 14233 versi non è poco. Le terzine rimate sono un metro estremamente difficile. La struttura della lingua russa è lontana da quella italiana. Molti punti della “Divina Commedia” sono oscuri. Vi hanno lavorato alacremente commentatori di ogni paese, discutendo. Capitava di dover scegliere tra le loro spiegazioni. E lì dove il testo di Dante permetteva interpretazioni diverse, bisognava fare in modo che anche il testo russo potesse essere letto in due o tre chiavi diverse. Nell’arco di questi sette anni ho lavorato anche ad altre cose. Per la traduzione di Dante ho impiegato, nei fatti, 576 giorni di lavoro, peraltro accadeva che in una giornata intera riuscissi a tradurre appena sei versi, ma accadeva anche che ne traducessi 69, in media comunque traducevo circa 24 versi al giorno... più mi addentravo nella “Divina Commedia”, più mi inchinavo dinanzi alla sua grandezza. Nella letteratura mondiale si erge come una catena montuosa, adombrata da null’altro”. (Lettera di Michail Lozinskij, il geniale traduttore della Divina Commedia)"".
Potete trovare qui l'indice degli articoli sulla musica sacra con molti interessanti approfondimenti soprattutto sul valore del Gregoriano. Richiamo l'attenzione anche sulla nota in calce.
La melodia delle anime: canto come penitenza e
beatitudine nel Purgatorio e nel Paradiso di Dante
Purgatorio
Paradiso
Questo lo schema completo del canto nel cielo delle Stelle fisse del Paradiso:
23.97 Gabriele canta a Maria.
24.113 L'esercito del cielo canta il Te Deum in italiano, «con quella melodia che solo lassù si canta».
25.73 L'oscuro Sperino in te appare in conversazione con San Giacomo.
25.98 Sperent in te cantato dai beati (cfr Sal 9).
26.69 Santo Santo Santo cantato da Beatrice e gli altri beati.
27.1 “ 'Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo' gridavano tutte le anime del Paradiso, ed io mi inebriavo della dolcezza del loro canto”.
“Chi canta per amor mio”
___________________________Nel XIV canto del Paradiso, Dante scrive: “Come la viola e l'arpa, tese di molte corde nella loro armonia, suoneranno dolci anche per chi non riesce a coglierne la melodia, così dalle luci [anime] che mi apparvero, si raccolse e venne dalla croce una melodia, incantandomi, anche se non riuscivo a distinguere che canto fosse. Che sia uno scherno per i dannati, un mezzo di espiazione per coloro che sono in purgatorio o un'espressione di gioia per le anime in paradiso, la musica gioca un ruolo notevole e importante nella Divina Commedia. All'inferno, Dante descrive demoni ululanti; in purgatorio vede un angelo che traghetta le anime dalla terra mentre cantano un salmo penitenziale; in cielo diventa “colmo di ebbrezza” ascoltando i canti dei beati. L'esplorazione del canto nel Purgatorio e nel Paradiso rivela che Dante mette parti della Messa, salmi e inni sulle labbra delle anime che si preparano per il paradiso o che già ne godono la pienezza. Addentrandoci nei canti di Dante, scopriamo un delizioso paradosso nel modo in cui egli vede il canto sia come elemento della penitenza sia come complemento di beatitudine.
Purgatorio
Nella Divina Commedia, mentre Dante passa di balza in balza sul monte del Purgatorio, descrive le anime che cantano per un totale di diciassette volte. Tutti i suoi riferimenti sono a passaggi scritturali o a elementi dell'Ufficio Divino. Dante non utilizza questi testi familiari solo come allusioni letterarie teologicamente rilevanti; fa anche un discorso morale, mostrando ai suoi lettori come le loro preghiere cantate, sia per il contenuto testuale che per l'esecuzione musicale, siano preziose nella vita ascetica e contemplativa. L'importanza che Dante associa al canto è profonda, ma per nulla originale; insegna in modo aneddotico ciò che la Chiesa insegna da millenni, e cioè che la Messa e l'Ufficio divino contribuiscono alla gloria di Dio e alla santificazione delle anime.
Il Salmo 113 è il primo salmo cantato, sintesi della potenza di Dio nel cammino dell'anima dall'esilio alla vita eterna. Dante descrive un angelo che porta le anime ai piedi del monte del Purgatorio:
Da poppa [della barca] stava il celestial nocchiero: la sua semplice descrizione porterebbe alla beatitudine. E con lui più di cento anime. « In exitu Israel de AEgypto» cantavan tutt'insieme ad una voce, con quanto di quel salmo è poscia scritto. Poi li benedisse con il segno della Santa Croce.
La collocazione di questo salmo all'inizio dell'opera riassume la visione di Dante del Purgatorio: "Quando Israele uscì dall'Egitto... da un popolo di lingua straniera". Queste anime vengono dalla Terra – una terra straniera sin dalla Caduta – al santuario di Dio. Alcuni dovranno essere purificati dalle macchie persistenti di quella strana terra. Avranno comunque una meta ancora più alta di quella di un mondo non caduto, come risulta chiaro quando attraversano il paradiso terrestre fino alla Visione Beatifica.
Questo salmo parla anche di come il Giordano e il Mar Rosso furono spostati per l'esodo, e di come le colline tremarono quando fu data la legge a Mosè; in questi eventi Dio mostra in pieno la Sua potenza nel suo piano di redenzione. Per queste anime, il Purgatorio significherà che Dio porterà a termine l’opera della loro creazione, infondendo nella natura decaduta la capacità soprannaturale di vedere il volto di Dio. Più tardi canteranno: “Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà la gloria… Il Signore si è ricordato di noi: ci benedirà”. Questi versetti riuniscono sia la ricompensa eterna che è stata promessa a queste anime, sia il memento del loro bisogno di essere purificati dall'orgoglio, il primo peccato dal quale saranno purificate. Il Salmo 113 si conclude con una nota sul loro destino eterno: «I morti non loderanno il Signore... Ma noi benediremo il Signore da ora e per sempre». I riferimenti al canto dei salmi in particolare ricorreranno più volte nel Purgatorio. San Giovanni Crisostomo disse della preghiera dei salmi nelle veglie, nelle preghiere del mattino, nei funerali e nei monasteri, che “Davide è il primo, il mediano e l’ultimo”. Si potrebbe anche immaginare che Crisostomo dica: “Anche nel Purgatorio Davide è il primo, il mediano e l’ultimo”.
Si cantano anche preghiere non bibliche, e un bell'esempio si ha sulla balza dei lussuriosi, dove l'inno gregoriano Summae Deus clementiae viene cantato dalle anime nell'anello di fuoco che le purifica dalla lussuria. “'Summae Deus clementiae' sentii poi cantare nel cuore del grande incendio, il che mi rese non meno desideroso di tornare indietro”. Cantato nel Mattutino del sabato, il testo dell'inno, soprattutto il versetto 3, è una preghiera perfetta per queste anime lussuriose: «Con le fiamme della carità, infiamma i nostri lombi affinché siano sempre cinti e pronti per la tua venuta."
La loro richiesta rende Dante ancora meno desideroso di avvicinarsi alle fiamme, cosa che Virgilio lo esorta a fare. “Allora cominciarono di nuovo a cantare”, continua il Purgatorio, “invitando mogli e mariti ad esser casti, come esortano la virtù e il matrimonio”. Dante riassume concisamente come sia la virtù che il matrimonio dovrebbero mettere ordine alle relazioni sessuali - qualcosa che ovviamente non è supportato dalla musica popolare di oggi, né qualcosa che Dante ha costantemente riconosciuto. Nei Fondamenti della musica Boezio scrive che l'anima si modella più facilmente attraverso ciò che sente. Riconoscendo ciò, Dante presenta i modi altamente ordinati del canto gregoriano che restaurano quanto è eccessivamente sensuale attraverso le loro orecchie. Per dare l'esempio a sé e agli altri lussuriosi, presenta la monodia dei monaci, ricchi di ordine e di virtù, per rimediare ad un vizio perenne.
Un altro inno si canta nella Valle dei Re nell'antipurgatorio, l'antico e bellissimo inno alla Vergine Maria, la Salve Regina : “Seduto nell'erba e nei fiori, vidi anime non visibili di là dalla valle sommersa. ' Salve Regina ' era la canzone che cantavano." I monarchi cantano, acclamando la Regina perfetta, implorando misericordia dalla loro valle di lacrime. È un'umiliazione polivalente: sono monarchi maschi che pregano un sovrano femminile, mentre si definiscono esuli!
Jacques Hourlier, monaco, considerando come il canto diventi preghiera attraverso una “mini incarnazione” nelle sue Riflessioni sulla spiritualità del canto gregoriano, dice questo:
Il canto arriva a dimorare nel profondo dell'anima. Modella le più abissali profondità del mio essere. Allo stesso tempo, sgorga dal mio cuore e mi solleva, nella mente e nel cuore, verso il cielo. La musica è diventata preghiera.
La Valle dei Re è la patria di monarchi che hanno pervertito il loro potere di dominio. Ora devono usare il canto per elevare i loro cuori e le loro menti al cielo, lontano dalle preoccupazioni mondane, lontano dall’usurpazione e dall’abuso del potere temporale. Un tocco altrettanto ironico si verifica sulla balza degli Iracondi:
Sentivo delle voci e ognuna sembrava pregare per la pace e la misericordia l'Agnello di Dio che toglie i nostri peccati. Tutti cominciarono con l'Agnus Dei e cantarono le parole con una sola voce e con una sola intonazione, in modo da apparire perfettamente concordi.
Nella Messa l' Agnus Dei è preceduto e seguito dalla preghiera per la pace. Questo insieme di richieste sottolinea il modo in cui la pace è inseparabilmente connessa alla rinuncia al peccato e alla ricezione della comunione. L' Agnus Dei è la preghiera per la pace per eccellenza, perché chiede che la pace sia donata mediante la remissione dei peccati, radice di ogni disordine e conflitto. Gli iracondi del Purgatorio di Dante stanno facendo esattamente il contrario di ciò che il Diavolo li ha tentati di compiere sulla terra; usando la musica, riparano le crepe nel corpo musicale, invece di crearle. Sicuramente questo è un esercizio per creare “armonia”! Come scrisse il grande storico cristiano del IV secolo, Eusebio:
Cantiamo le lodi di Dio con un salterio vivente... Poiché più gradita e cara a Dio di qualsiasi strumento è l'armonia di tutto il popolo cristiano... La nostra cetra è tutto il corpo, con il cui movimento e azione l'anima canta un inno adeguato a Dio, e la nostra il nostro salterio a dieci corde è la venerazione dello Spirito Santo da parte dei cinque sensi del corpo e delle cinque virtù dello spirito.
Con questa bellissima visione di unità evocata per noi dall'Agnus Dei portatore di pace, ci rivolgiamo ora al Paradiso, dove la richiesta di quella preghiera viene finalmente realizzata.
Paradiso
Mentre le anime del purgatorio cantano solo in latino, in paradiso echeggia sia l'italiano che il latino. Anche se Dante è celebrato come un poeta vernacolare all'avanguardia, ciò potrebbe sembrare sorprendente, poiché qui, soprattutto, potremmo aspettarci una somiglianza particolarmente forte con il culto terreno della Chiesa – ai tempi di Dante sempre in latino. Forse l'uso della lingua materna da parte di Dante avrebbe potuto fornire ai suoi lettori il senso di sorpresa e stranezza che è un effetto lodato della liturgia latina odierna. Dante, però, allude all'esistenza di un'elevata lingua celeste che non riesce a comprendere; Cacciaguida, il trisavolo di Dante, deve volgere al basso le misteriose “parole così profonde” all'italiano per poter essere compreso.
A prescindere dalla lingua, Dante presenta il paradiso come un insieme festoso grandioso, solenne e gioioso. Josef Pieper, nel suo libro In sintonia con il mondo, scrive magistralmente della natura del giubilo, concludendo infine che non esiste altra teoria della festa al di fuori del cristianesimo, e specificamente della Messa:
Qualunque sia il contenuto specifico di questo ringraziamento [della Messa], l'«occasione» per la quale esso viene compiuto e alla quale si relaziona non è altro che la salvezza del mondo e della vita intera. … Praticando i riti di culto gli uomini sperano che sarà loro garantita una parte dell’abbondanza soprannaturale della vita.
Questa partecipazione ad una sovrumana abbondanza di vita è trasmessa dall'atmosfera semi-liturgica del Paradiso, dove è presente una speciale combinazione di struttura e libertà, di un rituale interiore solenne e di uno esteriore più personale. I santi sono interiormente intenti alla vita della Trinità, e allo stesso tempo conversano tra loro e con il poeta. Non sono distratti dall'uno o dall'altro e sono perfettamente integrati.
Il paradiso di Dante è diviso in nove “cieli” concentrici che circondano la terra. Secondo la teoria medievale dell’universo, i primi sei cieli sono i regni dei pianeti, mentre gli ultimi tre contengono le stelle, il “Cielo cristallino”, e infine il “cielo empireo”, centro del Paradiso e sede della Trinità. A seconda della rispettiva misura di santità, le anime sono poste in cieli più vicini o più lontani dalla Trinità. In tutti gli ambienti Dante è testimone di un grande giubilo, che spesso si esprime nel canto. Quando Dante raggiunge la sfera di Saturno, però, rimane colpito dal fatto che essa sia silenziosa. Chiede a San Pier Damiani perché il cielo di Saturno tace:
"Dimmi perché dentro questa ruota tace la dolce sinfonia del Paradiso, che giù risuona con tanta devozione."«Il tuo udito è mortale quanto la tua vista», rispose. "Dunque qui non c'è canzone, proprio perché Beatrice non ha sorriso."
All'inizio del canto Beatrice disse a Dante che se gli avesse sorriso sarebbe stato incenerito dallo splendore del suo viso:
"La mia Bellezza", dice, "che hai visto divampare più luminosamente man mano che saliamo... è così risplendente che, se non fosse mitigata nel suo ardere, le tue forze mortali sarebbero come rami di alberi spezzati e bruciati dal fulmine."
Nel cielo di Saturno le anime tacciono affinché Dante possa rimanere intatto. Non ricorda questo il Canone silenzioso della tradizionale Messa latina? Nessuna musica umana è abbastanza bella per questo, nessun discorso abbastanza nobile. È silenzioso affinché l'atto della preghiera sia più concentrato e non perda la sua potenza; ma, paradossalmente, questo dà origine a un rumore ancora più gioioso. Il silenzio non è la fine ma un inizio. Questo silenzio è una preparazione profonda, poiché, nel prossimo regno del paradiso, il canto sorge in sei occasioni! Dante rompe con il suo schema regolare di un testo cantato per livello del cielo: Saturno è silenzioso e il Cielo delle Stelle fisse abbonda con sei canti.
Questo lo schema completo del canto nel cielo delle Stelle fisse del Paradiso:
23.97 Gabriele canta a Maria.
24.113 L'esercito del cielo canta il Te Deum in italiano, «con quella melodia che solo lassù si canta».
25.73 L'oscuro Sperino in te appare in conversazione con San Giacomo.
25.98 Sperent in te cantato dai beati (cfr Sal 9).
26.69 Santo Santo Santo cantato da Beatrice e gli altri beati.
27.1 “ 'Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo' gridavano tutte le anime del Paradiso, ed io mi inebriavo della dolcezza del loro canto”.
Lo stigma del Cielo delle stelle fisse è quella di una “sobria ebbrezza”, dove i beati sono colmi di una grande gioia che esplode in tanti canti, la maggior parte dei quali di carattere liturgico. I beati celebrano il colloquio di Dante e l'insegnamento di Adamo nel canto precedente:
«Al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, gloria», gridavano tutte le anime del Paradiso, ed io mi inebriavo della dolcezza del loro canto. Mi sembrava di vedere l'universo sorridere, tanto che la mia ebbrezza arrivava ora attraverso l'udito e attraverso la vista. Oh felicità! O gioia oltre ogni descrizione! O vita compiuta nell'amore e nella pace! O ricchezze tenute in serbo, esenti dalla brama!
Il canto del paradiso di Dante sembra essere molto simile all'“opera di Dio” o all' Opus Dei di San Benedetto, la frase del santo per la continua e abbondante lode di Dio nel cantare “salmi e cantici spirituali”. Il silenzio e il canto sono aspetti sonori importanti nella vita dei monaci di Benedetto. Dal loro silenzio può scaturire la musica: e che musica! I melismi del canto gregoriano sono alcuni dei modi più belli con cui possiamo iniziare a esprimere il giubilo senza parole di fronte all’ineffabile. Non possiamo né esprimerlo a parole né astenerci dall’esprimerlo. Non resta che cantarlo. San Tommaso d’Aquino, nel suo Commento al Salmo 33, descrive tale canto come espressione di “un’immensa estensione di gioie”, lo sgorgare di una gioia che le parole non possono esprimere, che in definitiva è beatitudine, completamente al di là della nostra espressione.
L'uomo è unificato in cielo, i suoi desideri contraddittori e disgiunti sono riordinati fino al loro fine ultimo. Dante, da sempre poeta dell'amor cortese, assegna il primo e l'ultimo canto alla grande Signora della Corte del Cielo, la Beata Vergine Maria, fondendo profano e sacro in un'unica unità di giusto amore. Nel cielo della Luna, l'Ave Maria è cantata da Piccarda, una monaca costretta dal fratello a lasciare il convento. Così il canto finale della Divina Commedia avviene nel penultimo canto del poema, quando San Bernardo di Chiaravalle indica nella rosa dei beati i grandi santi e patriarchi, e spiega a Dante che la Beata Vergine è l'unica persona che può renderlo capace di vedere Dio. Nel presentarle queste canzoni, trasforma splendidamente la poesia d'amore secolare in una voce di preghiera e intercessione celeste. Il tocco mariano ricorda il suo posto ricorrente e di rilievo nell'ufficio e nella Messa di tutte le liturgie cattoliche. Non solo Dante termina con la canzone di Gabriele nel canto 32, ma l'ultimo canto del poema, il canto 33, ospita una poesia nella poesia, la preghiera Vergine Madre di San Bernardo, che costituisce quasi un terzo dell'ultimo canto. È l'omaggio d'addio di Dante alla Vergine Maria.
“Chi canta per amor mio”
Dante, il pellegrino inebriato, comprende nei suoi rapporti con i beati che il vero culto nascosto nel seno della Trinità non può che suscitare il giubilo del canto. Si spera che questa esplorazione dei canti di Dante abbia contribuito a svelare la natura espiatoria e beatifica del canto. Non è diverso per noi, qui e ora nel 21° secolo, rispetto all’Italia medievale del 13° secolo. Lodando la «grande tradizione musicale della Chiesa, che ha nel canto gregoriano e nella polifonia due delle sue più alte espressioni, come afferma lo stesso Concilio Vaticano II (Sacrosanctum Concilium, 116)»(1), ha detto Papa Benedetto XVI ai musicisti, «voi, che avete il dono del canto, potete far cantare il cuore di tante persone nelle celebrazioni liturgiche” (e invece: qui - qui - qui).
Forse se Dante scrivesse oggi, rappresenterebbe un Purgatorio per coloro che non “condividono pienamente l’accordo” con l’insegnamento della Chiesa sul valore del cantilenare “ad una sola voce”, o che non cantano come “virtù e matrimonio sollecitano”. La dottrina del canto presentata liricamente nella Comedia non può essere liquidata con leggerezza, data la sua armonia con l'insegnamento e la prassi della Chiesa per tanti secoli. Se dunque vogliamo trovarci a passare rapidamente attraverso il Purgatorio, dobbiamo cominciare con gioia e prontezza a seguire ciò che ci è stato tramandato. Se falliamo, rischiamo di doverci chiedere con Dante la causa della nostra incomprensione delle cose celesti: “Perché le tue sospirate parole si elevano tanto al di là della mia vista [che] quanto più si sforza, tanto più non riesce a raggiungerle?'” Beatrice risponde, parlando della Chiesa: “'Affinché tu comprenda', disse, 'la scuola che hai seguito e veda se ciò che insegna segue bene le mie parole, e tu veda che la tua via è tanto lontana da Dio quanto il cielo più alto... è lontano dalla terra.'”
Jiulian Kwasniewski
______*Julian Kwasniewski è un musicista, artista visivo e scrittore. È il coordinatore del marketing e della comunicazione presso il Wyoming Catholic College. I suoi scritti sono apparsi in numerose sedi online e cartacee, tra cui Catholic World Report, Crisis Magazine, The Imaginative Conservative, OnePeterFive, Salvo Magazine, Latin Mass Magazine e The European Conservative. Potete trovare alcuni dei suoi lavori artistici su Etsy e YouTube.
Nota di Chiesa e post-concilio
1. È vero che la Sacrosanctum Concilium definisce il gregoriano il canto proprio della Messa romana; ma, poiché si è “riscritta” la liturgia cattolica annacquandola con elementi protestanti e si è posto al centro di tutto il nuovo impianto teologico-liturgico la “doppia mensa”, è evidente che, quale conseguenza naturale, si abbandona il canto gregoriano in quanto espressione di una “docenza” non più connaturale alla nuova ecclesiologia. (i link inseriti nel testo offrono un congruo approfondimento)
Tre possono essere i motivi per cui nel terzo millennio ci si può interessare al canto gregoriano.
Un motivo spirituale. Chi vive la fede cristiana s’accorge come la Parola di Dio necessiti di una mediazione che vada al di là della spiegazione filologica e dell’applicazione moraleggiante. Percepire la voce di Dio nella sua Parola è un’azione del cuore in ascolto di quanto le parole della Bibbia non riescono a esprimere. La musica è il linguaggio privilegiato del cuore: di Dio e dell’uomo. Il canto gregoriano ha la forza di in-cantare, distogliere il cuore dalle preoccupazioni perché si dilati e si orienti a Dio nell’adorazione e nel silenzio attonito.
Un motivo culturale. Chi è attento alle opere dello spirito umano, avverte la grandezza dell’arte poetica, la capacità di comunicare a livello profondo di emozioni con linguaggi che spesso non sono ordinari. Il canto gregoriano è un itinerario di bellezza e di armonia. Esso riassume l’esperienza poetica di decine di generazioni a partire dall’antico Israele fino alle espressioni mutuate dalle tante e diverse culture dove il cristianesimo ha portato il Vangelo, ricevendo in cambio nuove possibilità di comunicazione musicale.
Un motivo antropologico. Molti brani del repertorio gregoriano sono costruiti secondo particolari tecniche musicali sperimentate in ambito semitico (maqam). La melodia si muove su particolari circuiti mentali che obbligano a percorrere determinati itinerari legati alla memoria e alle sue variazioni, il tutto segnato da alternanza di conosciuto e di ignoto, di presente e di rimosso. Sotto questo aspetto il cantare e anche il solo ascoltare le melodie gregoriane può costituire un momento di forte terapia oltre che di culto autentico: il filo d’Arianna che aiuta a districarsi nel labirinto interiore e che permette a mente e cuore di indagare, scoprire e ricuperare la verità di sé stessi e dunque il rapporto con Dio.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
A I U T A T E, anche con poco,
l'impegno di Chiesa e Post-concilio anche per le traduzioni
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10 commenti:
Il pensiero medioevale distingue la musica in tre categorie.
Musica mundana, (l'armonia delle sfere celesti)
Musica humana, quella che nasce dall'armonia tra lo spirito e il corpo dell'uomo
Musica instrumentalis, quella udibile prodotta dagli strumenti e dalla voce umana
L'ordine di importanza è decrescente dalla forma concettualmente più alta data dall'armonia delle sfere celesti alla musica prodotta dagli strumenti.
La musica che accompagna Dante nel suo cammino è simbolo dell'ascesa.
I rumori infernali (fatti di lamenti, suoni sgradevoli, aspri e cupi, quasi un'anti-musica) vengono purificati dall'armonia del Purgatorio fino ad arrivare alla polifonia e ai canti celestiali del Paradiso
"Quivi sospiri, pianti e alti guai / risonavan per l'aere sanza stelle” sono i versi dal terzo canto dell'Inferno dantesco prediletti da una schiera di madrigalisti, dal padovano Giulio Renaldi all'udinese Giovanni Battista Mosto, dal bolognese Domenico Micheli al romano Francesco Soriano fino al siciliano Pietro Vinci ...
Sommamente si dilettò in suoni e in canti nella sua giovinezza, e a ciascuno che a que’ tempi era ottimo cantatore o sonatore fu amico e ebbe sua usanza; e assai cose da questo diletto tirato compose, le quali di piacevole e maestrevole nota a questi cotali faceva rivestire.
Boccaccio, Vita di Dante, XX
Dante Alighieri, il rinomato poeta italiano e autore della Divina Commedia, era un appassionato di musica e ha incorporato elementi musicali nei suoi lavori letterari. Infatti, la musica ha un ruolo importante nella Divina Commedia, con Dante che fa frequenti riferimenti a termini e concetti musicali in tutta la poesia.
L'apprezzamento di Dante per la musica può essere fatto risalire ai suoi primi anni, quando sarebbe stato esposto alla musica dei trovatori e dei menestrelli nella sua città natale di Firenze. Da giovane, avrebbe anche conosciuto le opere di famosi compositori italiani dell'epoca, come Guido d'Arezzo, che fu un pioniere nello sviluppo della notazione musicale.
Nella Divina Commedia, Dante utilizza la musica come metafora per stati spirituali ed emotivi. Ad esempio, nell'Inferno, il livello inferiore dell'inferno è rappresentato come un luogo in cui si sente una musica dissonante, simboleggiando il caos e la confusione delle anime dannate che vi risiedono. In contrasto, i livelli superiori del paradiso sono descritti come luoghi di perfetta armonia e di musica meravigliosa.
Inoltre, Dante era noto per aver scritto testi per accompagnare composizioni musicali, e diverse delle sue opere sono state musicate da compositori successivi. Un esempio è la canzone "Amor che ne la mente mi ragiona", che è stata scritta da Dante e in seguito messa in musica dal compositore Francesco Landini.
Nel complesso, l'uso della musica da parte di Dante nei suoi lavori letterari dimostra il suo profondo apprezzamento per l'arte e la sua capacità di trasmettere emozioni e idee complesse.
https://askaedizioni.com/it/blogs/notizie/dante-e-la-musica
Tra le anime del Purgatorio Dante incontra il defunto amico Casella, musico fiorentino a cui chiede di cantare "in memoria dell'antico affetto".
L’interesse di Dante per la musica trova la sua più compiuta espressione nella Commedia, a partire dalla stessa struttura del poema, in cui è sistematicamente applicato, dalla singola terzina al rapporto tra le cantiche, quel principio di proporzione e relazione tra le parti proprio dell’ars musica medievale.
L’opera è capillarmente intrisa di riferimenti musicali che illustrano i gusti personali di Dante, e ben testimoniano la sua confidenza con la teoria, la pratica e la storia della musica.
Ogni cantica è caratterizzata in particolare da ben distinti universi sonori e musicali.
L'Inferno è il regno dell’antimusica, dominato dal rumore e dal grido, dalla cacofonia dissonante e dalla parodia del canto liturgico, dalla danza senza requie dei dannati e dalla concretezza sgraziata di strumenti rozzi o guerreschi (corni, trombe, tamburi…).
Quivi sospiri, pianti e alti guai/ risonavan per l’aere sanza stelle,/ per ch’io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,/ parole di dolore, accenti d’ira,/voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s’aggira/ sempre in quell’aura sanza tempo tinta,/come la rena quando turbo spira.
Inf., III, 22-30
Nemrod il gigante suona il suo “alto corno / …ch’avrebbe ogni tuon fatto fioco” (Inf., XXXI, 12-13)
La musica del Purgatorio ha carattere ben diverso e decisamente terreno. Il mutato clima musicale traspare dalla presenza di strumenti dalle sonorità morbide e piene o squillanti e dall’uso frequente di termini musicali, sia in senso letterale che figurato, che evocano ordine ed elevazione morale: “allelujare”, “armonizzare”, “consonare”…
Anche la danza ha perso il marchio della dannazione per farsi persino “angelico caribo” e danza di Ninfe.
Ah! Quanto son diverse quelle foci/ Dalle infernali; chè quivi per canti/ S’entra, e laggiù per lamenti feroci.
Purg., XII, 112-114
Ed una melodia dolce correva/ Per l’aer luminoso…/ E il dolce suon per canto era già inteso
Purg., XXIX, 22-23; 36
La seconda cantica è dominata dal canto monodico, intonato da voce sola, coro all’unisono o coro alternato.
Nel Purgatorio abbondano le intonazioni di preghiere e i canti liturgici (antifone, salmi, inni, citazioni dall’ordinarium missae, litanie dei santi…) che accompagnano il viaggio spirituale dei penitenti, confortandone lo spirito e quasi offrendo una trasposizione in musica dei loro sentimenti.
Emblematico il caso dell’inno In exitu Israel de Aegypto (II, 46-48) che “più di cento spirti […] cantavan tutti insieme ad una voce” (ossia in coro misto all’unisono), prima manifestazione musicale del nuovo ambiente e perfetta metafora della trasmutazione di stato delle anime al principio del loro percorso purgatoriale.
... segue
potere della musica sull’animo umano è elemento focale del celebre incontro, nel canto II, con l’amico Casella che, per consolare Dante, intona Amor che ne la mente mi ragiona, seconda canzone morale tratta dal Convivio.
… Se nuova legge non ti toglie/ memoria o uso a l’amoroso canto/ che mi solea quetar tutte mie doglie,
di ciò ti piaccia consolare alquanto/ l’anima mia, che, con la sua persona/ venendo qui, è affannata tanto!".
‘Amor che ne la mente mi ragiona’/ cominciò elli allor sì dolcemente,/ che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Lo mio maestro e io e quella gente/ ch’eran con lui parevan sì contenti,/ come a nessun toccasse altro la mente.
Noi eravam tutti fissi e attenti/ a le sue note; …
Purg., II, 106-119
Non è certo se questo testo sia stato effettivamente musicato da Casella o da altri, ma sappiamo che Casella musicò almeno una canzone (Lontana dimoranza di Lemmo Orlandi da Pistoia: ms. Vat. lat. 3214, c. 152r) e che per Dante non era affatto insolito far “adornare di soave armonia” i propri testi (Vita nuova, XII; cfr. CV, II, 12).
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Nel Paradiso terrestre (XXIX) Dante assiste ad una solenne processione: appresso a ventiquattro “seniori” che intonano "…Benedicta tue /ne le figlie d’Adamo, e benedette / sieno in etterno le bellezze tue!" (85-87) appare un carro trionfale trainato da un grifone, seguito a sua volta da tre donne avanzano danzando “in giro” (107-108; 121-122).
Infine il Paradiso: qui la beatitudine dell’ambiente è resa mediante un uso ancor più pervasivo di termini musicali evocanti armonia e concordanza (accordarsi, armonia, risonare, tempra…). L’inaudibile e perfetta armonia delle sfere rotanti è un tutt’uno con la luce divina e si intreccia in assoluto accordo col dolce canto dei beati e degli angeli.
Qualunque melodia più dolce suona/ qua giù e più a sé l’anima tira,/ parrebbe nube che squarciata tona,
comparata al sonar di quella lira/ onde si coronava il bel zaffiro/ del quale il ciel più chiaro s’inzaffira.
«Io sono amore angelico, che gio/ l’alta letizia che spira del ventre/che fu albergo del nostro disiro;
e girerommi, donna del ciel, mentre/ che seguirai tuo figlio, e farai dia/ più la spera supprema perché lì entre».
Così la circulata melodia/ si sigillava, e tutti li altri lumi/ facean sonare il nome di Maria.
Par., XXIII, 97-111
Nel Paradiso la dolce melodia dei canti è spesso connessa alla danza circolare degli angeli e dei beati che riprende il moto celeste e si fonde con la musica divina in una "circulata melodia".
La musica è elemento ben presente nella vita e nella poetica di Dante, sia nel suo aspetto matematico-concettuale, sia come fenomeno esperienziale e uditivo. All’armonia dei suoni perfettamente proporzionati è attribuito un potere quasi d’incanto: la musica cattura i sensi, cura l’animo, eleva lo spirito e non v’è accadimento o sentimento che non possa esser tradotto in termini o forme musicali, così in terra come nella “dolce sinfonia di Paradiso” (Par., XX, 59).
Il lungo studio e il grande amore.
Eccomi qua!
Sto studiando il mio Dante.
Capelli bianchi, occhiali sul naso, lapis in mano e la Divina Commedia con il commento di Natalino Sapegno.
Sto preparando il Canto 30° del Purgatorio.
Con Riccardo Starnotti faremo una Lettura Dantesca a due voci di questo canto bellissimo sabato 28 settembre ore 11,30 all’interno del Festival Dantesco Fiorentino.
È uno scatto spontaneo.
Però mi piace molto.
Mostra tutto quello che di solito i social non mostrano. Mostra tutto lo studio e la passione che c’è dietro a tutto quello che faccio. Vi assicuro che, non avendo nessun talento, per fare quello che faccio, sia nel lavoro che nelle mie passioni, c’è tanto tanto studio e preparazione. Spesso dietro un piccolo post che pubblico ci sono, ore, giorni, settimane di letture e approfondimenti.
E questa cosa mi è nata proprio con Dante.
Non so che cosa avete fato voi durante la pandemia. Io mi rimisi a studiare Dante, leggendomi tutta la Divina Commedia. Un canto a sera, un’esperienza pazzesca. Un’opera moderna e attuale.
Così facendo Dante mi ha insegnato una cosa. Mi ha insegnato, come dice lui, proprio “il lungo studio e il grande amore”. Ad andare oltre la superficie, a scendere più a fondo delle cose, a durare fatica. La ricompensa è la conoscenza, delle cose certo, ma soprattutto di te stesso.
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27 28 29 Settembre
DONNA M’APPARVE
2° Festival Dantesco Fiorentino
https://festivaldantescofiorentino.it
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