Giusto bloccare l’OMS, ma attenzione
alle vie traverse e subdole dell'Unione Europea
Il recente rigetto, da parte del Governo Meloni, degli emendamenti proposti al Regolamento Sanitario Internazionale (RSI) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rappresenta, sul piano politico, un atto di resistenza meritevole di apprezzamento.
In un contesto nel quale le organizzazioni sovranazionali spingono per un incremento delle proprie competenze in materia sanitaria, a scapito dell’autonomia decisionale degli Stati, la posizione assunta dall’Italia riafferma un principio essenziale: la salute pubblica, quale espressione della sovranità nazionale, deve essere disciplinata nel rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti e del principio democratico.
Gli emendamenti in questione miravano a modificare radicalmente la natura del RSI, attribuendo all’OMS prerogative vincolanti nella gestione delle emergenze sanitarie, anche in assenza del consenso statale. In particolare, si prevedeva la possibilità per il Direttore Generale dell’Organizzazione di dichiarare unilateralmente emergenze sanitarie pubbliche di rilevanza internazionale, adottando misure vincolanti per gli Stati membri. Queste avrebbero incluso, tra le altre cose, obblighi di raccolta e condivisione di dati sanitari sensibili, raccomandazioni obbligatorie in materia di vaccinazione, restrizioni agli spostamenti e limitazioni alla libertà personale anche in deroga alle normative nazionali. Inoltre, le nuove definizioni di "emergenza" e di "potenziale minaccia sanitaria" estendevano pericolosamente la discrezionalità dell’OMS, ponendo le basi per un controllo tecnocratico globale delle politiche sanitarie.
A fronte di ciò, la scelta del Governo italiano di opporsi a tali modifiche costituisce, senz’altro, un passo nella direzione della tutela della sovranità interna e della riserva di legge prevista dall’art. 32, comma 2, della Costituzione, che vieta trattamenti sanitari obbligatori se non espressamente previsti da una legge dello Stato e nel rispetto dei limiti imposti dalla dignità umana.
Tuttavia, non può ritenersi una vittoria definitiva. Infatti, l’intero impianto normativo del Regolamento Sanitario Internazionale, adottato ai sensi dell’art. 21 dello Statuto dell’OMS, si basa su un meccanismo che consente modifiche vincolanti mediante il principio del silenzio-assenso. Gli emendamenti, se non espressamente rigettati entro un certo termine, entrano automaticamente in vigore. Il rifiuto espresso da parte del Governo Meloni, pur rappresentando un atto giuridicamente efficace, non esclude il ripresentarsi ciclico di proposte simili, né neutralizza la pressione normativa internazionale volta a uniformare le risposte sanitarie sotto un’unica regia globale.
A rendere ancora più fragile questa posizione vi è un ulteriore e insidioso fattore: l’Unione Europea. Sebbene l’art. 168 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) riconosca che la politica sanitaria resta, in linea di principio, competenza degli Stati membri, l’UE esercita una competenza concorrente in materia di protezione della salute pubblica limitatamente a funzioni di coordinamento, sostegno e complemento.
Tuttavia, proprio attraverso questa competenza di coordinamento, l’Unione potrebbe tentare di far "rientrare dalla finestra" ciò che il Governo italiano ha fatto uscire dalla porta. L’esperienza pandemica ha già mostrato come Bruxelles possa agire, sebbene indirettamente, nell’imporre linee guida, standard comuni, obblighi informativi e sistemi di interoperabilità dei dati sanitari, sfruttando strumenti quali le raccomandazioni della Commissione, i programmi quadro (come EU4Health) e le agenzie tecniche (come l’HERA, ossia l'Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie). Attraverso tali strumenti, di natura apparentemente non vincolante ma politicamente cogente, l’Unione può esercitare un’influenza normativa e operativa significativa, determinando indirettamente le scelte degli Stati membri e condizionandone le politiche sanitarie nazionali.
Inoltre, la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha teso, nel tempo, ad ampliare il perimetro della competenza di coordinamento sanitaria, legandola alle libertà fondamentali del mercato interno, alla libera circolazione delle persone e alla tutela dei consumatori. In tal modo, misure sanitarie adottate a livello europeo possono essere giustificate come funzionali alla protezione del mercato e alla prevenzione di crisi transfrontaliere, ponendo così limiti ulteriori all’autonomia legislativa statale, in nome di una visione funzionalista dell’integrazione europea.
Sul piano tecnico-giuridico, dunque, la mancata adesione agli emendamenti dell’OMS, pur corretta e legittima, non risolve il problema di fondo: la progressiva erosione della sovranità normativa nazionale in ambito sanitario, che rischia di essere compressa non solo da organismi internazionali, ma anche, e forse in modo più subdolo, dalle istituzioni europee, in forza di un’interpretazione espansiva delle proprie competenze di coordinamento. Senza un’effettiva presa di posizione da parte degli Stati membri, volta a riaffermare in sede europea il primato delle Costituzioni nazionali nelle materie che toccano direttamente i diritti fondamentali, la vittoria contro l'OMS rischia di trasformarsi in un arretramento strategico sul lungo periodo.
In assenza di una riforma strutturale dei meccanismi decisionali internazionali e di una rivisitazione del ruolo dell’UE in materia sanitaria, fondata su una rigorosa delimitazione delle competenze e su una vera sussidiarietà, il diritto alla salute rischia di essere progressivamente affidato a organismi che non rispondono direttamente alla sovranità popolare, in una logica tecnocratica e post-democratica.
È questo il vero pericolo: non tanto la singola proposta rigettata, quanto l’architettura istituzionale che consente di riproporla ciclicamente, finché, per logoramento o per imposizione indiretta, non venga comunque accolta.
(Daniele Trabucco)
1 commento:
Bisogna uscire da questa gabbia.
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