Nella nostra traduzione da OnePeterFive la meditazione settimanale di p. John Zuhlsdorf, sempre nutriente e illuminante, che ci consente di approfondire, durante l'ottava, i doni spirituali della domenica precedente (qui).
Colligite Fragmenta:
V Domenica dopo Pentecoste
La quinta domenica dopo Pentecoste, secondo il calendario della Messa latina tradizionale, ci spinge a esaminare le disposizioni più intime del cuore cristiano e le altezze a cui il Signore chiama chi lo segue. Non è una domenica che co offra eventi spettacolari. Non c'è il miracolo dei pesci che rompono le reti, né una parabola sulla pecorella smarrita, né una chiamata degli Apostoli. Piuttosto, ci viene detto di purificarci dai veleni interiori dell'ira, del disprezzo e della vendetta. Siamo esortati a essere umili e ad avere un cuore tenero anche di fronte alla persecuzione.
Nella lettura dell'Epistola, tratta da 1 Pietro 3,8-15a, troviamo il primo Vicario di Cristo che scrive ai cristiani dispersi e angosciati dell'Asia Minore, un gregge circondato da sospetti e calunnie. Pietro, che un tempo aveva sguainato la spada nell'Orto degli ulivi, ha ora appreso la via più elevata della paziente perseveranza. La sua lettera non è un manifesto di trasformazione sociale, ma piuttosto una mappa spirituale per coloro che desiderano rimanere incrollabili in un mondo che non comprende. Come suggerisce la formattazione moderna della lettura dell'Epistola, Pietro ha citato una poesia, un canto, il Salmo 34,12-16, un inno di fiducia nelle avversità. La scelta della pericope (un ritaglio di versetti della Scrittura) da parte della Chiesa ha posto l'inno al centro dell'esortazione: Carissimi : 8 Infine, abbiate tutti unanimi sentimenti, compassione, amore fraterno, un cuore misericordioso e umile. 9 Non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria; ma, al contrario, benedite, perché a questo siete stati chiamati, affinché otteniate la benedizione. 10 Poiché
Chi vuole amare la vita
e vedere giorni buoni,
trattenga la sua lingua dal male
e le sue labbra dal dire inganni;
11 si allontani dal male e faccia il bene;
cerchi la pace e la persegua.
12 Poiché gli occhi del Signore sono sui giusti
e i suoi orecchi sono attenti alla loro preghiera.
Ma il volto del Signore è contro quelli che fanno il male.
13 Ora, chi potrà farvi del male, se siete zelanti nel bene? 14 Ma anche se soffrite per la giustizia, sarete beati. Non temete e non vi turbate, 15a ma adorate Cristo, il Signore, nei vostri cuori.
Pietro costruisce un edificio di virtù che si eleva dal terreno comune della buona volontà umana fino al culmine di una benedizione soprannaturale. Unitas in spiritu, in greco homóphrones, unità di spirito, è il primo passo, il prerequisito per qualsiasi comunità di credenti duratura. Segue sympathés, la capacità di comprendere le sofferenze altrui. Poi viene philádelphos, l'amore per i fratelli, ed eúsplanchnos, un cuore tenero, una parola in greco profonda che evoca l'immagine delle "viscere di misericordia". Gli antichi pensavano che la regione intestinale fosse la sede delle emozioni. Infine, la pietra angolare di questo edificio interiore: tapeinophrosýne, una mente umile.
Dom Prosper Guéranger, nel suo L'Année Liturgique, osserva che queste non sono semplici virtù ornamentali, ma il cemento che tiene insieme le pietre vive della Chiesa. Senza di esse, l'edificio è fragile.
L'Apostolo collega la benedizione di Dio al controllo della lingua: «Trattenga la lingua dal male e le sue labbra dal parlare con inganno» (v. 10). La lingua è il barometro del cuore. Come il Signore stesso insegnerà nel Vangelo, ciò che esce dalla bocca rivela l'uomo interiore.
Il consiglio dell'Apostolo sarebbe suonato ai suoi lettori sia consolante che eccezionale. Consolante, perché ricordava loro che gli occhi e le orecchie del Signore erano aperti alla loro angoscia. Eccezionale, perché dichiarava che nessuna sofferenza avrebbe scusato l'abbandono della carità. Infatti, Pietro scrive: "Anche se soffrite per la giustizia, sarete beati. Non abbiate timore di loro e non vi turbate" (v. 14).
La frase greca è sorprendente: “τὸν δὲ φόβον αὐτῶν μὴ φοβηθῆτε ( ton de phobon auton me phobēthēte) che significa “non temere la loro paura ”. Nella Vulgata: Timórem autem eórum ne timuéritis. Questo potrebbe significare sia “non temere ciò che temono” sia “non temere il loro terrore diretto contro di te”. Sant’Agostino nelle sue omelie torna spesso su questa dinamica: la paura del mondo di fronte alla santità della Chiesa, una paura che si scatena nella persecuzione. Pietro, che un tempo tremava nel cortile, ora ci esorta: “Adorate Cristo come Signore nei vostri cuori” (v. 15). Questo è l’antidoto alla paura.
L'Apostolo collega la benedizione di Dio al controllo della lingua: «Trattenga la lingua dal male e le sue labbra dal parlare con inganno» (v. 10). La lingua è il barometro del cuore. Come il Signore stesso insegnerà nel Vangelo, ciò che esce dalla bocca rivela l'uomo interiore.
Il consiglio dell'Apostolo sarebbe suonato ai suoi lettori sia consolante che eccezionale. Consolante, perché ricordava loro che gli occhi e le orecchie del Signore erano aperti alla loro angoscia. Eccezionale, perché dichiarava che nessuna sofferenza avrebbe scusato l'abbandono della carità. Infatti, Pietro scrive: "Anche se soffrite per la giustizia, sarete beati. Non abbiate timore di loro e non vi turbate" (v. 14).
La frase greca è sorprendente: “τὸν δὲ φόβον αὐτῶν μὴ φοβηθῆτε ( ton de phobon auton me phobēthēte) che significa “non temere la loro paura ”. Nella Vulgata: Timórem autem eórum ne timuéritis. Questo potrebbe significare sia “non temere ciò che temono” sia “non temere il loro terrore diretto contro di te”. Sant’Agostino nelle sue omelie torna spesso su questa dinamica: la paura del mondo di fronte alla santità della Chiesa, una paura che si scatena nella persecuzione. Pietro, che un tempo tremava nel cortile, ora ci esorta: “Adorate Cristo come Signore nei vostri cuori” (v. 15). Questo è l’antidoto alla paura.
Mi viene in mente la frase ripetuta da Gesù in Giovanni 14 durante l'Ultima Cena: "Non sia turbato il vostro cuore" (vv. 1 e 27). Poco prima, alla fine di Giovanni 13, il Signore predice il tradimento di Pietro. Pietro sembra condividere con il gregge perseguitato in Asia Minore la saggezza duramente conquistata dalla sua esperienza personale.
Dalla lettera dell'Apostolo, la Chiesa ci conduce alla voce del Signore in Matteo 5,20-24, parte del Discorso della Montagna. Egli presenta una sfida:
Dalla lettera dell'Apostolo, la Chiesa ci conduce alla voce del Signore in Matteo 5,20-24, parte del Discorso della Montagna. Egli presenta una sfida:
Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. (v. 20)Il termine greco δικαιοσύνη ( dikaiosynē ) significa "rettitudine" o "giustizia". Non si tratta semplicemente della conformità a un codice, ma dell'allineamento interiore della volontà con Dio. Gli scribi e i farisei avevano costruito la loro reputazione sulla meticolosa osservanza della Legge, ma la loro giustizia era esteriore, priva della carità che adempie allo scopo della Legge. Cristo chiama i suoi discepoli a un livello più elevato.
Avete inteso che fu detto agli antichi: "Non uccidere; chiunque ucciderà sarà sottoposto al giudizio". Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto al giudizio; chiunque insulta il proprio fratello sarà sottoposto al sinedrio, e chiunque gli dice: "Stolto!" sarà sottoposto al fuoco della Geenna. (Matteo 5:21-22 RSV)
Si noti qui la graduazione delle pene: il giudizio per la semplice ira, il consiglio per l'insulto, la Geenna per il disprezzo. Il termine "stolto" in inglese attenua la severità. Il testo greco conserva l'aramaico ῥακά (raca), che nella Vulgata è traslitterato come Raca. È un termine di derisione che suggerisce inutilità, vacuità. È una cancellazione verbale dell'immagine di Dio nell'altro. Nella cultura ebraica del primo secolo, la parola aveva potere. Pronunciare una parola di maledizione equivaleva a mettere un uomo al bando. Cristo svela così il continuum nascosto tra rabbia, insulto e omicidio. L'insegnamento del Signore preclude forse ogni linguaggio duro verso il prossimo o il nemico? Sant'Agostino d'Ippona (+430) ha scritto un'opera specifica sul Discorso della Montagna, del quale analizza ogni versetto. Riguardo all'adirarsi con il proprio fratello, Agostino sottolinea "senza motivo". Associa il chiamare qualcuno raka a "senza motivo". Il Dottore della Grazia usa poi l'esempio di San Paolo, che chiamò i Galati "fratelli" e li definì anche anoētoi "stolti" (v. 3:1).
Si noti qui la graduazione delle pene: il giudizio per la semplice ira, il consiglio per l'insulto, la Geenna per il disprezzo. Il termine "stolto" in inglese attenua la severità. Il testo greco conserva l'aramaico ῥακά (raca), che nella Vulgata è traslitterato come Raca. È un termine di derisione che suggerisce inutilità, vacuità. È una cancellazione verbale dell'immagine di Dio nell'altro. Nella cultura ebraica del primo secolo, la parola aveva potere. Pronunciare una parola di maledizione equivaleva a mettere un uomo al bando. Cristo svela così il continuum nascosto tra rabbia, insulto e omicidio. L'insegnamento del Signore preclude forse ogni linguaggio duro verso il prossimo o il nemico? Sant'Agostino d'Ippona (+430) ha scritto un'opera specifica sul Discorso della Montagna, del quale analizza ogni versetto. Riguardo all'adirarsi con il proprio fratello, Agostino sottolinea "senza motivo". Associa il chiamare qualcuno raka a "senza motivo". Il Dottore della Grazia usa poi l'esempio di San Paolo, che chiamò i Galati "fratelli" e li definì anche anoētoi "stolti" (v. 3:1).
Faremmo meglio a stare attenti alla rabbia. Paolo scrisse agli Efesini: "Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira e non date occasione al diavolo" (4:26).
"Non lasciare che il sole tramonti sulla tua ira". Parole sagge, soprattutto per le famiglie.
C'è una rabbia che è un moto di zelo per la verità, e c'è una rabbia che è il seme della violenza. Bisogna distinguere attentamente l'una dall'altra.
Cristo procede a radicare questa etica nella vita liturgica:
La Santa Madre Chiesa sapeva il fatto suo nel concludere la lettura dell'Epistola da 1 Pietro 3 a metà del v. 15, ovvero al 15a. D'altra parte, sarebbe stato utile anche avere il 15b, uno dei versetti più famosi della Lettera. In 15b possiamo trovare una conclusione appropriata: Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Fatelo però con dolcezza e rispetto.
"Non lasciare che il sole tramonti sulla tua ira". Parole sagge, soprattutto per le famiglie.
C'è una rabbia che è un moto di zelo per la verità, e c'è una rabbia che è il seme della violenza. Bisogna distinguere attentamente l'una dall'altra.
Cristo procede a radicare questa etica nella vita liturgica:
Se dunque presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. (Matteo 5:23-24)L'altare del Tempio di Gerusalemme era un luogo di profonda importanza sacrale. Quanto di più lo sono i nostri altari su cui si rinnova il Sacrificio del Calvario? Se oggi ci avviciniamo all'altare eucaristico covando rancori e animosità, che vantaggio ne ricaviamo? Meglio essere riconciliati, anche se la riconciliazione è parziale e imperfetta. È un inizio.
La Santa Madre Chiesa sapeva il fatto suo nel concludere la lettura dell'Epistola da 1 Pietro 3 a metà del v. 15, ovvero al 15a. D'altra parte, sarebbe stato utile anche avere il 15b, uno dei versetti più famosi della Lettera. In 15b possiamo trovare una conclusione appropriata: Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Fatelo però con dolcezza e rispetto.
La frase greca è “μετὰ πραΰτητος καὶ φόβου (meta prautētos kai phobou) con mansuetudine e timore”. Mansuetudine verso gli uomini, timore verso Dio.
Ai nostri tempi, in cui il Vetus Ordo è soggetto a restrizioni motivate dalla paura, in cui coloro che sono legati alla tradizione vengono caricaturalmente etichettati come rigidi o divisivi, le parole di Pietro sono un toccasana. "Non abbiate paura della loro paura".
In questa quinta domenica dopo Pentecoste, la Chiesa ci chiama a purificare le sorgenti nascoste del cuore: a purificare la nostra parola, a umiliare la nostra mente, a estendere la nostra carità a coloro che ci fanno del male. Solo così ci prepariamo a raggiungere i beni invisibili che Dio ha promesso.
1 commento:
Oggi si festeggia la Madonna del Monte Carmelo
Il primo profeta d'Israele, Elia (IX sec. a.C.), dimorando sul Monte Carmelo, ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando la pioggia e salvando Israele dalla siccità. In quella immagine tutti i mistici cristiani e gli esegeti hanno sempre visto la Vergine Maria, che portando in sé il Verbo divino, ha dato la vita e la fecondità al mondo. Un gruppo di eremiti, «Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo», costituitrono una cappella dedicata alla Vergine sul Monte Carmelo. I monaci carmelitani fondarono, inoltre, dei monasteri in Occidente. Il 16 luglio del 1251 la Vergine, circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al primo Padre generale dell'Ordine, beato Simone Stock, al quale diede lo «scapolare» col «privilegio sabatino», ossia la promessa della salvezza dall'inferno, per coloro che lo indossano e la liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato seguente alla loro morte.
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