Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 1 febbraio 2014

Fede: adesione, ragionevolezza e, poi, esperienza

Nell’Enciclica Lumen Fidei la fede viene identificata come il frutto di un’esperienza: quella dell’incontro con Dio e il suo amore. [Vedi qui altre osservazioni]
La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita. Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro. (§ 4).
In merito alla Fede dobbiamo guardarci da due errori nel concepirla:
  • come pura esperienza
  • come adesione esclusivamente intellettuale.
  1. La prima ha la sua maggiore espressione nella teologia modernista che ha messo da parte la metafisica abbracciando il concetto di verità mutevole e cangiante nel tempo, e perciò esprimibile con parole fluide e mai definitorie, che lasciano ampio spazio al non detto, al relativismo e alla soggettivizzazione, che non può mai mancare ma che non può essere il fondamento di una Verità che ci precede e ci supera e dunque resta oggettiva e immutabile, che tuttavia conosciamo e, solo conseguentemente, sperimentiamo sempre più ciò che opera in noi e attraverso noi.
    Riconosciamo questo tipo di fede nelle attuali suggestioni in base alla quali il 'sentimento' prevale sulla conoscenza e sulla ragione: spesso sentiamo dire: "questa esperienza è buona perché mi fa sentire bene"; ma il tutto non passa al vaglio dei nuovi orientamenti della volontà e conseguenti azioni concrete finalizzate ad un progetto fondato su una Rivelazione accolta e vissuta, che trasmette la Persona del Signore che ce l'ha consegnata attraverso gli Apostoli.
    Dio è Logos e allo stesso tempo Amore, proprio perché c'è correlazione e non opposizione tra ragione e amore. Non dimentichiamo il rischio della dislocazione delle essenze ben identificato da Romano Amerio. Non si ama se non ciò che si conosce e non si conosce davvero se non amando. Lo riconosciamo vero e valido tanto nei rapporti personali quanto in quelli con la realtà, con le cose, col mondo.
    Conseguenza: ridurre la fede ad esperienza significa privilegiare gli aspetti sentimentali ed emozionali elevandoli a criteri, il cui inevitabile soggettivismo riduce Cristo ad una fonte di stati d’animo ed emozioni.

  2. La seconda si basa sulla conoscenza di tipo esclusivamente intellettuale, ricavandone il criterio della salvezza: atteggiamento tipicamente gnostico, che può tradursi in una una conoscenza fredda e calcolatrice, che esclude la concretezza dell'Incarnazione e tutte le conseguenze e frutti dell'Azione divino-umana del Signore.
    In genere essa viene espressa da uno spiritualismo che relativizza il peccato, svaluta l'ascesi, lo sforzo personale (con l'aiuto della grazia), escludendo o mettendo in secondo piano la dimensione corporea fattuale della persona e restando in tal modo confinata nella sfera privata. Ne riconosciamo gli effetti nell'attuale sfaldamento dell’identità cattolica nella società.
    Conseguenza: La dimensione dell'adesione (ebraico emunà = fedeltà stabilità sicurezza) e quindi della partecipazione alla vita del Signore viene cancellata dall'approccio solo intellettuale. Dunque Cristo Signore viene ridotto a riferimento ideale, ma non se ne accoglie e vive l'azione di Salvatore-Santificatore, Maestro e Giudice nonché presenza viva e solidale nel nostro cammino.
Si tratta in sostanza di derive dalla vera Fede, che allontanano dal vero Cristianesimo, la cui specificità consiste nell'appartenenza alla Persona del Signore e nel riconoscere e vivere che senza la sua Grazia - come tralci innestati nella Vite - non può darsi una vita veramente cristiana, che è partecipazione alla Vita del Padre, nel Figlio, come figli adottivi.

La risposta veramente cattolica riguarda l'intelligenza della fede, fondata sulla riconosciuta ragionevolezza di verità fondanti, orientanti - e non ingabbianti -, come erroneamente oggi ritenuto. Verità considerate come presupposti e non come esiti della salvezza, che è tutta da realizzare; il che accade sempre e comunque nell'adesione al Signore e nel totale affidamento a Lui Presente nella Sua Chiesa, da essa trasmesso e dunque in essa incontrato.

Il riconoscimento ragionevole (non razionale perché la ragione è coinvolta ma non è la misura della Fede) di queste verità è indispensabile ma è solo primo passo, perché la salvezza si realizza soltanto nell'affidarsi e nel rispondere di conseguenza, aderendo nella fedeltà.

Il cristiano è colui che abita nella casa del Signore, che non è solo l'edificio-Chiesa, da cui purtroppo sta capitando persino di venir scacciati da pastori indaffarati distratti e lontani quando non infedeli, ma la Chiesa Una Santa Cattolica Apostolica Romana, visibile in ogni sacerdote e fedele secondo il cuore del Signore ed oggi rintracciabile solo in alcuni luoghi di autentica stabilità, che oggi occorre cercare con gran cura.

32 commenti:

Luís Luiz ha detto...

Forse sia possibile evitare la deriva modernista e sentimentale dell'idea della fede come esperienza se si tiene chiaramente in considerazione che l'incontro col Dio vivente è l'incontro col Logos di Dio.

Anonimo ha detto...

La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica.
"Romana" non è scritto nel Credo.
La Chiesa cattolica "sussiste" nella Chiesa Romana, secondo affermazione del CVII.
La Chiesa Romana nel secondo millennio ha apportato tali e tante modifiche, quante ne ha apportate il CVII alla Chiesa medioevale e tridentina. Chi si oppose a quei rivoluzionamenti veniva definito "scismatico": gli Ortodossi allora, Mons. Lefèbvre oggi.
Consiglio uno scritto molto interessante:
http://tradizione.oodegr.com/tradizione_index/dogmatica/unitadellachiesachomjakov.htm

mic ha detto...

http://tradizione.oodegr.com/tradizione_index/dogmatica/unitadellachiesachomjakov.htm

e chi è costui?

Cito mons. Brunero Gherardini, "La Cattolica. Lineamenti di teologia agostiniana", Lindau 2011, pag. 101

... i dati della Rivelazione, quali venivan riassunti nel «Credo» e proposti dalla Chiesa: «Et unam sanctam catholicam apostolicam Ecclesiam». In quest'ottica i Padri, Sant'Agostino compreso, parlan appunto di una santa cattolica apostolica riconoscendola in quella di Roma, donde la sua non rara aggiunta, d'un quinto aggettivo o d'una quinta nota: romana.

D'altronde non sarà un caso che il Papa è Vescovo di Roma è non viceversa.
E qui cito Roberto De Mattei, Vicario di Cristo, Fede e Cultura, 2013, pag.32 :

"Eusebio, prendendo le mosse dal catalogo di Ireneo da lui riprodotto nel testo greco, lo completa nei primi sette
libri della sua Storia ecclesiastica in cui riassume la storia dei primi tre secoli del Cristianesimo attraverso la successione dei Vescovi nella quattro sedi di Roma, Antiochia, Alessandria, Gerusalemme.
La ragione della scelta di Roma come sede della Cattedra di Pietro [e dunque anche dell'autorità e del primato petrino che ne consegue] non sta nella grandezza e nell'autorità dell'antica Roma, ma nel fatto che Roma fu il luogo in cui esercitò il suo ministero l'apostolo cui era stato conferito il Primato universale. la Roma cristiana trae la sua grandezza da Pietro e non dalla Roma pagana. Se San Pietro di fosse fermato in Antiochia e vi fosse morto, i vescovi antiocheni avrebbero avuto la stessa autorità primaziale che per eredità conseguirono i Vescovi di Roma.

Anonimo ha detto...

"D'altronde non sarà un caso che il Papa è Vescovo di Roma e non viceversa."

Non capisco bene. Il papa è tale in quanto vescovo di Roma, non vescovo di Roma in quanto papa.

"Se San Pietro si fosse fermato in Antiochia e vi fosse morto, i vescovi antiocheni avrebbero avuto la stessa autorità primaziale che per eredità conseguirono i Vescovi di Roma."

"Transeat". Ma, naturalmente, nulla accade a caso. Dio ha positivamente voluto che Roma fosse la sede del vicario del suo Figliolo.

La romanità della Chiesa non è certo un fatto accidentale o secondario. Pensiamo a santa Caterina; o alle parole di Dante, che dovrebbero dare un brivido di commozione a ogni italiano: "Roma, onde Cristo è romano"; o a quelle di Pio XII: "Roma non è tale se non per il Romano Pontefice".

Quest'ultime parole non vanno certo intese – sarebbe peggio che gretto – come una svalutazione della Roma pagana o civile, ma come un'affermazione del senso provvidenziale ultimo di quella stessa grandezza antica (e moderna).

Del resto, non c'è nulla di lontanamente paragonabile, al mondo, colla grandezza di Roma. Quando cammino per la capitale, sento spesso un groppo alla gola: quello ch'è dato dalla grandezza assoluta, dal sublime incommensurabile.

Il linguaggio spesso ambiguo o criticabile di papa Francesco non ci dovrebbe portare a sottovalutare, o a relativizzare, la romanità della Chiesa (non voglio dire che nessuno abbia quest'intenzione). Ripeto, e non credo di sbagliare: il vescovo di Roma è papa, non viceversa.

Maso

Anonimo ha detto...

Scusate, una domanda che mi perplime da un po' di tempo: ma durante la cattività avignonese i papi continuarono a essere "vescovi di Roma"?

Basemarom.

mic ha detto...

per Basemarom
La residenza non coincide con il titolo

mic ha detto...

Non capisco bene. Il papa è tale in quanto vescovo di Roma, non vescovo di Roma in quanto papa.

Il Papa è eletto dal collegio dei vescovi che scelgono "il successore di Pietro" e, come Successore di Pietro, è Vescovo di Roma.

mic ha detto...

Per Maso

Cito De Mattei
La ragione della scelta di Roma come sede della Cattedra di Pietro [e dunque anche dell'autorità e del primato petrino che ne consegue] non sta nella grandezza e nell'autorità dell'antica Roma, ma nel fatto che Roma fu il luogo in cui esercitò il suo ministero l'apostolo cui era stato conferito il Primato universale.

Certo che il discorso sulla "romanità" è più complesso e altrove viene affrontato. Lo riprenderò appena riesco.

rosa ha detto...

e tuttavia, Mic, esercitare il ministero di Capo degli Apostoli e Vicsrio di Cristoa roma, imvece che ad antiochia, ha sicuramente conferito alla cosa un valore aggiuntivo. e siccome Nostro signore e' il Re della storia, non sara' stato un caso se Pietro e Paolo son finiti entrambi a Roma, non credi ? altrimenti, il Quo vadis, Domine ? sarebbe stato Quo imus, Domine ?
Rosa

mic ha detto...

Lo stesso De Mattei nel Convegno Summorum Pontificum del 2011:

"... nella sua "romanitas" [di S. Damaso] confluivano due aspetti che saranno sempre inscindibilmente legati la petrinitas, cioè l'affermazione del primato di Pietro e la latinitas [in riferimento alla lingua ma si dilata ulteriormente] come l'espressione di questa stessa romanità, nel governo, nel Magistero e nel culto della Chiesa.

Convengo con Maso sul "come un'affermazione del senso provvidenziale ultimo di quella stessa grandezza antica (e moderna)."

E' un discorso da ampliare appena possibile.

rosa ha detto...

Ot: non vorrei rovinarti il sabato, Mic, ma il papa ha incontrato ggi i NC.
rosa

Anonimo ha detto...

mic
il canone 332 del codice dice che se l'eletto papa non è già vescovo , deve essere prima consacrato vescovo.
Quindi non è così pacifico che il papa, che ha giursdizione su tutta la Chiesa, in quanto papa è vescovo di Roma

Paola

mic ha detto...

Paola,
è ovvio che la nomina sarà a vescovo di Roma. Ma è altrettanto ovvio che il vescovo di Roma, essendo Papa, ha giurisdizione su tutta la Chiesa universale.

mic ha detto...

Ot: non vorrei rovinarti il sabato, Mic, ma il papa ha incontrato ggi i NC.

Cara Rosa,
mi informano che si è comportato come Benedetto.
Li ha incoraggiati ma non solo non ha approvato la loro liturgia (come si aspettavano, l'ha tuttavia passata sotto silenzio) ma li ha anche ripresi di alcuni punti:
- obbedienza ai vescovi
- rinunciare ad alcuni loro aspetti per garantire l'unità
- attenti all'inculturazione (evidentemente qualcuno gli ha parlato dei loro schemi rigidi e degli stereotipi kikiani esportati in tutto il mondo. E purtroppo c'è molto altro)

Tuttavia, è certo che continueranno a fare come vogliono enfatizzando gli incoraggiamenti e ignorando le correzioni, come hanno sempre fatto.

mic ha detto...

siccome Nostro signore e' il Re della storia, non sara' stato un caso se Pietro e Paolo son finiti entrambi a Roma, non credi ?

No di certo, cara Rosa. Ci sono molte altre cose da dire sulla "romanitas"...

Silente ha detto...

Ottimo articolo, per chiarezza e sintesi. E per la sua attualità, soprattutto per quanto concerne la "deriva" esperienziale e sentimentale. E' una vera e propria "eresia pratica", diffusissima nei movimenti, nelle parrocchie, nei "cattolici comuni" che sono stati privati, dal CVII in poi, di una vera formazione dottrinaria. Prevale così un "cattolicesimo" esperienziale, vitalistico, sentimentale, a-teoretico e anti-dogmatico, fondato non più sulla Rivelazione, sulla Dottrina al contempo rigorosa e compassionevole, sulla contemplazione del Vero, del Bello e del Buono e sulla tensione alla Salvezza, ma su un generico "stare bene" e su un altrettanto generico "fare del bene". Pura antimetafisica. Ecco i frutti: un "cattolicesimo" immanente, "morbido" umanamente e dottrinalmente,(anche nel senso dell'inglese "morbid": morboso, malsano, malaticcio), vagamente idiota nella sua unidirezionale, eterodiretta, superficiale retorica esaltazione dei "semplici" e dei "poveri", che ha come obbligato sbocco il semplicismo dottrinario protestantico e il "trasbordo ideologico inavvertito" verso la teologia della liberazione e il marxismo. Un "cattolicesimo" che sostituisce l'ordinato, organico e gerarchico concetto di "Popolo di Dio" con quello confuso, regressivo e vagamente tribale di "comunità" (nulla, ovviamente, a che vedere con il "comunitarismo" vero, alla Toennies, per intenderci). Tutto ciò è una derivazione diretta del modernismo, del vitalismo d'inizio '900, di cattive letture esistenzialiste, delle derive antidogmatiche del e dal CVII, di resa all'ideologia progressista: un "cattolicesimo" vagamente new age, infantile nei suoi riti (dallo "scambiamoci il segno della pace", ai battimani, tamburelli e sonagli nella Messa, agli applausi ai funerali) e soprattutto esiziale nelle sue conseguenze d'inconsapevole immoralità pratica nelle idee, nelle convinzioni, nei comportamenti dei "cattolici adulti". Il risultato concreto lo vediamo, antropologicamente, nelle parrocchie: "animatori pastorali" simili ai G.O. (Gentil Organisateur) dei comunistici Club Med, con un sorriso beota stampato in viso, gioiosamente ignari dei Novissimi ma pronti ad attività "inclusive" di extra-comunitari, omosessuali e "altri diversi" e altrettanto drammaticamente inconsapevoli della vecchietta bisognosa sul loro stesso pianerottolo.
Per costoro il cattolicesimo non è, prima di tutto, una metafisica(In principio erat Verbum...), ma semplicemente un incontro e un'esperienza. Come accennavo, una sorta di Club Med con qualche gratificante e consolatorio frisson para-religioso.
Esattamente quello che vuole l'Avversario.
Grazie Mic, per questo richiamo. Non abbandoniamo questo tema.

Luisa ha detto...

Rosa, il Papa ha incontrato i nc, come lo facevano i suoi predecessori più o meno alla stessa data, ho letto il suo discorso, non è difficile capire, nemmeno fra le righe, che è al corrente delle difficoltà che pone quel movimento nella Chiesa.
Come sempre ci sono le lodi e gli incoraggiamenti, all`inizio e alla fine , ma i richiami sono forti e poco suscettibili di essere fraintesi, anche se, come sempre, i dirigenti nc conserveranno e amplificheranno solo le lodi.
Vengono evocate, anche se in "curialese" la mancata collaborazione del cnc con le altre realtà ecclesiali, il suo essere di fatto , con le sue prassi diverse, una chiesa nella Chiesa, la costrizione che è esercitata sulle coscienze, ad esempio durante gli scrutini vere confessioni pubbliche, la superbia con la quale, là dove arriva, il cnc impone le sue prassi senza tenere conto della Cultura e delle tradizioni del luogo, ovunque nel mondo, i nc obbediscono sempre in primis a Arguello e ai suoi catechisti.
Evidentemente non una parola sulla prassi liturgica sincretista , ma sappiamo che per papa Bergoglio la Liturgia non è al centro dei suoi interessi.

Anonimo ha detto...

Nessun cattolico mette in discussione il primato del successore di Pietro come capo del collegio apostolico, ma vengono espressi dei dubbi su come questo primato sia stato esercitato a partire dal IX secolo sotto pressione del regno carolingio (anche in materia liturgica) e soprattutto dopo il Grande Scisma ed il "Dictatus papæ" di Gregorio VII, che trasformò il papato da guida spirituale in potenza politica direttamente coinvolta in quello "che è di Cesare".

È difficile argomentare nello spazio ristretto di un blog, ma vorrei, quasi come provocazione alla riflessione, esporre un fatto.

Nella liturgia del primo millennio, in Oriente come a Roma, veniva messo l'accento sulla Resurrezione, sul Cristo che "aveva introdotto l'umanità nel seno della SS. Trinità". Nella parte centrale del Medioevo ed ancor più nel basso Medioevo si iniziò a porre l'accento sulla Passione, sull'Uomo dei dolori, con tutte le conseguenze (flagellanti, inquisizione, crociate con risvolti criminali, crociate in Germania contro "coloro che avevano ucciso Gesù").

Questo si vede anche nell'arte sacra, che nell'Ortodossia, seguendo in canoni del VII Concilio ecumenico (II di Nicea), riconosciuto ma non applicato da Roma, è spirituale (il Cristo in Croce è glorioso ed impassibile), mentre in Occidente ha prevalso il lato carnale, sia nei Crocifissi, sia nell'arte rinascimentale, sia nel Barocco della Controriforma, per finire nel kitsch ottocentesco.

I cattolici ortodossi continuano a celebrare la domenica, la Resurrezione che ha superato ogni male passato, presente e futuro; i cattolici romani di fatto celebrano il Venerdì Santo (necessario ma non risolutivo) ed i protestanti, travisandone il significato, il Giovedì dell''Ultima Cena. I cattolici romani post-concilio non si capisce bene che cosa celebrino, forse non lo sanno nemmeno loro.

Annotazione finale: la cd. "Messa di sempre" non è la messa romana, ma la messa carolingia, che ne contiene sì moltissimi elementi, ma è un'altra cosa.

Per chi avesse interesse ad un approfondito studio liturgico (molto ampio) manderò con piacere il volume in formato pdf.

anacletomckeeler@gmail.com

mic ha detto...

Per costoro il cattolicesimo non è, prima di tutto, una metafisica In principio erat Verbum...), ma semplicemente un incontro e un'esperienza. Come accennavo, una sorta di Club Med con qualche gratificante e consolatorio frisson para-religioso.

Caro Silente

mi viene in mente, se non ricordo male, che nel Faust di Goethe. Mefistofile dice in principio era il fatto. Inverte l'ordine dell "processioni". Esattamente ciò che accade oggi: il primato dell'agire sul conoscere.
La "dislocazione della divina Monotriade" lamentata da Amerio:
sostanzialmente prassi - versus teoria (la prassi ateoretica che lamentiamo in particolare oggi) e non reciproca integrazione.

rosa ha detto...

grazie Luisa e Mic. ho anche letto Magisyer. Beh, per una volta il papa e' rimasto in "continuita'", anche se la Feria quarta e' sospesa. Forse i kikiani maneggiano troppi soldi per piacergli.
a proposito di soldi, altre due grossissime agenzie di revione conti in Vaticano, ovviamente anglosassoni- anche se non piu' protestanti: v. ancora Magister.
Per chiamate tutte ste agenzie di denaro ne deve girarre moltissimo. Tuttavia mi chiedo: non c' era nessun monsignore con laurea in economia e commercio e master in sccountancy da far lavorare, piu' o meno a gratis? o nessuna azienda italiana di accountancy ?
o e' un modo per far entrare dentro il pollaio le volpi che finora ne earno state tenute fuori dalla cattolicit' dellaS.Sede ?
Rosa

viandante ha detto...

Cara Mic, con questa chiarezza espositiva è veramente bello leggerti e capire la dottrina. Il titolo già dice quasi tutto.

Inoltre, correggimi se erro, se l'esperienza è il punto di partenza per la nostra vita di fede, su cosa si basa il nostro discernimento spirituale? Mi sembra che i criteri per sapere se un determinato movimento interiore viene da Dio o dal demonio, presuppongono la conoscenza della dottrina, altrimenti come facciamo a discernere il bene dal male?

Don Marco ha detto...

Concordo con Silente. Un ottimo articolo, anche perché va a toccare il cuore della gravissima crisi in cui versa la Chiesa. Ma prima di argomentare su questo tema vorrei intervenire sul primato petrino perché ho notato un po’ di confusione in alcuni interventi. Intanto per noi cattolici (e intendo cattolici, cattolici), è pacifico che Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa e l’ha fondata su Pietro. “Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa”. Quindi Pietro è stato scelto come capo della Chiesa di Cristo, si noti, per mandato divino (e non per scelta della comunità cristiana). E’ altrettanto pacifico (e ormai ammesso dalla quasi totalità degli studiosi più seri), che Pietro venne ad abitare a Roma e morì a Roma. Pietro è stato il primo “vescovo” di Roma, quindi i successori di Pietro sono vescovi di Roma, ma in quanto successori di Pietro, PER MANDATO DIVINO, sono capi della Chiesa di Cristo, capi della Chiesa universale, vicari di Gesù Cristo in terra. Quindi, ha ragione De Mattei che dice che se Pietro fosse andato ad abitare ad Antiochia, ora i capi della Chiesa universale sarebbero i vescovi di Antiochia. Ma la realtà è stata diversa. Pietro è andato ad abitare a Roma e da quel momento la “romanitas” è una componente fondamentale della vera Chiesa di Cristo e il “Romano Pontefice” come ama scrivere, giustamente, l’autorevole catechismo di S. Pio X è l’unico capo della Chiesa universale, per mandato divino. Però lo smarrimento di Paola è abbastanza giustificato, perché dal Concilio Vaticano II sono state messe due variazioni sul tema (io direi due vere mine) che stanno disintegrando i principi sopra esposti. La prima è l’affermazione (con un linguaggio inaugurato dal CVII piuttosto ambiguo, mai chiaro, che porta a mille discussioni e interpretazioni) che la Chiesa di Cristo “sussiste” nella Chiesa Cattolica. Perché non dire chiaramente che la Chiesa di Cristo è la Chiesa Cattolica? Perché alimentare il dubbio (che oggi per la maggior parte della gerarchia della Chiesa è certezza) che la Chiesa di Cristo abbraccia tutte le varie chiese e sette e che si trova anche in queste? Mi sembra logico ( e lo era stato fino al CVII): se Cristo ha fondato la sua Chiesa su Pietro, e Pietro è diventato il capo della Chiesa di Cristo, mi pare logico, di buon senso, addirittura quasi matematico, che l’unica Chiesa di Cristo non sussiste ma è la Chiesa Cattolica (e aggiungerei, Romana. (continua)

Don Marco ha detto...

(continua) Per quanto riguarda il canone 332 del CIC (Codex Iuris Canonicis) citato da Paola vanno fatte notare due piccole variazioni rispetto al canone 218 del precedente Codice del 1917, variazioni che minano completamente o quasi l’autorità del Papa. La prima: nel precedente Codice del 1917 “il Romano Pontefice, legittimamente eletto, ottiene per diritto divino la piena e suprema potestà di giurisdizione”. Nel canone 332 non c’è più nessun riferimento al diritto divino, tanto da far intuire che la suprema potestà il papa la riceva dai cardinali riuniti in conclave. La seconda: il canone 218 del precedente Codice del 1917 stabiliva che la suprema e piena potestà del Papa “è veramente episcopale, ordinaria e immediata sia su tutte le singole chiese, sia su tutti e singoli i pastori e i fedeli, indipendente da autorità umana qualsivoglia”. Con l’accettazione il Romano Pontefice, Anche se non era vescovo, acquisiva di diritto divino una vera potestà episcopale su tutta la Chiesa. Il nuovo Codice invece dice che la suprema potestà di giurisdizione il Papa l’ottiene dopo la consacrazione episcopale. Quindi con il CVII viene a scomparire la giurisdizione di diritto divino del Papa in sintonia con il nuovo concetto di collegialità. Definendosi solo “vescovo di Roma”, papa Francesco ha portato alle sue logiche conseguenze la rivoluzione collegiale del CVII. Il Papa, nella nuova concezione è solo un “primus inter pares” esattamente come tra i protestanti e gli ortodossi e non colui che è stato scelto, non dagli altri apostoli, ma da Cristo stesso. Insomma non è più il “dolce Cristo in terra” che faceva ardere il cuore di Santa Caterina da Siena. Ho argomentato troppo quindi vado a cenare e probabilmente tornerò domani per commentare lo splendido articolo di Mic. Don Marco

Anonimo ha detto...

decidetevi: non potete passare il tempo a sputtanare il vdr per poi lodarlo per una cosa prevedibile.
Paola

Silente ha detto...

Sì, carissima Mic, il tuo richiamo a Goethe è assolutamente significativo. Goethe, massone, nell'esprimere il punto di vista faustiano, aveva capito tutto: parte dal cristiano: "in principio era il Verbo", poi traduce: "in principio era il Pensiero", poi corregge: "in principio era la Forza" e infine conclude: "in principio era l'Azione": Im Anfang war die Tat. (Wolfgang Goethe, Faust e Urfaust, volume primo, Feltrinelli, Milano 1965, pag. 63). La parabola della Rivoluzione, che è odio contro la metafisica, è tutta qui, passaggio per passaggio. Dal Logos, immutabile ed eterno, all' "azione" scomposta e immanente della "teologia pratica" postconciliare. La negazione dell'Essere, non solo cristiano, ma anche parmenideo, platonico e aristotelico. Come l'aveva capito bene Amerio!

mic ha detto...

Paola, qui non i sputtana nessuno, tanto meno il papa. Si parla di questioni di fede, qualora non te ne fossi accorta.

La cosa di cui parli non era tanto prevedibile.
Anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano fatto alcuni rilevi, (il primo sul ruolo dei sacerdoti e dei catechisti e il secondo sulla liturgia) ma erano stati più soft e meno circostanziati.

mic ha detto...

Per Anonimo 15:54,
in attesa di fornire una risposta più circostanziata dico l'essenziale.

Primo durante l'ultima Cena il Signore ci ha consegnato Sé stesso: il suo Corpo dato e il Suo Sangue "che sarà versato", portandoci sul Golgota. Ovvio che poi ci porta anche oltre una tomba vuota nel momento in cui ci nutriamo del Corpo, ora glorioso, della Vittima di quel Sacrificio Unico e Grande.
Perché è la Vittima che viene offerta su ogni Altare, che poi diventa anche un "banchetto escatologico" proprio in virtù della riparazione operata con quel Sacrificio e la liberazione e rigenerazione che opera....

Inoltre non dimentichiamo che
La Messa "tridentina" non è stata inventata da san Pio V né dal Concilio di Trento, ma risale ai tempi apostolici. La Liturgia, infatti, non è l'espressione d'un sentimento del fedele, ma è "la" preghiera ufficiale della Chiesa; è Dogma pregato. Essa racchiude qualcosa di eterno non costruito da mano umana. «Ecce ego vobiscum sum», dice Cristo alla sua Chiesa (Mt 28,20).

Le preghiere del nostro Canone sono nel trattato De Sacramentis. Ne troviamo riferimenti nel IV secolo. Col Concilio di Trento, appunto, si è provveduto alla revisione dei Messali - giungendo al Messale di S. Pio V -, ma si è lasciata inalterata la forma della Messa. Del resto l'uniformità stessa che nel campo liturgico si riscontra presso le Comunità cristiane dei primi due secoli, suppone un principio d'autorità, un metodo d'azione, cioè una organizzazione primitiva che dovette far capo più che agli Apostoli a Cristo medesimo. Tutto questo non potrà mai essere né ignorato né sottovalutato.

Unknown ha detto...

Nel Periodo della Cattività Avignonese, il Sovrano Pontefice pur vivendo in Avignone, continuava a esercitare il ministero di vescovo di Roma e di la nasce la figura del Cardinale Vicario che esercitava in suo nome la giustizia e il ministero.In Quanto Avignone era inglobata nei stati Pontifici pur di dare al sovrano Pontefice libertà d'azione nel governo, le terre di avignone furono acquistate dalla Santa sede

Amicus ha detto...

Anacletomckeeler, la tua poco velata apologia degli pseudo-ortodossi scismatici ed eretici - perché tali sono oggettivamente - serve egregiamente a far vedere ancor meglio come siano proprio questi ultimi, ancor più che i protestanti, il principale pericolo odierno per la Chiesa Cattolica Romana.
E difatti, cosa ci sta prospettando oggi Bergoglio se non proprio i punti di forza degli scismatici orientali: ossia la collegialità sinodale distruttiva del primato giurisdizionale del Papa, e una larvata riammissione dei divorziati a seconde 'nozze' adultere con tanto di possibilità di ricevere l'Eucaristia?
Che gli eterodossi orientali scardinino la Fede e favoriscano l'adulterio 'legalizzato' ed il sacrilegio è normale, fanno il lavoro del diavolo.
Ma con il loro cattivo influsso, e con la trappola dell'ecumenismo ad ogni costo, stanno trascinando anche i cattolici sulla via della perdizione.

Silente ha detto...

Caro Amicus delle 21:50: il suo furore anti-ortodosso mi lascia molto perplesso. Sono certamente scismatici, ma non necessariamente eretici. Poi, la sua affermazione che siano gli ortodossi, "ancor più che i protestanti, il principale pericolo odierno per la Chiesa Cattolica Romana." è decisamente risibile. La distanza degli ortodossi dalla Vera Chiesa è assolutamente, ontologicamente inferiore rispetto ai protestanti, di qualsiasi confessione, loro sì eretici. Gli ortodossi hanno mantenuto la successione apostolica e la loro Messa è valida e assolve, sia pure sub conditione il precetto.
La loro spiritualità e la loro capacità di mantenere inalterata la Liturgia è ammirevole ed esemplare. Persino il Concilio, e la susseguente, posticcia "Dominus Jesus", volta a rimediare, invano, all'errore conciliare del "subsistit in" riconosce alle chiese Ortodosse, sia pure obliquamente, lo status di "Chiese".
Poi, e so che l'argomento non è probante e vagamente emozionale, vogliamo mettere, in termini di simpatia, un severo pope ortodosso con un'ubriacona "vescova" luterano-protestante?.
Se un qualche ecumenismo è possibile, questo è necessario, prioritariamente, nei confronti degli ortodossi.

Anonimo ha detto...

Bene tutta questa dotta disquisizione sulla "romanità". E tuttavia a me pare che Roma stia cedendo il posto - senza rendersene conto - a Babilonia.
Così la chiamava anche San Pietro nelle sue Lettere, e allo stesso modo voleva intendere - credo - San Giovanni nell'Apocalisse. Come la mettiamo?
Che poi il Vescovo di Roma sia il Papa o viceversa, è materia opinabile. Esistono diverse tesi contrapposte, già ampiamente esposte e discusse in questo post.
Tutto sta nell'avere chiaro in mente chi sia effettivamente il legittimo Vescovo di Roma, e se egli possa continuare a definirsi tale anche risiedendo altrove. Per mio conto, non vedo difficoltà a riconoscere come effettivo Vescovo di Roma - Papa - qualcuno che magari ritenga più conveniente ed opportuno fissare la propria residenza altrove.
Una sorta di "cattività avignonese" mi pare sia già nelle cose. Essa è del resto adombrata dalla Scrittura, ove si parla di "fuga nel deserto" da parte della Donna/Chiesa perseguitata dal drago (Ap 12).
Mi pare che ci siamo proprio.

mic ha detto...

Andando oltre ogni supposizione, vi invito a leggere un magistrale intervento su cattolicità e romanità del prof. De Mattei, che sto per pubblicare.
L'ho appena finito di scansionare perchè sulla rete ho trovato diversi filmati ma non il testo, più fruibile per una riflessione attenta.