Riprendo da Rorate Caeli uno dei documenti prodotti dalla FIUV (Federazione Internazionale Una Voce) per promuovere e orientare il dibattito sul Messale del 1962 tra i Cattolici legati all'antica tradizione liturgica ed altri interessati al rinnovamento liturgico della Chiesa. Sono in tutto 10. Uno ad uno spero di riuscire a pubblicarli tutti.
Il tema di questo numero è il latino come lingua della liturgia.
Non credo si tratti di un argomento che possa suscitare grandi controversie tra i lettori di Rorate Caeli; comunque sia, questo saggio è un tentativo di articolare i concetti che sono ben chiari a coloro che sono attaccati alla tradizione liturgica della Chiesa e di inserire le nostre argomentazioni nel contesto del Magistero. La considerazione più importante sul latino è stata probabilmente già formulata nella memoria ufficiale n. 3 sulla partecipazione: le stesse cose che secondo i progressisti costituirebbero un ostacolo alla partecipazione risultano essere proprio quelle necessarie alla comunicazione profonda del senso del mistero all’anima del fedele, in un modo che farà sempre la differenza nella sua vita. Ciò non vuol dire che la liturgia tradizionale abbia solo da dirci che ci troviamo faccia a faccia col Mysterium Tremendum: essa ci dà messaggi di ogni sorta, appropriati al momento della liturgia, alla festività, alla stagione, gioiosi o penitenziali, che richiedono l’uso della ragione oppure suscitano emozione attraverso il senso della bellezza. Ma perché tutto ciò avvenga, il latino è un requisito essenziale: per usare il linguaggio di Martin Mosebach, esso è la spia del fatto che siamo usciti fuori dalla vita ordinaria per entrare in un tempo sacro, in cui non stiamo più parlando l’uno con l’altro, ma con Dio. Le tante persone che assistono alla Forma Straordinaria in ambientazioni non proprio ideali possono testimoniare che la liturgia, ferma restando l’importanza dell’architettura e dei paramenti sacri, conserva un’atmosfera speciale, un registro sacro, attraverso il carattere “conciso, ricco, vario, maestoso e solenne” del latino – per usare le parole di Pio XI – in particolar modo nelle cadenze poetiche familiari della Vulgata, dell’antico Salterio latino e della liturgia tradizionale.
Con questi pensieri in mente, dato che ci tengo molto, riporto qui una fotografia che mostra una processione all’Altare all’inizio della messa celebrata in un luogo della campagna francese completamente desolato, eppure seguita da circa ottomila persone.
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Memoria Ufficiale FIUV n. 7: Il latino come lingua della liturgia
Introduzione
Tra la tradizione liturgica occidentale e la lingua Latina c’è un legame molto stretto. La traduzione del testo normativo latino della liturgia romana in una serie di lingue vernacolari effettuata dalla forma ordinaria per un uso opzionale è ben differente, per esempio, dall’adozione del copto o dello slavo ecclesiastico come lingue liturgiche delle chiese locali da parte delle chiese orientali. [1] Per l’esattezza, la lingua della liturgia nel rito latino rimane proprio il latino, persino nella forma ordinaria. [2]
L’intento di questo saggio è quello di rendere conto del valore del latino non solo nei testi normativi della liturgia, ma anche nella celebrazione vera e propria. Oggigiorno molti cattolici ignorano ancora l’idea di una liturgia latina: è pertanto necessario riproporre gli argomenti a favore di essa. La questione della sostituzione delle letture latine con traduzioni latine, permessa nella messa bassa (Missa lecta) dall’istruzione Universae Ecclesiae, [3] richiede una trattazione a parte. La questione fondamentale che viene qui affrontata è proprio quella di un linguaggio liturgico non vernacolare, il latino. ... leggi tutto
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