Brani tratti dal Libro: Enrico Maria Radaelli, Il domani - terribile o radioso? - del dogma, Edizione Aurea Domus, 2012 (pp. 79-83), che trattano proprio dell'argomento sollevato da un nostro interlocutore, che ritiene di aver concluso la sua "missione" dopo aver totalmente ignorato i nostri argomenti e accusato di idealismo e immanentismo Romano Amerio. Può leggere di seguito la migliore smentita alle sue apodittiche affermazioni.
19. SE L’ATTO D’ESSERE È PIÙ PERFETTO E NOBILE DI QUELLO DEL CONOSCERE, PERCHÉ LA CHIESA, DOPO IL VATICANO II, SI È FATTA (DECADENDO) IDEALISTA?
Domanda cruciale, se pur di tangente (la cui risposta infatti distinguerebbe nientemeno che il realismo tomista dall’irrealismo idealistico): la nobiltà o perfezione dell’essere è forse maggiore anche della nobiltà o perfezione della conoscenza?
« L’essere è più nobile anche del conoscere – san Tommaso risponde per la penna del Mondin –, supposto che si possa pensare il conoscere facendo astrazione dall’essere. E quindi ciò che è più perfetto nell’essere in sede assoluta, è più nobile di qualsiasi altra cosa che [come la conoscenza] sia perfetta solo in rapporto a qualche altro aspetto che accompagna l’essere » (I Sent., d. 17, q. 1, a. 2, ad 3).
L’ho chiamata « domanda cruciale », questa, perché aiuta a capire quanto sia importante restituire alla filosofia tomista il posto che nella Chiesa aveva prima del concilio, e che poi perse perché il suo rigore, giustamente assimilato dai novatori al rigore asseverativo del linguaggio dogmatico, cui infatti è strettamente legata, l’ha portata a essere identicamente e disprezzata e deprezzata da quei novatori con i medesimi disprezzo e deprezzo usati su quel linguaggio.
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Molti, dall’una e dall’altra parte del Vaticano II, a riguardo suo parlano di « cambiamento di mentalità », per esempio ancora il Gherardini nel suo Il discorso mancato (p. 37), ma anche l’O’Malley nel suo Che cosa è successo, allorché riconosce che « erano in gioco due visioni diverse del cattolicesimo – dell’ordine e dell’invito, delle leggi e degli ideali, del dogma e del mistero, della minaccia e della persuasione, del comando e del servizio […] – » (pp. 313-4), polarizzando in ben sedici opposizioni tanto ben individuate quanto artificiali, concetti la stragrande maggioranza dei quali, fino al Vaticano II, appartenevano tranquillamente alla cattolicità in toto, e vi appartenevano in un bilanciamento armonico e in una tassonomia di valori opposti, ma appunto per ciò sentiti egualmente necessari a quell’unico insieme eufonico che è il cattolicesimo, governati però allora non dall’odierna indistinzione liberale, ma, come richiesto, dal principio autoritativo e distintivo divino.
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Ma non basta pensare a un semplice per quanto universale e catastrofico cambiamento di mentalità per definire quello che abbiamo sotto gli occhi: la trasformazione di mentalità (che è a dire di prospettiva e di atmosfera religiosa vissute dalla cattolicità universale), individuata per primo da Amerio come antropocentrismo in luogo del corretto e ben più seriamente umanistico teocentrismo, è a sua volta, come tutte le grandi trasformazioni di mentalità, figlio di una filosofia, figlio di una metafisica, in questo caso figlio della filosofia e della metafisica imperanti nel ceto borghese negli ultimi due-tre secoli in Europa, specie in Germania e Italia.
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Qual è il passaggio dal realismo all’idealismo? quale dal teocentrismo all’antropocentrismo? e cosa lega, infine, i due passaggi tra loro?
Il fulcro del primo passaggio va ricercato nel sacro Nome di Dio affermato in Es 3, 14: se infatti il soggetto « Io » del-l’affermazione « Io sono Colui che sono! » è riconosciuto – come deve essere riconosciuto – nella realtà della Mente che pensa quel Pensiero e che in quanto soggetto lo enuncia, restiamo ben ancorati all’interno del realismo intensivo tommasiano in cui l’essere, il reale, è principio e fondamento dell’ideale, del pensiero, del cogito.
Ma se il soggetto, l’« Io » che enuncia l’affermazione, viene spostato dalla Mente al Pensiero stesso, come se un pensiero da se stesso possa pensare se stesso (e ogni altro pensiero) in tutta autonomia dalla mente che lo congettura e formula, quasi possa pretendere una sua indipendenza da quell’essere che gli è pur a fondamento, ecco l’idealismo, ecco cioè che l’idea diviene soggetto pensante se stesso; ma ciò è irreale, perché senza una mente che lo pensa, senza un « Io » che lo formula, non può darsi alcun pensiero.
Non più: « Io sono! », ma: « Cogito, ergo sum », ossia “Penso, dunque sono”: “Penso, sono il pensiero, sono il pensiero dell’essere, e per questo io, in quanto pensiero, sono qualcosa, per questo io stesso sono la realtà; anzi, la realtà nemmeno sarebbe, se io non la pensassi”. Il soggetto autarchico, nell’idealismo, diviene uguale, in potenza, nobiltà e perfezione, all’Essere, alla realtà divina della Mente; e ne prende il posto.
In ciò abbiamo il secondo passaggio, per il quale il pensiero si fa da se stesso realtà, il conoscere si fa essere, l’idea del reale si fa essere ideale. Ciò sarebbe anche corretto, per certi versi, perché è proprio il Logos che, in quanto enunciativo della Mente del Padre, afferma: « Io sono! »; ma ciò egli afferma riferendosi al reale costituito appunto dalla Mente del Padre, non mai alienandosi da essa, perché se si riferisse solo a se stesso, tagliando fuori la Mente del Padre, avremmo due Io, due realtà, due Dei, il che è inaccettabile cattolicamente e inconcepibile razionalmente: il discrimine tra realismo (cattolico) e idealismo (ateo) è qui, nel limitare il soggetto dell’« Io sono! » al Verbo che lo pronuncia e non includervi la Mente del Padre che, vero soggetto, genera il Verbo pronunciante.
Il terzo passaggio consiste nella salita dell’uomo alla trascendenza dell’Idea: il « cogito » si fa universale, in altre parole l’uomo si accorge di essere lui stesso il soggetto che pensa Dio, lui il formulatore della più vasta e omnicomprensiva sintesi che si possa concepire della realtà, in cui materia e spirito, ontologia e gnoseologia, oggettivismo e soggettivismo, possono venire raccolti nell’unica ampissima coppa dell’Assoluto e nell’unico possibile sistema davvero senza soluzione di continuità tra pensante e pensato, costituito dall’Idea come essere universale, senza rotture o diaframmi di sorta tra tesi e antitesi, l’una e l’altra fondando, della rispettiva “altra”, unicamente il necessario e oppositivo alterego dialettico.
Il sistema teocentrico (cattolico) si fonda sull’essere ontologico del Padre come Prima realtà, o Principio, della stessa ss. Trinità (v. il Prologo giovanneo e – oltre S. Th., I, 33, 1, Se il Padre possa dirsi Principio – il commento che ne fa san Tommaso); il sistema antropocentrico idealista si fonda sull’essere gnoseologico del Figlio come Verbo che in sé e nella propria “Conoscenza universale” riassume anche l’essere del Padre. Sistema antropocentrico, questo, perché « l’assorbimento completo dell’essere nel pensiero e del finito nell’infinito è la caratteristica dell’i. moderno che s’è detto antropologico perché quel pensiero e quell’infinito qualificano alla fine l’essere della ragione umana e affermano quindi l’assoluta immanenza » (Cornelio Fabro, in Enciclopedia Cattolica, voce Idealismo, col. 1565).
Il discrimine apparentemente è sottile, ma decisivo. Il sistema realistico si appoggia sul Padre, l’idealistico sul Figlio. Nel primo c’è la Trinità, nel secondo, convergendo sia il Padre che la creazione nell’immanenza del Figlio, la Trinità si dissolve e resta un Dio assoluto, troppo immanente al Figlio per ammettere da un verso un Principio ab æterno “prima” del Figlio generato; dall’altro una creazione finita e materiale successiva al volere di un Pensiero che la trascenda.
Tutto ciò non ha nulla a che fare con la primalità che Amerio, nel più rigoroso tomismo, dà al Logos nella denuncia dell’usurpazione del trono della verità da parte della volontà, perché lo scambio sistemico perpetrato dai novatori e denunciato dal Luganese non tocca il principio assoluto dell’essere detenuto saldamente dalla Mente del Padre, cioè dalla Realtà, ma unicamente il posto che ha la verità nei confronti dell’amore, ben chiaro a sant’Agostino: « Non si ama [o vuole] ciò che non si conosce » e d’altronde fissato nell’ordine con cui tutti i De trinitate presentano le tre Persone, o col ‘segno della croce’ che facciamo tutti i giorni.
7 commenti:
è ora che tutti se ne rendano conto....
....un fantasma si aggira da più di un secolo nell'Europa una volta autenticamente cattolica, influenzando le menti di quasi tutti, piccoli e grandi, colti e incolti, rendendoli idealisti e soggettivisti, distruggendo nelle anime la vera Fede e il senso cristiano della REALTA' oggettiva, sia naturale che soprannaturale:
il suo nome è HEGEL.
adn
Ottimo articolo, che snocciola in parole povere il caos dialettico in cui i modernisti, hanno voluto cacciare la catechesi postconciliare e di cui abbiamo avuto il “piacere” di un loro membro clerico…..che onore!!!!
Catechesi che è e DEVE essere rivolta prima di tutto al Gregge, NON al mondo filosofico.
Parlare di Cristo in termini sofistici e puramente filosofici, vuol dire non rispettare le persone che si hanno di fronte, vuol dire trattare una persona da ignorante, significa sentirsi superiori e di intelletto e di sapienza, mentre sappiamo che Gesù ha detto semplicemente una cosa:
“Grazie Padre perchè ti sei rivelato ai più piccoli “
Scoprire Dio quindi tramite l’intelletto questo era ciò che insegnava la filosofia tomistica, l’unica in grado di smascherare l’errore in quanto come nucleo centrale è il famoso “Contra factum non datur argumentum “ ossia “Di fronte al fatto non servono argomentazioni.”
Ma questo come sappiamo è molto indigesto ai modernisti, perché li OBBLIGA a rimanere UBBIDIENTI al fatto certo come il Dogma e il Deposito della Fede.
Ecco che allora si cimentano a scovar termini dal doppio senso e quindi interpretabili a più riprese, così quando un Dogma verrà ripreso in mano da lor signori, Dio non voglia…… in automatico si cade in anatema e quindi in ERESIA, ma se dovesse succedere la prima cosa che faranno sarà di rielaborarlo, come del resto ha cominciato il G.Paolo II con Ut Unun Sint.
Imodernisti debbono sapere altresì, che possono tenere in ostaggio il Papa (salvo non essere lui stesso d’accordo) , possono tenere in ostaggio i prelati, (salvo non essere loro stessi d’accordo) che intimoriti dovranno dire per forza si.
Dimenticano però, che lo potranno fare con i prelati, ma giammai con tutto il Gregge, il quale non è in alcun modo ricattabile da loro.
Il caso della FSSPX è un emblema, hanno voluto colpirne 1 per ammaestrarne 100.
Così agiscono i regimi totalitari.
Veramente S.Tommaso dice anche che l'essere coincide con il suo conoscere. Quando la finirai, o eminente teologa, di stare sul fronte dell'esclusione per passare alla terra dell'ìnclusione?
@ Anonimo dele 21:01
Eminente corettore scarico di pile, mi potresti tradurre in paroline semplici semplici che diamine hai voluto dire?
Sembri uno che dopo aver scolato una botte di vino ,si mette sulla tastiera e pretende di fare il maestrino.
Come al solito i modernisti estrapolano un concetto e poi lo rielaborano secondo la loro eresia.
Ma i giochi sono giunti al termine , il popolino bue che voi intendete, non è quello che voi immaginavate fosse diventato dopo 50 lunghi anni di dittatura tirannica!!
A.R.
P.S. concordo con Thibaud
“Contra factum non datur argumentum “
ossia
“Di fronte al fatto non servono argomentazioni.”
...e quì salta agli occhi nuovamente i "frutti del concilio, orvero 50 anni di dittatura modernista.
All'anonimo che disse: "Veramente S.Tommaso dice anche che l'essere coincide con il suo conoscere. Quando la finirai, o eminente teologa, di stare sul fronte dell'esclusione per passare alla terra dell'ìnclusione?"
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Perché, caro Anonimo, non spieghi cosa vuoi dire, invece di offendere.
Da ciò che ho capito, mi sembra, che la teologia tomista dicesse in parole povere "sum, ergo cogito", quindi la conoscenza presuppone l'essere, c'è una base oggettiva che rende la conoscenza comune agli uomini di ogni generazione, mentre Cartesio, dicendo: "cogito ergo sum" inverte i termini e la conoscenza perde il dato di oggettività e di verità condivisa. Il dogma non è più una verità con lo stesso significato per tutti, ma è soggettivo, perché i concetti stessi sono soggettivi, perché la verità stessa è dipendente dal mio pensiero.
Spiegami, Anonimo, tu che sei un teologo correttore.
Resto in attesa del passo circostanziato in cui S. Tommaso avrebbe esposto la tesi che l'anonimo sostiene.
Nel frattempo ricordo che la tesi della conicidenza tra essere e conoscere è di puro conio hegeliano, certo non tomista, e meno ancora tommasiano. Forse che l'illustre sconosciuto confonda l'intelligibilità dell'essere con la sua conoscenza?
Svarione frequente, nondimeno madornale. Una cosa è affermare che l'essere sia conoscibile, altra che coincida con il conoscere. La prima è realista la seconda, oltre ad essere contraddittoria, è idealista.
La contraddizione, se non la si vedesse, sta nel fatto che, se l'essere fosse il conoscere, oltre che a predicarsi in modo equivoco, toglierebbe al conoscere il proprio oggetto e dunque la propria natura. Solo in Dio essere e conoscere possono dirsi coincidenti. Ma sono passaggi di metafisica questi, non facili a chi fa dell'inclusione la propria, peraltro asfittica, bandiera logica.
Un saluto a tutti
Grazie, Giampaolo, chiaro limpido ed efficace, al solito!
Un caro saluto anche a te
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