Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 16 novembre 2012

Il punto morto delle ermeneutiche

Propongo di seguito un articolo di don Laurent Jestin, pubblicato sull'ultimo numero, 117/Autunno 2012, di Catholica - prestigiosa Rivista francese di riflessione politica e religiosa - non ancora disponibile on line. Il titolo già ci introduce nel cuore del problema attualissimo dell'ermeneutica - anzi delle ermeneutiche - e, insieme al corpo dell'articolo, fa riferimento al discorso di Benedetto XVI alla Curia del 22 dicembre 2005. La trattazione è articolata e interessante e si sviluppa passando in rassegna gli scritti più recenti: prende infatti in considerazione autori francesi come don Claude Barthe e don Bernard Lucien, le parole di un vescovo ausiliare di Parigi, ma attinge soprattutto a recenti apporti di autori italiani, come Pasqualucci, Gheradini, Lanzetta e - anche - la sottoscritta, citando il mio libro recente. Su alcune formule, quali il magistero pedagogico di Bernard Lucien, l'autore si pone con circospezione. Ma la visione d'insieme risulta interessante e porta alla conclusione che il discorso di Benedetto XVI ha avuto un effetto liberatorio che ha prodotto i suoi effetti, ma richiede di essere vieppiù precisato e risolto non solo teoricamente perché la posta in gioco è molto alta.

Il punto morto delle ermeneutiche

Se, a giusto titolo, si è apprezzato il discorso di Benedetto XVI alla Curia del 22 dicembre 2005, oggi ineludibile, nella lettura di opere recenti si percepisce un forma di delusione e nello stesso tempo, su un certo piano, di contestazione delle categorie che questo discorso ha enunciato, o piuttosto della loro supposta evidenza e della possibilità, nel quadro che esse han posto, di risolvere le difficoltà dell'attuale situazione della Chiesa.

La ripartizione degli approcci relativi al concilio Vaticano II in due ermeneutiche, una di « rottura », l'altra di « riforma nella continuità », (e non soltanto di continuità come una lettura troppo rapida e orientata aveva lasciato credere ad alcuni - ma sarebbe sufficiente leggere il seguito del discorso, sulla libertà religiosa, per non cadere in un simile abbaglio), è criticata per la sua semplicità. È rivendicato come possibile e legittimo un terzo approccio (o insieme di approcci, perché risulta evidente una certa pluralità interna di queste categorie), quello di un'ermenutica della tradizione. A questo punto sorge una certa reticenza ad accostare i termini « ermeneutica » e « tradizione »: il seguito tende a dimostrare che si tratta di un ossimoro. Ma è questo il termine (tradizione) che usano gli autori presi in considerazione. Senza dubbio il discorso del 22 dicembre impone il suo vocabolario al quale ci si allinea, se non altro come strategia e/o desiderio sincero di assumersi la propria parte del compito enunciato dal Papa: non essendo questo definito, è possibile partecipare a forgiargli dei contorni.

Un recente opuscolo lo iscrive così in un quadro generale : « Il Papa non ha escluso altre interpretazioni, soprattutto quella, in qualche modo vicina e tuttavia ben distinta, dall’“ermeneutica della continuità”, che potrebbe dirsi “ermeneutica della tradizione”, che al Concilio fu rappresentata dal cardinal Ottaviani, dal cardinal Siri, Mons. Lefebvre, Mons. Carli, ecc. I successori intellettuali della minoranza conciliare hanno dunque anch'essi il diritto d'interpretarne i testi, e ciò tanto più per il fatto che si fondano alla tradizione bimillenaria del magistero ».(1)

Oltralpe, è il pensiero di Romano Amerio e, per quanto qui ci interessa, la tripartizione che egli aveva formalizzato, che sono nuovamente riproposti(2). L’autore di Iota unum individuava tre ermeneutiche relative al concilio Vaticano II : la prima, « sofistica estrema », rappresentata dalla Scuola di Bologna e dalla Nouvelle théologie, proclama e mette in atto una discontinuità ed una rottura essenziali tra la Chiesa pre e quella post Vaticano II, attraverso un orientamento del pensiero e della vita cristiani secondo « finalità esterne alla fede e alla teologia» ; la seconda, « sofistica moderata », quella dei papi che hanno seguito e promosso il concilio, presuppone e invoca – sinceramente ma spesso senza dimostrarla – una continuità, sforzandosi « di piegare al senso della Tradizione le anfibologie e le equivocità testuali ». Quanto alla terza, essa « s'appoggia sulla Tradizione » e argomenta secondo gli schemi di una teologia sistematica; è « dogmatica e vincolante », quando la prima si riduce in definitiva ad una ideologia o un'ermeneutica continua, e la seconda corre il rischio di cadere nel sentimentalismo, nel fideismo, preludio di autoritarismo magisteriale(3).

È opportuno insistere su ciò che distingue questa terza ermeneutica dalla prime due : certamente la tradizione, ma anche il ricorso alla teologia come scienza; questi due elementi possono avvicinare all'ermeneutica « della tradizione » alcuni rappresentanti della seconda ermeneutica: coloro per i quali non basta postulare sulla continuità, ma che si sforzano di esplicitarla.

Ma, pur essendo coscienti del valore relativo che bisogna accordare a queste categorie, e degli aggiustamenti di cui avrebbero bisogno, non è già una concessione alla prima ermeneutica il semplice fatto di entrare in questa prospettiva delle ermeneutiche, poco importa quella che si rivendica ? Si possono rinviare i fedeli lettori della rivista ad un articolo del professor Paolo Pasqualucci proprio su questo punto(4). Ci sembra di cogliere, in mancanza del fatto che sia affermata chiaramente, una simile reticenza in due recenti opere di Mons. Gherardini, una sulla Chiesa(5), l’altra sulla Tradizione(6), intendendo attraverso esse risalire a monte di una problematica senza fine e che, in , concede già troppo alla modernità. Cosa che certamente non significa che ci sia bisogno di cadere nella trappola di una « Tradizione chiusa in un intoccabile ed inattaccabile fissismo », secondo quella che, nella sua ultima opera in ordine di tempo(7), Mons. Gherardini sottolinea come una cattiva risposta, ieri ed oggi, al progressismo ; fissismo al quale si possono indirizzare le stesse critiche che a una certa ermeneutica della continuità : sentimentalismo, fideismo, fondato su un autoritarismo magisteriale, qui quello dei Papi tra Pio IX e Pio XII.

Senza dubbio ne consegue comunque, da questa reticenza a entrare allo stesso livello nella questione dell'ermeneutica o delle ermeneutiche del Vaticano II, nell'interrogazione iniziale di Padre Lanzetta : « Il concilio Vaticano II si riassume in una questione di adattamento ermeneutico alla modernità più o meno riuscito? »(8) Non è fare un passo verso una teologia in cui non si trova più nulla se non in termini di condizioni di possibilità : « La realtà, e anche la fede e la Rivelazione di Dio, sono state subordinate alla comprensione del credente e dell'uomo in generale […] La fede diventa una questione : la questione della sua comprensione per l'uomo di oggi.[…].
L’interrogativo “come comprendere il Concilio” è una conseguenza della domanda posta dal Concilio: come comprendere la fede oggi ? » (pp. 21-22) Occorre respingere questa prospettiva distruttiva, « esercitandone una valutazione critica [, non della fede, ma] della modernità partendo dal primato di Dio. » (ibid.) Per assicurare questo salutare riorientamento, e anche augurare una soluzione alla crisi, si rivelano necessarie contemplatio e traditio, perché « noi non siamo la Chiesa, non ne esauriamo il mistero » (p. 178). La contemplazione, cioè la santità della vita, o la vita alla scuola dei santi, la preghiera, particolarmente la liturgia nella « forma extraordinaria del rito romano » ; la tradizione, cioè dare il primo posto alla verità e al dogma, a partire dall'esercizio del Magistero.

Su quest'ultimo punto, ci sono errori da rettificare, ambiguità da precisare; ed eccovi giunti alla chiarificazione che alcuni chiedono, circa un'altra affermazione del discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 : l'unico soggetto-Chiesa. Il Papa ha dichiarato a questo proposito : « C'è l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha dato ; è un soggetto che cresce nel tempo e che si sviluppa, restando tuttavia sempre lo stesso, l'unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. » Ora, obietta padre Lanzetta, « cosa viene prima : la Chiesa o un concilio ? » (p. 8) La risposta è piuttosto, si sa, una « super-dogmatizzazione del Vaticano II »(9), la facoltà che gli è data di criticare, almeno potenzialmente, tutti gli altri concili precedenti e la teologia anteriore nel suo insieme(10). Questa pretesa facoltà proviene dal fatto che l'ermeneutica non è semplicemente dopo (« sul ») concilio, ma si trova nel concilio stesso, dai discorsi di apertura; ed anche, aggiunge P. Lanzetta, perché questo principio ermeneutico si presenta sotto l'attraente categoria d’aggiornamento che, mai definita e dunque poco criticabile, permette, essa, di criticare e delegittimare identificando antichità con obsolescenza ; senza dimenticare che l'altra categoria-faro di pastoralità tra la prima e la seconda sessione si è caricata di una connotazione antidogmatica.

Non ci si può dunque lasciar abbindolare da alcuni falsi dibattiti tra ermeneutica della rottura e ermeneutica della continuità, perché alla radice dell'una come dell'altra, si trova spesso una simile super-dogmatizzazione, il (o addirittura IL) concilio trasformato in vulgata, termine attraverso il quale Mons. Gherardini designa un corpus che non fa riferimento che a se stesso non si spiega che attraverso se stesso, senza istanze critiche esterne(11), né autentica opera di analisi storica, esegetica, teologica e dogmatica, morale e giuridica(12). Occorre a contrario riaffermare che « la Chiesa è più grande del Concilio. Questo è una manifestazione della Chiesa, la più solenne, la più mediatica diremmo oggi, ma una delle manifestazioni della Chiesa. La Chiesa trascende il Concilio »(13)
.
La negazione o l'attenuazione di questa trascendenza o primato della Chiesa non è che un punto storico : oltre ciò che si è detto della prospettiva ermeneutica, si possono menzionare alcune correnti di pensiero e di azione ben ancorate nella vita ordinaria della Chiesa, degli slittamenti teologici (Romano Amerio condannava fortemente un cambiamento nella Teologia della Trinità, nel quale l'ordine Essere-Ragione-Volontà è stato rovesciato a beneficio dell'ultima, con ripercussioni non-razionali e soggettiviste in un buon numero di ambiti del pensiero e dell'esistenza cristiani). Anche la storiografia è un campo di battaglia in questo ambito, dove la scuola di Bologna ha regnato da padrona sulla storia del Vaticano II, fino allo studio storico di Roberto de Mattei e alle critiche sistematiche di cui è stata fatta oggetto. Tra le pubblicazioni più recenti, si può leggere con interesse l'analisi di una nuova edizione dei Decreti dei Concili, presentata dal cardinal Brandmüller, nel 2006, attraverso l’Istituto delle Scienze religiose di Bologna : tra altre cose sorprendenti e in definitiva rivelatrici, egli vi nota l'inclusione dei decreti dei concili di Pisa e di Costanza, l'estensione del corpus dei decreti di Basilea agli pseudo-decreti presi quando il concilio fu in realtà trasferito a Ferrara, la qualificazione di « generali » e non di « ecumenici » per i concili di Trento, Vaticano I e Vaticano II(14).

Ma, è però col tema, se non della dottrina, della collegialità episcopale che la difficoltà di afferrare « l'unico soggetto-Chiesa » nella sua unità e continuità si presenta con particolare acutezza. Nelle opere considerate finora, alcuni (P. Lanzetta, don Barthe) non negano ogni l'interesse al tema della collegialità episcopale, riconoscendovi anche un certo valore dottrinale, tuttavia rilevando una effettiva ambiguità di formulazione e diffidando del veleno introdotto dalle conferenze episcopali. Dal canto suo, su un tema collegato, Mons. Gherardini si spinge al punto di affermare che è senza dubbio in ragione di una supervalutazione del primato del papa, accresciuto da un sincero amore per lui, che un numero non indifferente di vescovi votarono un certo numero di testi del concilio Vaticano II, e non tanto per i testi stessi, insoddisfacenti (p. 356). Questa osservazione, oltre al suo interesse storico, ha valore di segno di una realtà più ampia, in particolare oggi : perché la Tradizione come deposito della Rivelazione è relativizzata a favore di una maggioranza oltranzista della storia nella formulazione dogmatica della fede  – il che porta il nome di tradizione vivente, ma la tradizione vivente può non essere quello… ; poiché la spiegazione di questa tradizione da parte del Magistero e dei teologi non è più fatta secondo una teologia sistematica, anzi lascia il terreno del dogma per quello della testimonianza, del dialogo e delle scienze profane, incentivando sia la tendenza dei fedeli moderni alla soggettività, il solo argine ad un crollo generale si trova in una concezione non-razionale, spesso affettiva e in definitiva autoritarista del magistero attuale. Secondo una più precisa terminologia teologica, si potrà dire che le mancanze nell'oggetto materiale (la verità rivelata) e nell'oggetto formale (l'autorità del magistero, secondo i suoi gradi differenti chiaramente individuati) conducono ad un indebito gonfiamento del soggetto (il papa o il collegio dei vescovi) del Magistero ecclesiastico.(15)

Il Magistero è, chiaramente « identificato al [magistero] attuale. Così gli viene conferita una prerogativa che non è la sua propria »(16) : quella di essere l'istanza critica del tempo presente e, dunque, lo si è visto, di tutta la storia passata, poiché l’aggiornamento e la pastoralità gli appartengono. Per risolvere la difficoltà, insolubile in teologia classica, si è arrivati al punto di qualificare il magistero come « carismatico », il che garantirebbe la sua continuità con la Tradizione e sarebbe dunque il punto di partenza della riflessione teologica e dell'adesione alle parole di questo magistero(17).

Una formulazione alternativa di questa importanza indotta è quella che prende atto di quest'altra affermazione conciliare – della quale neppure si potrà risolvere la questione vertente sul suo valore dottrinale o dogmatico – che è la sacramentalità dell'episcopato(18). Essa ha senza dubbio accresciuto il valore della collegialità episcopale e, soprattutto, ha permesso di assicurare un legame tra l'affermazione iniziale della Costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa, vale a dire la sacramentalità della Chiesa : « Dato che la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, cioè nello stesso tempo segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano » (LG 1). E' una formula dal contenuto più poetico che dottrinale, ma ciò non impedisce che associata alla sacramentalità dell'episcopato e alla collegialità episcopale, essa possa dar luogo ad una formulazione radicale di questa sopravvalutazione del magistero attuale. Una conferenza tenuta da Mons.Eric de Moulins-Beaufort, il 24 marzo 2012, per il raduno nazionale diocesano a Lourdes, in occasione del 50° anniversario di apertura del concilio Vaticano II, ne sarà l'esempio(19) : « Nel collegio dei Vescovi, nel corso della storia, si manifesta ciò che non è ancora visibile ma che è già acquisito da Cristo morto e risorto per noi : l'aggregazione di tutti gli uomini che Dio chiama alla salvezza nell'eterna unità della carità ». Questa prima affermazione potrebbe non sorprendere per il suo richiamo alla internazionalità dell'episcopato come specchio dell'universalità della Chiesa ; ciò in un certo modo appiattisce, secondo un criterio sociologico, quella che è la nota di cattolicità della Chiesa o la qualità del Vaticano II come concilio ecumenico… a meno che il vescovo ausiliare di Parigi non intenda situare la sua idea « nel corso della storia ». La concatenazione dei concetti che abbiamo annunciato è dunque stabilita. Su un simile fondamento, il primato e la dimensione carismatica su ogni altra – istituzionale, tradizionale – non tarda affatto a venire, a quanto ci appare, nelle frasi seguenti : « La Chiesa non è una realtà già data, una istituzione che non dovrebbe che sforzarsi di perpetuarsi senza cambiamenti attraverso il tempo. Essa, al contrario, è innanzitutto un dono ricevuto dall'alto, da ricevere sempre di più attraverso la storia, perché è lo Spirito Santo all'opera all'interno del corpo che è la Chiesa […] affinché il dono del Cristo penetri sempre più l'umanità e vi porti maggiori frutti » Come non potrebbe essere frontale e rude il colpo inferto a « l’unico soggetto-chiesa, che il Signore ci ha dato ; […] soggetto che cresce e si sviluppa nel tempo restando tuttavia sempre lo stesso, l'unico soggetto del popolo di Dio in cammino » (Benedetto XVI, discorso alla Curia, 22 dicembre 2005) ? Saremmo ormai solo un passo per cadere nell'autoritarismo ; eccolo, in alcune frasi: « Tutto ciò che proviene da noi non ha il suo pieno valore davanti a Dio e per l'eternità se non si inserisce nella comunione concreta della Chiesa.
Ora, cari amici, a questa comunione, Cristo Signore non ha dato quaggiù che la forma più inglobante e più solida del collegio episcopale […] Ogni vescovo nella sua diocesi  non è il delegato del Papa, ma è lui stesso l’inviato di Gesù Cristo, come ogni prete o diacono nella parte di missione che gli è affidata, ed è proprio per questo che nessuna iniziativa come pure nessuna autorità possono essere totalmente feconde se non conducono verso una unione dei cuori più forte e più fiduciosa. I fedeli laici […] devono accettare che il loro comportamento corrisponda alla modalità che coloro a cui appartiene decidere lo vogliono in quel momento per la chiesa ». Si può certamente comprendere che l'autore di questo discorso sfumato cerchi di rimettere al loro posto certi laici che dimenticano l'esistenza della gerarchia ecclesiale. Ciò che noi qui rileviamo, sono gli argomenti, la cui chiave sembra trovarsi nelle ultime parole, di stampo hegeliano « in quel determinato momento ».

Come ultima risorsa e come rimedio alle distorsioni che sono state rilevate, tutti gli autori a cui ci siamo riferiti sono d'accordo nell'affermare la necessità dell'esercizio di un magistero ecclesiastico finalmente chiaro  ; e sempre nel contesto di una bella unanimità, solo la forma solenne che il Papa gli potrebbe dare sembra loro essere all'altezza della gravità delle difficoltà presenti e del loro carattere apparentemente insolubile attraverso procedure ordinarie. In effetti sembra proprio che  « l’esame delle differenti posizioni adottate da più di 45 anni nell'interpretazione teologica del Vaticano II proseguire indefinitamente, dato che il campo d'indagine è molto vasto e non cessa d'altra parte di ampliarsi col tempo; ma in questo caso non si farebbe altro che ripetere un esercizio che ha senza dubbio già prodotto i frutti che poteva dare »(20).

Certo, alcuni pensano che cercando di ovviare con palliativi ad una carenza pedagogica nel dibattito sul concilio tanto a livello del suo contenuto come a quello del suo grado di autorità, e reprimendo gli abusi di un certo spirito del concilio si arriverebbe ad una soluzione soddisfacente. Ma sembra mancare in essa - è vero come negli altri pensieri - qualche cosa che porta l'adesione sia perché è postulata una parte di quel che si pretende dimostrare sia perché una estensione o un ampliamento dell'infallibilità del magistero ingloba tutto. Richiama l'attenzione, tra le pubblicazioni recenti, un lavoro di don Lucien: con la precisione e la scienza che gli si riconoscono egli vuole dare un quadro sufficiente al giudizio sui testi del concilio, quello della loro autorità in base a criteri strettamente interni. Diciamo troppo sommariamente senza dubbio - che si fatica a mettere totalmente tra parentesi dichiarazioni tanto numerose del concilio di Paolo VI - per non parlare di altri - precisamente su quei gradi di autorità ; ora il risultato del presente lavoro non sembrano concordare con queste dichiarazioni. Al che bisogna aggiungere che l'autore deve postulare un grado magisteriale che al momento resta indefinito e che lui definisce da parte sua magistero « pedagogico ». Indubbiamente ciò si può accostare a una proposizione di cui padre Lanzetta si fa eco: quella di vedere a volte nel Vaticano II un munus praedicandi più che docendi stricto sensu.(22)

Nel frattempo, indipendentemente dalle riflessioni fatte su di esso, il discorso del 22 dicembre 2005 conserva la sua forza liberatoria e ha già prodotto anch'esso dei frutti. Tutti i suoi frutti? Certamente. secondo coloro che entrano e perseverano in questa doppia via ricordata da padre Lanzetta contemplatio e traditio.
Laurent Jestin

1. Claude Barthe, Per una ermeneutica di tradizione. A proposito de l’ecclesologia del Vaticano II, Muller, 2011, 58 p., p. 7. Il sotto-titolo di questo « carnet » indica che il corpo del testo propone i lineamenti di un'applicazione di questa ermeneutica di tradizione all'ecclesiologia dell'intero concilio. 
2. Oltre alla recente riedizione delle sue opere, che ha provocato incontri, pubblicazioni, perfino un articolo elogiativo su L'Osservatore Romano, si pensa e ci si riferisce qui al libro di Maria Guarini : La Chiesa e la sua continuità. Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II, Diffusioni Editoriali Umbilicus Italiae, Rieti, 2012, 240 p., 21 €. Da esso sono estratte le citazioni del presente paragrafo ; traduzione a cura nostra, come per tutto il resto.
3. Oltre all'opera citata nella nota precedente, si fa eco qui all'interessantissimo e corroborativo libro del padre Serafino Maria Lanzetta : Iuxta modum. Il Vaticano II riletto alla luce della Tradizione della Chiesa, Cantagalli, Siena 2012, 184 p., 15 €. Si ritorna più lontano sull'autoritarismo magisteriale.
4. Paolo Pasqualucci, « Herméneutique de la continuité ou continuité de la doctrine ? Remarques de méthode », Catholica n. 100, été 2008, pp. 130-134.
5. Brunero Gherardini, La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Lindau, Torino 2011, 203 p. Il prologo di quest'opera, comme le chapitre I du suivant, sont particulièrement intéressants parce qu’ils esplicitano la metodologia dell'autore, e attraverso questa affermano e giustificano la necessità di una scienza teologica .
6. Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Lindau, 2011, 208 p., 18 €.
7. Id., Il Vaticano II. Alle radici d’un equivoco, Lindau, Torino, 2012, 412 p. ; ici p. 104. Quest'ultima opera si colloca a seguito delle due precedenti sul concilio Vaticano II (2009 et 2011) ; ma poiché la sua supplica di uno studio approfondito del concilio non ha ricevuto la risposta che avrebbe voluto e per difendersi non solo dalle critiche ma dagli attacchi, egli esplicita e sviluppa alcune delle sue analisi in questo voluminoso lavoro.
8 S. M. Lanzetta, ibid., p. 8.
9. B. Gherardini, Il Vaticano II, p. 36.
10. Cf. S M. Lanzetta, op. cit., p. 23.
11. Ce que ne sont pas, selon Mgr Gherardini, la plupart des textes magistériels postérieurs au concile, puisqu’ils en sont issus ; l’auto-référence n’est pas alors rompue.
12. B. Gherardini, Il Vaticano II, p. 337.
13 S. M. Lanzetta, op. cit., p. 51.
14. Walter Brandmüller, « Una nuova edizione dei decreti conciliari », in Walter Brandmüller, Agostino Marchetto, Nicola Bux, Le « chiavi » di Benedetto XVI per interpretare il Vaticano II, Cantagalli, Siena, 2012, 112 p., 10 € ; pp. 31-40. Quest'opera collettiva si pone risolutamente in una ermeneutica della continuità. La chiavi d’interpretazione annunciate dal titolo sono la storia e la fede. L’articolo di Mons. Bux (« La chiave della Fede per capire il Vaticano II », pp. 91-110) è significativo di una volontà di rilettura tradizionale dei testi conciliari : Egli mostra che in questi testi si trovano tutti gli elementi di una teologia sistematica sulla fede, ed attraverso questa il concilio permette di entrare pienamente nell'Anno della Fede ; l'impresa sembrerebbe aver a che fare con una operazione artificiale, specialmente per il fatto di mettere tra parentesi, senza alcuna forma di spiegazione, gli elementi antropocentrici e mondani dei testi conciliari.
15. Cf. S. M. Lanzetta, op. cit., p. 158.
16 Maria Guarini, op. cit., p. 119.
17. Cf. S. M. Lanzetta, op. cit., pp. 156 ss.
18. Sul legame tra qìueste affermazioni e la seguente, la sacramentalità della Chiesa, il breve studio di don Barthe, già citato, offre una visione molto pedagogica.
19. Mgr Eric de Moulins-Beaufort, « L’Eglise, signe de Dieu et annonciatrice de la paix ». La cofmerenza è riprodotta in La Documentation catholique, n. 2489, du 6 mai 2012.
20 Joseph Famerée : « Introduction. Le style comme interprétation », in Joseph Famerée (dir.), Vatican II comme style. L’herméneutique théologique du Concile, Cerf, coll. Unam Sanctam Nouvelle série, 2012, p. 9.
21. Bernard Lucien, « L’autorité magistérielle de Vatican II. Contribution à un débat actuel », Sedes sapientiae n. 119, mars 2012, pp. 9-80.
22. Cf. S. M. Lanzetta, op. cit., p. 155.

Catholica  n.117 — Autunno 2012 [Traduzione a cura di Chiesa e post concilio]

33 commenti:

Anonimo ha detto...

Madame,

Cette proposition de M Laurent Jestin, qui vous cite directement, est fausse doctrinalement parlant pour les vrais catholiques:
"Il Magistero è, chiaramente « identificato al [magistero] attuale. Così gli viene conferita una prerogativa che non è la sua propria »(16)"

Vous pouver aussi vous référer au dernier sermon publique publié sur DICI e qui s'oppose à ce point de vue:
http://www.dici.org/documents/la-foi-devant-le-christ-en-croix-et-leglise-en-crise/

" Accepter que « le Magistère est le juge de la Tradition apostolique », c’est-à-dire que c’est bien le Magistère qui nous dit ce qui appartient à la Tradition. Cela, c’est de foi. "

Bien à vous
Fel Ber

Anonimo ha detto...

Cette proposition de M Laurent Jestin, qui vous cite directement, est fausse doctrinalement parlant pour les vrais catholiques:
"Il Magistero è, chiaramente « identificato al [magistero] attuale. Così gli viene conferita una prerogativa che non è la sua propria »(16)"


OK Jestin mi cita, ma la citazione è monca perché secondo il mio discorso (se non è chiaro lo chiarirò per iscritto anche a lui) il senso è che il Magistero attuale non può interpretare con le categorie attuali quello perenne!

Trascrivo per intero le mie affermazioni:

[...] Il problema sta nel fatto che le cose o parole definite "collezione di cose morte", nella vulgata modernista vengono riferite al "Magistero perenne", che sarebbe diventato "cosa morta" da sostituire col Magistero "vivente", identificato con quello attuale. In tal modo viene conferita al Magistero una prerogativa che non gli è propria: quella di essere sempre riferito al "presente", con tutta la mutevolezza e precarietà propria del divenire, mentre la sua peculiarità è quella di essere nel contempo passato e presente, trasmettendo una Verità rivelata che, pur inverata nell'oggi di ogni generazione, appartiene all'eternità. Altrimenti cosa trasmette la Chiesa a questa generazione e a quelle future: solo un'esperienza soggettiva? Mentre le è propri esercitare una funzione sempre in vigore, il cui atto è definito attraverso l'oggetto, ovvero attraverso le verità rivelate e tramandate.

Anonimo ha detto...

" Accepter que « le Magistère est le juge de la Tradition apostolique », c’est-à-dire que c’est bien le Magistère qui nous dit ce qui appartient à la Tradition. Cela, c’est de foi. "

"il Magistero è il giudice della Tradizione apostolica" ?

OK. Resta però da comprendere che cosa si intende per Tradizione.
Ci sono due diverse ermeneutiche al riguardo...

Anonimo ha detto...

Madame,
vous demandez " Resta però da comprendere che cosa si intende per Tradizione. "

Mais cela a été justememt expliqué dans le sermon en question:

"...c’est bien le Magistère qui nous dit ce qui appartient à la Tradition. Cela, c’est de foi. "
Fel Ber

Anonimo ha detto...

"cosa si intende per Tradizione" non è la stessa cosa che "ciò che appartiene alla Tradizione"...


Anonimo ha detto...

Madame,
"ce l'on entend par Tradition" est un "jugement" sur la Tradition, or seule le Magistère est habilité à juger de la Tradition Apostolique. Telle est notre foi catholique.
Fel Ber

Anonimo ha detto...

"ce l'on entend par Tradition" est un "jugement" sur la Tradition

In "ciò che si intende per Tradizione", intendo la definizione, il concetto di cos'è la Tradizione e non "ce qui appartien à la Tradition", cioè ciò che ne fa parte o no...

Non parlo del "jugement" sur la Tradition; ma della Tradizione in sé. Le "jugement" viene dopo e senza confondere il soggetto con l'oggetto...

Se uno non ha chiaro cos'è la Tradizione o ne ha cambiate le coordinate, non ci si può intendere sul resto e in ogni caso ogni "jugement" risulterà falsato...

Ma credo che lei abbia ben compreso e faccia orecchie da mercante, perché fa mostra di conoscer bene l'italiano.

Marco Marchesini ha detto...

Per quanto riguarda i documenti del Concilio Vaticano Secondo cerco di usare una lettura che mi permetta di armonizzarli con la dottrina precedentemente insegnata.
Se però questo non è possibile senza violentare il testo, allora ricordo anche a me stesso che non tutto quanto espresso nei testo del Concilio è dottrina infallibile e vincolante, visto il fine prettamente pastorale dell'ultimo Concilio.
D'altronde è anche quello che ci insegna la nota del Card. Felici. Esistono vari gradi di obbligo di adesione al Magistero, come esistono diverse qualifiche teologiche ad una dottrina proposta. Mi piace sempre ricordare lo schema del Cartechini.

Inoltre la Santa Sede ha stabilito nello statuto del Buon Pastore che è lecita una critica seria e costruttiva ai testi del Concilio. Aggiungo io che anche il documento “Donum Veritatis” ammette entro certi limiti critiche serie e ragionevoli tenuto conto che un insegnamento non infallibile e definitivo può contenere delle carenze, oltre a fatti assolutamente veri, certi ed immutabili.

Quello che è bene ricordare è che è vero che è il Magistero a definire cosa fa parte della Tradizione e non lo è. E' vero anche che il Magistero di una data epoca non può smentire, annullare o correggere quello di una data epoca precedente. Gli atti magisteriali di epoche passate fanno parte della Tradizione che non è possibile annullare in nessun modo. Si sarebbe condannati per forza di logica al perenne scetticismo con conseguenza perdita della Fede.

Si parli di Tradizione “vivente” a patto che si intenda sviluppo omogeneo della dottrina nello stesso senso e stessa sentenza.

Quello che veramente non tollero è il continuo appellarsi al principio d'autorità per dimostrare la continuità, lanciando anatemi e scomuniche a tutti gli altri.

La continuità di dimostra con argomenti prendendo in esame i testi di prima ed i testi del dopo, dando loro l'interpretazione autentica che l'autore ha voluto dare al testo tenendo conto della lingua, del contesto e delle circostanze storiche. Non si devono forzare i testi o violentarli. Per l'interpretazione dei testi di Magistero di epoche passate è anche ottimo il ricorso agli scritti dei teologi coevi che sono fonte di informazione storica.

Per la libertà religiosa ad esempio ho trovato su Internet un ottimo testo che si muove in questa direzione E' la risposta non ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede in risposta ai dubbi di mons. Lefebvre.

Mic, Luisa se avete tempo per tradurre quel documento ve ne sarei davvero grato. Insieme ai tentativi di Brian Harrison è forse un modo per uscire dall'impasse Dignitatis Humanae.

Per quanto riguarda Papa eretico, modernista, messa malvagia e altre espressioni simili, mi dispiace ma la FSSPX è anni luce dal mio pensiero. Sono sinceramente dispiaciuto per il mancato accordo e riconosco errori gravi anche da parte degli organi della Santa Sede.

Anonimo ha detto...

Mic, Luisa se avete tempo per tradurre quel documento ve ne sarei davvero grato. Insieme ai tentativi di Brian Harrison è forse un modo per uscire dall'impasse Dignitatis Humanae.

Caro Marco,
ho iniziato a leggere. Hai ragione la traduzione è lunga, ma varrà la pena perché e di interesse notevole.
Appena possibile lo metteremo a disposizione e potremo anche approfondire.

Anonimo ha detto...

obiezione a M. Marchesini:
se la Messa NO fosse in sè "buona" e non dannosa per la Fede, non avrebbe alcun senso sopportare fatiche di viaggi, stressanti richieste con rifiuti di preti e vescovi, soprusi e persecuzioni (v. caso ultimo qui pubblicato) per attingere la opportunità di sentire quella antica, o celebrata secondo MP, o da sacerdoti della FSSPX.
E' da stupidi fare una così immane fatica se tutto l'occorrente per salvarsi è presente nella Messa di Paolo VI. E non era necessario liberalizzare quella di S. Pio V, ponendo così alle coscienze confuse mille interrogativi (perchè fu imposta di forza quella riformata?) che non riceveranno risposta esauriente..... se non soltanto aprendo gli occhi sulla cruda realtà: il fatto che la riforma liturgica è stata (ed è) mezzo e fine di una rivoluzione e sovversione della Chiesa Cattolica e della sua Fede bimillenaria.
Sovversione felpata, attuata con determinazione, dal 1962 in poi, ma fatta col silenziatore, ingannando tutti col dire sempre ai piccoli fedeli preoccupati e confusi: "Tranquilli, tutto continua come prima, le cose rinnovate sono in continuità con le cose antiche".
Qui sta il grande bluff, caro Marchesini: mentre si vede (e se ne mangiano i frutti amari) la rottura clamorosa con la Chiesa bimillenaria, persistere a dire e far credere che la stessa rottura fa parte della continuità, inculcando nelle menti l'idea che la rivoluzione faccia parte della Tradizione !
Se la Messa NO fa parte di quella perenne (cfr.: "una delle due forme dell'unico rito") ditemi a che serve avere due forme ? come uno che indossa il vestito da lavoro e ogni tanto quello elegante "della festa" ?
Non è questa una gran presa in giro, voler trasformare così la Santa Messa di S. Pio V in un ornamento ECCEZIONALE (fatto extra-ordinario) da usare per i giorni "buoni o fortunati" in cui si può andare alla "festa della liturgia bella" (e beato chi ci va, non parliamo dei reietti, le centinaia di migliaia di ignoranti che non si sognano neppure l'esistenza della Messa "bella, antica e ben fatta con sacro timore ecc...") ?
Questa "aggiunta" dell'elemento straordinario al rito ordinario non è che il culmine del grande inganno che subiamo (in molti consapevoli ma impotenti) dal 1962 ad oggi.

gd

Marco Marchesini ha detto...

Grazie mille davvero.
Io ho provato a leggere il documento aiutandomi con un dizionario online. Anche se non ho mai studiato il francese sono riuscito a capire il senso.
Peccato che non sia un documento diffuso. Se fosse stata una risposta ufficiale, almeno sarebbe stato davvero una seria risposta alle accuse di DH di essere in discontinuità con il Magistero precedente.

Prende in esame tutti gli atti di Magistero senza cercare di forzarne il senso, inoltre finalmente usa argomenti e non il solito sterile richiamo al principio d'autorità con il quale sempre si afferma la continuità, ma mai la si dimostra.

la grande illusione ha detto...

"Quando a metà degli anni '80 il libro-intervista "Rapporto sulla fede" fece di Vittorio Messori la sua comparsa negli scaffali delle librerie cattoliche provocò un certo stupore. Per la prima volta dalla fine del Concilio, un Cardinale di santa romana Chiesa, Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede (l'ex Sant'Uffizio), formulava un giudizio apertamente negativo sull'era postconciliare. Questa presa di posizione ufficiosa (non si tratta infatti di un documento ufficiale) causò negli ambienti più conservatori, preoccupati del dilagare dell'errore e del caos in ogni settore della Chiesa, un'ondata di ottimismo (e in molti casi anche di ingenuità), una sorta di euforia che, a ben vedere oggi, appare del tutto immotivata. Si credeva che quel libro costituisse una specie di primo passo verso un'imminente «restaurazione» della Chiesa, e che il Cardinale Joseph Ratzinger, il «carabiniere di Dio», avrebbe spazzato via il marciume che si era depositato in quei vent'anni di progressismo sfrenato.
Oggi, possiamo dire che non solamente ciò non è avvenuto, ma che nel frattempo l'errore e l'anarchia hanno fatto passi da gigante, grazie soprattutto al falso ecumenismo, che ha le sue radici in Dichiarazioni conciliari come Nostra Ætate, e che è stato portato avanti durante il lungo pontificato da Giovanni Paolo II (1920-2005), e ora sotto quello di Benedetto XVI. Non solo: anche l'identità di vedute tra cattolici sulla diagnosi del Concilio e del periodo postconciliare, di cui l'Autore del presente scritto paventava l'incombente realizzazione, non è stata per nulla raggiunta. Al contrario, l'insanabile spaccatura tra integristi e progressisti si è acuita e, nonostante l'evidenza solare della profonda crisi dottrinale che sconquassa la Chiesa fino alle fondamenta, la Gerarchia cattolica continua a far orecchie da mercante davanti alle grida di richiamo dei cosiddetti «tradizionalisti», gli unici con cui non si cerca il «dialogo» (tranne che per fagocitarli e riciclarli).
Per questo motivo, l'analisi compiuta vent'anni fa da Arnaud de Lassus rimane tuttora valida. Se il Concilio è in perfetta continuità con i Concilî e gli insegnamenti pontifici precedenti, è preciso dovere di ogni cattolico sostenerlo, abbracciarlo e farlo proprio senza remore. Se invece il Concilio rompe anche in un solo punto con l'insegnamento precedente della Chiesa, va da sé che qualsiasi tentativo di ricomposizione del mondo cattolico non può che partire dal ritorno alla dottrina tradizionale della Chiesa. Ciò, evidentemente, presuppone la ferma volontà da parte della Gerarchia di riconoscere queste deviazioni e di condannarle."
[...]

rottura o continuità? ha detto...

[...]"Qualcuno potrebbe chiedersi che diritto ha un pugno di fedeli della Chiesa discente a criticare e ad opporsi a quanto stabilito da un Concilio Ecumenico, e solennemente promulgato dall'autorità suprema della Chiesa (Paolo VI). Questa obiezione meriterebbe una risposta che, per motivi di spazio, esula dallo scopo di questo libretto. Come dice l'Autore nelle pagine che seguono, non portiamo alcun giudizio (canonico) perché non abbiamo l'autorità necessaria; semplicemente prendiamo atto e constatiamo una contraddizione (di per sé impossibile) tra l'insegnamento pontificio precedente (infallibile e irreformabile, alla cui adesione la nostra coscienza è già vincolata in eterno) e l'insegnamento del Concilio. O l'una o l'altra.
Impossibile obbedire contemporaneamente a Pio IX e a Paolo VI se ci comandano di seguire dottrine antitetiche.
Solo un Pontefice divinamente assistito potrà - e siamo certi lo farà, anche se non sappiamo come e quando - rimettere le cose a posto. Voglia Dio che ciò accada presto, non fosse altro che per le innumerevoli anime che rischiano di andare perdute a causa di uomini che non sopportando «più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire novità, si sono circondati di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole» (2 Tm 4, 3-4)."
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commento al libro:
"Vaticano II: rottura o continuità?" di Arnaud de Lassus, tradotto dal francese orig.: Vatican II: rupture ou continuité?, a cura di Paolo Baroni;
riportato da
http://www.crisidellachiesa.com/articoli/vatiicano_II/vaticano_II_rottura_o_continuita/vaticano_II_rottura_o_continuita.htm

viandante ha detto...

È però già problematico in sè che leggendo un documento (del concilio, del Magistero recente o di recenti encicliche) il nostro sforzo sia sempre da impiegare quasi solo per capire come vada letto in continuità con la Tradizione.
È anche questa la crisi del Magistero!

Siamo tutti capaci a leggere e scrivere e possibile che sia sempre necessario un teologo che ci spieghi cosa intendesse dire il papa o chi altro con un determinato scritto.
Non si tratta qui di libero esasme, ma di poter leggere documenti che non siano ambigui.

Siamo arrivati al punto che dovremmo creare, oltre al Magistero già presente, anche la figura dell'ermenueta ufficiale.

O più semplicemente e più efficacemente, un ufficio vaticano in cui si torni a scrivere chiaramente: sì, sì, no, no! e a ragionare secondo gli schemi di una logica consolidata nei secoli.

Il resto sono solo acrobazie intelletuali per cercare di salvare il salvabile.

riscrivere la storia ha detto...

LA QUESTIONE DEL CONCILIO
«È evidente che la storia del presente Concilio dovrà essere scritta secondo le norme che gli antichi hanno fissato agli storici, e delle quali la prima è la seguente:
"Non osare di dire il falso, ma anche non nascondere nulla della verità. Non scrivere nulla che possa suscitare il seppur minimo sospetto di favoritismo o di animosità"» (Cicerone, Or. 11, 15).

Paolo VI, 31 gennaio 1966
...............
(....magari l'intellighentja cattolica attuale, tra clero e laici, volesse seguire questa esortazione di Cicerone all'obiettività storica, nella sua sapientia perenne, a non aver paura della verità dei FATTI!...sarebbe già un gran passo avanti verso la ricostruzione, da quelle estese macerie dell'"antico Edificio", che invece -per non voler vedere con umiltà i fatti e i loro nessi causali- continua a franare....)

Anonimo ha detto...

concordo con Viandante: mai nella Chiesa il semplice fedele aveva avuto bisogno di un "traduttore" dei testi del Magistero, soprattutto se erano fondamentali per i credenti di ogni livello culturale, per sostenere l'apprendimento costante e solido delle verità di fede sempre valide. E che poi questo traduttore non potesse nominarlo il papa stesso, o fare lui da traduttore ai testi dei suoi predecessori ?

scusate, ma mi si annebbia la mente di fronte a questa situazione di "decodificazione urgente", necessaria e tuttavia impossibile" -da ben 50 anni- di documenti conciliari, ai quali però dobbiamo prestare "ossequio devoto ecc." !
dice M. Marchesini:

La continuità si dimostra con argomenti prendendo in esame i testi di prima ed i testi del dopo

ma se è così semplice dimostrare la continuità, e dal momento che tale dimsotrazione è vitale per l'integrità della Fede cattolica, spiegate ai semplici e ignoranti come me, una cosa incomprensibile: PERCHE', da anni, dopo ripetute suppliche al riguardo, il Papa regnante si rifiuta di farlo ? non vuole o non può? e non potrebbe nominare un TRADUTTORE UFFICIALE (come suggerisce viandante) di quei testi ambigui, in mnodo che tutti possano capire, abbracciarli e obbedirli ove necessario "per essere cattolici" (così ha detto il papa: "testo base il cv2 per i cattolici...") ?

in realtà, egr. Marchesini, qui mik pare che siamo vittime di un inganno "globale", visto che il concilio vien imposto (v. caso FSSPX +, aggiungo io, alcuni gruppi stabili richiedenti Messa antica) come "pacchetto chiuso" da obbedire, non analizzabile, quindi mi dite, come si fa a volerlo "risanare" in alcuni punti bacati ecc. (e poi chi lo farebbe? i piccoli? questo intervento risanatore deve farlo un papa, e nessun altro, pure se fosse un genio della teologia, credo...)

Mi pare che stiamo considerando una specie di impasto avvelenato in cui non è più possibile scindere le molecole sane da quelle velenose. E tuttavia ci vorrebbero obbligare a mangiarlo !
Il veleno, purtroppo è insito nella stessa intenzione che sta alla radice: quella di voler "aggiornare la Chiesa al mondo". Il programma conciliare di aggiornamento (e snaturamento dottrinale perseguito con fraseggi ambigui) fu voluto e condotto insieme con forze nemiche del cattolicesimo (massoni, protesanti ed ebrei): ciò non è un fatto trascurabile.
(v. ad es. genesi di Nostra Aetate, dovuta al card. Bea e suoi rapporti con Jules Isaac)
La analisi, distinzione e cernita tra "parti buone" e "parti cattive" finora nessun teologo nè papa ha voluto o potuto fare con buon esito, ricordiamoci di mons. Gherardini (neanche arrampicandosi sugli specchi ecc.)
Occorre rendersi conto che il male è alla radice (risalire alla genesi storica, rivedere eventi e protagonisti, svolgimento dei lavori, e compilazione dei documenti, inficiata da compromessi voluti, chiedersi perchè....e allora si capirà il perchè delle ambiguità, il loro intento e i loro scopi).

Anonimo ha detto...

Occorre rendersi conto che il male è alla radice (risalire alla genesi storica, rivedere eventi e protagonisti, svolgimento dei lavori, e compilazione dei documenti, inficiata da compromessi voluti, chiedersi perchè....e allora si capirà il perchè delle ambiguità, il loro intento e i loro scopi).

Sia Gherardini che De Mattei - ricordo anche Mons. Spadafora - questa genesi storica l'hanno mostrata e dimostrata e Mons. Gherardini e altri studiosi hanno aggiunto anche la competente e profonda valutazione teologica.

Il perché dell'ambiguità sta nel fatto che davvero la storia è fatta da minoranze determinate. Ed è stata proprio quella "minoranza determinata" di padri progressisti a scartare i testi-base, scardinando alla fonte l'impostazione tradizionale, per proporne altri e portare avanti la loro promulgazione e conseguente applicazione, ovviamente perseguita nel post-concilio.

Questi sono i fatti, non supposizioni...

Jacobus ha detto...

"Questi sono i fatti, non supposizioni..."


A questo punto non resta che la mano di Dio, la vostra informazione e la preghiera di chi è in grado di vedere... Anche nella mia diocesi (alto Lazio) chi ama la tradizione è emarginato e la verità stenta a essere ascoltata. Ma continuiamo a non arrenderci.

Anonimo ha detto...

Io ho provato a leggere il documento aiutandomi con un dizionario online. Anche se non ho mai studiato il francese sono riuscito a capire il senso.

E' molto 'sottile' ed è intriso dell'ottica "continuista". Meriterà di essere approfondito. Ma non sarà semplice...

giuseppe ha detto...

Il tabù del concilio rivoluzionario, attraverso il quale la Chiesa avrebbe archiviato la sua Tradizione per condividere le sue sorti con il mondo, assimilarne lo spirito e "servire l'uomo" è ormai rotto.

Anche se c'é ancora molta confusione e l'ideologia del tabù sembra ancora dominante, tuttavia essa vive una crisi irreversibile, e si realizza la promessa del Signore ai discepoli: non prevalebunt!

Ci sono innemerevoli testimonianze, anche nella rete, di questo autentico rinnovamento attraverso il quale la Fede torna ad esprimersi per quello che è, immutabile, sempre la stessa in tutta la storia per la salvezza di molti.

Mi è capitato di leggere la lettera pastorale scritta dal Prelato dell'Opus Dei per l'anno della Fede, che si trova nel sito della Prelatura, nella quale è riportato il contenuto di una lettera di San Josemaria ai suoi figli durante il Concilio. Ve lo riporto:

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«Mi siete testimoni dell’amore con cui in questi anni ho seguito il lavoro del Concilio, cooperando con la mia preghiera e, in tante occasioni, con il mio lavoro. Conoscete anche il mio desiderio di essere fedeli – io e voi tutti – alle decisioni della Gerarchia della Chiesa sin nei minimi particolari, operando non come sudditi di un’autorità, ma con pietà di figli, con l’affetto di persone che si sentono e sono membri del Corpo di Cristo.

Non vi ho nascosto neppure il mio dolore per la condotta di coloro che non hanno vissuto il Concilio come un atto solenne della vita della Chiesa e una manifestazione dell’azione soprannaturale dello Spirito Santo, ma come un’opportunità di affermazione personale, per dare briglia sciolta alle proprie opinioni personali o, peggio ancora, per danneggiare la Chiesa.

Il Concilio sta terminando: è stato già detto più volte che la prossima sessione sarà l’ultima. Quando questa lettera giungerà nelle vostre mani il periodo postconciliare sarà già cominciato e il mio cuore trema al pensiero che possa essere occasione di nuove ferite nel corpo della Chiesa.

Gli anni successivi a un Concilio sono sempre importanti, perché richiedono docilità per applicare le decisioni adottate e anche fermezza nella fede, spirito soprannaturale, amore per Dio e per la sua Chiesa, fedeltà al Romano Pontefice»
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Queste parole erano scritte prima che iniziasse l'ultima sessione del Concilio, che poi ci si affrettò a concludere il più presto possibile. Annota il Prelato: "...Malgrado gli sforzi del Magistero nell’ultimo mezzo secolo, e della fedele testimonianza di un gran numero di persone, tra le quali non sono mancati i santi, il disorientamento si è man mano esteso al mondo intero".

Più avanti sono riportate anche queste parole scritte da San Josemaria nel 1973:

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«Nei momenti di crisi profonde nella storia della Chiesa, non sono stati mai numerosi coloro che, rimanendo fedeli, hanno messo insieme la preparazione spirituale e dottrinale sufficiente e le risorse morali e intellettuali, in modo da opporre una decisa resistenza agli agenti della malvagità. Per quanto pochi, hanno ridato la luce, una volta di più, alla Chiesa e al mondo»
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Il Concilio dovrà essere riletto, la sua comprensione teologica dovrà essere radicalmente rivista e precisata rispetto alla vulgata prevalente. Questo lavoro c'é già, si estende, e non è mai mancato.

Marco Marchesini ha detto...

E' vero mic,
il tema della libertà religiosa è quello più controverso.

Si afferma il diritto all'immunità da impedimenti nel foro esterno entro determinati limiti anche per coloro che fanno l'errore.

Devo correggere una mia affermazione precedente. Scrissi che SOLO la persona che compie atti in linea con la legge di Dio ha diritto all'immunità da impedimenti.

Però ripensandoci mi è venuto in mente il caso dell'ateo non battezzato che rifiuta pubblicamente il Battesimo.

In questo caso la dottrina tradizionale afferma che non gli può essere imposto il Battesimo e che quindi non deve essere impedito nel rifiutare pubblicamente in foro esterno il Battesimo.
Ovvio che la persona non ha il diritto, facoltà morale, a rifiutare il Battesimo: si tratta di una violazione della legge di Dio.

Però anche la dottrina tradizionale in questo caso specifico riconosce che la persona ha diritto a non essere impedita in foro estero nel rifiutare il Battesimo.

Quindi ne deduco che non è vero che la Chiesa abbia negato il diritto a non essere impediti in foro esterno nel fare l'errore in ogni caso come invece afferma:

http://www.unavox.it/051b.htm

D'altronde anche Papa Pio XII afferma che la repressione del male non può sempre valere nella sua assolutezza, ma deve basarsi in base al retto bene comune.

“Notiamo poi che la dichiarazione non fa alcuna differenza tra forzare ad agire e impedire ad agire.”

Vorrei fare notare inoltre che se io impedisco ad una persona di agire in un determinato modo, vuol dire alla fine che la costringo ad agire in senso inverso. Se io impedisco ad una persona di andare a Firenze, vuol dire che la costringo a non andare a Firenze.

Anonimo ha detto...

La risposta ai dubia di +Lefebvre non fu una risposta inufficiale della CDF ma bensì una risposta davvero ufficiale: non bisogna lasciarsi impressionare dallo stile "stampante" del documento colle sue corretture, normali in un'epoca, trent'anni fa, dove il computer non era ancora utilizzato universalmente:

http://lacriseintegriste.typepad.fr/weblog/1987/03/r%C3%A9ponses-de-la-congr%C3%A9gation-pour-la-doctrine-de-la-foi-aux-dubia-pr%C3%A9sent%C3%A9s-par-mgr-lefebvre.html

Questo documento è conosciuto da tutte le persone che si sono chinate con serietà sulla problematica della FSSPX ed è certamente nella mente di Papa Benedetto quando parla di continuità nella riforma.
Antonino Pizzo (Ivrea)

Anonimo ha detto...

Però ripensandoci mi è venuto in mente il caso dell'ateo non battezzato che rifiuta pubblicamente il Battesimo.

Questo rientra nella "casistica".

Ebbene, effettivamente "imporre" il battesimo ad un "adulto" che lo rifiuta mi pare incongruente, sapendo che col battesimo quella persona rifiuta la fede che esso dona, perché non è il Battesimo in sé a donare la salvezza, se poi chi lo riceve non aderisce col cuore e con la mente al Signore...

In ogni caso, abbiamo molte dichiarazioni di Papi preconciliari che parlano del fatto che la fede non può essere imposta, ma proposta...

Il problema nasce quando attraverso determinate affermazioni, sottili e comunque dispieganti efficacia nel tempo, viene meno l'affermazione della Fede cristiana come unica vera.

Questo è quello che dovremo verificare e valutare.

Amicus ha detto...

Mentre i professionisti dell'arrampicata sugli specchi si affaticano inutilmente nell'impossibile tentativo di conciliare gli errori di Dignitatis humanae con il Magistero antecedente che li condanna, anche uno degli ultimi Stati ancora ufficialmente cattolici sta implodendo, sempre grazie alla suddetta Dignitatis humanae. Traduco da 'La Croix' del 15-11-2102:
“il Principato Lichtenstein e la Santa Sede hanno terminato i negoziati in vista di un nuovo concordato … La firma dell’accordo dovrebbe avvenire all’inizio di dicembre… Questo accordo … prevede che la religione cattolica non sia più definita come Chiesa nazionale [ossia religione di Stato, ndt]. Una modifica costituzionale che apre la via all’uguaglianza delle religioni.”
( http://www.la-croix.com/Religion/Urbi-Orbi/Monde/Le-catholicisme-ne-sera-plus-l-Eglise-nationale-au-Liechtenstein-_NP_-2012-11-15-876316 )
E così grazie ai neomodernisti della Santa Sede anche in Liechtenstein potranno sorgere moschee, templi hindu e buddisti, e magari anche templi a Satana, come già da anni ce ne sono negli USA.
Il tutto, necessariamente, con gli auguri e la benedizione di Benedetto XVI, per meglio festeggiare il 50° del superconcilio.
Ecco la vera, concreta 'risposta' dei neomodernisti del Vaticano ai 'dubia' di Mons. Lefebvre...

Marco Marchesini ha detto...

Ma se è un documento ufficiale, allora si deve trovare negli AAS.

Sembra quasi una risposta informale.

L'ho trovata per caso su Internet.

Esatto mic. La Fede cristiana cattolica è l'unica vera. Le altre non sono vere: hanno elementi di verità in comune con la nostra Fede e anche gravi errori.

Quello il caso del Battesimo imposto è in effetti un caso in cui la Chiesa stessa concede il diritto all'immunità da impedimenti in foro esterno. Già questo solo caso fa traballare la teoria esposta nell'articolo di unavox che afferma in sintesi:

1) SI' immunità da coercizione in foro esterno.
2) SI' immunità da coercizione in foro interno.
3) SI' immunità da impedimenti in foro interno.
4) NO immunità da impedimenti in foro esterno.

Ebbene anche DH concorda con 1,2,3 , ma il quarto punto non è quindi un NO in assoluto ma:

4a) NO immunità da impedimenti in foro esterno quando l'errore viola il bene comune: aborto, divorzio, latrocinio, prostituzione, ecc...

4b) SI' immunità da impedimenti in foro esterno quando l'errore non viola gravemente il bene comune.

Anonimo ha detto...

Dipende da cosa si intende per ufficiale: questo è un documento ufficiale della CDF, anche se non è un documento pubblico.

Non tutti gli scambi epistolari ufficiali che Lei ha con l'amministrazione pubblica hanno da essere pubblicati nel Bollettino Ufficiale per assumere validità.

Se Lei va negli AAS vedrà che le varie risposte ai varî quesiti posti alle varie congregazioni romane non vi appaiono.
Antonino P.

Marco Marchesini ha detto...

La Santa Sede dovrebbe essere più chiara.

Il rifiuto del Battesimo è una grave omissione più che un atto positivo.
Per cui a stretto rigore si può sempre sostenere che la persona non ha diritto all'immunità quando fa un atto malvagio.

Catholicus ha detto...

Ricordo a mic che così scriveva, a proposito di Tradizione:
http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2012/10/mons-dagens-la-dottrina-della-fede-e-la.html

"Un linguaggio pressappochista, direi... Inesorabilmente un altro linguaggio, che veicola un'altra concezione di tradizione. Non è questione di ripetizione messa in relazione a movimento, è proprio questione di oggetto trasformato in soggetto. Se una tradizione si evolve storicamente e ogni generazione trasmette quello che "lo spirito dice alla Chiesa oggi", diverso da quel che diceva ieri, cosa resta della Tradizione? Neppure l'involucro, che sarebbe rappresentato dalla mera ripetizione, che peraltro per chi l'accoglie e la vive è tutt'altro che ripetizione, ma fede viva e "buon cibo solido", per dirla con Paolo...
E dunque cosa si custodisce? Nulla, neppure l'esperienza del soggetto Chiesa, che è transeunte e cambia ad ogni generazione...
E dunque le Sorgenti della Fede sarebbero: "la Tradizione vivente della Chiesa post-conciliare e i Papi che la rappresentano?". E la Chiesa bimillenaria che fine ha fatto? È forse confluita in un teilhardiano punto omega, dal quale cosa vien fuori se non la fratellanza universale e l'umanesimo solo umano e non più cristiano, cioè umano-divino nella Persona di Cristo Signore?

Anonimo ha detto...

Mic leggi il seguente intervento, sulla povertà del rito antico.
Tu e i tuoi archeologismi liturgici:

Che cosa possiamo dedurre alla fine da questo testo? Una prima cosa da osservare è che un libro del genere segna il nostro tempo di una qualificazione nuova. È, in fondo, un piccolo evento. Esso attesta che è possibile serenamente avvicinare due riti, storicamente divenuti, e ora resi “contemporanei” in determinate condizioni ecclesiali e pastorali, e si può farlo con grande serietà e serenità. Ma in tutto questo desumiamo, in secondo luogo, una grande esperienza di “ricchezza” del rito del 1969. Scopriamo, nelle accurate sinossi proposte con grande cura dal P. Regan, che il rito del 62 è segnato invece da una grande povertà. È la nuova ricchezza a mostrarci questa antica povertà. È la profezia conciliare ad averci fatto scoprire a quanta ricchezza avevamo potuto e dovuto rinunciare. Il MP Summorum Pontificum del 2007 rende possibile celebrare – solo a determinate e precise condizioni – mediante la forma POVERA del rito romano. In una certa misura, negli ultimi anni, possiamo ritenerci autorizzati a scegliere non la ricchezza, ma la povertà. Siamo liberi di impoverirci. Nella Chiesa questo non può certo stupire. C’è una scelta per i poveri e una vocazione alla povertà che, per certi versi, è costitutiva della Chiesa stessa. Ma qui, dobbiamo riconoscerlo, le cose stanno in modo decisamente diverso.
Dobbiamo ammettere apertamente che non si dà, in nessun modo, l’ipotesi che questa scelta del rito povero possa mai diventare per noi una “opzione preferenziale”. Forse il senso comune lo aveva già suggerito a tutti, ma ora, dopo aver letto il libro di Patrick Regan, questa sproporzione tra ricchezza e povertà, tra ricchezza dell’ordinario e povertà dello straordinario, ha assunto una evidenza mai prima così chiara.

Povertà del rito straordinario. Che lucida analisi della realtà.

Luisa ha detto...

Lucida analisi della realtà?
Lucida? E perchè non anche oggettiva?

Quando si cita altrui è corretto mettere fonti( blog di Padre Augé) e nomi, trattandosi di Andrea Grillo, possiamo senza scrupoli dimenticare e la lucidità e l`oggettività di un`analisi che parte da un`ostilità senza frontiere per la Santa Messa Antica, la realtà è quella limitata, anzi limitatissima, dall`ideologia di chi ha scritto quel libro e di chi lo ha commentato.

Anonimo ha detto...

la realtà è quella limitata, anzi limitatissima, dall`ideologia di chi ha scritto quel libro e di chi lo ha commentato.

che è anche quella di chi ce lo sottopone come se avesse scoperto l'America, quando si tratta di una baggianata colossale, della quale non è neppur necessario star a precisare i motivi, ben noti ma soprattutto vissuti da chi ama e ha la grazia di poter seguire il Rito definito "povero", mentre invece possiede la Ricchezza più incomparabile: il Signore, la sua Presenza, il Suo Sacrificio Redentore!

Anonimo ha detto...

Tu e i tuoi archeologismi liturgici:

Bella questa!
Gli "archeologismi liturgici", che Pio XII nella Mediator Dei attribuiva e deprecava - definendoli insani - nei confronti novatori, questo campione di esattezza li attribuisce a me!!!

Il Rito romano millenario della Chiesa d'Occidente, è vivo più che mai ed è imperituro. Altro che archeologismo!

Realmente "povero" è chi non lo conosce e non lo vive e per questo lo disprezza!

Luisa ha detto...

Chi fa vero, malsano e deleterio archeologismo liturgico è chi dice, giustificando le sue invenzioni, che si ispira a ciò che facevano le prime comunità cristiane, è chi se ne sta seduto al momento della Comunione perchè Gesù era....seduto!