Nella nostra traduzione da OnePeterFive la consueta meditazione di P. John Zuhlsdorf che ogni settimana ci consente di approfondire i tesori di grazia ricevuti nella domenica precedente qui. Importante anche per i riferimenti al superamento dei problemi attuali.
In Illo Tempore: Domenica nell’Ottava di Natale
Dio onnipotente ed eterno, Che nella pienezza del tempo ha mandato Suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, ci ha posti nel cuore del gioioso mistero dell’Ottava di Natale.
In questi giorni sacri il tempo sembra sospeso, come se la Madre Chiesa avesse allungato la mano e fermato dolcemente il pendolo. Un solo giorno non può contenere la grandezza della Natività. Otto giorni ci sono concessi per sostare, contemplare il Verbo fatto carne, lasciare che Dio orienti le nostre menti e plasmi i nostri cuori. Riposiamo nel mistero, affinché lo Spirito Santo possa operare in noi, guidandoci nelle profondità di Dio. L’Ottava è una scuola di contemplazione paziente. Siamo invitati a dimorare nella luce di Betlemme.
Nella Colletta della Domenica nell’Ottava di Natale, nel Messale Romano del 1962, preghiamo:
Omnipotens sempiterne Deus,
dirige actus nostros in beneplacito Tuo:
ut in nomine dilecti Filii Tui
mereamur bonis operibus abundare.
I compilatori del Consilium hanno concesso che questa preghiera sopravvivesse nel Messale di Paolo VI, collocandola nella III Domenica del Tempo Ordinario.
Lex orandi rivela lex credendi.
Il sempre utile dizionario Lewis & Short ci dice che beneplacitum significa “benevolo compiacimento, disegno favorevole”. La preposizione in con l’ablativo indica una condizione, una situazione o una relazione, piuttosto che un luogo o un tempo. Nella Vulgata beneplacitum traduce il greco eudokía, ad esempio in Efesini 1,9 e in 1 Corinzi 10,5. Altre espressioni rendono eudokía, come bona voluntas in Luca 2,14 (“pace in terra agli uomini di buona volontà”). Paolo usa eudokía all’inizio della Seconda ai Tessalonicesi (1,11-12), che la Vulgata rende con voluntas bonitatis:
Oramus semper pro vobis ut dignetur vos vocatione Sua Deus et impleat omnem voluntatem bonitatis et opus fidei in virtute ut clarificetur nomen Domini nostri Iesu Christi in vobis et vos in Illo secundum gratiam Dei nostri et Domini Iesu Christi.
Preghiamo sempre per voi, affinché il nostro Dio vi renda degni della Sua chiamata e porti a compimento ogni proposito di bene e ogni opera di fede (omnem voluntatem bonitatis) con la Sua potenza, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi e voi in Lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.
Colpisce come questo passo sia concettualmente alla base della Colletta odierna. Possiamo cogliere diversi paralleli tra 2 Tessalonicesi e la preghiera liturgica: mereamur corrisponde a dignetur (entrambi esprimono l’essere resi degni); beneplacitum a voluntas bonitatis; bona opera a opus fidei; nomen Filii a nomen Domini Iesu Christi. Inteso come “disegno benevolo”, beneplacitum si collega alla vocatio paolina, alla chiamata per la quale Dio ci ha posti nel mondo con un fine preciso.
Abundo significa “abbondare, traboccare”. Se torniamo al valore della preposizione in con l’ablativo, che indica luogo o condizione, emerge l’immagine delle opere buone che scaturiscono da Dio e, provenendo da Lui, traboccano attraverso di noi. Alcuni protestanti ritengono erroneamente che i cattolici pensino di “guadagnarsi” il cielo con le opere, come se esse avessero un merito autonomo. La dottrina cattolica, invece, insegna che le opere buone hanno sempre origine in Dio; tuttavia sono realmente nostre, perché cooperiamo con la grazia. Proprio perché provengono da Dio e a Lui ritornano, esse meritano la ricompensa promessa. Ogni volta che la liturgia parla di opere, occorre ricordare questa verità fondamentale.
Traduzione letterale della Colletta:
Dio onnipotente ed eterno,
dirigi le nostre azioni secondo il Tuo beneplacito,
affinché, nel nome del Tuo Figlio dilettissimo,
meritiamo di abbondare in opere buone.
La Colletta ci ricorda che Dio ha un disegno per ciascuno di noi. Prima ancora della creazione del mondo, Egli ci conosceva. Tra tutti gli universi possibili, ha scelto questo, nel quale ci ha chiamati all’esistenza nel momento da Lui voluto. Insieme all’essere, ci affida un compito. Il Signore incarnato lo ha espresso con chiarezza insegnando che dobbiamo amare Dio e il prossimo.
Parlando di disegni, nella lettura dell’Epistola per la Domenica nell’Ottava di Natale ascoltiamo il passo di Galati 4,1–7. Ascoltiamolo:
Fratelli, finché l’erede è fanciullo, non è diverso da uno schiavo, benché sia padrone di tutto; ma è sottoposto a tutori e amministratori fino al termine stabilito dal padre. Così anche noi: quando eravamo fanciulli, eravamo schiavi degli elementi del mondo. Ma quando è venuta la pienezza del tempo, Dio ha mandato il Suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, affinché ricevessimo l’adozione a figli. E poiché siete figli, Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio Suo Che grida: “Abbà, Padre!”. Perciò non siete più schiavi, ma figli; e se figli, anche eredi per volontà di Dio.
La dimensione del “disegno” emerge con forza. Paolo insegna che il Figlio è venuto “quando è venuta la pienezza del tempo”. Egli è nato “da donna, sotto la Legge” per redimerci, affinché ricevessimo l’adozione filiale. In questo breve ma densissimo passo emergono due punti che meritano particolare attenzione.
Anzitutto, Paolo dichiara che non siamo più schiavi, ma figli. Proprio perché siamo figli, lo Spirito del Figlio grida nei nostri cuori: “Abbà, Padre”. C’è stata una certa superficialità nell’insegnamento che ha voluto intendere l’aramaico abbà come ‘papà’, un termine infantile talvolta proposto nella predicazione o nella catechesi. Joachim Jeremias ha reso popolare questa interpretazione. Tuttavia, James Barr ha chiarito in modo decisivo la questione: “in nessun caso si trattava di un’espressione infantile paragonabile a ‘papà’; era piuttosto un appellativo solenne, responsabile, proprio di un adulto” (Barr, “Abba isn’t Daddy”, Journal of Theological Studies, n.s., vol. 39, parte 1, aprile 1988). Le tre occorrenze neotestamentarie di “Abbà, Padre” non autorizzano alcuna diminuzione della maestà divina. La preghiera angosciata di Cristo nel Getsemani rivela un’intimità profondamente riverente, non una familiarità sentimentale. Il grido dello Spirito nei credenti esprime una filiazione autentica, fondata sull’obbedienza del Figlio.
In secondo luogo, vi è il riferimento velato ma decisivo di Paolo a Maria: “Dio ha mandato il Suo Figlio, nato da donna”. Senza nominarla, egli afferma la realtà dell’Incarnazione. Cristo possiede due nature: divina, dal Padre; umana, dalla Madre. Poiché Maria ha dato alla luce una Persona e non una natura astratta, Ella è veramente Theotókos, Madre di Dio. Il Concilio di Efeso (431) ha definito solennemente questa verità. Il mistero della maternità divina di Maria scaturisce da questa semplice affermazione paolina. Nessuna creatura può ricevere una dignità più alta. La Sua maternità garantisce la piena umanità del Figlio ed è pegno della nostra adozione filiale.
Joseph Ratzinger ha corretto le concezioni di Karl Rahner circa Dio come Existenz-modus, cioè come una sorta di modalità o struttura dell’esistenza piuttosto che come un Essere personale concreto che interviene liberamente nella storia. In tale prospettiva, Dio finisce per essere compreso non come il Signore trascendente, ma come l’orizzonte dell’autorealizzazione umana. Come osservava Ratzinger, un “modo di esistenza” non ha bisogno di una madre e non può essere oggetto di preghiera. Il Verbo incarnato, invece, è una Persona concreta. Sua Madre è accanto alla mangiatoia e sotto la croce. Ratzinger, divenuto poi papa Benedetto XVI e morto il 31 dicembre 2022, ha lasciato alla Chiesa un’eredità di limpida chiarezza teologica. La sua morte alla vigilia della solennità di Maria Madre di Dio appare come un ultimo gesto eloquente, che rimanda ancora una volta al mistero della Theotókos.
Dal tema dell’adozione passiamo ora al Vangelo, Luca 2,33–40.
La Santa Famiglia, fedele alla Legge, presenta Gesù al Tempio.
Le leggi giudaiche sulla purità rituale — legate al contatto con la morte o con elementi connessi alla perdita della vita, come il sangue — non implicavano colpa morale, ma una condizione cultuale che richiedeva purificazione. Maria e Giuseppe, pur senza peccato, erano soggetti a tali prescrizioni. Nel Tempio li attendeva Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, mosso dallo Spirito Santo. Egli profetizza che Cristo sarà “segno di contraddizione” e che una spada trafiggerà l’anima di Maria. Il termine greco romphaía indica una grande spada ricurva, arma temibile, capace di decapitare. Nell’Apocalisse, la romphaía esce dalla bocca del Figlio dell’Uomo (Ap 1,16), colpisce i suoi avversari (Ap 2,16) ed esercita il giudizio finale (Ap 19,15).
La profezia di Simeone colloca dunque Maria nel cuore stesso del dramma escatologico. La Sua anima attraverserà il mistero della Passione e del giudizio legato alla missione del Figlio.
Luca introduce poi Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser, una profetessa che abitava nel Tempio. La sua memoria liturgica bizantina cade il 3 febbraio, alla festa della Presentazione. Il testo greco è ambiguo: può indicare che fosse vedova da ottantaquattro anni o che avesse ottantaquattro anni d’età. La lettura più convincente suggerisce la prima ipotesi. Se si fosse sposata a quattordici anni e fosse rimasta vedova a ventuno, avrebbe avuto circa centocinque anni al momento dell’incontro con il Bambino. Un’altra donna biblica raggiunse un’età simile: Giuditta, che liberò Israele uccidendo Oloferne. L’ultimo versetto del suo libro afferma: “E nessuno più incusse terrore ai figli d’Israele per molti anni dopo la morte di Giuditta” (Gdt 16,25).
Giuditta e Anna rappresentano la fedeltà perseverante. Esse rivelano che Dio custodisce i Suoi servi per momenti decisivi. Anna incarna il desiderio espresso nel Salmo 27:
Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e meditare nel Suo tempio.
Il desiderio del salmista plasma ogni vita consacrata al disegno di Dio. La perseveranza di Anna lungo trentamila giorni testimonia una speranza che non viene meno. Nell’Ottava di Natale la Chiesa la indica come guida per contemplare il Bambino Cristo con amore saldo e vigile. L’incontro con Gesù Bambino fu il compimento di tutta la sua lunga attesa. Il suo esempio istruisce i cuori provati dalle fatiche del tempo presente.
Dio conosceva Anna fin dall’eternità, così come conosce anche ognuno di noi. Egli aveva stabilito che ella fosse testimone della venuta del Messia. Ella accettò il suo posto e visse la propria missione con fedeltà. La sua oscurità terrena celava una gloria nota solo a Dio. Anche per ognuno di noi Egli ha un disegno.
Viviamo in un tempo previsto da Dio. Tra tutti gli universi possibili, Egli ha scelto proprio questo. Ci ha chiamati all’esistenza ora, secondo il Suo beneplacitum. Questa epoca è il nostro campo di battaglia e la nostra palestra spirituale. Le turbolenze della Chiesa e del mondo diventano il nostro particolare cammino di santificazione.
Quando le prove si intensificano, la grazia sovrabbonda. Il beneplacito divino guida le nostre azioni e, se cooperiamo, possiamo abbondare in opere buone nel nome del Suo Figlio dilettissimo.
La Colletta diventa così una supplica quotidiana: che, per i meriti del Signore, le nostre opere — coronate dalla Sua grazia — glorifichino Dio come figli adottivi ed eredi.
La Domenica nell’Ottava di Natale unisce tutte queste luci. Dio ha mandato il Suo Figlio nel tempo stabilito. Maria ha cooperato perfettamente alla volontà divina. Giuseppe ha esercitato una custodia silenziosa. Simeone e Anna hanno custodito la promessa lungo i decenni. Essi hanno ricevuto la manifestazione del Cristo. La spada e il segno di contraddizione rivelano che la redenzione è già inscritta nella mangiatoia. La nascita apre immediatamente al mistero della Passione.
Contemplando questo mistero nell’Ottava, impariamo che il disegno divino guida ogni circostanza della vita. Lo Spirito grida in noi: “Abbà, Padre”. Il Salvatore ci invita alla fiducia. I misteri di questo giorno orientano la nostra mente ad adorare il Bambino, ad assumere la nostra identità di eredi e a sottomettere ogni azione alla grazia che sola dà valore alle opere.
In mezzo alla confusione e alla prova, la nostra fiducia riposa nello stesso Dio che guidò Anna per tutta la sua lunga esistenza. Egli sostiene i nostri passi stanchi. Custodisce ogni anima fedele per il momento da Lui stabilito. La perseveranza ottiene la ricompensa. In questo campo di battaglia, la vittoria del Natale è già iniziata. Cristo è la nostra pace, la nostra adozione, la nostra gioia.
Santa Anna, figlia di Fanuele della tribù di Aser, prega per noi.
San Simeone, prega per noi.
Maria, Madre di Dio, prega per noi.
P. John Zuhlsdorf – 27 dicembre 2025
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

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