Nella realtà il giudizio è definitivo. Lo si evince dal risultato cui è pervenuta la seconda Commissione presieduta dal cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo emerito dell'Aquila: «Lo status quaestionis intorno alla ricerca storica e all'indagine teologica, considerati nelle loro mutue implicazioni, esclude la possibilità di procedere nella direzione dell'ammissione delle donne al diaconato inteso come grado del sacramento dell'ordine. Alla luce della Sacra Scrittura, della Tradizione e del Magistero ecclesiastico, questa valutazione è forte, sebbene essa non permetta ad oggi di formulare un giudizio definitivo, come nel caso dell'ordinazione sacerdotale». Ma è quel "ad oggi", il 'baco' che inficia i documenti conciliari e post e giustifica i titoli diffusi della chiesa modernista,
Il ruolo della donna nella Chiesa non è nato ieri,
e non è qualcosa da inventare oggi
Quando ho letto la notizia sul diaconato femminile, sono andata a vedere i commenti. Tantissime donne scrivevano di essere profondamente deluse, affermando che Gesù trattava uomini e donne allo stesso modo e che la Chiesa avrebbe dovuto fare lo stesso. Ma la frase che mi ha trafitta più profondamente è stata quella di una donna che ha scritto: “La Chiesa sta difendendo la supremazia maschile. Se continua così, molte di noi se ne andranno.”
Quelle parole non erano solo una critica, ma un dolore.
E allora parlo come donna della Chiesa. Non da osservatrice esterna, ma da figlia che abita questa casa e la ama. Vengo da una cultura dove la donna viene spesso zittita, controllata, considerata meno. E proprio perché conosco da vicino quel tipo di oppressione, posso dire con sincerità che nella Chiesa non l’ho mai incontrata. La Chiesa è stato il primo luogo in cui non mi è mai stato chiesto di essere invisibile.
Mentre leggevo i commenti, però, sentivo anche altro: la percezione di una voce antica che torna a sussurrare alle donne che “manca qualcosa”. Una voce che invita a prendere il frutto — prendi ciò che non ti appartiene, colma da sola ciò che Dio non ti ha dato — come se la nostra dignità dipendesse dal reclamare un ruolo che Cristo ha affidato agli uomini. Ma quella voce non porta pace. È un richiamo che somiglia a libertà, ma nasce da una mancanza di fiducia. Non genera luce: genera inquietudine.
E mentre riflettevo su questa tentazione, mi è venuto spontaneo pensare alla Madonna: la donna più grande della storia, la creatura più alta che sia mai esistita. Maria non ha mai desiderato prendere qualcosa che non le apparteneva, non ha mai preteso un ruolo, non ha mai cercato potere o riconoscimento. Eppure nessun uomo, nessun sacerdote, nessun apostolo ha avuto un compito più grande del suo. Lei ha portato Cristo nel mondo con una fedeltà così pura che ha superato ogni ministero terreno. Eppure non era sacerdote. Non era diacona. Era Madre. La Madre del Signore. La Madre della Chiesa.
Se la grandezza dipendesse dai ruoli, Maria avrebbe dovuto essere la prima ordinata. E invece Dio ha scritto la sua missione altrove: nel cuore, non nell’altare.
Mi colpisce anche il fatto che il mondo continui a chiedere alla Chiesa cattolica di “evolversi”, di cambiare, di somigliare alla mentalità del tempo. Ma questa pressione esiste solo per la Chiesa: nessuno chiede all’Islam di avere una donna imam. Nessuno invita altre religioni a modificare le loro strutture millenarie. Solo alla Chiesa cattolica viene chiesto di rinunciare a ciò che custodisce da sempre. Eppure, è proprio rimanendo fedele che essa preserva la sua verità.
Quando guardo al Vangelo, vedo invece un disegno diverso sulla donna, un disegno che non ha nulla a che vedere con la rincorsa al potere. Nelle ore più oscure della storia, ai piedi della Croce, c’erano le donne. Quando la pietra del sepolcro si è mossa, le prime a incontrare Gesù Risorto sono state le donne. E quando la Buona Notizia doveva essere annunciata ai discepoli, Dio ha scelto loro. La prima voce del mattino della Risurrezione è stata femminile.
Il ruolo della donna nella Chiesa non è nato ieri, e non è qualcosa da inventare oggi. È una presenza che dà forma alla fede, che custodisce ciò che altri dimenticano, che porta consolazione dove tutto sembra cedere. Non ha bisogno di un titolo per essere luminosa. Non ha bisogno di un altare per essere essenziale. La donna nella Chiesa non è mai stata periferica: è stata sempre cuore.
Il ministero ordinato è affidato agli uomini perché Cristo così ha scelto, non per innalzare loro, né per abbassare noi. Chi guarda con amore comprende che si tratta di una differenza di missione, non di valore. E la donna non perde nulla nel non occupare quel ruolo: non perde forza, non perde voce, non perde dignità. La sua grandezza è altrove, ed è immensa.
Io, che vengo da una cultura che davvero schiaccia la donna, posso dirlo con libertà: nella Chiesa non ho mai dovuto lottare per avere dignità. L’ho trovata. L’ho respirata. Mi è stata donata senza chiedere nulla in cambio. E non ho mai avuto bisogno di diventare ciò che non sono per essere accolta, amata e valorizzata.
Forse il vero problema non è ciò che la Chiesa non concede, ma ciò che noi non riusciamo più a riconoscere. La bellezza che ci appartiene già. Il posto che Dio ci ha dato e che nessun uomo può rubare. La missione silenziosa che salva più anime di quanto immaginiamo.
E allora sì, lo dico con un cuore tranquillo: non abbiamo bisogno di “prendere il frutto”. Non abbiamo bisogno di conquistare ciò che Dio non ci ha chiesto di portare.
La nostra vocazione — quella che Cristo ha affidato alle donne nella sua Chiesa — non è piccola, né fragile, né secondaria.
È una luce. Una luce che non somiglia al potere, ma alla grazia.
Una luce che il mondo non comprende, ma che Dio ha scelto, benedetto e custodito da sempre.
Zarish Imelda Neno

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